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Autore: alessiawriter    01/10/2017    2 recensioni
Ormai Koan, il figlio maggiore di Sesshomaru, ha raggiunto l'età esatta per poter seguire suo padre nelle sue imprese ed essere addestrato come il guerriero che fin dalla nascita è destinato a diventare. Ma ne sarà veramente all'altezza?
Seguito di "Notte di Luna Nuova" della serie "Discendenze", si possono leggere separatamente.
Genere: Avventura, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Discendenze'
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Come i due uomini della famiglia furono fuori dalla sala pranzo, Mikomi scattò subito in piedi, quasi mossa da una molla, e avrebbe di certo mandato all'aria la sedia se sua madre non avesse avuto i riflessi svelti, afferrandola prontamente. La giovane mezzodemone rivolse un veloce sguardo di scuse alla donna prima di saettare via, cercando di raggiungere il più in fretta possibile i due. Si sentiva così in colpa per come si era evoluta la situazione e ora Koan le avrebbe sicuramente prese. Doveva sbrigarsi. 
 
Anche Rin non perse tempo e si precipitò dietro la figlia, ovviamente senza riuscire a tenere lo stesso ritmo; l'età e la sua condizione umana non glielo avrebbero mai permesso. Era agitata, mentre scendeva le scale facendo i gradini a due a due. Sesshomaru era stato sempre troppo duro e severo sia nei confronti dei loro figli ma pure nella sua stessa vita in generale, questi tratti erano parte integrante della sua indole, eppure non aveva mai raggiunto soluzioni così drastiche. Si fidava del Gran Generale dell'Ovest in tutto e per tutto, tranne quando si trattava dei modi con cui impartire una lezione ai suoi figli, in questo caso Rin diventava iper apprensiva. Aumentò il passo. 
 
Quando Mikomi si ritrovò nell'esteso giardino, li cercò con lo sguardo sebbene non fosse poi così difficile indibiduarli: erano sospesi a mezz'aria, il viso di Koan rosso dalla fatica e dalla rabbia; quello del padre contratto nella solita maschera di fredda indifferenza. Trattenne il fiato e si sentì leggermente più sollevata, come si accorse che Sesshomaru non stava ricambiando i colpi inferti ma si limitava a schivarli e a respingerli con una facilità sconcertante. Questo finché non alzò la mano stretta in un pugno e la scagliò contro il viso di Koan, il quale si sfracellò al suolo lasciandosi dietro una scia di polvere e terra.
 
«Koan!», Mikomi urlò e si precipitò ad aiutare il fratello, ma quando lo raggiunse vide che questi si stava rimettendo in piedi, malgrado fosse malfermo sulle gambe, alzando poi una mano per fermarla.
 
«Stanne fuori, Mikomi, è una questione tra adulti» e dopo aver massaggiato la mascella dolorante, sollevò il viso fissando gli occhi ambrati e ardenti in quelli glaciali del demone cane. «Tutto qui quello che sapete fare, padre?», lo sfidò con una sfrontatezza che neanche lui sapeva da dove l'avesse pescata. 
 
Se Mikomi gli rivolse un'espressione intrisa di stupore, l'unica risposta del padre fu un ringhio feroce e un moto di orgoglio che silenziosamente germogliava in lui. Quel mezzodemone o era molto coraggioso o solo stupido e presto lo avrebbe appurato. Aspettò che lo raggiungesse prima di investirlo con un'altra serie di colpi, sempre contenendo la sua vera potenza. E, diamine, non se la stava cavando poi così male.
 
Rin raggiunse finalmente Mikomi e le posò una mano sulla spalla, stringendola con affetto. «Sta tranquilla, tuo padre ha tutto sotto controllo», la rassicurò, credendo fermamente nelle sue parole dopo aver visto la scena ma soprattutto il ghigno di Sesshomaru. Conosceva bene quell'espressione. 
 
Mikomi circondò con le braccia il busto di sua madre, strusciando il viso sulle sue vesti leggere per cercare conforto. «Come fai ad esserne così certa?», le domandò con tono incerto. Quando si trattava di suo padre, le sembrava sempre di barcollare nel buio. 
 
Rin le accarezzò i capelli lisci e argentati, osservando la figura di suo figlio rispondere a fatica ai colpi del padre. «Checché se ne dica, non ci farebbe mai del male» e forse per via delle intense emozioni provate da quando il demone era ritornato, forse per via del caldissimo clima, fatto sta che si sentì svenire.
 
Se non fosse stato per Mikomi che era là a reggerla, sarebbe sicuramente collassata a terra. La bambina, presa dal panico, inizialmente rimase senza parole; poi però riuscì finalmente a riscuotersi. «Padre!», gridava con urgenza e come chiuse la bocca, vide il grande demone cane paralizzarsi e rivolgerle un'occhiata confusa, almeno fin quando non si accorse del corpo inerme sorretto dalla mezzodemone. 
 
Mikomi non ebbe il tempo neanche di batter le palpebre, che suo padre era sparito e con lui anche Rin, lasciando i due bambini a guardarsi sconcertati.
 
.:••:.
 
Mikomi e Koan non avevano permesso di entrare nella camere dei loro genitori, solitamente, eppure in quell'occasione Sesshomaru si rivelò estremamente indulgente, concedendo loro qualche minuto da spendere con la loro madre. Per la prima volta in assoluto, la famiglia si era ritrovata riunita sopra il grande letto matrimoniale e tutto per merito di Rin, nel bene o nel male. 
 
Dopo averla prelevata dalle braccia della figlia, Sesshomaru aveva immediatamente recuperato e trascinato il medico che alloggiava ormai abitualmente nel suo castello per prestare cure tempestive alla sua Rin. Per un attimo, un microsecondo, sul suo sguardo era calato un velo di preoccupazione che aveva scacciato con la stessa velocità con cui era venuto. Non c'era tempo per i sentimentalismi, doveva scoprire cosa avesse quella sciocca della sua consorte. 
 
Rin era stata visita con la massima attenzione, ma il medico - un antico demone ragno - non aveva trovato nulla di strano; i valori erano nella norma e la donna godeva di ottima salute. Consigliò quindi massimo riposo e di tenere sotto controllo ogni significativo cambiamento nelle condizioni fisiche. Sesshomaru lo liquidò con un gesto veloce dell mano artigliata, mentre studiava dall'alto il volto assonnato di Rin.
 
Doveva sempre fallo preoccupare, quella zuccona, nonostante non fosse più la bambina di otto anni che aveva salvato da una fine immeritata. Erano passati due decenni, ma ancora Rin trovava ostinatamente nuovi metodi per fargli abbandonare il suo amato controllo. Quel volto fresco e limpido non sapeva quanto frustrante fosse per lui quella situazione e in aggiunta c'erano anche i suoi figli che lo tempestavano di domande, come se lui fosse una stupida miko! 
 
Mikomi alzò lo sguardo e lo puntò sul viso cereo della madre. «Padre, la mamma è tuttora molto giovane?», chiese di punto in bianco, non riuscendo a incrociare lo sguardo di Sesshomaru mentre pronunciava quelle parole.
 
Il Grande Generale dell'Ovest si ritrovò spiazzato e anche Koan drizzò le orecchie, rivolgendo alla sorella minore un'occhiata attenta. «Abbastanza», mormorò e la sua voce non tradì la sfumatura di insicurezza che si era insidiata in lui.
 
«E rimarrà con noi ancora per molto, vero?», sussurrò a testa bassa, nascondendo il volto dietro la frangetta dai lunghi capelli argentei. 
 
Sesshomaru non riuscì a rispondere e fu costretto a spostare lo sguardo verso l'unica via di fuga, la finestra aperta; improvvisamente quelle quattro mura erano diventate troppo soffocanti e anguste e sentiva l'impulso di doversi allontanare da quella stanza, dalla presenza di Rin e dei due bambini. Aveva bisogno di restare da solo, così in un battito di ciglia volò via, lasciandosi alle spalle le domande a cui non avrebbe saputo rispondere. 
 
Come Sesshomaru fu lontano dalla loro vista e dal loro udito, Koan sospirò pesantemente e scese dal letto. «È tutta colpa mia se la mamma è in queste condizioni», si rimproverò, stringendo i pugni. 
 
Mikomi scosse con fermezza la testa. «No, Koan, la colpa è di entrambi. Litighiamo troppo e spesso, forse la mamma è solamente stanca» asserì, concedendogli un piccolo sorriso.
 
Koan si morse il labbro inferiore. «Può darsi che tu abbia ragione, Mimi».
 
Gli occhi della bambina si accesero nel sentirsi chiamare con quel nomignolo che usava da piccolo e che da molto aveva accantonato. «Allora, tregua?», allungò la mano verso il fratello maggiore.
 
Koan guardò prima la mano e poi la faccia così seria per una bambina di otto anni da risultare buffa, quindi l'abbracciò sogghignando. «Tregua», confermò e cominciò a tempestare le sue guance con piccoli baci appiccicosi. Mikomi cercò di divincolarsi scalciando, urlando e ridendo e proprio in quel momento un sospiro particolarmente inquieto colpì le loro orecchie sensibili.
 
I due si voltarono di scatto verso la figura della madre, che con un sorriso sornione stampato sulle labbra stanche li osservava. «I miei bambini», commentò con le lacrime agli occhi e si ritrovò completamente riempita dall'effetto dei mezzodemoni. 
 
.:••:.
 
Koan correva nel bosco, così veloce che sembrava quasi non toccare nemmeno il terreno. Il vento gli scompigliava i capelli bianchi e gli accarezzava le orecchie a punta, mentre il sole alto nel cielo si abbatteva sulla sua figura. Si stava dirigendo al villaggio, dove sperava di poter stare un po' con i suoi cugini e soprattutto di parlare con la zia Kagome. 
 
Si fermò sul ramo di un albero, annusando l'aria con maggiore attenzione quando percepì un odore familiare; era quasi arrivato. Quando suo padre rincasava dai suoi lunghi quanto misteriosi viaggi, Koan preferiva non scendere al villaggio perché sapeva bene quanto potesse dare fastidio al Grande Demone Cane l'idea che il suo primogenito avesse a che fare con il fratellastro Inuyasha e tutta la sua combriccola. Eppure, per quella volta, il mezzodemone fece un'eccezione. 
 
All'improvviso però qualcosa vibrò dietro le sue orecchie ed ebbe fortunatamente la prontezza di scansarsi con un balzo, mentre una freccia si conficcava nel legno dove prima vi era la sua testa. Confuso, atterrò al suolo ed alzò il viso, incontrando subito due occhi verdi che lo fissavano senza una particolare espressione dalla chioma di un albero.
 
Koan ringhiò, sentendosi chiaramente minacciato. «Che cosa vuoi?», domandò bruscamente, con le labbra imbronciate. Quella situazione era un'inutile seccatura, avrebbe perso tantissimo tempo prezioso e non ci voleva proprio, suo padre avrebbe potuto notare la sua assenza in qualsiasi momento e allora sì che sarebbe stata la fine. 
 
La ragazza si esibì in un salto aggraziato, piantandosi a pochi metri di distanza dal mezzodemone. «Somigli molto a tutti loro», esclamò, osservando attentamente i lineamenti del ragazzo. 
 
Koan piegò la testa di lato, ricambiando il suo sguardo indagatore. «Tu assomigli a un gatto pulcioso, invece», replicò allora sfacciatamente, indicando con il mento le pelose orecchiette nere e bianche che si stagliavano tra i capelli color ebano. 
 
Non lo avesse mai detto! La ragazza sfoderò prontamente gli artigli e il suo sguardo felino si assottigliò. «Attento a quello che dici, cagnetto», lo minacciò con ferocia.
 
Koan rise, dandole le spalle mentre prendeva a camminare verso la direzione del villaggio con le mani incrociate dietro la testa. «Ci vediamo, micia, ho da fare. La prossima volta giocherò con te, promesso».
 
Mentre si allontanava, la voce acuta della ragazza raggiunse il suo udito fine. «Non chiamarmi così, non sono un gatto!», ma ormai Koan era troppo lontano per risponderle, quindi affrettò il passo giunto quasi alle porte del villaggio.
 
Arrivato davanti l'abitazione della sua famiglia, era con il pugno alzato pronto a bussare quando saltarono fuori le sue cuginette, Aki e Yuka, che lo accolsero con felicità. Koan si ritrovò sopraffatto da due palle di pelo che metaforicamente scondinsolavano dalla contentezza e si lasciò andare in una risata, mentre prendeva entrambe tra le sue braccia. Per un attimo si sentì un po' in colpa per non aver portato con sé la sua sorellina, dal momento che era molto legata alle cugine, eppure non poteva coinvolgere anche lei in quella spedizione. 
 
Varcò l'ingresso e fu avvolto da un familiare odore di ciliegio, tipico della zia. Appunto, la testa di Kagome, fasciata da un foulard a fantasia, spuntò da dietro una porta non appena sentì tutto quel chiasso. «Bambine, già vi siete stancate di aiutare la mamma?», domandò mesta, prima di accorgersi della presenza di suo nipote. «Koan, che bello vederti», affermò, correndo ad abbracciarlo in modo materno.
 
Koan arrossì imbarazzato e abbozzò un sorriso mentre ricambiava l'affetto, e sempre impacciato quando si trattava di situazioni del genere. «Lo zio?», volle sapere, lasciando scendere le due bambine dalle sue braccia che corsero immediatamente via per scappare dalla madre.
 
Kagome sospirò, grattandosi un guancia con l'indice della mano. «Penso che stia allenando Hideo, però dovrebbero essere qui a momenti», lo informò, per poi riprendere con le faccende domestiche. «Ma raccontami, piuttosto, come sta tua madre? È da un po' che non la vedo», disse tristemente. 
 
Koan spostò lo sguardo, osservando il ritratto di famiglia immortalato quando lui aveva appena dieci anni posto sopra il comodino. «È proprio di questo che vorrei parlarti», le confidò infine, mordendosi il labbro in un gesto nervoso.
 
Kagome mise di lato i vestiti che stava ripiegando e gli rivolse uno sguardo preoccupato. «È successo qualcosa?», mormorò. 
 
«Sono preoccupato per lei, ma anche per mio padre», ammise in un sussurro. «I suoi viaggi sono sempre più lunghi e la mamma è continuamente in apprensione, ma non è questo il punto. Come saprai bene, i demoni vivono per così tanti secoli da sembrare immortali mentre voi umani, beh, no» concluse, sperando di non sembrare offensivo. 
 
Kagome lo guardò con comprensione, raggiungendolo. «Koan, tua mamma è molto giovane. Non ci crederai, ma lo è anche più di me», disse, scherzando cercando di tirargli su il morale senza successo.
 
Koan annuì più volte. «Lo so, lo so, ma il tempo è comunque nostro nemico», mormorò. «Io penso che mio padre se ne sia reso conto ancora prima di me e che i suoi viaggi servano proprio a questo».
 
Kagome fece un piccolo sorriso. «Sesshomaru è sempre un passo avanti a tutti noi», affermò con ammirazione. 
 
Koan scacciò con un gesto scocciato della mano le parole della miko. «Per una volta vorrei non dovermi trovare a inseguirlo, mi piacerebbe camminare accanto a lui e, perché no?, magari superarlo anche».
 
Kagome gli diede delle pacche di incoraggiamento, sorridendo malinconica. «Anche Inuyasha mi ripeteva queste parole», commentò con nostalgia pensando alla gioventù. 
 
Koan gonfiò il petto e sul suo viso si delineò una smorfia arrogante. «Ma io sono più forte e decisamente più bello dello zio», dichiarò, facendo ridacchiare la miko. «Zia, tu non sai come potrei fare ad allungare il tempo della mamma?», eccolo lì, il nocciolo della questione. 
 
Kagome scosse la testa. «Io no, ma più tardi dopo pranzo possiamo dare un'occhiata ai libri di Kaede e vedere se c'è qualcosa», suggerì. Koan sorrise felice e la ringraziò di cuore, forse c'era una piccola speranza di poter migliorare le cose. «Mangi qua, giusto?»
 
Koan era tentato di rifiutare perché sapeva che la zia non era poi così brava a cucinare, ma non poteva tornare a casa dal momento che non era sicuro che avrebbe trovato un modo di sgattaiolare di nuovo via. E se si fossero accorti della sua assenza, pazienza, ormai era andato troppo oltre per farsi indietro. Le disse che sarebbe andato a cercare Inuyasha e Hideo, così magari si sarebbe allenato un po' con loro.
 
Così attraversò il villaggio con questa intenzione, ma quando si ritrovò ai piedi di una pianura tappezzata da così tanti fiori da sembrare un unico telo infinito. Si sentiva quasi in colpa, ma non poteva non distendersi e riposare per cinque minuti. Chiuse gli occhi, il viso rilassato mentre godeva dei raggi caldi del sole di mezzogiorno. 
 
O almeno ci provava, visto e considerato che qualche istante dopo un'ombra era calata sopra di lui e si sentiva stranamente osservato. Aprì un occhio e si ritrovò lo stesso sguardo felino di qualche ora prima a pochi centimetri dal volto. Si sentì inspiegabilmente in soggezione e lo sguardo gli cadde sulle labbra rosee e piene della ragazza.
 
Si riscosse quando sul volto di quella invadente si allargò un sorriso beffardo. «Di nuovo tu, micia?», chiese quindi scocciato, poggiando le mani sulle sue spalle per allontanarla mentre si metteva a sedere.
 
L'altra si guardò le unghie affilate. «Sbaglio o ti ho già detto di non chiamarmi così?», fece fintamente annoiata.
 
Koan alzò le spalle. «Non so il tuo nome, in che altro modo dovrei chiamarti?», esclamò esasperato e sbirciò con la coda dell'occhio la sua reazione. 
 
«Io sono Mizuki», spiegò allora lei velocemente. «Sei imparentato con Inuyasha, vero?», chiese con fin troppo interesse. 
 
Koan sollevò un sopracciglio e si fece guardingo. «E a te che importa?», cominciava a perdere la pazienza, quella ragazza era una sconosciuta, non poteva rivelarle così a cuor leggero la sua identità. 
 
Mizuki mise le mani davanti, come a difendersi. «A cuccia, cagnetto. Era solo una domanda».
 
Koan si mise in piedi. «Senti, non ti conosco nemmeno, perché dovrei risponderti?», incrociò le braccia al petto. 
 
La ragazza ruotò gli occhi e lo imitò nella postura. «Perché io conosco te», affermò semplicemente. 
 
La mascella del mezzodemone per poco non cadde a terra; si mise in posizione di attacco, quella situazione cominciava a non piacergli. «Chi sei tu in realtà? E guarda che voglio la verità» la avvisò puntandole un dito contro, quasi ringhiando. 
 
Mizuki avvolse con la mano il dito di Koan e fece un passo avanti. «Io sono Mizuki e vengo da terre molto lontane, così tanto che non sapresti nemmeno il loro nome se te lo dicessi. Sono un mezzodemone giaguaro», disse solennemente, sfidandolo con gli occhi.
 
Koan si lasciò andare in un sorriso sgembo, pur non perdendo la prudenza. «Allora avevo ragione, sei un gatto pulcioso», la punzecchiò, non riuscendo a trattenersi.
 
Mizuki perse la calma e gli saltò addosso, facendogli perdere l'equilibrio; si ritrovarono a rotolare lungo la pianura, schiacciando con il loro peso i fiori, finché Koan non fece forza e piantò le spalle della ragazza contro il terreno. Si fissarono per interminabili secondi, oro contro smeraldo, quando il ragazzo si chinò all'altezza del suo orecchio e le ringhiò contro. «Mi piace giocare con te, micia».
 
La mezzodemone, infastidita oltre ogni limite, stava per rispondergli piuttosto malamente, tuttavia una terza voce si mise in mezzo, richiamando il ragazzo che la guardava con occhi ridenti di vittoria.
 
«Koan! Che ci fai qui?»
 
Il mezzodemone finalmente si alzò, dandole modo di riprendere a respirare, e lo vide salutare due figure dai suoi stessi tratti genetici: Inuyasha e Hideo. Quando si mise in piedi e quei due si accorsero di lei, la sorpresa fu immediata. 
 
«Mizuki, hai già conosciuto Koan vedo», esclamò Inuyasha con uno sguardo di chi la sapeva lunga.
 
Dal suo canto, la ragazza era riuscita a dare un nome al volto del mezzodemone che aveva appena incontrato e fu subito sicura che non lo avrebbe dimenticato mai.
 
«Avanti, torniamo a casa. Kagome avrà preparato i suoi deliziosi manicaretti», suggerì contento Inuyasha, mentre sui volti dei tre ragazzi si delineavano espressioni sconcertante. 
 
Koan si girò verso la ragazza con un sopracciglio inarcato come vide che anche lei si stava incamminando con loro. «Tu vieni pure con noi?», domandò stranito. 
 
Hideo, sentendo quelle parole, avvolse un braccio attorno alle spalle della mezzodemone sorridendo. «Mizuki fa parte della famiglia ormai».
 
Koan era sempre più confuso, per cui intervenne in suo aiuto Mizuki che si limitò a dire: «È una lunga storia».
 
 
 
~ Fine Seconda Parte
 
  
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