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Autore: Elykei    03/10/2017    1 recensioni
Questa è la storia di Margherita.
Margherita ha 18 anni, un fratello minore rompiscatole, una mamma un po' particolare e un pappagallo di nome Pietro.
Come ogni diciottenne Marghe si presta ad affrontare gli esami di maturità e accanto a lei c'è una classe di 17 individui considerati da tutti scalmanati ed immaturi.
L'intera terza D però si ritroverà obbligata a dover crescere tutta d'un colpo, perché la società ti dice che a 17 anni non sei abbastanza maturo da poter compiere scelte da solo, ma appena ne fai 18 devi decidere del tuo intero futuro.
Questo è il racconto delle vicissitudini di una ragazza come tante altre che insieme a compagni di classe ed amici affronta la vita, quella vita segnata da piccole difficoltà che sembrano montagne e grandi gioie che a volte non bastano.
Ma infondo vivere vuol dire questo: affrontare alti e bassi e andare avanti perché come diceva Jovanotti la vertigine può anche essere semplice voglia di volare.
Questa è la mia prima storia, spero che vi piaccia.
Il rating è arancione più per scurezza che per altro.
P.s. naturalmente qualsiasi commento sarà sempre ben accetto!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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21. Zucchero filato.

Un appuntamento.

Avevo un appuntamento con Raffaele.

Che cosa mai ci trovasse in me non lo capivo proprio. Lui era una persona tanto sicura di sé, ed io ero un involucro tenuto su da ansia e svariate endovena di caffeina.

Persino la scelta degli abiti mi pareva difficile, e non avevo nemmeno Delia e Genna con me per darmi consigli.

Non mi pareva il caso di parlare di appuntamenti alla prima, e sapevo che Gennaro avrebbe passato la giornata con lei, quindi anche lui era fuori dall’equazione.

Alla fine mi ritrovai seduta davanti all’armadio, a contemplare abiti che conoscevo già a memoria.

Non avevo idea del luogo in cui saremmo andati. Perché al posto di un tentativo di battuta sagace non avevo fatto qualche domanda in più?

Guardai l’orologio, mancavano venti minuti, forse avrei potuto iniziare dal truccarmi.

Non sapendo ancora cosa avrei indossato optai per dei colori neutri. Avevo appena finito col mascara quando il telefono squillò, risposi in fretta.

Avevo detto a Raffaele di chiamarmi al posto di suonare perché erano le tre del pomeriggio e mia madre aveva il turno serale, dunque fino alle cinque ne approfittava per riposare.

Indossai un semplice jeans nero con una camicetta a spalle scoperte verde militare, era pomeriggio di certo non saremmo andati a cena in un ristorante Michelin.

Mentre il portone mi si richiudeva alle spalle, riuscii a vedere Raffaele. Era in piedi davanti alla sua auto parcheggiata, non lontano da dove ero io.

Nemmeno lui era troppo elegante, il che mi diede un po’ di sicurezza in più riguardo al mio aspetto in generale.

In un jeans e una camicia azzurrina era davvero bello.

Lo raggiunsi, un mezzo sorriso imbarazzato in faccia, mi salutò con due baci sulle guance e mi aprì lo sportello.

Nulla di diverso dal normale, lo aveva già fatto in passato quando avevamo unito le forze per aiutare Debora, e a quei tempi a mala pena ci sopportavamo, eppure in quella situazione tutto sveva un effetto diverso.

Volevo parlare, sciogliere la mia tensione, così optai per una domanda ovvia ma sicura – Allora hai già qualche idea su dove andare? -.

- Sì. -.

Aspettai per qualche momento che continuasse, ma nulla, così lo incalzai – E questo posto è? -.

- Un po’ insolito credo, ma penso che non ti dispiacerà. -.

- Sì, un pochino di specificità in più sarebbe gradita. -.

- Ti da tanto fastidio essere all’oscuro? -.

- Per quanto ne so potresti portarmi in un campo deserto e ammazzarmi. -.

- Hai ragione. -.

Lo guardai con occhi sgranati - Come scusa? -.

Rise – Quello che intendevo è che hai ragione a non essere pienamente a tuo agio con un ragazzo che conosci da poco, soprattutto se sei nella sua auto e non sai dove è diretto. Facciamo così, manda un messaggio a qualcuno di cui ti fidi, scrivigli con chi sei e magari invia la posizione, fallo anche quando saremo arrivati. Saresti più tranquilla in questo modo? -.

- Se lo faccio adesso però, sembro una sciocca. -.

- Perché? La tua sicurezza deve essere una priorità, non ci vedo nulla di insensato in questo. -.

L’idea che Raffaele posse farmi del male in modo serio non mi aveva mai sforata, ma dire a Gennaro con chi ero non avrebbe ucciso nessuno, perciò lo feci.

- La tua amica come sta? -.

- Meglio di quanto mi aspettassi, anche se potrei aver combinato un casino. -.

- Quando capirai se l’hai fatto per davvero? -.

- Probabilmente stasera. Aspetto aggiornamenti. -.

- Se non è il giorno giusto possiamo rimandare, non farti problemi. -.

- Macché, anzi magari in questo modo eviterò di passare tutto il pomeriggio stressandomi. -.

- Allora sarà una sfida ancora più grande di quella che mi ero prefissato. -.

- Eh già, non ti toccherà solo sopportarmi, ma persino intrattenermi! Anche se mi domando se sia possibile fare entrambe le cose contemporaneamente. -.

- Mi prodigherò per riuscirci. -.

Sorrisi – Sei quasi troppo gentile stasera. -.

- Non te lo aspettavi?  -.

- Ammetto che temevo molti più fuochi d’artificio. -.

- Io pensavo volessi aspettare almeno sera per quelli, ma se preferisci… -.

Cercai con tutta me stessa di non arrossire, ma anche se lui non si voltò a guardarmi, capii dal sorriso che gli aleggiava sul volto, che aveva visto le mie guance tingersi di rosso.

Decisi però di non dargliela vinta - Se non fossi attanagliata dalla curiosità sul posto dove vuoi portarmi accetterei, le zone di sosta in tangenziale sono sempre state il mio debole. -.

Per un secondo puntò lo sguardo su di me – Ah sì? -.

- Nessuna delle sue opzioni si potrà mai avverare se ci schiantiamo. -.

Scosse il capo.

Dal finestrino vedevo i paesini passare, erano più di venti minuti che eravamo in auto, la curiosità aumentava ad ogni chilometro, così per distrarmi decisi di buttarmi sulla musica.

- Ti spiace se cambio canale? -.

- Fai pure. -.

Iniziai a girovagare tra le varie stazioni finché non arrivai ad una che trasmetteva Caparezza.

- Preferisci la musica italiana a quella straniera? -.

- No, in realtà ascolto un po’ di tutto, ma preferisco la musica ai presentatori radio che blaterano a vanvera ed era da almeno un minuto che non mettevano una canzone su quel canale. -.

- Un limite temporale di tolleranza piuttosto breve. -.

Un verso incredulo mi uscì dalla bocca - Da che pulpito! Al nostro primo incontro mi hai quasi lasciata per strada per la brevità della, come hai detto? Ah già del tuo limite di tolleranza temporale. -.

- Non era esattamente la stessa cosa. -.

- Oh hai ragione, il mio gesto non ha avuto conseguenze su nessuno, il tuo d’altro canto. -.

- Hai ritardato di venti minuti senza avvisare. -.

Avevo visto Raffaele infastidito, ed ero certa che quello non era nulla più che un punzecchiarsi in modo giocoso, perciò non mi fermai.

- Ancora con sti venti minuti? Erano una decina, sei tu quello che mi ha lasciato mezz’ora al freddo e al gelo. -.

- Chi è che altera i numeri ora? -.

- La parte del freddo non lo puoi negare però. -.

- Non l’ho fatto. -.

- E non hai intenzione di scusarti? -.

- Sembra anche a te un déjà-vu? -.

- Non sei incazzato con me stavolta, quindi no. -.

- Non lo ero neanche la prima. -.

- Ma se mi guardavi a mala pena! Ed eri scorbutico, come un vecchietto che si lamenta dei giovani: ‘’Non mi è sembrato carino il tuo ritardo; La puntualità è importante‘’ -.

Bloccò la mia bellissima imitazione commentando: - Ricordi le esatte parole che ho usato? -.

- Le ricordi anche tu. -.

- Questo perché ho una buona memoria, la tua fa schifo. E non è una critica, ma un dato di fatto. -.

Aveva parecchie ore passate a cercare di farmi memorizzare roba durante le lezioni dalla sua parte, più tutte le volte nelle quali io stessa l’avevo ammesso.

- Non è questo il punto! -.

Il mio tonò suscitò più ilarità di quanto immaginassi, vidi il naso di Raffaele arricciarsi, e mi sembrò di sentire un leggero grugnito. Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere anch’io, era stata una cosa talmente inaspettata.

- Per caso ridi di me? -.

- No, no, assolutamente. -.

- Molto convincente. -.

- Okay forse un po’, ma in maniera del tutto innocente giuro. -.

- Siamo ancora in auto e già mi hai ferito. -.

- Ma dai! Hai una risata bellissima. -.

- Troppo tardi, il mio orgoglio ne sta risentendo. -.

- E se quando arriviamo in qualunque posto siamo diretti ti compro un gelato? O dello zucchero filato? Un caffè con otto bustine di zucchero come lo bevi tu? -.

- Ci penso. -.

- Non chiedo altro. -.

Sul lato destro della carreggiata vidi una statua che mi era familiare, un Cristo vestito, con le braccia tese. Ad occhio era poco più alto di quanto lo ero io, spiccava sull’orlo dell’uscita di una stazione di servizio, lo avevo visto per la prima volta quando Obi mi aveva portata ad Ostuni.

Mi stava forse portando lì?

Non feci in tempo a chiederlo a voce alta che Raffele svoltò.

Non eravamo ancora ad Ostuni, ma a Fasano.

- Lo Zoo? -. Domandai sorpresa.

- L’altra sera, alla festa in villa, hai detto che non ci eri mai stata, e che avresti voluto vederlo prima o poi. Ho pensato di approfittarne. -.

Era stata una cosa detta nel mezzo di un discorso più ampio, non pensavo ci avesse fatto caso nessuno.

Sorrisi a trentadue denti, non sapevo cosa dire, era un gesto talmente dolce.

La coda per i biglietti non durò a lungo, poiché Raffaele li aveva preordinati online.

Nel giro di venti minuti eravamo nello Zoo.

Per la prima volta vidi dal vivo e non in uno schermo televisivo, dei leoni, con le loro pose maestose, gli elefanti, enormi e dallo sguardo intelligente, e le giraffe, alte quanto palazzi.

Scattammo foto con ogni animale sul quale posavamo lo sguardo. Ero così affascinata da tutto da rivaleggiare con i bimbi più entusiasti che come me girovagavano per il parco faunistico.

Raffaele sembrava apprezzarmi in quella veste infantile, anzi persino lui si era lasciato trascinare in alcune tra le pose più strambe.

Alla fine del giro avevo dei piedi doloranti, ma ancora tanta adrenalina in corpo.

- Che vuoi fare? -. Mi domandò Raffaele.

- Ti devo ancora le bustine di zucchero no? C’è un bar in questo posto -.

- Ho un’idea migliore. -.

Camminammo a mani intrecciate fino a che non raggiungemmo il parco divertimenti di Fasanolandia, proprio accanto allo Zoo.

C’era un carretto, uno di quelli che si vedono nei film anni cinquanta, proprio sotto la ruota panoramica. Vendeva pop corn e zucchero filato colorato, ne comprai un paio multicolore e ci sedemmo su una panchina a chiacchierare.

Da quei dolci colorati guadagnammo un’altra foto: sullo sfondo la montagna russa più alta del parco, poi noi, la mia tempia poggiata alla sua ed in basso, a coprirci la bocca, gli arcobaleni di zucchero.

- Questa è bella! Te la passo. -.

- Quell’anello è maschile? -. Mi chiese Raffaele indicando il gioiello argenteo che portavo al pollice.

- Sì, teoricamente è di mio fratello, ma gliel’ho ufficialmente rubato. -.

- Fammelo provare. -.

- Solo se tu mi fai provare uno dei tuoi, quello che porti al medio. -.

- Questo? -. Mi chiese sfilandoselo.

Era abbastanza grande, ma riuscii ad infilarlo su un indice. Una fascia di un centimetro color argento, vi era inciso il padre nostro.

- Non sapevo fossi religioso. -.

- Perché non lo sono, o meglio non del tutto, quello però me l’ha regalato mio zio. -.

- Un modo gentile per dirmi che devo ridartelo? -.

Sorrise - Diciamo di sì, perché avevi intenzione di tenerlo? -.

- Beh, è un bell’anello, perché non dovrei volerlo? -.

- Giusto, almeno ora so cosa ti piace. -.

- Col pupazzo non sei andato male, era molto carino. Piuttosto, sono io quella che ha bisogno di più informazioni. Dimmi un po’, cosa ti piace? -.

- Mhmm, domanda difficile. -. Entrambi avevamo quasi finito di mangiare, tutt’attorno a noi famiglie e ragazzi scorrazzavano tra le varie attrazioni. Qualcuno mi passò alle spalle correndo, era tanto vicino da farmi sentire il movimento del vento, non capii se fosse una bimba o un bambino con i capelli un po’ più lunghi perché Raffaele mi stava fissando le labbra e l’effetto della cosa non mi dispiaceva.

Pensai che se in quel momento mi avesse baciato, il tutto sarebbe sembrato uno stereotipo da film americano per ragazze, poi però mi baciò sul serio, e non pensai più a nulla.

Per un piccolo istante mi sentii perfettamente a mio agio, il profumo, le labbra morbide, la mano che mi sfiorava il mento, tutto era perfetto.

Prima di Raffaele avevo baciato altri due ragazzi.

Il primo era stato la mia cotta dei dodici anni. Eravamo nascosti in un parco assieme ad altri amici, nascosti perché facevamo qualcosa che al tempo era una grande trasgressione: giocare ad obbligo o verità.

Un’amica, sapendo della mia cotta per Orazio, lo aveva sfidato a baciarmi. Una cosa casta, a stampo, forse anche un po’ imbarazzante sotto gli occhi di tutti i nostri amici.

Il ricordo che mi aveva lasciato era di inesperienza e sapore di maionese, mi ero ripromessa di non baciare più nessuno dopo un pasto.

Il mio secondo bacio, l’unico che prima di Raffaele aveva contato veramente, era stato quasi romantico.

Io e Jacopo a quel tempo avevamo sedici anni, ci eravamo conosciuti in vacanza al mare, e una sera, dopo quasi un mese di sguardi e battutine, ci eravamo ritrovati in spiaggia a guardare le stelle.

Quella sera era fredda, lui mi offrì di condividere un’asciugamani come coperta, per farlo fummo costretti ad avvicinarci così tanto l’uno all’altra da respirare praticamente la stessa aria.

Lui mi guardò e mi chiese se poteva fare una cosa, io annuii.

L’atto vero e proprio del bacio però era abbastanza confuso nella mia mente.

Quando la sorpresa iniziale delle labbra di Raffaele sulle mie passò, mi ritrovai ad essere ipercosciente di tutto quello che accadeva.

La pressione della sua lingua sulla mia, il calore delle nostre bocche, il rumore del carretto dello zucchero filato a pochi passi, i gridolini della gente che affrontava le curve più temibili delle montagne russe.

Persino il suono del respiro di Raffaele era cristallino e fin troppo forte alle mie orecchie.

Era un momento molto bello ed io stavo per rovinarlo.

Sapevo che quelli erano sintomi della mia ansia che cresceva, la stessa maledetta che mi chiedeva se sapevo quello che facevo, la stessa che mi diceva ‘’sicuramente non baci bene, lui lo pensa, lui lo sa, lui ormai è consapevole della tua inesperienza‘’. Sempre quella che portava quelli sciocchi pensieri all’esasperazione.

Ero consapevole di ciò a cui andavo incontro e sapevo di non poter fare molto per bloccalo, forse non volevo nemmeno bloccarlo, perché per farlo avrei dovuto interrompere il bacio. Preferivo godermi fino all’ultimo secondo possibile quella cosa bella che mi stava capitando, quella che desideravo e che avevo cercato per tutto il giorno, e poi scappare via, piuttosto che lasciar vincere la mia ansia ancora una volta.

Con il passare dei mesi avevo imparato a dissimulare, perciò non feci fatica a nascondere la mia rigidità, né tantomeno a giustificare il respiro affannoso con il trasporto dovuto al momento.

Prima che potesse notare qualcosa gli misi tra le mani le rimanenze del mio zucchero filato e con un sorriso accampai una scusa per allontanarmi.

Mi avviai verso il bar, era plausibile che andassi lì dato che avevo detto di aver sete, ma al posto di entravi feci il giro della struttura così da ritrovarmi tra il muro e la recinzione del parco.

C’erano alcune persone in giro, perché essendo un parco turistico ogni angolo era popolato, ma nessuno era tanto vicino da potermi dare fastidio.

Poggiai una spalla al muro, per simulare scioltezza, poi anche la testa.

La parete fredda contro la guancia mi riportò un passo più vicina alla calma, era una cosa solida, che potevo sentire e alla quale potevo aggrapparmi nel turbine del panico.

Pensai a come Raffaele mi avesse aiutato l’ultima volta nel bagno della scuola, e a quanto desiderassi fosse con me anche in quel momento.

Non potevo chiedere aiuto a lui però, e non perché fosse egli stesso la causa scatenate quella volta, perché infondo avevo imparato che non dipendeva dall’accadimento di turno, quel panico era tutto mio. Semplicemente sapevo anche che non sarei stata in grado di spiegargli che quel piccolo buco nero non mi succhiava via forza e tranquillità solo nei momenti brutti, a volte si presentava anche in quelli belli, e ancora più spesso mi aggrediva quando non provavo proprio nulla. Nessuno lo capiva mai.

‘È colpa del brutto voto’, dicevano, ‘Sarà a causa del litigio, ma vedrai che passerà’, ‘Perché sei triste? Perché sei in ansia? Non ne hai ragione, hai una vita tanto fortunata’, ‘Pensa a chi ha problemi veri invece di inverartene di inesistenti e piangere per il nulla’.

Quante volte avevo sentito fasi del genere, e per quanto Raffaele mi fosse stato accanto la volta precedente, temevo di udire parole simili anche da lui.

Era più facile ammettere un attacco di panico se a giustificarlo c’era un evento negativo.

In quel momento la delusione che provavo verso me stessa era tanto forte da essere quasi una presenza, per un attimo credetti di percepirla realmente mente mi lambiva la pelle, poi però vidi attraverso gli occhi offuscati dal panico delle mani posarsi sulle mie.

Non stavo immaginando quelle sensazioni, c’era realmente una persona dietro di me che mi abbracciava.

Voltami era un’impresa titanica, perciò ci rinunciai senza neanche provarci. Sapevo già che era Raffaele, avevo memorizzato il suo profumo solo pochi minuti prima.

Feci per scusarmi, tuttavia lui mi zittì delicatamente.

- Va tutto bene. -.

- Non è vero, io… io non so cosa dire, mi spiace che tu debba subire questa scena imbarazzante. -.

- Non ho ragione di essere in imbarazzo, come non ne hai tu. È tutto a posto, tranquilla. -.

- La colpa è mia, tu non c’entri niente… credimi non dipende assolutamente da te, o dal bacio, o dalla giornata in generale... -.

- Margherita? -.

Feci un respiro profondo – Dimmi -.

- Non pretendo di capire quello che ti passa per la mente in questo istante, ma suppongo che cercare di spiegarmi la cosa adesso non ti aiuti, quindi facciamo una cosa. Ora vado a comprare una bottiglietta d’acqua così tu bevi qualcosa, poi restiamo qui finché ne avrai bisogno. Non importa se saranno cinque minuti o due ore, io non ho fretta. Se alla fine ti sentirai meglio e ne avrai voglia, faremo un giro sulle montagne russe e dopo andremo sulla torre okay? -.

Feci di sì col capo, Raffaele aspettò comunque qualche istante prima di lasciarmi andare.

Quando fu di ritorno con l’acqua ci sedemmo, passò una mezzora prima che mi sentissi in grado di affrontare le giostre. In quel tempo Raffaele tenne fede alle sue parole e non mi fece alcuna pressione per scoprire cosa era successo.

Le montagne russe furono più spaventose del previsto, tuttavia la mano di quel ragazzo dall’apparenza tanto burbero non mi lasciò nemmeno per un secondo.

Il ritorno verso Bari fu lungo, avevo necessità di rassicurare Raffaele e spiegarmi, ma non trovavo il coraggio per farlo. Arrivati sotto casa mi obbligai a parlare.

- Tu mi piaci. -.

Ma cosa dici Margherita? Cosa centra ‘sta cosa adesso? Pensai.

La frase mi era uscita di botto e di certo non era quella con la quale avrei voluto iniziare il discorso, lui però non lo sapeva, anzi si aspettava che continuassi a parlare.

Mi dissi che ormai il danno era fatto, una figura di merda in più in quella giornata non avrebbe cambiato nulla, poi ripresi – Appurato questo, potrai capire che il mio momento di defiance non ha nulla a che vedere con una reazione negativa a quello che è successo tra di noi. -.

Alla sua non risposta chiesi -Beh? Nessun commento da fare? -.

- Usi sempre un linguaggio tanto formale quando cerchi di spiegarti? -.

Lo fissai, aveva il suo sguardo mezzo beffardo, - Tu sei una persona davvero antipatica. -.

Rise – Marghe, ho capito quello che vuoi dirmi, e ti credo, ma temo che per esserne certi ci toccherà ricostruire una situazione simile. -.

- Cioè vuoi baciarmi ancora per amore della scienza? -.

- In principio sei venuta da me per la chimica no? Dovresti sapere che ci tengo a queste cose. -.

- Sei veramente un’idiota -. Dissi ridendo.

Mi sfiorò la guancia con le labbra, io lo guardai ed uscii dall’auto.

Aspettò che entrassi nel portone prima di mettere in moto per andare via, quando fui certa di non sentire più il rumore del motore scesi e andai in cortile, avevo bisogno di aria fresca.

Seduta lì iniziai a riflettere. Raffaele era riuscito non solo a salvare la giornata, ma anche ad affrontare il discorso alleggerendolo dalla pesantezza che aveva caratterizzato il viaggio, nonché da quella che avevo dato io alla cosa.

E oltretutto non era scappato a gambe levate.

Mi aveva visto, per la seconda volta, in uno dei miei momenti meno appaganti, aveva assistito ad un mini attacco di panico dopo un bacio.

Chiunque avrebbe deciso di mandarmi male e trovarsi una ragazza più tranquilla, lui invece non solo era rimasto, ma mi aveva persino fatto intendere che voleva continuare quella frequentazione.

Voleva rivedermi.

Voleva ribaciarmi.

 

 

   
 
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