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Autore: ___Page    03/10/2017    1 recensioni
Dopo un anno e mezzo di relazione ho ancora paura. Paura di questi suoi momenti, paura dei suoi silenzi.
Paura di non essere poi così speciale e che presto o tardi lo vedrà anche lui.
*
«Stai per sospirare di nuovo vero?!»
*
Mi alzo in piedi, diretto verso la porta di casa.
Ho bisogno di aria, ho bisogno di non sentire gli occhi di Koala che lo so, mi stanno trapassando la schiena.
*
«Aspetta.» lo fermo con un filo di voce. «Aspetta non serve. Vado via io.»
_________________________________________
Scritta a quattro mani. OOC just in case.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Eustass Kidd, Koala, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ma buonsalve a tutti! 
Dunque, dunque, due parole veloci prima che vi mettiate a leggere. Come scritto nell'intro la seguente storia è scritta a quattro mani, in formato role, con Jules Kennedy (<-- per leggere le altre sue storie cliccate qui). La parte di Koala è rollata da me ed è scritta con il form tondo, quella di Law è rollata da lei e scritta in corsivo. 

Tesoro, grazie ancora per questa bella collaborazione. Spero sia solo la prima. E ovviamente non solo per questo. 

E grazie anche a tutti voi che avete aperto la storia e avete intenzione di darle una possibilità. 
Un bacione a tutti. 
Hope you'll enjoy it. 
Page e Jules. 





 
SAY IT LIKE A PRAYER


 
"Need to find a place
Guide him with your grace
Give him faith so he'll be safe"





«Sì lo so che il mese scorso ho fatto tutta una tirata su come sicuramente il semifreddo non sarebbe venuto e avremmo fatto una figuraccia alla cena con gli altri ma avevo il ciclo! Non puoi ritorcermelo contro!» punto l'indice verso di lui, esasperata.
Da quando ci siamo alzati stamattina è in modalità disfattista e continua a sospirare. Sospira così spesso che sembra quasi che qualcuno lo abbia programmato a intervalli alterni e purtroppo la mia pazienza è tanta ma non infinita.

 

 
Mi guarda, ed immediatamente percepisco nuovamente l'insana necessità di sospirare. Non che non abbia realmente qualcosa da dire, ad essere sinceri avrei parecchio da ribattere, e a ragione peraltro. Ma non ne ho voglia.
E non perché il piacere di zittirla nel bel mezzo di una lite abbia perso il suo consueto fascino, semplicemente Koala ha l'innata capacità di scegliere sempre, senza probabilità di fallire, la giornata peggiore in cui tirare fuori le sue doti di dibattito. E a dirla tutta, per quanto mi secchi doverle rispondere così, oggi non ho davvero cazzi di stare a sentire l'ennesimo minuscolo, infinitesimale problema che si ingigantisce come ogni volta senza alcun motivo, schiacciando quel poco di pazienza che mi è rimasta.

 
 

«Stai per sospirare di nuovo vero?!» domando socchiudendo gli occhi, dopo avergli concesso la grazia di dieci secondi in più di quello che farei con chiunque altro per rispondermi.
Un tremito mi scuote.
Passi sospirare perché accidentalmente il caffè è uscito dalla moca sporcando il piano cottura, passi perché il dentifricio non usciva dal tubetto, passi perché Kidd mi ha telefonato per un consiglio ma a me!
Cos'ho mai fatto per meritarmi un suo accondiscendente, infastidito sospiro? Adesso cercare di capire cosa lo turba tanto è una colpa?
 

 

«Se preferisci posso avvisarti prima di farlo, almeno sai già per cosa prendertela stavolta.» mormoro appena, gli occhi fissi sul vetro appannato della finestra.
Mi passo una mano sugli occhi, stropicciandoli appena.
Non se lo merita. So che non dovrebbe essere lei a pagare per gli scherzi che mi gioca il mio cervello a volte. Kidd, lui si che si meriterebbe un cazzotto in piena faccia senza motivo.
Ancor di più perché l'ha chiamata per l'ennesima volta nel giro di un'ora. Se non ha idea di come far funzionare una relazione, che non se ne cerchi una allora. Idiota.
 
So che non se lo merita, eppure non riesco a staccare gli occhi da questo maledetto vetro.
 
«Law?»
 
Dal suo tono percepisco quanto la stia facendo irritare, e la situazione sta stancando anche me. Osservo le gocce di pioggia infrangersi sulle mattonelle del balcone, schiantandosi con un'intensità tale da chiedersi se non riuscirebbero a rompere la pavimentazione.
 
«Hai ancora intenzione di fare il filosofo nichilista che fissa la pioggia o ti degni di spiegarmi?»
 
Con l'ennesimo sospiro ed un immane sforzo di volontà, mi volto finalmente verso di lei, incrociando per un secondo quelle iridi viola che mi fissano con un cipiglio imperscrutabile.
Quasi sento il cuore perdere un battito quando mi soffermo ad osservarla meglio.
Con i pantaloni della tuta e la maglietta che le ho regalato dall'ultima conferenza è ancora più bella, e non fosse per il fatto che non ho le forze per alzarmi dalla poltrona, l'avrei già stretta a me e fatta mia.
Maledetto ottobre.

 
 

Aspetto, aspetto in silenzio, aspetto con ogni muscolo, fibra, nervo del mio corpo tesi.
Aspetto una risposta. Una parola.
Ficco le mani nelle tasche dei pantaloni morbidi e caldi quando mi accorgo che tremano. E stavolta non è fastidio ma paura.
 
Dopo un anno e mezzo di relazione, anche se lo conosco come le mie tasche dove le mie mani si stringono ora spasmodiche, ho ancora paura. Paura di questi suoi momenti, paura dei suoi silenzi.
Non importa se Kidd non fa che sottolineare e ribadire a ogni singola occasione quanto sembri una testa di cazzo così preso da qualcuno e quanto non sia mai capitato con nessun'altra. Io ho paura, paura di non essere poi così speciale e che presto o tardi lo vedrà anche lui.
Paura di diventare un peso e un impegno troppo grande per un sociopatico come lui, ben felice di esserlo.
 
Mi fissa ma non parla e io dalla sua espressione non riesco a capire ma gli sorrido lo stesso.
«Potremmo cucinare qualcosa insieme. Non lo facciamo da tanto.» propongo, non per evitare la discussione ma nella speranza di distrarlo qualunque cosa lo stia logorando così.
Apre la bocca, io trattengo il fiato, la richiude. Si passa una mano sugli occhi. La delusione mi pervade.
Il cellulare squilla e io vorrei, dovrei ignorarlo ma so che è lui e io non abbandono un amico in difficoltà. Non sono fisiologicamente in grado e la mano si allunga da sola verso il telefonino.
 

 

Apro appena la bocca, francamente privo di idee su cosa dovrebbe uscirne. Lo sento, sento quel fastidioso spasmo di speranza farsi sempre più pressante nel mio addome, e nonostante mi senta incredibilmente sollevato nel percepirlo, mi sforzo di scacciarlo.
Lei mi fissa, so che continua a farlo, anche se sento la sua voce rispondere a qualche stronzata di Eustass-ya.
Non ha nemmeno la decenza di abbassare la voce, neanche avesse bisogno di sbandierare i suoi cazzo di problemi al mondo intero. E per quanto mi secchi ammetterlo, gli voglio un bene non quantificabile. Ma adesso ha veramente rotto le scatole.
Punto gli occhi sul suo viso concentrato e, non fosse per il mio autocontrollo, adesso starei sorridendo come un imbecille.
 
Fa male.
Fa male capire quanto lei ormai sia diventata il centro del mio universo, e quanto mi sia fottutamente innamorato di quella sbadata ragazzina con gli occhi più caldi che abbia mai incontrato ed il cuore più grande che mi abbia mai accolto.
E fa male. Fa male perché so che lei non si merita nulla di tutto questo, non si merita i miei silenzi incomprensibili, non si merita le occhiate di fuoco, non si merita... me.
 
E ciò che mi terrorizza è la consapevolezza di non essere capace di dimostrarle quanto lei sia incredibile, e quanto la sua vita abbia acceso la mia nel momento stesso in cui ci ha messo piede.
Mi sembra quasi impossibile pensare a cosa significasse respirare prima di aver sentito il suo di respiro, quanto sembri assurdo immaginare un solo attimo davanti a me in cui non ci sia lei ad affrontarlo con me.
Quanto l'amore sia un cazzo di casino e io, che posso risolvere anche il più difficile dei casi e portare a termine anche la più complicata delle operazioni, non ho idea di come dimostrare alla donna che amo che senza di lei, io non esisto.
A partire dalle macchie di caffè per finire ai suoi scleri pre-ciclo.
 
Indugio forse troppo, incapace di distaccare lo sguardo.
E lo so, percepisco l'irritante sensazione di umido che raggiunge gli angoli dei miei occhi.
Sono patetico.

 
 

«No. No! Kidd, per l'amor del cielo, in dodici anni che ci conosciamo quante volte ti avrò spiegato che se una donna ti dice che non ha niente in realtà vuol dire che ha qualcosa? ... Perché sì! Perché vuole essere sicura che ti interessa davvero che cos'ha... No certo lo so che ti interessa davvero ma è difficile crederci se te ne esci con “Che cazzo di problema hai, donna?”... Ma certo che fai così!!» mi afferro il ponte del naso, sfinita.
Perché, di tutti i migliori amici di questo mondo, mi è dovuto capitare un simile imbecille? Che neppure si rende conto di esserlo poi.

La sua voce buca l'etere e il telefonino e io allontano appena l'apparecchio dal mio povero orecchio innocente.
Una risata mi sale alle labbra perché Kidd innamorato e agitato per una lite con Reiju, checché lui ne dica di Law, è un vero spasso e una delle poche cose che smuovono Law anche nei suoi momenti più neri. Prendere per i fondelli Kidd, intendo.

Torno a guardarlo, già pronta a mimare quanto sia esilarante sentirlo così –e d'altra parte lo sente anche lui, visto il tatto di Kidd– ma la risata muore, ammazzata forse dalla fucilata che mi scuote in pieno petto.
«Kidd scusa ti devo richiamare.» mormoro monocorde, senza più nemmeno ascoltare, prima di chiudere la telefonata.
Che cosa succede? Perché sta piangendo?
 


 
Nel momento stesso in cui mi rendo conto che si è accorta di quanto la situazione stia degenerando, appoggio gli occhi a pollice ed indice, inspirando con forza.
Non posso, non posso perdere il controllo così.
Non è da me, non lo è mai stato, e se non fosse per quella maledetta foto stipata in soffitta che sembrava quasi aspettare me, non sarei così pateticamente vulnerabile.
Cazzo.
Mi alzo in piedi, diretto verso la porta di casa.
Ho bisogno di aria, ho bisogno di non sentire gli occhi di Koala che lo so, mi stanno trapassando la schiena.
Non deve vedermi così.
Nessuno deve vedermi così.
 

 

È raggelante lo spostamento d'aria che mi investe quando mi passa accanto.
Sapevo che sarebbe successo, succede sempre alla fine.
È il mio essere sempre impulsiva, diretta fino al midollo, oltre a quel piccolo dettaglio che non so mentire e dico tutto quello che mi passa per la testa, colpa di una caduta da piccola.
È difficile tenere a mente che non dipende da me, difficile credere che non sono io il problema.
Quando hai collezionato quattro ex e una convivenza finita male.
Beh, due a quanto pare.

Traffica con le chiavi, capisco da come tintinnano che sta tremando e mi mordo il labbro.

Non ho intenzione di piangere, io non piango. Anche se zio Ty ha passato la vita a insegnarmi che posso anche per le cose più stupide, io sono fatta così. Sono fatta male forse ma non piango se non per le cose davvero importanti. E il cielo solo sa quanto è importante, quanto varrebbe la pena piangere per quest'uomo ma non gli renderò le cose più difficili di quanto già non siano.
Solo che, a differenza di tutte le altre volte, in cui predominava la semplice delusione per non averla fatta funzionare, la voglia di maledirmi per quella parola di troppo neanche dipesa da me, stavolta è diverso.
Stavolta sembra che mi abbiano strappato l'anima a brandelli.

«Aspetta.» lo fermo con un filo di voce, prima di girarmi verso di lui, con un sorriso incoraggiante e rassicurante. «Aspetta non serve. Vado via io.»
 


 
Vuoto.
Quello che sento dentro di me nel momento in cui le sue parole mi raggiungono, altro non è che un fottuto e tremendo vuoto, un vuoto che mi terrorizza oltre ogni limite. Non può averlo detto, non posso essere davvero così idiota. Mi volto, le chiavi già infilate nella toppa. Mi fissa con un sorriso che ormai ho imparato a conoscere bene. Un sorriso che non lo è davvero, che sembra forte ma nasconde tanto di quel dolore da chiedermi se davvero non merito un proiettile al centro del petto per averle fatto questo. Non riesco a capire perché, non riesco a fermarlo. Faccio appena un passo verso di lei, stringendola tra le braccia già coperte dal pesante cappotto di lana, nonostante fuori non facciano meno di quindici gradi. La avvolgo, percependo distintamente le sue spalle tremare appena, il respiro affannato, la mascella tesa. Dio, come ho potuto pensare di sopravvivere un altro secondo senza di lei stretta a me?

Appoggio la fronte alla sua spalla, mentre una mano sottile si insinua tra i miei capelli. Non dovrebbe essere lei a consolare me, dovrei essere io a dirle che se se ne va, io ho chiuso! Se lei esce da quella porta, il mio fottuto cuore perde l'unico motivo che ha per continuare a battere!

A malapena mi rendo conto di sentirla più vicina, sempre più vicina. Dovrebbe essere un buon segno. Cerco di mantenere il respiro quanto più regolare possibile, sperando con ogni singola cellula del mio malato corpo di farle capire anche senza parlare ciò che sento il disperato bisogno di urlarle. Finché non mi rendo conto, con mio sommo orrore, che quelle stesse parole che premevano per uscire insieme alle lacrime, alla fine le ho pronunciate davvero.

 
 

La mano saldamente incastrata nei suoi capelli, il respiro bloccato in gola, gli occhi sgranati.
Devo aver sentito male. E anche se tutto dentro di me grida e protesta all'idea di interrompere questo contatto, di separarmi anche solo di pochi centimetri da lui, mi faccio violenza e inarco appena la schiena all'indietro per poterlo vedere in viso.
«Che hai detto?»
 

 

Le sue parole mi si insinuano nelle orecchie, così flebili da strapparmi i timpani. Senza mollare la presa inspiro profondamente, socchiudendo gli occhi. Una lacrima riesce a superare la barriera che ho costruito con così tanta fatica, rotolando giù ed infrangendosi sui suoi capelli. «Tu..» inizio, e mi rendo conto di quanto la mia voce sembri a pezzi.
 
Ma è inutile nasconderlo a questo punto.
Lo sono.
Ed è bastata una foto ingiallita di quell'uomo così strambo e maldestro a ricordarmi di quanto sia sbagliato amare. Di quanto faccia male perdere chi sembrava non ti avrebbe mai lasciato, di quanto sia stato patetico a credere che qualcuno avrebbe lottato per me fino alla fine.
 
Solo lui ci aveva provato, e...
Un singhiozzo strozzato mi scuote la gola, ma non ho più le forze per controllarlo. So solo che quello che vorrei per il resto della mia fottuta vita è restare ancorato a Koala, le sue mani tra i miei capelli, il suo silenzio a lenire il mio dolore.
«Se tu.. Te ne vai..» riprendo con estrema fatica. «Me ne andrò anche io.» sospiro prima di venire nuovamente scosso da un tremito involontario, che mi attraversa impietoso al solo pensiero di vederla davvero uscire dalla mia vita per colpa della mia conclamata sociopatia, che distrugge ogni cosa sul suo cammino.
Ma stavolta non le permetterò di prendersi anche lei.
«Koala, io ti amo.» sussurro appena, e mi sembra di aver tranciato una corda che mi teneva appeso ad un masso gigantesco.
Cerco di emettere un filo d’aria, invano.
Non è mai stato così difficile respirare.
 

 

Un anno e mezzo.
Un anno e mezzo di chissà, di forse, di dubbi. Più tutto il tempo passato a ignorare Nami che per mettermi in guardia non faceva che ripetermi quanto fosse folle andare a convivere con lui.
Un anno e mezzo ad aspettare queste tre stupide parole, senza mai pretenderle davvero, perché averlo nella mia vita mi sarebbe comunque bastato e per la prima volta solo oggi mi accorgo che anche se lo sento da non so più nemmeno quanto, sono riuscita a non dirglielo, a tenerlo per me. Io che non sono in teoria capace di tenermi dentro niente.
Per lui, per non mettergli pressione o fretta, per non farlo sentire sbagliato perché non avrebbe potuto rispondere "anch'io". E ora che lo ha detto, non riesco a metabolizzare.
Non pensavo che l’avrei mai sentito davvero uscire dalla sua bocca.
«Ed è così terribile?» gli chiedo, per smorzare l'atmosfera, senza smettere di accarezzarlo per asciugargli le lacrime.
Non posso vederlo così.

 
 

«Se esci da quella porta, lo sarà.» rispondo in un soffio, stanco. Stanco di tutto. Stanco di combattere con la voce nella mia testa che mi ripete che non ne vale a pena, che anche lei mi abbandonerà, che per me non ne è mai valsa e non ne varrà mai la pena. Quella voce contro cui ho combattuto tutta la vita, che ha lasciato morire l'unica persona che mi abbia mai amato, e non perché fossi uno scherzo della natura come chiunque si divertiva a definirmi, solo per quelle dannate macchie bianche che mi attraversavano il viso. Lui mi amava perché.. Mi amava.
E basta.
E sento, lo sento, lo so che Koala è pericolosamente vicina a lui, che il suo modo di stringermi e di sussurrare al mio orecchio per cercare di calmarmi alimentano le mie speranze nello stesso identico modo, quelle stesse che ho soffocato per così tanto tempo da chiedermi se davvero ce ne sia rimasta qualcuna.
Eppure lei riesce a scherzare anche adesso. Ora che mi ha visto come io mi vedo ogni giorno, spezzato da un peso troppo grande, schiacciato da una colpa troppo pesante, che non le ho mai raccontato. Forse per paura.
 
Paura di espormi.
Paura di dimostrarle che di lei mi fiderei anche ad occhi chiusi, e che nelle sue mani metterei la mia stessa vita.
Paura di caricarla di una responsabilità che nessuno si prenderebbe, non per me.
 
Attendo infiniti secondi, certo che lascerà scivolare le braccia lungo i fianchi e si allontanerà.
Dal disastro che sono riuscito a diventare, all'oscuro di chiunque.
E senza nemmeno volontà di fermarle, sento le guance bruciare per le lacrime che hanno finalmente deciso di scorrere.
«Io ti amo.» articolo nuovamente, sperando come un idiota che serva a qualcosa.

 
 

Più lo dice e più è come quando da bimba zio Ty mi spalmava la pasta balsamica tra le clavicole quando avevo il raffreddore.
Non devo più sforzarmi per sorridere, semmai ora devo controllarmi per non esplodere come un fuoco d'artificio a capodanno.
«Stai attento. Potrei abituarmi a sentirtelo dire.» scherzo ma lui continua a fissare la mia spalla.
Poso una mano a palmo pieno sulla sua guancia e lo obbligo a sollevare meglio il capo per guardarmi in faccia. Inconsciamente, accarezzo con indice e medio la basetta che nasconde, vicino al suo orecchio, una piccola macchia bianca. È minuscola, come una cicatrice da varicella ma io so che c'è. Lui crede che io non sappia da dove arriva ma in realtà so benissimo cos'è e non m’importa.
«Law...»

 
 


Lo sa.
Lei lo sa. Socchiudo appena gli occhi nel percepire la pelle liscia delle sue dita accarezzarmi dove una delle ultime macchie della malattia ha lasciato il segno, quasi a volerla cancellare.
Punto gli occhi su di lei, che non ha intenzione di mollarmi, né di smettere di sfiorarmi.
«L'hai sempre saputo.» affermo, la voce ancora traballante ma leggermente più decisa.
Non mi risponde, ma la presa delle sue dita sulla mia mano libera mi basta come risposta.
Sgrano appena gli occhi.
Lo ha sempre saputo, e io avrei dovuto aspettarmelo.
 
Koala ha un senso dell'attenzione e di deduzione che mi ha sempre reso orgoglioso di lei, anche se raramente ne faccio un vanto pubblico. È una forza della natura, con un cervello talmente invidiabile da lasciarmi perplesso più di quanto vorrei a volte.
 
Cerco una risposta nel suo sguardo, in quei pozzi ametista che sembrano inghiottirmi.
Lo ha sempre saputo.
E non se n'è mai andata.
 
«Non ti importa.» sussurro, e la consapevolezza reale di questa implicazione mi prende in faccia con la potenza di un treno.
Non è una domanda, e non sono sicuro se ciò che ho detto sia rivolto a lei o a me stesso.
Cerco di mantenere lo sguardo fisso nei suoi occhi, così decisi da lasciarmi interdetto.
«Davvero non ti importa?» chiedo con un tono più disperato di quanto non voglia, incapace di gestire il tumulto che mi sconquassa le viscere.
Quasi senza accorgermene porto una mano ad accarezzare la sua, ancora sul mio viso.
Ed impercettibilmente la stringo, lacerato da una paura senza senso.
Consapevole di qualcosa che per la prima volta mi sembra davvero reale.
E che, forse, lo è sempre stato.

 
 

«Io ti amo. Non sarà una macchia vicino al tuo orecchio a cambiare questa realtà.» scuoto appena il capo, sempre sorridente, mentre intreccio le mie dita con le sue.
Davvero credeva che sarebbe stato un problema? Nessuno crede più alla leggenda metropolitana del piombo ambrato da almeno vent'anni!
E se anche fosse,  per lui avrei corso il rischio.
«Pezzo di cretino.» aggiungo senza nemmeno provare a trattenermi. Tanto non servirebbe.

 

 
«Un pezzo di cretino che potrebbe incazzarsi parecchio se non vai a levare quella macchia dal piano cottura.» ghigno appena, così sollevato nel sentire quelle parole da lasciare trasparire il sollievo sul mio volto senza nemmeno preoccuparmi di occultarlo. So di avere ancora delle tracce umide che mi solcano le guance, ma lei sorride. Sorride e porta una mano ad asciugarmi la pelle, senza il minimo imbarazzo per ciò che ho fatto.
Per ciò che ho detto.
 
Per ciò che sono.
 
Si avvicina a me, lasciando che le sue labbra si uniscano alle mie, soffici come non mai.
Inspiro il suo profumo, che non mi è mai sembrato così buono.

 
 

È sempre un bombardamento neuronale quando mi bacia e questa volta è anche più intenso del solito. C'è un che di disperato nel modo in cui mi stringe, e io subito ricambio per ricordargli che sono qui e non vado da nessuna parte.
Quando ci separiamo affannati, le labbra umide, potrebbe essere passato un minuto come un secolo.
Gli sorrido, innamorata, persa e, per finire, con sguardo vitreo.
«Io non la pulisco, la macchia.» lo avviso.

 
 

«Lo so.» mormoro per nulla sorpreso, prima di riavventarmi su di lei per fare mia la sua bocca, mia la sua pelle, mio il suo cuore.
E mentre me la carico in braccio, le sue gambe allacciate dietro la mia schiena e la sua bocca costantemente ancorata alla mia, diretto ovunque ci sia un materasso abbastanza morbido da gettargliela sopra, mi ritrovo a sospirare.
Sospiro mentre il petto mi martella furiosamente, la testa si svuota, il sangue defluisce dove ce n'è più bisogno.
La sento strusciarsi su di me, e senza rendermene conto le afferrò la vita, arpionandola senza però farle male.
Un altro sospiro lascia le mie labbra, ma questa volta è diverso.
 
Lo sappiamo, lo sentiamo entrambi.
 
Ed in quell'unico sospiro, condenso sotto forma di aria incandescente un amore che non pensavo di poter provare, per qualcuno che senza nemmeno chiedermi il permesso mi ha rubato l'anima, l'ha aggiustata e me l'ha regalata con un sorriso meraviglioso dipinto sul viso.
 

 

Il mio corpo pulsa dalla testa alla punta dei piedi mentre mi aggrappo alle sue spalle e lo trascino verso di me, per sentirlo più vicino, per sentire il suo calore.
Lo voglio, lo voglio disperatamente. Perché ora so che è mio, completamente mio e nessuno potrà mai portarmelo via e voglio sentirlo anche con il corpo oltre che con il cuore.
La sua felpa vola sul pavimento insieme ai miei pantaloni. Sembra così indifeso con quella maglietta gialla con lo smile sopra. Come un ragazzino ma il centro del mio corpo ricorda fin troppo bene che ho davanti un uomo.
Mi tendo, colma di aspettativa, quando si abbassa per baciarmi e spinge il suo bacino ancora vestito contro il mio.
 
Sarà diverso, questa volta, dopo quello che ci siamo detti è inevitabile. Lo è già e non credevo potesse essere più bello, non lo pensavo umanamente possibile.
 
Espiro rapita, alzando le braccia come lui comanda, muovendo le mani su di me come un musicista sul proprio strumento.
È bellissimo e caldo e avvolgente e io... Io...
Le note di “Don’t stop me now” risuonano per tutta la casa, moleste almeno quanto colui che le ha provocate.
Forse, dovrei cambiare suoneria.

 
 

"Don't stop me now" mi rimbomba nelle orecchie, e per qualche secondo mi costringo a staccare gli occhi dall'immagine fin troppo devastante di Koala affannata, appena arrossata e con una voglia negli occhi che mi fa fremere, cercando di far esplodere il suo cellulare con la sola forza dello sguardo.
Sospiro di nuovo, e anche stavolta, lei sa perfettamente il perché.
Mi siedo sul letto, lasciandola libera di afferrare l'aggeggio e trafficare con lo sblocco.
«Di ad Eustass-ya che la prossima colonscopia gliela farò io.» le raccomando, ed un ghigno divertito si apre sul suo viso.
 
Dio, quanto amo quel sorriso.
 
«E mandalo a fanculo da parte mia.» aggiungo, prima che schiacci il tasto di avvio della chiamata.

 
 

Il pollice sospeso sopra lo schermo a cristalli liquidi, esito un momento soltanto.
 
Mi ha chiamato cinque volte in due ore. Io ho preso tutte le telefonate, gli ho dato retta, l'ho consigliato e ho i miei seri dubbi che mi sia stato ad ascoltare. E quindi mi chiama per la sesta volta perché, in buona sostanza, è troppo orgoglioso per fare come dico e pretende che io trovi una soluzione al suo problema senza mandare a ramengo la sua virilità.
 
Ora, io sono paziente e per niente vendicativa. Ma c'è un limite a tutto e qui accanto a me c'è l'uomo che amo e che ha bisogno di sfogarsi in tutti i modi possibili.
Mi volto verso di lui, un sinistro sorriso sul volto, prima di far ruotare il cellulare tra le dita e porgerglielo.
«Diglielo tu...» lo invito, con sguardo complice.

 
 

Osservo con un sopracciglio alzato il telefono rivolto verso di me, alzando appena lo sguardo.
Lei mi fissa con un'espressione di maligna cospirazione talmente sexy da mandarmi in blackout il cervello. Mi rendo conto dopo pochi secondi che ancora quel coso infernale sta squillando, e nel momento stesso in cui lo afferro per rispondere, Koala mi si getta addosso.
Me la stringo al petto, ben felice di non dovermi separare da lei, e pronto a pregustarmi una dose di insulti e violenza gratuita da parte dell'essere umano più stupido, irascibile e tremendamente divertente che io conosca.
 
«Eustass-ya, ma che piacere risentirti.» inizio, lanciando un'occhiata di striscio a Koala che dal canto suo si sta sforzando di non scoppiare a ridere.
La avvicino a me con il braccio incastrato tra il materasso e la sua schiena, godendomi le prime delicate affermazioni di Kidd ed il mio sorriso preferito che mi scalda il cuore.
 
«Pezzo di merda, passami la tua ragazza!» sbraita una voce decisamente infastidita dall'altro lato del ricevitore.
«Non fare così Eustass,-ya, e io che credevo di esserti stato d'aiuto l'ultima volta che mi hai chiesto un consiglio su che regalo fare a Reiju. Senza di me le avresti regalato una motoruspa.» asserisco, stringendo la presa su Koala che si dimena dalle risate accanto a me.
 
«Vaffanculo Trafalgar!» sbotta Kid, e stavolta non riusciamo a trattenere un sospiro estremamente divertito. Incrocio per un secondo i suoi occhi e, momentaneamente, mi dimentico di Kidd che ancora sta inveendo contro la mia genealogia.
 
Si, ottobre è decisamente uno dei miei mesi preferiti.
  
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