Le
gioie violente hanno violenta fine e muoiono nel loro trionfo, come il
fuoco e
la polvere da sparo che si distruggono al primo bacio.
-
William Shakespeare
Renford
Lestrange & Minerva McGranitt
1945
Non
avrebbe dovuto essere lì.
In
qualsiasi altro posto, ma non lì.
Era
sciocco.
Troppo
avventato, troppo pericoloso.
Se
suo padre avesse saputo dove si trovava l’avrebbe punito.
Non
direttamente, perché nulla valeva più del veder
proseguire
la stirpe dei Lestrange ma avrebbe fatto in modo di fargli rimpiangere
con ogni
fibra del suo essere quella decisione.
Avrebbe
ferito lei se non poteva toccare lui.
E
quello non l’avrebbe potuto sopportare.
Meglio
sentirsi distrutto, a pezzi dall’interno, piuttosto che
vederla morire per colpa sua.
Eppure
quando si era Smaterializzato si era ritrovato lì senza
nemmeno fare mente locale su dove fosse diretto.
Il
suo cuore sapeva dove voleva essere, ma la sua testa aveva
preso un’altra decisione.
La
decisione migliore, la più saggia, quella che avrebbe
permesso a entrambi di continuare a vivere.
E
forse lei l’avrebbe dimenticato, sarebbe andata avanti,
prima o poi.
Quanto
a lui sapeva che pensare una cosa del genere era da
sciocchi; non ci sarebbe mai stata un’altra Minerva.
La
vide seduta sul dondolo accanto a una sua amica.
Una
Babbana del villaggio rurale in cui vivevano i suoi
genitori, non certo una minaccia. Non avrebbe mai potuto riconoscerlo.
Per
lei sarebbe stato solo un bel ragazzo elegantemente
vestito che conosceva Minerva.
Aveva
un disperato bisogno di convincersi che fosse così.
Che
fossero al sicuro lì, lontano da occhi appartenenti al
mondo magico.
Uscì
dal piccolo bosco poco lontano, percorrendo il viottolo a
passo deciso prima che il coraggio venisse meno.
Salì
i pochi gradini che lo separavano dal patio della casa,
vagamente consapevole che le due ragazze avevano smesso di parlare e
che Minerva
lo fissava incredula quasi si fosse trovata davanti un fantasma.
-
Renford? –
Alzò
il capo, incontrando le iridi verdi della ragazza.
-
Ciao, Minnie. –
Minerva congedò
in
fretta l’amica, che li osservava con curiosità ma
sembrava aver capito che ci
fosse qualcosa in sospeso e aveva deciso di non fare domande e
limitarsi a
promettere che sarebbe tornata a trovarla la mattina seguente.
E
li aveva lasciati soli, in un silenzio carico d’imbarazzo.
-
Vuoi entrare? – gli chiese, rompendo il silenzio.
-
I tuoi genitori non ci sono? –
Era
abbastanza sicuro che il padre gli avrebbe tirato un pugno
dritto in faccia per aver lasciato sua figlia e non poteva certo
biasimarlo.
-
No, sono andati a pranzo da alcuni amici e non torneranno
prima che tramonti. –
-
D’accordo allora. –
La
seguì all’interno della casa, accomodandosi sul
divano
davanti a un aggeggio Babbano che come le aveva spiegato in Francia
serviva a
proiettare i film.
-
Vuoi del thè? –
-
Volentieri, grazie. –
Buon
Salazar, erano tutte e due così maledettamente cordiali
da risultare irreali.
-
Perché sei qui, Ren? Eri stato chiaro … hai detto
che non
avremmo più dovuto vederci così – disse
d’un tratto Minerva, rompendo quel
silenzio carico d’imbarazzo.
-
So quello che ho detto, ma da qui a volerlo assecondare ce
ne passa -, ammise, - mi sono accorto di essere davanti a casa tua solo
dopo
alcuni secondi che mi ero Smaterializzato. Sono mesi che non faccio che
pensare
a te … a noi. –
La
ragazza annuì, tenendo stretta tra le dita la tazza
bollente.
-
Anche io – rispose con un sussurro.
Il
suo cuore saltò un battito nel sentire quelle parole.
Era
bello sentirla pensare e provare le sue stesse cose.
Le
prese la mano, togliendole gentilmente la tazzina e
adagiandola sul tavolino del salotto.
-
Non smetterò mai di amarti. –
-
Ren … -
Gli
si avvicinò, ma la fermò prima che le sue labbra
morbide
lo baciassero.
-
Le cose non sono cambiate, non posso darti quello che
entrambi vorremmo. –
-
Non m’importa, non adesso – rispose, riprendendo
l’iniziativa
e baciandolo.
Sentirla
nuovamente contro di sé, su di sé, era quasi
insostenibile.
Vide
la camicia azzurra stropicciarsi mentre i bottoni
lasciavano le asole e ben presto raggiunse il pavimento in compagnia
del
sottile copri spalle e dell’abito verde pallido di lei.
C’era
urgenza, una fame l’una dell’altro che li stava
letteralmente divorando.
E
sapeva che entrambi avrebbero serbato quell’ultima volta
come il ricordo più caro della loro intera esistenza.
1957
Prese
un respiro profondo prima di bussare alla porta dello
studio di Silente.
Non
riusciva ancora a credere che il posto per la cattedra di
Trasfigurazione
fosse suo.
Fece
battere le nocche contro il legno solido, attendendo che
Silente le desse il permesso d’entrare.
Era
già stata lì alcune volte durante i suoi anni a
Hogwarts,
quando il preside era ancora Dippett e le cose sembravano
più semplici, meno
importanti per certi versi.
-
Ah, Minerva, prego accomodati. –
-
Albus – salutò, prendendo posto sulla sedia di
fronte alla
scrivania.
-
Puntuale come sempre, immagino che certe vecchie abitudini
non cambino mai. –
Sentì
le labbra stirarsi in un sorriso.
-
Credo proprio di no. –
-
Ti ho fatta chiamare per assicurarmi che tu avessi a
disposizione tutto ciò che ti occorre per la permanenza al
castello. –
Annuì,
composta. – Naturalmente, è tutto perfetto.
–
-
E perché ammetto di aver voluto scambiare quattro
chiacchiere con la mia ex studentessa preferita prima che iniziasse lo
Smistamento – aggiunse poi, sorridendo con un pizzico di
furbizia per la quale
le ci volle tutto il suo autocontrollo per non scoppiare a ridere.
-
Immagino tu abbia saputo che tre anni fa Tom Riddle si è
presentato a chiedere la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure.
–
-
L’ho sentito dire. –
-
Ebbene, sei una donna intelligente, quindi comprenderei
perché
non ho accettato la sua candidatura. –
-
I Mangiamorte – mormorò.
Ricordava
il tatuaggio impresso sull’avambraccio di Katherine
l’ultimo giorno di scuola così come il fatto che
il medesimo marchio fosse
impresso sulla pelle alabastrina di Renford l’ultima volta
che avevano parlato.
-
Immaginavo che tu fossi informata in merito vista l’aderenza
a questo gruppo da parte del signor Lestrange. –
-
Io e Renford non ci parliamo da dodici anni, Albus – lo
anticipò.
-
Naturalmente, ma posso confidare sul fatto che se avessi
modo di avere informazioni in merito me le riferiresti? –
Annuì
all’istante.
I
Mangiamorte erano pericolosi e Tom Riddle un folle.
Andavano
fermati.
-
Certo. –
-
In questo caso non ti rubo ulteriore tempo, Minerva. –
Si
scambiarono un ultimo sorriso prima che lei si alzasse e
uscisse dall’ufficio.
La
vita a Hogwarts era infinitamente più semplice ai tempi
della scuola, poco ma sicuro.
1962
Erano
diciotto anni che aspettava quel momento, consapevole
che prima o poi sarebbe arrivato, eppure la cosa non contribuiva certo
a
renderla più serena o controllata.
Mentre
attendeva gli studenti che quell’anno avrebbero
cominciato il primo anno non poteva fare a meno di domandarsi come
sarebbe
stato, se l’avrebbe riconosciuto o meno.
Quando
lo vide avanzare a testa alta, al fianco di un paio di
ragazzi che pendevano letteralmente dalle sue labbra, seppe che era lui.
Le
stesse iridi color cobalto, le scomposte ciocche di appena
un tono più chiare rispetto a quelle di suo padre.
Rodolphus
Lestrange, il primogenito di Renford.
Il
ragazzo parve accorgersi del suo sguardo perché
aggrottò la
fronte, perplesso, prima di andarle incontro.
-
Lei è la professoressa di Trasfigurazione, madame
… oppure
mademoiselle? –
Un
piccolo e distinto gentiluomo.
-
Sono la professoressa McGranitt e insegno Trasfigurazione –
confermò, colta di sorpresa.
Apparentemente
compiaciuto dall’essere riuscito a individuarla
correttamente, Rodolphus le rivolse un lieve accenno di sorriso.
-
Mio padre mi ha detto che eravate compagni di scuola e che
lei era fenomenale nelle arti trasfigurative. Anche io sono piuttosto
bravo … o
almeno così mi viene detto –, le porse la mano, -
Rodolphus Lestrange, lieto di
fare la sua conoscenza, professoressa. –
Accettò
la stretta, riuscendo a ricomporsi quanto bastava per
annunciare l’inizio dello Smistamento.
Lo
vide sistemarsi in fila tradendo appena un pizzico d’ansia.
Proseguì
l’elenco con ordine, giungendo infine alla lettera L.
-
Lestrange Rodolphus. –
Lo
vide avvicinarsi al Cappello a passo deciso, sedendo sullo
sgabello mantenendo la schiena dritta e tesa.
Un
piccolo, giovane, perfetto e rispettoso rampollo
Purosangue.
-
Serpeverde! –
Una
versione più giovane di Renford.
Si
chiese distrattamente quanto fosse effettivamente bravo in
Trasfigurazione dal momento che né Renford né
Katherine erano mai stati
particolarmente versati in quella particolare branca della magia e da
chi
avesse imparato.
Supponeva
che l’avrebbe scoperto a lezione l’indomani.
1978
-
Dimmi che non sei coinvolta anche tu in questa stupidaggine
dell’Ordine della Fenice. –
Alzò
lo sguardo dal giornale che stava leggendo mentre faceva
colazione.
-
Buongiorno anche a te, Renford – lo rimbeccò
ironicamente,
facendo finta che non ci fosse assolutamente nulla di strano nel
ritrovarselo
sul patio del suo cottage poco fuori da Hogsmeade alle sette e mezza di
mattina
mentre lei indossava una leggera sottoveste e mangiava yogurth e
cereali.
-
Non provarci nemmeno per un istante, Minerva. È una
questione seria, non provare a liquidarmi facendo finta di non sapere
di cosa
sto parlando. –
-
Sono una semplice professoressa di Hogwarts. Tendi a essere
molto paranoico di prima mattina, non lo ricordavo. –
Renford
storse il naso, accomodandosi sulla sedia davanti a
lei senza minimamente preoccuparsi di chiederle il permesso.
Era
certo che non l’avrebbe cacciato via su due piedi.
Arrogante,
ma decisamente da lui.
E
tremendamente vero.
-
Silente ha sempre avuto un debole per te fin dai tempi della
scuola perciò si è sicuramente confidato con te
… forse ti ha persino chiesto
di fare qualcosa per l’Ordine. Quello che voglio chiederti
io, invece, è di non
farlo -, le prese una mano, - lascia perdere tutto quello che ti ha
detto
Silente. Non vincerete, Minerva. Lui … Lui non
permetterà che dell’Ordine
rimanga neppure il minimo ricordo. –
-
Con lui intendi Tom? Così, tanto per amore di chiarezza
– lo
rimbeccò, palesemente ironica.
-
Lo sai chi intendo. –
-
Una volta non eri il tipo da fare il gregario, preferivi
guidare. –
-
Una volta esporsi non era così pericoloso. L’unico
rischio
che accetto di correre è questo, qui e ora: avvisarti di
tirartene fuori prima
che sia troppo tardi. –
-
Temo di non potertelo promettere, Ren. –
Con
un sospiro rassegnato, l’ex Serpeverde alzò gli
occhi al
cielo.
-
Ti conosco bene e sapevo che avresti risposto così.
Promettimi almeno che starai maledettamente attenta, Minnie. –
-
Eppure sei qui. –
La
fissò dritta negli occhi. – Ho fatto una promessa
quel
pomeriggio di trentadue anni fa: ti avrei protetto e non avrei mai
permesso che
nulla di male ti capitasse. Intendo onorare quella promessa. –
Dopodichè
si alzò dalla sedia, le rivolse un cenno del capo e
scese i gradini del patio per poi Smaterializzarsi.
1981
Il
processo a Bellatrix, Rodolphus, Rabastan e Barty Crouch jr
si era appena concluso con la condanna ad Azkaban.
Nelle
orecchie Minerva sentiva ancora le grida del più giovane
del gruppo, Barty dai capelli biondo paglia e i grandi occhi azzurri
sgranati
mentre implorava la clemenza del padre, anche se era ormai fuori dal
Ministero.
Intravide
Renford e Katherine uscire in compagnia di Abraxas,
Alexandra e Lucius che era stato appena assolto.
Alexandra
aveva incrociato il suo sguardo durante l’udienza,
imbarazzata forse per ciò di cui era accusato il figlio
oppure per il fatto che
lei e suo marito si fossero schierati sull’altro fronte della
guerra.
Mossa
non sapeva bene da quale istinto si avvicinò ai coniugi
Lestrange.
Katherine,
ancora bella nonostante fosse ormai prossima ai
cinquantacinque anni, le rivolse un lieve cenno del capo e
lasciò il braccio
del marito per allungare il passo e raggiungere Abraxas e Alexandra.
Rivederlo
dopo quei mesi passati a chiedersi dove fosse, come
stesse, cosa pensasse, le faceva un effetto strano.
-
Dovrei dirti che mi dispiace per la sentenza. –
-
Dovresti -, convenne Renford, - ma sappiamo entrambi che
sarebbe una bugia e che tu non menti. –
-
Toglimi una curiosità … è un dubbio
che mi tormenta da un po’.
Se qualcuno ti avesse detto che le cose sarebbero finite
così cosa avresti
fatto? –
Una
domanda semplice.
Una
risposta diretta.
Forse
persino masochista.
-
Facile. Avrei rifatto tutto quanto, ma assaporando con più
calma ogni istante. –
Trattenne
un sorriso mentre lui le strizzava l’occhio e
tornava a raggiungere la moglie.
Sempre
il solito vecchio Renford.
Spazio
autrice:
Salve
di
nuovo!
Ammetto
di essermi un tantinello fatta prendere la mano con questa OS e di aver
scritto
più di quanto avevo inizialmente ipotizzato, ma adoro questi
due e una volta
che ho cominciato a scrivere non ho saputo fermarmi.
Spero
che
l’OS non sia troppo sdolcinata, malinconica o strappalacrime.
Ci
sentiamo presto con Hogwarts 1973 e le altre storie.
Stay
tuned.
XO
XO,
Mary