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Autore: Lo Otta    01/10/2017    0 recensioni
Lasciare la propria casa è difficile, e salutare famigliari e amici ancora di più. E se nella tua nuova città vieni pestato e derubato, costretto in una tenzone amorosa e turbato dai tuoi sentimenti puoi stare bello fresco.
Partecipante al contest “End of the Line” indetto da Found Serendipity
Partecipante alla challenge "Mal d'amore challenge!" indetta da AcquaSaponePaperella
Partecipante al contest "Festa + Alcol = guai" indetto da Hermit_
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CRUCCI D’AMORE
Chi troppo vuole, poco ciapa


Caldo. Quando mi risvegliai faceva caldo per la stagione in cui eravamo. L’inverno non era ancora andato via, continuando a mandare i suoi ultimi aliti di vento dal nord. Ma io, ancora con gli occhi chiusi e la bocca impastata, mi trovavo in un bozzolo ben riscaldato, dove la coperta di lana mi pizzicava la pelle nuda, e dall’altro lato sentivo il contatto con altra pelle.
  Aprii gli occhi, e nella semi-cecità distinsi una chiazza dorata nella distesa arancione della coperta, che piano piano si concretizzò in lunghi capelli biondi, attaccati alla testa di Cloe!
  Balzai in piedi, e mi ritrovai a petto nudo in mezzo alla sala, con i miei ed i suoi vestiti gettati per terra. La sua camicetta, la mia giacca,la sua gonna, la mia camicia, il suo reggiseno… Il suo reggiseno! Questo voleva dire che Cloe, in quel momento coricata sul divano coperta da quel pezzo di lana colorata aveva le sue due libere. E mi sembrava anche di scorgere sotto un cuscino le sue mutande. Cosa avevamo fatto, accidenti? Non mi ricordavo niente. Perché non mi ricordavo niente? Se dovevo proprio rovinarmi così volevo almeno dei ricordi da tenere.
  Dovevo fare in fretta. Il sole stava appena filtrando dalle finestre, magari lo zio Bob e sua moglie non erano ancora scesi.
  Svegliai la bella addormentata dal suo letargo. Lei si alzò intontita, stiracchiandosi gli occhi. Le strinsi bene addosso la coperta, le mollai i suoi vestiti e poi la mandai in camera sua. Dovevo solo sperare che non ricadesse addormentata nel tragitto. Dopo poteva anche venire rapita da una trota aliena per quanto mi importasse in quel momento. Volevo solo che tutto ciò sparisse senza lasciare nessuna traccia. Presi i miei vestiti, mi misi la camicia abbottonandola alla bella e meglio e buttai tutto il resto nella cesta dei capi da lavare. Uscendo dal bagno del primo piano tirai un sospiro di sollievo, e mi buttai sul divano ancora tutto disfatto dopo il nostro uso improprio.
  -Siete svegli, finalmente.- lo zio Bobbie uscì dalla cucina con una tazza fumante in mano. Aveva visto qualcosa, dunque?
  -Non è come pensi, zio, posso spiegare.
  -Cosa c’è da spiegare? Siete tornati tardi l’altra notte, e ormai distrutti dal sonno vi siete gettati a dormire sul divano. Sai quante volte io e la mia Flossie lo abbiamo fatto.- la sua ricostruzione aveva senso. Potevamo anche esserci solamente addormentati.
  Alzai il tono dei miei pensieri senza accorgermene, sussurrando appena -Quindi lo zio non ha visto l’intimo di Cloe per terra?
  -Cosa?- domandò lui tra il confuso e il non aver udito. Notai che avevo espresso i miei ultimi dubbi, così cercai di negare tutto agitando le mani e dicendo “No, no, niente!”, per poi gettarmi come una scheggia nella cucina.
  Benché arrivato da più di un giorno, non ero ancora entrato in questa stanza che era il fulcro di tutta la casa. Le pareti erano ricoperte di mattonelle di ceramica decorate di fiori dai mille colori, e le pareti lasciate libere mostravano una faccia di delicato giallo, come il chiaro di un uovo. Decine di mensole e scaffali si ergevano sui bordi della stanza, a muro difensivo, mentre il tavolo centrale ricoperto di impasti e ciotole e sacchetti era il cortile gremito di cortigiani. Il forno solitario si ergeva solido, compiendo il suo lavoro come una fucina instancabile. Tutti questi possedimenti facevano parte del regno culinario della zia Flossie.
  Lei stava dando gli ultimi ordini ad un plotone di granelli di zucchero ed un reparto speciale di uova, pronti a sacrificarsi in una battaglia suicida in un cratere di farina contro orde di acqua e lievito. Quando finì lo scontro, la zia uscì come unica vincitrice dal nuvolone sollevatosi.
  -La colazione sarà pronta tra qualche minuto. Tu intanto puoi andare a chiamare la mia piccola Cloe?- mentre parlava si passava una mano sulla fronte lasciandosi segni di farina.
  -Ma veramente…- non potevo ripresentarmi di nuovo da Cloe senza neanche avere la certezza di quello che avevo fatto. Avevo semplicemente dormito?
  -Mentre vai a svegliare quella pelandrona, la torta la preferisci con le gocce di cioccolato o con la panna?- sorda alle mie rimostranze, girava di mensola in mensola prendendo gli ingredienti, per poi porre davanti a me i due gusti tra cui scegliere.
  Porsi la mano verso il barattolo con le gocce e pronunciai solo con un fiato -Cioccolata.
  -Proprio come tuo zio.- mi lasciò uno dei suoi sorrisi e si mise a lavorare di gran lena tornando sul campo di battaglia, sganciando a grappoli le gocce sull’impasto.
  Rimasi lì, ancora insicuro riguardo all’andare in quella stanza. Flossie si girò verso di me, e con le sue mani imbiancate mi abbottono bene i primi bottoni della camicia -Non bisogna certo presentarsi nella camera di una signorina vestiti male. Ora vai, su su.- con un mestolo mi indirizzò verso le scale, esortandomi ad andare.
  Io salì le scale come fosse un supplizio, contando i gradini uno per uno. 21. Un bel numero. Il prodotto di 7x3, due altri numeri che mi piacevano. Non erano mica come il 2, che se la tirava solo perché era la base di ogni numero pari. Doveva imparare un po’ dall’1. Lui viveva la sua vita tranquillo, alla base di ogni numero intero, ma non per questo si dava arie di superiorità. Anzi, avrebbe dovuto farsi notare di più, perché timido com’era non lo avevano neanche accettato nel gruppo dei numeri primi, lui che era il Primo dei primi. E quando gli si chiedeva se ci era rimasto male perché non veniva invitato, lui diceva di no, ma si sapeva che sotto sotto era il suo desiderio far parte di quel gruppo.
  Preso da queste elucubrazioni sulla timidezza dell’1, forse dovuta ad anni di prese in giro a causa della sua incapacità a moltiplicare qualsiasi numero dando prodotto diverso dal numero iniziale, raggiunsi la stanza senza accorgermene, e mi risvegliai completamente dopo che avevo già bussato una volta. Mi svegliai perché mi accorsi che al mio bussare non c’era risposta. Bussai di nuovo, e la terza volta entrai.
  La stanza era calata nel buio più totale, e aprendo la porta feci entrare una lama di luce che trafisse l’oscurità fino al letto di Cloe, dove uno strano bozzolo arancione si dibatteva, come ferito dalla luce.
  Mi presi un cuscino in faccia, lanciato da una mano che usciva da sotto quell’accatastamento di roba. Fu la conferma che lì dentro c’era Cloe e non qualche opossum che aveva nidificato dentro un orsacchiottone di un metro e mezzo.
  Chiusi la porta e accesi la luce nella stanza, dando il colpo di grazia alla bestia nel nido. Da sotto la coperta fece capolino il volto imbronciato di Cloe, che chiaramente non sapeva l’avessi appena salvato da un infestazione di didelfidi particolarmente invasivi. Ma io magnanimo non glielo feci notare, e l’informai solo della chiamata a tavola della direttrice generale universale della casa.
  Lei si alzò stirandosi braccia e gambe, lasciando scivolare la coperta. Fortunatamente mi ricordai in tempo del vestiario (nullo) che aveva sotto quella lana, bloccandola in tempo. Insistendo per farla vestire, riuscì a strapparle la condizione che indossasse una maglietta lunga, ma non riuscendo a farle mollare quella coperta.
  Così fummo pronti per andare a colazione.

  La colazione andò meglio di come mi aspettassi, non finendo mai sulla questione della nostra branda momentanea. Conclusa il primo pasto della giornata, fatto di latte, tè, o caffè, e accompagnato da dolci appena sfornati, andai in camera mia per cambiarmi dagli abiti della sera prima e svegliarmi completamente. Misi in carica il cellulare, ormai defunto, e mi diressi in bagno per farmi una doccia chiarificatrice.
  Quando tornai bello pulito accesi il telefono e mi ritrovai inondato di chiamate da un numero. Dannate agenzie telefoniche. Ma anche la mia fidanzata mi aveva scritto e provato a chiamare molte volte. Solo allora mi ricordai. Ci eravamo promessi che ci saremmo sentiti ogni giorno, di pomeriggio, di mattina e di sera, ma io era da quando ero arrivato che non l’avevo ancora chiamata. La rapina e l’uscita serale me lo avevano fatto passare completamente di testa.
  Schiacciai il tasto richiama, allontanando il telefono dall’orecchio prospettando un urlo belluino, ma la sua voce non era più alta di quella che teneva normalmente in una chiamata, simile a quella di un esserino di marsmallow ripieno di zucchero e dolcezza. Era molto brava a recitare.
  -Sandra?- azzardai, avvicinando l’apparecchio al timpano. Potevo anche aver sbagliato numero, o magari lei era stata ipnotizzata, oppure un suo clone privo di emozioni e memoria l’aveva rimpiazzata.
  -Charl, tesoro, finalmente ti sento di nuovo. Ti ho provato a chiamare e a chiamare, ma non risultavi raggiungibile.- l’ipotesi uno era saltata, ma restavano le altre due. Perché altrimenti non mi era ancora saltata al collo (per strozzarlo, ovviamente)?
  -Si, scusa cara, e che tra un problema e l’altro la batteria mi è crollata prima che riuscissi a contattarti.
  -Io lo sapevo che avevi qualche spiegazione, non poteva essere come diceva mio padre che mi avevi già abbandonata, e che ti trovavi già a dormire con un’altra ragazza. Aha, aha, ahahaa.- era proprio lei. Quella risata mi suonava abbastanza folle, come se avesse veramente creduto a quelle storie. Come me.
  -Tesoro, lo sai che io ti amo e non farei mai una cosa simile.- dicendo così vidi la mia coscienza interna guardarmi storto. Ma quando la invitai a prendere la cornetta e dire tutta la verità a Sandra si volatilizzò con la coda tra le gambe.
  -Quello che dici mi rincuora molto. Lo sai che non potrei vivere senza di te.- in quel frattanto passò dalla mia porta Cloe pienamente sveglia che, curiosa come la donna, che è curiosa di natura, entrò interessata alla mia telefonata.
  Cominciò un acceso dialogo muto tra me e lei, in cui si comunicava solamente a gesti. “Con chi parli?” “Affari miei” “Voglio saperlo” “ No vattene” “Ti prego dimmelo” “No te l’ho già detto”.
  Intanto Sandra dall’altro capo del telefono, forse attirata dal mio silenzio o dal rumore dei gesti, chiese -Amore, tutto bene?
  Prima che riuscissi a rispondere, Cloe mi prese di mano il telefono -Ciao chi sei?
  -Io sono Sandra, la fidanzata di Charl.- cercavo di riprendermi il telefono, ma Cloe riusciva a bloccarmi con un’incredibile forza per una ragazza delle sue dimensioni.
  -Sei la sua ragazza? Fantastico. È bellissimo dormire con lui, è caldissimo e poi il contatto con la sua pelle nuda fa un tale effetto.
  Io urlai con tutta la mia forza -Cloe cosa cavolo dici?- dal telefono sentii, anche se non posso giurarlo, un rumore come di piatti che si infrangono. Spero non fosse il servizio buono della nonna, quello mi piaceva molto.
  Mi gettai su Cloe e riuscì a strapparle di mano il telefono, finendo entrambi coricati per terra, uno sopra l’altro. Ma la posizione non aveva importanza, era semplicemente una telefonata. -Cara ascolta è tutto un equivoco, posso spiegare.
  -Da sotto di me Cloe commentò -Capisco che indosso solo un asciugamano, ma non è una scusa valida per mettermi le mani addosso.- io non abbassai neanche lo sguardo, strinsi la mano su cui mi appoggiavo ed il terreno si era fatto improvvisamente più morbido. Provai a giustificarmi ancora con Sandra ma la chiamata era terminata.
  Con tutto me stesso urlai al cielo -Perché sono finito in uno stupido fumetto adolescenziale asiatico!

  Provai a richiamarla e a scrivere più volte quella serata, ma senza risposta. Magari le era successo come a me, che era uscita con un ragazzo che le piaceva e le si era scaricato il cellulare e poi era finita a dormire quasi nuda con lui. No, non le era successo questo. Non volevo non volevo non volevo. Continuai a provare a contattarla fino ad ora. Ormai esausto, finisco di dettare l’ultima parte e poi vado a dormire, con le notifiche a massimo volume su tutti i suoi numeri e i gruppi-chat che ho con lei: “Scusa”, “Perdonami”, “Perdonami perdonami”, “Perdonami x2”, “Mi inginocchio sulla ghiaia per te”.”
  Charl lasciò il registratore sul tavolo, finendo di dettare le sue ultime vicende della giornata. Entrò nella stanza senza bussare Cloe, ma oramai quella sua abitudine era diventata normalità anche per l’ultimo arrivato.
  -Cosa stai facendo?
  -Sto facendo il riepilogo della mia giornata, registrando tutto.
  -Stai tenendo un diario, quindi?
  -No, un diario è una cosa da ragazzini timidi e brufolosi. Io sto facendo un riepilogo, è ben diverso.
  -Allora posso riepilogare qualcosa anche io?- senza aspettare risposta Cloe prese il registratore dalle mani del suo cuginone e premette il tasto “registra” -Charl è un ragazzone fantastico ed è molto simpatico.
  Lui sorrise a quei complimenti, oramai dimentico di lei come causa dei suoi turbamenti, e lei gli sorrise di risposta, gentile e dolce.



Angolo dell'Autore:
  Ho finito questo capitolo (come gli altri) di fretta, quindi è possibile la presenza di errori. Segnalatemeli per favore.
  Finalmente si è risolto il mistero del dialogo in prima persona. Era chiaramente una scelta stilistica evidenziata dalla presenza iniziale degli apostrofi a inizio cap. 5. Non si tratta di una pezza messa grossolanamente per aggiustare un incoerenza di forma tra i primi capitoli. Ditemi quindi se preferite uno stile all'altro, per dirmi quale continuare (tanto ormai ho già cambiato 30 volte, cambiamo 31).
  Sono di fretta quindi finisco qui.
Chiudo,
~Lo Otta

  
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