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Autore: Frytty    03/10/2017    0 recensioni
Pezzi di vita di Jake e Cora, della loro storia d'amore, delle loro giornate no, del loro vivere insieme, della loro famiglia, da ricomporre e scomporre per dar vita al loro essere unici ed insieme.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All Too Well'
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Buonasera ragazze!

 

Lo so, lo so, sono completamente sparita e di questo mi dispiace. Purtroppo, nell’ultimo anno la scrittura è stato l’ultimo dei miei pensieri: zero ispirazione, zero tempo e idee che, gira e rigira, erano sempre le stesse, quindi ho “mollato” tutto e mi sono messa in pausa.

 

Da circa un mesetto, però, la voglia di aprire una nuova pagina e scrivere qualcosa è rispuntata fuori e complice anche un lavoro di traduzione piuttosto duro e stressante che stavo cercando di portare a termine, ho deciso di assecondare la cosa, quanto meno per staccarmi un po’ dal lavoro, appunto.

 

Ne è venuta fuori questa nuova Shot su Cora e Jake.

 

Vi avviso, è melensa e probabilmente vi causerà una carie, però, boh, forse il pre-ciclo ha influito sul romanticismo, perciò prendetevela con lui :D

 

Non voglio annoiarvi oltre, perciò aggiungo soltanto che non prometto regolarità assoluta negli aggiornamenti, ma cercherò di sfruttare l’onda dell’ispirazione (fin quando c’è).

 

Vi lascio al capitolo: ENJOY!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8. Like a drug

 

 

 

Quello che spaventa di più della distanza

è che non sai se gli mancherai

o se ti dimenticherà.

 

~Nicholas Sparks~

 

 

 

«Non ho bisogno di compagnia! So stare da sola!» Borbottò Cora, lanciandosi sul piumone colorato e osservando il soffitto.

«Disse colei che ha continuato a inondarmi di SMS per tutta la giornata perché si annoiava…» Rispose Sarah, sovrastando la voce di Holly, quella a cui era diretta in realtà la chiamata.

«Erano informazioni di lavoro!» Tentò di difendersi.

«Non c’è niente di male, Cora. É normale e ci siamo passate tutte, prima o poi; sai, impegni di lavoro, una chiamata improvvisa, progetti all’estero…» Holly riprese il controllo del telefono, sorridendo del tentativo di Cora di giustificarsi, senza riuscirsi appieno.

Il problema non era la noia o la solitudine e neanche il fatto di aver deciso, per una volta, di non passare per la solita melodrammatica.

Era una questione di mancanza, qualcosa che non aveva sperimentato neanche quando il suo ex ragazzo era dovuto partire all’improvviso per la Spagna per risolvere una questione di lavoro che si era protratta per più di due settimane. Lei aveva semplicemente continuato a condurre la sua vita e ad avere la solita routine. Certo, le era mancato, ma non così.

E il problema consisteva anche nel fatto che nessuna delle sue amiche potesse capire davvero, perché nessuna di loro (fatta eccezione per Sarah) sapeva che era fidanzata con Jake Gyllenhaal.

Aveva semplicemente detto loro che aveva cominciato a frequentare qualcuno e alle loro domande curiose su chi fosse il fortunato, aveva risposto che faceva l’attore di teatro e aveva ottenuto qualche piccolo ruolo in TV. Doveva ammettere che l’avevano osservata con un’espressione poco convinta per tutta la giornata, ma la conoscevano, sapevano che era piuttosto riservata e che aveva bisogno di tempo per aprirsi fino in fondo, perciò avevano lasciato cadere la cosa e non avevano insistito neanche per incontrarlo di persona, cosa per cui Cora era grata.

Non se l’era sentita di spiattellare il nome di Jake e non perché non si fidasse delle sue amiche o perché pensava che fossero delle pettegole e l’avrebbero rivelato a tutto l’ufficio, ma perché non era ancora pronta ad affrontare l’isteria che avrebbe sicuramente causato quella confessione.

Con Jake non aveva partecipato a nessun evento pubblico e nonostante qualche foto paparazzata, poteva dire di essere ancora quasi del tutto nell’anonimato e le andava bene così.

Avrebbe confessato a tempo debito.

«Sì, beh, Ryan non ti ha mai abbandonata per due mesi…» Rispose con un sospiro silenzioso.

Holly rise appena perché era vero.

«Non sei stata abbandonata! Smettila di lamentarti e raggiungici, piuttosto!» Sbottò Sarah, strappando il cellulare dalle mani di Holly.

«Ah-ah, prima che tu possa anche solo pensare di darci buca, sappi che abbiamo già ordinato la tua pizza preferita, abbiamo fatto scorta di schifezze varie, riempito il salone di Holly di cuscini e coperte e sintonizzato la TV su un programma trash. Non puoi proprio rifiutare, mi dispiace.» Bonnie interruppe la sua risposta negativa e Cora si ritrovò a espirare il suo no, non mi va.

Sbuffò appena, ma solo perché non voleva dargliela vinta così facilmente, mettendosi seduta sul letto.

«D’accordo, va bene, arrivo.» Si rassegnò alla fine, anche se sorrise quando sentì le grida di giubilo di Sarah e Holly prima di porre fine alla chiamata.

Era già in tuta, visto che poco prima di chiamare Holly aveva deciso di fare una doccia, perciò doveva solo infilare un paio di sneakers, recuperare la borsa e Leo, il cane di Jake che le era stato affidato solo dopo un miliardo di raccomandazioni e uscire di casa.

In fondo, in quelle settimane aveva cercato di fare del suo meglio; fortunatamente il lavoro occupava gran parte della sua giornata e quando Sarah o Holly o entrambe, non la costringevano a uscire, cercava comunque di tenersi impegnata: si era offerta come baby-sitter di Ramona e Gloria per qualche sera, quando Maggie e Peter erano impegnati altrimenti, portava a spasso Leo regolarmente e aveva persino ceduto agli inviti di sua madre che, a suo dire, aveva smesso di andarla a trovare da quando frequentava Jake, cosa sulla quale Cora aveva preferito soprassedere, sapendo che sarebbe stata, in ogni caso, una battaglia persa in partenza.

Prima di andare a letto, quando aveva già indossato il pigiama e stava finendo di sorseggiare un tè caldo, telefonava a Jake, anche se faceva ancora confusione con il fuso orario e ogni singola volta sperava di non disturbarlo.

Al suono della sua voce sospirava quasi di sollievo, neanche avesse trattenuto il respiro per tutta la giornata e solo in quel momento avesse modo di riprendere fiato.

Sorrideva come un’ebete mentre discutevano del più e del meno e si prendevano in giro come dei bambini.

Poi, calava un silenzio pacifico, quasi un’attesa, la sensazione di non avere più niente da dire, ma di non essere comunque in grado di porre fine a quella chiamata, perché li avrebbero separati altre 24 ore fino alla prossima.

Cora smetteva di sorridere e si mordeva le labbra, il cuore che le batteva a mille.

 

«Cora…?»

«Mm?» 

«Mi manchi.»

 

Jake glielo diceva tutte le sere ed era sempre così, con quelle poche parole, che si interrompeva il silenzio.

 

«Mi manchi anche tu.» Glielo sussurrava come se fosse un segreto e avvertiva il suo sorriso che, di riflesso, faceva tornare a sorridere anche lei.

 

Quando Jake le aveva parlato di quel progetto a cui aveva intenzione di prendere parte, da un lato si era detta contenta che avesse trovato subito qualcos’altro a cui dedicarsi, dall’altro sapeva che sarebbero stati lontani per qualche mese e la cosa la spaventava. Non gliel’aveva dato a vedere, perché non voleva intralciarlo e aveva cercato di non pensarci perché sarebbe trascorso ancora del tempo prima dell’inizio delle riprese in Europa e non voleva sprofondare nella paranoia.

Jake però la sua inquietudine l’aveva intuita nonostante tutte le precauzioni prese da Cora. Se ne era reso conto quando la sorella gli aveva chiesto maggiori dettagli in merito e lei, Cora, intenta a tagliare le verdure, si era irrigidita di colpo, gli occhi ancora fissi sulla carota che aveva ripreso a tagliare dopo qualche secondo. Maggie non se ne era neanche resa conto, ma lui sì e non soltanto perché ce l’aveva esattamente di fronte.

Aveva anche notato che, da quando ne avevano discusso, Cora rientrava prima dal lavoro, non apriva mai le pratiche durante i week-end e la sera la trascorreva spesso insieme a lui, niente lavoro di mezzo. Non che se ne lamentasse, anzi, ma sapeva della dedizione di Cora per il suo lavoro e comprendeva il suo voler dare sempre il massimo, anche se questo significava rimanere sveglia fino a tardi o lavorare nei week-end. Lei era fatta così e quegli improvvisi cambiamenti lo facevano riflettere.

Non era semplice frequentare un attore, specialmente se di fama internazionale e non era semplice abituarsi ai suoi ritmi o alla sua vita fatta di paparazzi, premier, eventi e riprese.

Cora era stata fin troppo tollerante: non aveva dato di matto alla vista dei fotografi, né si era lamentata di essere stata seguita fino a lavoro. Jake sapeva quanto fosse difficile abituarsi alle attenzioni dei media e non l’aveva forzata a partecipare a eventi, premier, premiazioni e quant’altro, soprattutto per non metterla a disagio, per farle capire che, nonostante il marasma mediatico, avrebbero comunque potuto vivere una vita tranquilla, come qualsiasi altra coppia.

Si erano impegnati entrambi sotto quel punto di vista e le cose procedevano bene.

Le aveva chiesto se ci fosse qualcosa che la preoccupasse, se il fatto di rimanere lontani le causasse ansia o disagio, non perché non fosse una donna indipendente, perché si era sempre fatta valere in quel senso, ma perché affrontare i paparazzi o i giornalisti da sola era tutto un altro paio di maniche. Non conoscevano il suo nome e Jake aveva chiarito con la sua pubblicista che avrebbe preferito non dare in pasto in quel modo la sua vita privata. Ovviamente, per i paparazzi era tutta un’altra storia, ecco perché spesso era Jake a fermarsi a dormire da lei, perché il suo appartamento era in una zona meno in vista di New York.

Lei aveva risposto che andava tutto bene, che era tranquilla e che non ci sarebbero stati problemi, anche se avessero dovuto scoprire qualcosa in più sul suo conto; quando aveva accettato di frequentare Jake sapeva di aver accettato anche tutto ciò che lo circondava.

Aveva pensato, allora, di lasciar cadere la cosa, perché non voleva risultare insistente.

Il giorno prima della partenza, Cora era un fascio di nervi. Non capiva neanche lei perché fosse così preoccupata. Possibile che non riuscisse a fare a meno di lui neanche per un paio di mesi? Era davvero soltanto quello il problema?

Aveva deciso di accompagnarlo in aeroporto ed erano riusciti a mantenere un basso profilo, soprattutto perché nessuno sembrava fare caso a loro.

Una volta terminato il check-in, avevano trascorso l’ora che lo separava dall’imbarco seduti su una delle innumerevoli sedie delle aree d’attesa, semi-deserte.

Jake l’aveva trascinata sulle sue gambe e Cora gli aveva circondato le spalle con un braccio, giocherellando con i suoi capelli, più lunghi di quando l’aveva conosciuto diversi mesi prima. Con la mano libera cercava di dargli fastidio e di farlo sorridere, delineando ora un sopracciglio, ora il profilo del naso, il mento e gli occhi. Lui l’aveva studiata come se non avesse dovuto rivederla più, accarezzandole i capelli rossi, per poi stringerli delicatamente, avvolgendoseli intorno alla mano chiusa a pugno.

Non ricordava di essere stato mai così silenzioso con lei, non l’aveva mai guardata così a lungo negli occhi da credere di poterle leggere dentro e non aveva mai avuto la sensazione di essere solo, solo con lei, senza nessuno intorno, rinchiuso in una bolla che estraniava entrambi dalla realtà esterna.

L’aveva baciata a lungo prima di andare via e l’aveva stretta a sé, costringendola a sollevarsi sulle punte dei piedi.

 

«Fà la brava. » Le aveva detto scherzando, scompigliandole i capelli.

«Quello che deve fare il bravo sei tu.» Aveva sorriso lei, facendogli una linguaccia.

 

Si era allontanato prima di cambiare idea e l’aveva vista salutarlo con la mano fino a quando non era stato costretto a entrare nel tunnel che l’avrebbe condotto direttamente all’interno del velivolo.

Cora aveva trascorso il resto della giornata a lavoro e poi a cena con le amiche, cercando di distrarsi, fin quando Jake non le aveva inviato un SMS per informarla di essere giunto a destinazione. Non aveva risposto, perché sapeva quanto lui non fosse esattamente il tipo da SMS e aveva deciso di chiamarlo direttamente prima di andare a dormire. Era così che era iniziato quella sorta di rituale della chiamata della buonanotte (almeno per lei).

 

Cora ripensò a quelle sei settimane scarse che erano già trascorse, mentre era ferma a un semaforo, in attesa del verde.

Non era abituata a quella sensazione, non era abituata a essere così ossessiva, non era abituata a pensare a un ragazzo ventiquattro ore al giorno, qualsiasi cosa facesse e non era neanche abituata a provare quella nostalgia.

Forse era ancora troppo presto, in fondo stavano insieme da pochi mesi ed era la prima volta che Jake si allontanava per così tanto tempo da New York, non era pronta e quel progetto era venuto fuori quasi all’improvviso, facendola crollare. Aveva avuto tutto il tempo per metabolizzarlo, ma la verità era che aveva solo cercato di non pensarci e questo non aveva fatto altro che gravare sul suo disagio in crescita. Se qualcuno le chiedeva se andasse tutto bene, lei rispondeva di sì, sorrideva e andava avanti con la vita di tutti i giorni, quando invece tutto quello che avrebbe voluto fare sarebbe stato rispondere di no, confessare quanto fosse in ansia per quel distacco, seppur breve, e lasciarsi magari rassicurare.

Era stata schiva, come al solito; non aveva avuto il coraggio di dirlo neanche a Jake e lui aveva rispettato il suo silenzio, perché era ovvio che non si fosse bevuto nessuna delle sue semplici scrollate di spalle.

La lontananza la pietrificava perché aveva visto sua madre soffrirne quando suo padre era andato via di casa e lei aveva solo pochi mesi. Era cresciuta senza sapere cosa significasse avere un padre, ma la cosa che l’aveva più ferita erano stati gli occhi di sua madre quando fissava una loro vecchia foto in salotto.

Era lo stesso sguardo con il quale si era trovata a confrontarsi tutte le mattine da sei settimane a quella parte: spento e opaco.

Il suo cervello sapeva benissimo che Jake non l’avrebbe abbandonata, sapeva benissimo che era via per lavoro; il suo cuore però si rifiutava di capirlo ed era anche per questo che era un sollievo sentire la sua voce al telefono, sentirgli dire che le mancava. Il vuoto e lo sconforto scomparivano per un po’, giusto il tempo di svegliarsi e cominciare a prepararsi per la giornata; poi, mentre era a lavoro, immersa nelle carte, avvertiva un vuoto allo stomaco familiare e sapeva che sarebbe cominciato tutto daccapo fino alla telefonata successiva.

 

Qualcuno dietro di lei suonò il clacson e Cora si rese conto di essersi distratta tanto da non aver visto scattare il verde. Accelerò e proseguì in direzione di casa di Holly.

Posteggiò davanti all’edificio e fece scendere anche Leo, recuperando poi il borsone che si era portata dietro per la notte.

Holly abitava in un edificio piuttosto periferico, ma non era uno di quei quartieri dove avresti avuto paura a gironzolare sola di notte, anzi. I viali erano ben illuminati e non c’era traccia di degrado. Se pensava che il palazzo dove aveva preso in affitto il suo appartamento, nonostante si trovasse in una delle vie più centrali della città, presentava una serie di carenze di manutenzione, tra cui il cancello che portava al cortile completamente divelto e la vecchia scala antincendio praticamente pericolante e prossima a cadere, doveva ammettere che l’appartamento di Holly era quasi di lusso.

Cora citofonò e il portone si aprì quasi immediatamente. Leo la strattonò verso le scale.

«Ehi, cos’è tutta questa fretta?»

Leo si fermò al terzo piano, abbaiando.

«Shh! Che ti prende?» Cora lo accarezzò, cercando di tranquillizzarlo.

Non ebbe bisogno di bussare, perché la porta si aprì e Leo quasi saltò in braccio al suo padrone, cogliendo di sorpresa Cora che non ebbe neanche il tempo di trattenerlo per il guinzaglio.

Poi, con qualche secondo di ritardo, si rese conto di trovarsi di fronte Jake e non Holly o una delle sue amiche.

«Che…? Cos…?» Non riusciva neanche a formulare una frase di senso compiuto.

Jake, che nel frattempo aveva tranquillizzato Leo, facendolo entrare in casa, la osservò dibattersi nel tentativo di esprimersi.

«Cosa ci fai qui?» Riuscì a borbottare alla fine. Non era esattamente quello che avrebbe avuto intenzione di dire, ma era così sorpresa che il suo cervello aveva deciso di non collaborare.

«Lo abbiamo invitato noi.» Si intromise Bonnie, sbucando sulla soglia della porta, sorridendo.

«Ma quando…?» Sarah non le fece neanche completare la frase, sbucò da sotto il braccio di Jake e la tirò dentro casa senza tante cerimonie.

«Sono sei settimane che sorbiamo i tuoi sospiri nostalgici e adesso che ce l’hai di fronte non lo saluti neanche?» Holly incrociò le braccia al petto indispettita.

«É che è così…» Ma neanche questa volta ebbe modo di completare la frase, perché si ritrovò stretta tra le braccia di Jake senza neanche rendersi conto di come ci fosse finita.

La sollevò appena da terra, stringendola a sé e accarezzandole i capelli.

«Ciao.» Le mormorò in un orecchio, facendole venire i brividi. Le era mancata la sua voce dal vivo.

«Ciao.» Tirò su col naso, imponendosi di non piangere. Era lì, con lei e non c’era bisogno di versare lacrime.

Cora inspirò il suo profumo, lasciandosi solleticare dall’accenno di barba sul suo viso, rendendosi conto che il cuore le batteva all’impazzata e che aveva lo stomaco sottosopra.

Quando Jake le fece poggiare nuovamente i piedi a terra, liberandola dall’abbraccio, Cora si asciugò le lacrime con la manica della felpa che indossava, notando lo sguardo sognante delle sue amiche.

Jake le strinse la mano, intrecciando le dita alle sue.

Quando Sarah l’aveva chiamato, aveva subito pensato che fosse successo qualcosa, ma lei l’aveva tranquillizzato subito, parlandogli della sorpresa che lei e due altre amiche avevano intenzione di fare a Cora e che consisteva nella sua comparsa improvvisa a casa di una di loro, mentre Cora avrebbe creduto di stare per partecipare a un semplice pigiama party tra ragazze.

L’occasione si presentava a pennello, perché aveva qualche giorno libero e aveva pensato di fare ritorno a New York per trascorrere qualche giorno in famiglia e con Cora, che anche se non avrebbe mai ammesso di sentire moltissimo la sua mancanza, lui sapeva che era così, perché era quello che provava anche lui.

Gli mancava svegliarsi con lei, osservarla mentre gironzolava per casa, sbocconcellando biscotti, vederla indossare una sua camicia o una sua felpa, nonostante fossero molto più grandi di lei e gli mancavano il suo sorriso e i suoi capelli rossi costantemente spettinati.

Insomma, non era riuscito a dire di no e aveva preso il primo volo disponibile da Parigi.

Era così sollevato di averla nuovamente tra le braccia, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

«Grazie ragazze, siete le migliori.» Mormorò Cora a tutte, abbracciandole in gruppo.

«Avresti dovuto dircelo che si trattava di Jake Gyllenhaal! Abbiamo quasi avuto un infarto quando Sarah ce l’ha detto!» La rimproverò Holly sottovoce affinché il diretto interessato non sentisse.

«L’avrei fatto, lo giuro! Era ancora troppo presto, tutto qui.» Forse le sue scuse non erano abbastanza, perché si trattava di una notizia importante e, se fosse stato qualcun altro, non si sarebbe fatta alcun problema a parlarne alle amiche. Con Jake era successo tutto in fretta e non voleva che la notizia scatenasse una bomba di pettegolezzi in ufficio.

«Beh, ringrazia che Sarah ci ha fatto un corso rapido di respirazione yoga, altrimenti avremmo avuto un collasso, credimi.» Rise Bonnie.

«In realtà, l’abbiamo fatto per noi, per la nostra sanità mentale.» Sbottò Sarah, la bocca piena di patatine, tornando alla questione principale: la loro sorpresa.

«Non dar loro retta, non sono stata così catastrofista, in realtà.» Si sentì in dovere di giustificarsi con Jake, che le stava osservando sorridente, le braccia incrociate al petto.

«No, altroché! Molto peggio! A lavoro sentivo i suoi sospiri dalla stanza accanto!» Continuò Sarah, noncurante, recuperando la ciotola di patatine che aveva abbandonato sulla mensola dell’ingresso prima di abbracciare Cora.

Jake rise, mentre Cora fingeva di stritolarla con la sua sciarpa.

«Che ne dite se iniziamo a guardare il film? Non voglio assistere a un omicidio.» Bonnie condusse tutti in salotto, dove la TV era stata lasciata accesa, il DVD già inserito.

Quando si riunivano per un pigiama party, sceglievano sempre qualche classico, qualcosa che avevano già visto e rivisto, ma che, nonostante tutto, non riuscivano a smettere di proporre per una di quelle serate.

Quella sera era toccato a Harry Potter; solitamente riguardavano tutta la Saga, se riuscivano a non addormentarsi, cosa che immancabilmente accadeva tra il quinto e il sesto capitolo.

Cora prese posto sul suo solito cuscino, invitando Jake a sedersi accanto a lei. Le altre presero posto più o meno come al solito, mentre Leo aveva pensato bene di poggiare il muso sulle gambe incrociate di Cora, rilassandosi.

Commentavano le solite scene, sgranocchiando pop-corn e patatine, lanciandoseli persino a vicenda se non si trovavano d’accordo o se qualcuna provava ad addormentarsi.

 

Dopo venti minuti dall’inizio di Harry Potter e l’Ordine della Fenice, avevano tutti ceduto al sonno, tranne Cora e Jake che aveva cambiato posizione, sistemandosi dietro di lei per averla più vicina, avvolgendole le braccia intorno alla vita.

«Mi sei mancata.» Le disse a bassa voce, cercando di non svegliare nessuno, baciandole una tempia.

Cora non si prese neanche la briga di rispondere che aveva sentito la sua mancanza anche lei, più di quanto avrebbe mai immaginato; si voltò verso di lui e incontrò le sue labbra, accarezzandogli i capelli. Era incredibile come il suo stomaco ancora facesse le capriole quando lo baciava. Sarebbero mai scomparse quelle farfalle?

Non seppe nemmeno quanto tempo trascorsero lì a baciarsi, sfiorandosi ora le spalle, ora le braccia, ora il viso e i capelli, fatto stava che furono costretti a separarsi quando Cora venne colpita in testa da una manciata di pop-corn.

«Non potete oltraggiare così casa mia!» Borbottò Holly, mezza intontita dal sonno, puntando loro un dito contro a mo’ di rimprovero.

Jake rise, nascondendosi contro la spalla di Cora per attutire il rumore.

Cora le tirò addosso un cuscino che Holly a sua volta rilanciò contro di lei, colpendo però il povero Leo che, assopitosi, si svegliò di scatto, abbaiando spaventato e calpestando le figure addormentate di Sarah e Bonnie poco distanti che, noncuranti del trambusto, si voltarono semplicemente dall’altro lato, continuando a dormire.

Jake richiamò Leo, accarezzandolo e tranquillizzandolo.

«Forse è meglio che io torni a casa. Ci vediamo… tra qualche ora, direi.» Osservò l’orologio che segnava già le due e mezzo del mattino.

«Puoi restare, Holly è solo gelosa.» Rispose Cora facendo una linguaccia all’amica che ricambiò con un mezzo sorriso divertito.

«Oh, beh, di questo puoi esserne certa.» Le fece l’occhiolino, facendola ridere, coinvolgendo anche Jake che si alzò in piedi e optò per la circumnavigazione dell’isola di cuscini per raggiungere il salotto, onde evitare di pestare qualcuno nel buio della stanza.

Cora lo seguì, chiudendosi la porta del salotto alle spalle.

«Posso venire con te.» Non aveva voglia di salutarlo, anche se per poche ore.

«Ho mandato all’aria la vostra serata tra amiche e ho bisogno di una doccia e di qualche ora di sonno per riprendermi dal jet-lag. Posso passare a prenderti per andare a fare colazione insieme.» Le propose, sistemandole i capelli dietro le orecchie.

Cora mise il broncio come una bambina, facendolo sorridere.

«Questa scena l’ho già vista.» Rise, ricordandosi di quella volta che era andato a trovarla a casa sua e lei aveva cercato di trattenerlo, rischiando di mandare all’aria i suoi buoni propositi di non bruciare tutte le tappe nell’immediato.

«Non cercare di farmi cambiare idea.» Continuò.

«Perché no?» Cora gli si avvicinò di un passo.

«Sei un’inguaribile testarda, lo sai?» Jake si chinò appena per baciarle un angolo della bocca e poi trarla a sé per abbracciarla.

«Allora rimani tu qui.» Insistette, afferrando un lembo della sua felpa e trattenendolo.

«Guarda che non vado da nessuna parte. Passo a prenderti alle otto e mezzo, d’accordo?» Aprì la porta, avanzando sul pianerottolo buio con Leo alle calcagna.

Cora sospirò rassegnata.

Lei era testarda.

 

Qualche ora dopo, quando si svegliarono, la sveglia segnava le sette e il menu del DVD del sesto capitolo della Saga del maghetto con la cicatrice lampeggiava sullo schermo della TV.

Cora era riuscita a dormire soltanto un’ora e mezza, ma non si sentiva stanca, complice il fatto che di lì a poco avrebbe rivisto Jake.

Si recò in bagno per darsi una sistemata e cambiarsi e quando svoltò in cucina per un bicchiere d’acqua, le sue amiche erano lì che facevano colazione. Avevano apparecchiato anche per lei e le avevano conservato una tazza di caffè bollente che Cora non rifiutò.

«Cos’è quella faccia?» Domandò, riferendosi all’espressione maliziosa di Holly che stava imburrando una fetta biscottata senza guardarla.

«La mia faccia da “sai che devi dirci tutto, vero?”» Rispose.

«A proposito di cosa?» Finse di non aver capito, sorseggiando il suo caffè, ma in realtà sapeva benissimo che le sarebbe toccato un terzo grado di prim’ordine.

«Non cercare di fare la finta tonta! Sai benissimo di cosa stiamo parlando, anzi, di chi.» Rincarò la dose Bonnie.

Cora arrossì, nascondendosi nuovamente dietro la tazza di caffè.

«Non c’è molto da dire, ragazze.» Rispose alla fine, facendo spallucce.

Bonnie, Holly e Sarah si scambiarono uno sguardo da “sì, certo, ci crediamo”.

«Dico sul serio! Sarah è stata testimone del nostro incontro… beh, quasi.» Aggiunse.

«Ehi, non vale! Non tirarmi in mezzo! Io non so niente di niente.» Sarah alzò le mani a mo’ di discolpa.

Effettivamente, Sarah sapeva solo che frequentava Jake Gyllenhaal, l’attore per il quale aveva una cotta da anni, che spesso dormiva a casa sua e che altrettanto spesso trascorrevano la pausa pranzo insieme.

Cora non era mai stata così restia a parlare di una sua relazione, eppure sentiva che qualsiasi cosa ci fosse tra lei e Jake doveva essere protetta, anche dalle persone di cui si fidava di più.

«Ti lasciamo in pace solo se ci sveli qualche dettaglio piccante.» Ammiccò Holly.

Cora era sicura di essere diventata viola a giudicare dal calore che sentiva provenire dal viso.

Lanciò contro l’amica un tovagliolo appallottolato che la fece ridere.

Ecco un’altra di quelle cose che preferiva tenere per sé. Avrebbe dovuto confessare loro di aver perso la verginità con Jake? Sarebbe stato semplice formulare la frase, quanto sarebbe stato difficile pronunciarla; senza contare che le sue amiche neanche sapevano che fosse vergine prima di Jake.

«Vogliamo solo sapere se è ben piazzato come dicono.» Scrollò le spalle Bonnie.

«Come dicono?» Cora quasi si strozzò con l’acqua che stava bevendo.

«Sì, le riviste.» Spiegò Sarah.

Non sarebbe mai uscita da quella situazione se non avesse dato loro una risposta almeno un pelo convincente.

«Non ho notato niente di strano, è il massimo che posso concedervi.» Si alzò allo squillo del cellulare, rossa come un pomodoro; Jake la stava aspettando.

«Ci abbandoni così?» Holly mise il broncio, come lei la sera prima.

«Vi chiamo più tardi, promesso.» Recuperò giacca, sciarpa e borsone, salutandole poi con un bacio sulla guancia.

 

Quando entrò in macchina tirò un sospiro di sollievo per aver evitato una delle conversazioni più imbarazzanti di sempre.

«Tutto bene?» Le chiese Jake, osservandola.

Cora annuì, voltandosi verso di lui: aveva indossato il maglione blu notte di cui lei si era indebitamente appropriata pochi giorni dopo la sua partenza, la canotta bianca che sbucava appena fuori dal colletto.

Aveva un aspetto più riposato della sera prima e i capelli meno arruffati.

«Mi hai appena salvata da un terzo grado spietato.» Completò, visto che il suo annuire era stato poco esplicativo, avvicinandosi per baciargli una guancia.

Jake rise mentre lei si allacciava la cintura di sicurezza.

«Non è stato divertente, non dovresti ridere.» Lo apostrofò, ma in realtà stava sorridendo anche lei.

«Beh, non hai visto la tua faccia quando sei entrata in macchina.» Si giustificò lui, voltandosi a guardarla.

«Non conosci le mie amiche, non sai cosa sono in grado di fare.» Potevi essere testarda quanto volevi, ma alla fine ti prendevano per sfinimento e c’era poco che tu potessi dire o fare per distrarle dal loro obiettivo.

Il traffico rallentava la circolazione, come sempre a quell’ora e ben presto rimasero anche loro imbottigliati in una coda.

Cora accese la radio e per un po’ rimase concentrata nella ricerca di una canzone che le piacesse.

Quei gesti e quei momenti la rassicuravano. Era successo altre volte che Jake insistesse per andare a fare colazione fuori nel suo giorno libero, perciò aveva la sensazione che fosse ritornata alla sua routine di sempre, Jake compreso.

Sapeva che avrebbero avuto solo qualche giorno da trascorrere insieme prima che lui ripartisse, ma in quel momento non le importava. Le era mancato sentirsi così rassicurata dalla sua sola presenza.

Jake la osservò sistemarsi i capelli dietro le orecchie affinché non le dessero fastidio mentre continuava a premere il pulsante per cambiare stazione radio. Osservò le lentiggini appena accennate e le ciglia lunghe, prive di mascara. Qualche ciocca di capelli le scivolò nuovamente lungo il viso e prima che potesse farlo lei, allungò le dita per sistemargliele di nuovo dietro l’orecchio. La osservò alzare gli occhi verdi su di lui e sorridere. Continuò a giocherellare con i suoi capelli anche quando Cora si ritrasse per tornare a sedersi composta, poggiando la nuca contro il sedile, voltandosi verso di lui divertita.

«Sei la prima persona a cui piacciono i miei capelli.» Era vero. Persino sua madre quando aveva diciassette anni aveva cercato di convincerla a tingerli di castano.

Jake scrollò le spalle.

«Sono innamorato perso dei tuoi capelli.» Replicò.

«E chi ti dice che ricambino?» Gli chiese lei.

«La loro padrona mi lascia fare.» Era ovvio.

«Per puro altruismo e perché non ho intenzione di diventare calva, cercando di divincolarmi.» Gli fece una linguaccia, alla quale Jake rispose pizzicandole un fianco, ridendo del suo tentativo di farsi più piccola per non subire il solletico.

Cominciarono a solleticarsi a vicenda, cercando di individuare i punti più sensibili, rendendosi conto altresì di essere incredibilmente infantili quando volevano.

Quando la coda di macchine avanzò, avevano entrambi il fiatone a furia di ridere.

 

Raggiunsero Broadway dopo una decina di minuti e altrettanti ne servirono per entrare nella caffetteria preferita di Cora, quella dove ormai era praticamente di casa, tanto che le servivano l’ordinazione senza che lei avesse bisogno di aprire bocca, perché era la stessa da quando aveva scoperto quel posto, durante una delle suoi peregrinazioni in città. Andava lì quando aveva bisogno di calma e tranquillità perché il locale aveva a disposizione un piccolo giardino sul retro con panche e tavoli di legno dove sembrava di essere rinchiusi in una bolla, isolata dal caos cittadino. Non a caso, non ci aveva portato mai nessuno lì, amiche o ex fidanzati che fossero, affinché quel luogo rimanesse un po’ il suo tempio, dove non era reperibile.

Con Jake aveva fatto un’eccezione e non ci aveva pensato su neanche troppo. Non era stata una questione di privacy, o meglio, non solo, però dopo che lui l’aveva praticamente messa a conoscenza di tutti i suoi posti preferiti, sentiva di dover quantomeno ricambiare e quello era l’unico luogo che conoscesse bene quanto le sue tasche, quindi la decisione era stata immediata e spontanea.

Cora salutò con la mano le bariste, che ricambiarono sorridendole e si diresse verso il giardino sul retro, praticamente deserto. Non era la prima volta che ci andava con Jake, ma aveva sempre la sensazione che lo fosse, probabilmente perché era lei che ogni volta che attraversava quella soglia si sentiva un’altra, in un modo che faticava a spiegarsi.

Si sedettero al primo tavolo disponibile e non ci volle molto perché Jen, la cameriera di turno, li servisse: due muffin ai mirtilli e due cappuccino.

Cora bevve subito un sorso del suo, sporcandosi il labbro superiore di schiuma, come al solito.

Mentre mangiavano il muffin, parlarono del più e del meno, come se non avessero mai smesso, anche se non avevano neppure cominciato, ridendo di qualche aneddoto che era avvenuto durante il viaggio di lui e di qualcos’altro che era invece successo a Cora in ufficio o mentre portava a passeggio Leo.

Quando smisero di parlare, come a riprendere fiato, come durante una delle loro telefonate, rimasero a osservarsi in silenzio, Cora giocherellando con la tazza ormai vuota.

«Sei mai stata a Parigi?» Le chiese, di punto in bianco, facendole sollevare gli occhi dalla tazza.

Cora fece segno di no con la testa, allungando una mano a incontrare la sua.

«Cosa diresti se ti dicessi che ci andrai fra tre giorni?» Continuò, sorridendo appena.

Cora, intenta a intrecciare le dita con le sue e poi a slegarle per intrecciarle nuovamente, si bloccò di colpo, guardandolo smarrita.

L’idea gli era venuta quando Sarah l’aveva telefonato, lamentandosi di quanto Cora la assillasse con il fatto che avrebbe voluto essere a Parigi con lui, anche perché aveva da sempre desiderato vedere Parigi e non ne aveva mai avuto l’occasione.

Era stato in quell’istante che aveva pensato che sarebbe stato bello vivere la città con lei, svegliarsi con lei accanto e addormentarsi senza attendere la sua telefonata, sapere che era lì, coinvolgerla nelle riprese e durante il ripasso del copione, presentarla alla troupe e ai suoi colleghi.

«Cosa vuol dire?» Fu l’unica cosa che riuscì a chiedere, vagamente frastornata.

«Che verrai con me. A Parigi.» Rispose lui.

Cora per poco non cadde dalla sedia. 

Lei. A Parigi. Con lui.

Lei. Nella città dei suoi sogni. Con lui.

Era tentata di tirarsi un pizzicotto per verificare che fosse tutto vero.

Non seppe se piangere o ridere, tanto che alla fine si sentì ridere mentre le lacrime le rigavano le guance.

Jake si alzò per occupare il posto accanto a lei, lasciandosi abbracciare.

«Non mi aspettavo così tanto entusiasmo. Stai piangendo!» La prese in giro, asciugandole le lacrime.

«Scherzi? É tutta la vita che sogno di andare a Parigi!» Rispose, tirando su col naso.

«Beh, adesso non sarà più solo un sogno.» Le riordinò i capelli dietro le orecchie.

Cora rise di nuovo.

«Tu sei pazzo, prima o poi mi farai licenziare.» Lo abbracciò ancora, inspirando il suo profumo e stringendosi a lui.

Jake la allontanò appena da sé per osservare i suoi occhi verdi, vivaci e ancora acquosi, prima di baciarla, prendendosi tutto il tempo necessario per assaporare le sue labbra, mentre lei portava una mano ad accarezzargli la nuca.

Cora era contenta che non ci fosse nessuno in giardino, in quel momento e che non sarebbero stati interrotti come la sera prima a casa di Holly.

Sei settimane senza sfiorarlo erano state una tortura sufficiente.

 

   
 
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