La
giusta decisione
Il
mondo al di fuori della finestra era ostile e spettrale. Un Dio
inascoltato
stava riversando le sue lacrime su una terra piena di uomini sordi, che
oramai
da tempo avevano smesso di prestare le orecchie alle sue preghiere o di
levare
le proprie verso di lui. I loro cuori erano così freddi che
quelle gocce di
pioggia non riuscivano a posarsi a terra se non sotto forma di neve.
Neve
bianca, candida, gelida, che ammantava ogni cosa, rendendo
più difficile
camminare, guidare o andare in bicicletta. Ma, in fondo,
perché affannarsi
nell’uscire di casa se poi gli occhi erano sempre incollati a
un cellulare, un
tablet, un libro, ignorando l’essere umano che sedeva di
fianco, ignorando
chiunque al di fuori del proprio guscio?
Non
aveva forse ragione quel Dio lontano a piangere
nell’osservare i suoi amati
figli ignorarsi, interessati solo a farsi la guerra e intessere
relazioni
superficiali per appagare i loro bisogni momentanei?
“Allora,
Sasuke… raccontami qualcosa di te.”
Non
c’era bisogno di stare in strada per avvertire
un’atmosfera ostile e gelida.
Anche in quella stanza opportunamente riscaldata, dai mobili in legno
che
contribuivano a dare un senso di calore e familiarità, con
poltroncine
imbottite e comode, c’era
altrettanto
gelo e chiusura.
Sasuke
voltò la testa per spostare lo sguardo dalla finestra
all’uomo seduto di fronte
a lui, vestito con un comodo cardigan e pantaloni di velluto.
Squadrò ogni suo
dettaglio, senza trovare niente di rilevante o che gli facesse intuire
qualcosa
sul suo carattere: i suoi abiti erano anonimi, non portava anelli
né orologi,
anche gli occhiali avevano una montatura sobria.
La
cosa lo irritò, benché si fosse messo lui stesso
in quella posizione di
svantaggio, doveva essersi proprio bevuto il cervello con tanto di
olivetta per
aver deciso di rivolgersi a uno psicologo.
“Non
so proprio cosa ci sia interessante che potrei dirle.”
L’uomo
fece un lieve sorriso e accavallò una gamba. Quel paziente
era singolare: aveva
rifiutato di dare il suo cognome e voleva pagare solo in contanti,
affermando
che non gli interessava niente della fattura. Si era persino
intestardito nel
non volergli dare il numero di cellulare, ma alla fine lo aveva
convinto
dicendogli che per qualsiasi contrattempo aveva bisogno di un contatto.
Inoltre
era molto più difficile risalire
all’identità di qualcuno da un numero di
cellulare che non da una mail.
Quella
rivelazione lo aveva fatto capitolare e, a denti stretti, gli aveva
dettato il
suo numero.
Non
era certo la prima né ultima persona che si vergognava a
chiedere l’aiuto di un
professionista come lui, facendo poi di tutto per mantenere segreta la
sua
privacy, ma di sicuro era stato il più testardo.
Lo
aveva accettato come paziente pur non conoscendo il suo cognome, era
solo una
questione di tempo in fondo, doveva prima guadagnarsi la sua fiducia.
“Se
avessi voluto sentire qualcosa di interessante avrei chiamato un mio
amico –
gli rispose, poggiando un gomito sul bracciolo e piegando il braccio
per
poggiare la testa sulla mano – qualsiasi cosa che ti passa
per la testa andrà
bene. Per esempio puoi parlarmi dei tuoi amici, o di cosa ci fosse di
tanto
interessante fuori dalla finestra.”
Sasuke
fece una smorfia e accavallò a sua volta le gambe in una
posa fintamente
rilassata, in realtà era teso come la corda di un violino,
ma cercava di
dissimulare.
“Non
mi chiederà dei miei genitori o dei sogni che
faccio?”
“Oh
no, buon dio, no! – rise lo psicologo divertito –
Freud e le sue teorie sui
sogni e sui genitori sono abbastanza superate, quindi sta’
pur certo che non ti
chiederò se sogni peni giganti che entrano in vagine o se
provi un affetto
insano verso tua madre. È solo una chiacchierata tra noi
due, qualsiasi cosa
rimarrà qui, anche se tu dovessi aver commesso un
omicidio… ma tu non ne hai commesso
uno, vero Sasuke?”
“No,
certo che no” rispose il ragazzo, ammorbidito dal suo tono
divertito nonostante
le proprie resistenze.
“Bene,
avrei avuto un po’ di paura a incontrarti
altrimenti” sorrise ancora l’uomo.
Quel
ragazzo era il più classico esempio di persona che rifiutava
l’aiuto di cui
aveva bisogno, e che aveva chiesto in uno sprazzo di annebbiamento
dell’orgoglio. Era palese che non voleva trovarsi
lì, ricorreva a battutine
acide, atteggiamenti e frasi denigratorie verso la sua professione, nel
tentativo di convincersi che lo psicologo era un ciarlatano e lui non
ne aveva
nessun bisogno, perché stava bene, non esisteva nessun
problema.
Invece
quel problema c’era, ed era piuttosto grosso, era solo
compito dello psicologo
portarlo delicatamente alla luce, come un archeologo alle prese col
ritrovamento di un antichissimo e fragile reperto.
“Se
avesse avuto così tanta paura avrebbe potuto rifiutare di
vedermi” minimizzò
Sasuke, sempre sulla difensiva.
“No,
non funziona così – lo contraddisse –
sei un mio paziente ora, ho un dovere nei
tuoi confronti e oltre a questo anche un interesse a farti stare
meglio, anche
se avessi avuto paura. Sono qui per te, Sasuke, unicamente per te. Per
questo
di qualsiasi argomento vorrai parlarmi, qualsiasi cosa grande o piccola
sarà
ben accetta, perché è tua. Puoi anche stare a
guardare fuori dalla finestra per
l’intera ora, è una tua decisione; io sono
qui.”
Il
ragazzo si morse un labbro e guardò nuovamente fuori dalla
finestra. Nascosta
dalle gambe accavallate, tormentava una pellicina del pollice, della
mano che
teneva in grembo. Fuori la neve continuava a cadere e ad accumularsi,
ma prima
o poi sarebbe sparita, sciolta dal caldo e dal sole primaverili, che
invece niente
potevano fare contro i cumuli di ghiaccio che racchiudeva in
sé.
Quell’uomo
diceva di essere lì per lui e, benché lo fosse
solo perché lo pagava per
esserci, trovava la cosa… piacevole. Gli piaceva
l’idea di poter essere
semplicemente ascoltato e non giudicato.
“Io
a volte ho paura di me stesso – sbottò
istintivamente, per una volta aveva
parlato senza riflettere – non mi capisco più, o
forse non mi sono mai capito.”
Lo
psicologo non batté ciglio, bensì gli sorrise
incoraggiante:
“Bene,
e c’è qualcosa in particolare che ti spaventa di
te stesso? E non intendo le
occhiaie di prima mattina.”
Sasuke
si ritrovò a dover nascondere un sorriso. Era una battuta
stupida, da quattro
soldi, ma lo aveva portato a sorridere, forse perché lo
aveva preso alla
sprovvista. Nel suo immaginario gli psicologi erano noiosissimi,
intenti a
scrivere su un block-notes senza nemmeno guardarti in faccia, mentre
questo
tizio non gli staccava gli occhi di dosso, usava le mani per reggersi
il mento
o grattarsi la testa e usava una lieve ironia di fondo in tutte le sue
frasi.
Ancora
si chiedeva dove fosse la fregatura.
“Credo…
il fatto di non capirmi, non capisco cosa voglio da me e dagli altri e
riesco a
ferire le persone con una facilità sorprendente ogni volta
che apro la bocca.”
Non
pensava solo a Gaara e al loro ultimo disastroso incontro, ma anche a
tutte le
volte in cui Naruto aveva nascosto dietro un sorriso la delusione o la
tristezza, il modo in cui Itachi lo aveva sempre cercato nonostante i
suoi
rifiuti e solo perché… gli volevano bene. Senza
contare poi tutti gli altri
amici o semplici conoscenti che erano stati punti dalle sue parole.
“Finora non
me ne è mai importato molto, ma adesso sento che
c’è qualcosa di diverso e non
capisco perché sia accaduto così
all’improvviso” aggiunse.
L’uomo
sospirò:
“Parli
di capire, capire e ancora capire, perché vuoi tenere tutto
sotto controllo?
Alcune cose non sono spiegabili con la logica, come si possono capire i
sentimenti, Sasuke?”
Il
ragazzo lo guardò irritato:
“Me
lo dica lei, la pago apposta!”
“No,
tu mi paghi per ascoltarti e il mio lavoro è ascoltarti e
farti presente ciò
che non va, ed è il tuo approccio ai problemi che in questo
caso non funziona.
L’animo umano non è un’equazione
matematica da comprendere e risolvere.”
“Mi
sta dicendo un sacco di parole inutili, io ho bisogno di una soluzione
e basta.”
“Finora
non ho sentito nessun problema, quindi quale soluzione vorresti?
Desidereresti
una bacchetta magica per il tuo carattere spigoloso? Vorresti che
nessuno ti
fraintendesse più così da non rimanere ferito
dalle tue parole che dici, ma
soprattutto da quelle che non dici?”
Sasuke
che si era già alzato con la ferma intenzione di andarsene,
mandare al diavolo
lui, il suo cardigan anonimo, le poltroncine imbottite e se stesso per
la
malsana idea di andare lì, si bloccò, inchiodato
da quell’ultima frase.
Già,
lui non parlava.
Ogni
cosa era chiara nella sua testa, peccato che non lo fosse anche nella
testa
degli altri. Ripensò a Gaara, a come si era arrabbiato e
aveva frainteso, ma
poteva dargli torto visto il modo in cui lo aveva trattato? Non gli
aveva detto
niente di tutti i pensieri che gli aveva dedicato, della voglia che
aveva avuto
di rivederlo, di rimettere le cose a posto. Gli era saltato addosso e
si era
anche risentito perché l’altro lo aveva respinto.
Sentì
un fiotto d’acido salirgli dallo stomaco nel ripensare a quel
pomeriggio, ma
soprattutto nel trovarsi ad ammettere con se stesso di essere stato lui
a
sbagliare. Era dovuto scendere dal piedistallo e fare i conti con la
propria
fallacità, non era così immune dagli errori come
gli piaceva credersi e tutto
ciò… beh sì, tutto ciò era
piuttosto destabilizzante.
Così
tanto che uno poteva persino ritrovarsi nello studio di uno psicologo!
“Credo
di essere gay, e questa è la prima volta che lo dico ad alta
voce” disse guardandolo
dritto in faccia, sfidandolo a mostrarsi scandalizzato o disgustato, ma
l’uomo
semplicemente sorrise incoraggiante e gli fece un applauso.
“Bravo,
bisogna festeggiare! Cioccolatino?” propose alzandosi e
prendendone una
scatola.
“Eh?
N-no” rifiutò Sasuke, iniziando a chiedersi se a
furia di avere a che fare con
gente poco sana anche gli psicologi finivano per impazzire.
“Peccato,
vorrà dire che ne mangerò uno anche per te
– disse risedendosi – allora, è
crollato il mondo dopo il tuo coming-out?”
Sasuke
lo squadrò ancora un po’ perplesso e, senza
rendersene conto, diede un’occhiata
in giro.
“Non
direi.”
“Allora
puoi continuare a parlarmi di tutto quello che vuoi, anche i dettagli
più
scabrosi, perché continuerà a non succedere
niente di male.”
“Lei
è pazzo.”
“Forse
– concesse lo psicologo – mai sentito parlare di
lucida follia?” domandò con un
sorriso.
Sasuke
si passò le mani tra i capelli e lo fissò mentre
sedeva sereno e
imperturbabile, col tavolino tra di loro su cui campeggiava la scatola
di
cioccolatini.
“C’è
fondente?”
“Cerca,
è così che funziona Sasuke; se non cerchi non
saprai né otterrai mai niente.”
“Confermo,
lei non è normale” borbottò, allungando
però una mano a prendere la scatola.
***
Itachi
stava dividendo la propria attenzione tra Gaara e il cellulare.
Digitò
frettolosamente qualcosa sullo schermo e vide che il suo messaggio era
stato
visualizzato subito.
- Shisui non salire, ci ho ripensato, non è il caso, è una stupidaggine.
- Ehi, e vuoi sprecare così il nostro meraviglioso piano “Scova il gay”? Noooo non se ne parla!
Sapeva
che quella mattina il ragazzo era passato in università a
vedere i risultati
dell’esonero, lo aveva passato anche se con un voto
assolutamente nella media,
niente di eccezionale né in negativo né in
positivo. Itachi ne era rimasto
sorpreso perché il segretario era veramente ben preparato
per quell’esame, lo
aveva verificato personalmente.
Aveva
pensato che l’emozione gli doveva aver giocato qualche brutto
tiro, tuttavia,
vedendolo così spento e abbattuto, aveva capito che il suo
problema non era il
voto: il segreto che Gaara si portava dietro lo stava corrodendo al
punto di
spezzarlo, per quello non se la sentiva più di portare
avanti la strategia
concordata col cugino, sebbene ciò potesse andare a
discapito di Sasuke. In
quel momento Gaara aveva la precedenza.
- E da dove esce questo nome idiota? L’hai ribattezzato solo tu così. Se sali in ufficio ti picchio, Shisui.
- Oh sìììììì, Itachi non sai quanto volessi provare il sadomaso con te! Natale è vicinissimo ti regalerò un frustino!
- Non ho parole per quanto sei idiota!
- Lo so, lo so, ti voglio bene anch’io, dai aprimi sono arrivato.
“Chi
diavolo sarà? Speriamo non qualche cliente in
anticipo.”
A
volte succedeva che arrivassero prima o che durante le lunghe attese in
anticamera decidessero che Gaara, invece di essere il segretario dello
studio,
fosse il loro psicologo e gli riversassero addosso tutti i problemi
della loro
vita o che li avevano spinti a rivolgersi a un avvocato. Era un ruolo
che
ovviamente il ragazzo non voleva rivestire, ma si trovava costretto ad
annuire
mentre faceva buon viso a cattivo gioco e cercava una maniera cortese
per
evidenziare il fatto che stava lavorando e non era pagato per
ascoltarli. Era
logico comprendere come la prospettiva che gli rovinassero persino la
pausa
pranzo non lo rendesse esattamente felice.
“Dovrebbe
essere mio cugino, deve salire a portarmi una cosa” si
premurò a informarlo
Itachi, ormai rassegnato ad assistere all’incontro tra i due.
“Ah,
meno male” rispose Gaara visibilmente sollevato, premendo su
un pulsante per
aprire il portone. Non era un cliente inopportuno e nemmeno Sasuke, per
quanto
si trattasse sempre di un Uchiha, ma probabilmente Itachi sarebbe
uscito tra
poco assieme a lui per andare a pranzo, lasciandolo finalmente da solo
e in
pace.
Era
stanco, stanco del lavoro, di sentire la gente e risolvere i loro
stupidi
problemi; era stanco dei propri e non riusciva a smettere di chiedersi
perché
diavolo si ostinasse ad andare avanti.
Scrollò
col mouse il documento che stava leggendo, domandandosi anche
perché la gente
continuasse a litigare e a farsi cause stupide, buone solo a sperperare
denaro,
soprattutto perché poi toccava a lui protocollare gli atti
d’ufficio ed
espletare tutta la burocrazia accessoria.
Vide
con la coda dell’occhio Itachi alzarsi per andare ad aprire
la porta,
confabulare a bassa voce con qualcuno appena entrato e, poco dopo,
entrarono
assieme nell’ufficio.
“Gaara,
noi usciamo – gli disse l’avvocato posando un
pacchetto sulla scrivania –
comunque lui è mio cugino Shisui Uchiha.”
Il
segretario sollevò gli occhi dallo schermo e
osservò un ragazzo alto, dagli
occhi scuri quanto i capelli corti e mossi, era molto bello e
assomigliava a Itachi
sebbene sul suo viso ci fosse un largo sorriso amichevole.
“Piacere,
Gaara” disse alzandosi in piedi e tendendo la mano al di
sopra della scrivania.
“Oh,
piacere mio, scusa il disturbo” rispose il ragazzo
stringendogliela. Nonostante
le dita fredde la sua presa era salda e piacevole.
“Figurati”
mormorò asciutto, non sapendo che altro dire.
L’altro
però non sembrò scoraggiarsi e anzi
continuò, con voce divertita:
“In
realtà ero curioso di conoscerti, Itachi mi ha parlato di te
e del tuo aiuto,
se non ci fossi stato lo avrebbero licenziato il secondo giorno
probabilmente.”
“Shisui!
Ma che… – esclamò Itachi, irritato, per
poi rivolgersi al segretario – scusalo,
è caduto dal seggiolone più volte da
piccolo.”
Gaara,
nonostante tutto, sorrise per quella battuta, per quel modo che i due
avevano
di approcciarsi, denotava una grande confidenza e
complicità, proprio come ci
si aspettava da una famiglia con rapporti normali.
Il
suo sorriso scomparve.
“Itachi
è bravissimo, anche senza di me se la sarebbe cavata, ne
sono certo” rispose,
ed era vero. Non doveva nemmeno prenotargli il taxi o fare altre
stronzate che
un qualsiasi essere dotato di pollice opponibile avrebbe potuto
risolversi da
sé. Tutti tranne gli altri avvocati dello studio
evidentemente.
“Dai
Shisui, andiamo. Lasciamo respirare Gaara almeno durante la pausa,
è quello che
lavora più di tutti qua dentro” si intromise
Itachi. Le sue parole
rispecchiavano ciò che pensava, d’altronde lui non
era il tipo da parlare a
vanvera o sprecare complimenti senza fondamento, quelle poche volte in
cui li
elargiva.
Shisui
però non gli diede retta, adocchiò il contenitore
posato sulla scrivania vicino
al mouse e in cui c’era una forchetta dispersa in mezzo a dei
fagioli e un po’
di verdura, non gli sembrava un pranzo degno di nota.
“Perché
non vieni a mangiare con noi? Tanto oggi offre Itachi!”
“Grazie,
ma sarà per un’altra volta. Oggi ho un
po’ di cose da sbrigare durante la pausa.”
Nel rispondere, Gaara non mostrò la sorpresa dovuta a
quell’invito proferito in
maniera spontanea, aveva avuto l’impressione che quel ragazzo
avrebbe davvero
provato piacere per la sua presenza.
Forse
la compagnia di quello Shisui poteva essere divertente,
un’uscita con quei due
poteva davvero essere un bel diversivo alla sua triste routine, ma non
quel
giorno. Forse nemmeno in quella vita in generale visto il suo stato
d’animo
attuale.
“Non
preoccuparti Gaara, adesso lo porto via – lo
rassicurò Itachi – ma se qualche
volta vogliamo andare a pranzo insieme mi farebbe piacere.”
Il
segretario annuì semplicemente, nuovamente sorpreso da
quell’ennesima proposta
inaspettata e li osservò uscire con un mezzo sorriso sulle
labbra, anche perché
i due continuavano a rimbeccarsi.
Quando
furono da soli nell’ascensore Itachi gli diede una spinta:
“Ti
avevo detto di non venire! E poi che cose ti metti a dire? Bastava che
ti
presentassi e basta.”
Shisui
sospirò e alzò gli occhi verso l’alto,
osservando il piccolo schermo dove si
avvicendavano i numeri dei piani. Non disse una parola, né
l’altro lo stimolò,
consapevole che il cugino stava cercando il modo adatto per dirgli
qualcosa che
probabilmente non gli sarebbe piaciuto. Avvertì un brivido
corrergli per la
schiena, non dovuto alla giornata gelida, e infilò le mani
nelle tasche del
cappotto, attendendo. Shisui non gli avrebbe risparmiato niente, lo
sapeva.
Si
accomodarono in un locale poco distante, piuttosto semplice e affollato
da
altri lavoratori come loro che lasciavano gli uffici dove lavoravano
diligentemente, al pari di industriose api operaie e, sempre come tali,
sciamavano fuori in cerca di una boccata d’aria invece che di
polline.
I
due ragazzi erano uno di fronte l’altro, tra di loro i
bicchieri, la bottiglia
d’acqua, i tovaglioli, ma non osservarono niente di tutto
ciò, troppo presi a
guardarsi.
Itachi
incrociò le mani sul tavolo, non fece nessun altro
movimento, sembrava
imperturbabile e sereno, una maschera perfetta in attesa del verdetto.
“È
gay” rispose semplicemente Shisui alla sua domanda silenziosa.
All’improvviso
l’aria sembrò densa, come uno zuccheroso sciroppo,
e Itachi rimase qualche
istante in apnea perché mandarla giù ai polmoni e
poi portarla fuori era
diventato difficile. Respirò con la bocca, dopo di che si
morse delicatamente
l’unghia di un dito.
“Come
fai ad esserne certo?”
“Perché
l’ho visto in un gay bar qualche volta e lì non ci
vai per caso.”
Itachi
sapeva che il cugino frequentava senza problemi certi posti, a
differenza sua
che ci andava molto raramente, e credette subito alle sue parole.
Pensò alla
variegata fauna di quei locali e provò un moto di paura per
Sasuke perché lì,
mescolati a gente comune, si nascondevano predatori, uomini senza
scrupoli,
puttane che cambiavano anche più di un cazzo in una serata,
gente malata che
pretendeva di scopare senza preservativo e tanti altri che si sarebbero
potuti
approfittare senza problemi di un inesperto come Sasuke. Certo, il
fratello non
era uno stupido, nemmeno qualcuno capace di dare confidenza, ma
c’era anche chi
quella confidenza se la prendeva con la forza.
“Parlami
di lui” disse al cugino; in che cerchia rientrava Gaara? Cosa
nascondeva dietro
ai suoi modi pacati ed educati, dietro quegli occhi chiarissimi e a
volte
inquietanti?
Shisui
si guardò un attimo attorno, intuì la
preoccupazione del cugino e non perse
altro tempo a rispondergli.
“Non
lo conosco personalmente, l’ho notato qualche volta, in fondo
con quei capelli
rossi è un bersaglio facilmente individuabile, oltre ad
essere piuttosto
ambito, ho visto parecchi girargli attorno. Però lui mi
sembra un tipo
tranquillo, l’ho sempre visto al bancone del bar, beveva da
solo e
chiacchierava col barista, un tipo biondo, Deidara, te ne ho anche
parlato, è
quello che prepara quei cocktail divini. Probabilmente sono amici visto
che lui
sta da anni con un tizio strambo che si chiama Hidan che lavorava
lì prima di
andare da un’altra parte. Adesso sta in un altro posto un
piano bar, mi sembra,
non vado spesso là perché è troppo da
fighetti ed è costoso.”
“Shisui,
non mi interessa la tua vita notturna o l’elenco dei tuoi bar
e barman
preferiti” lo interruppe Itachi, tamburellando le dita sul
tavolo.
“Sì,
sì – sospirò questi – non
c’è molto altro da dire. L’ho sempre
visto al bancone
a bere, a volte scambia qualche parola con altri e chiacchiera con
Deidara. Una
volta sola un tizio gli stava dando fastidio, questo era ubriaco ed era
impossibile
non notarlo perché parlava a voce alta, Gaara molto
semplicemente gli ha
intimato di lasciarlo in pace e se ne è andato, senza fare
casini e deve essere
stato piuttosto duro perché quello non lo ha seguito.
Insomma pare un tipo
tranquillo, sicuramente ogni tanto avrà anche dato
più confidenza a qualcuno,
ma non è che io stia là tutte le sere, anche se,
ora che ci penso, è da
parecchio che non lo vedo. Come ti ho detto, quei capelli sono
piuttosto
riconoscibili.”
Itachi
si passò una mano sul labbro inferiore, sentendo sotto al
polpastrello le
pellicine secche a causa del freddo. La cameriera portò le
loro ordinazioni, ma
nessuno dei due iniziò a mangiare.
“In
sostanza mi stai dicendo che è a posto e che se Sasuke e lui
hanno avuto una
relazione non dovrebbe esserci stato qualche problema… ma
allora perché tra
loro i rapporti sono così tesi? –
guardò il cugino – Quando Gaara ha scoperto
che ero suo fratello è sbiancato e quando si è
trovato davanti Sasuke pareva
aver vinto un fantasma, era turbato. Non sono reazioni
normali.”
“Beh,
magari hanno litigato e non sono rimasti in buoni rapporti, capita
– rispose
Shisui pratico, iniziando a mangiare – non è
semplice avere a che fare con
Sasuke. Non pensare al modo in cui è con te o coi suoi
amici, lui è davvero
chiuso e inflessibile e secondo me la risposta ai tuoi dubbi sta nella
fuga di
Gaara il giorno della sua laurea. Se veramente era lì per
lui, come pensi che
abbia reagito il tuo fratellino chiuso, che non ha mai parlato con
nessuno
della sua omosessualità, e per cui la cosa più
importante al mondo è non
deludere tuo padre? Come può aver mai reagito vedendo il suo
amante così vicino
alla propria famiglia?”
“Di
merda” sospirò Itachi, bevendo un sorso
d’acqua.
Per
quanto i rapporti nella sua famiglia fossero migliorati, Fugaku
rimaneva un
uomo molto severo e all’antica e i sentimenti di
inferiorità di Sasuke non
potevano certo scomparire dal giorno alla notte, si erano di sicuro
mitigati,
ma il ragazzo provava ancora il bisogno di dimostrarsi perfetto e
migliore di
chiunque. Una combinazione letale che faceva a cazzotti con i dubbi e
le
incertezze che un giovane alle prese con una sessualità
incerta, soffocata dal
bisogno di mostrarsi conforme agli standard della società e
del loro padre.
“Ma
se è come dici perché lo ha invitato per poi
cacciarlo?” domandò ancora Itachi,
voleva capire e trovare un modo per aiutare il fratello.
“Che
ne so? Qui stiamo facendo solo ipotesi – rispose Shisui a
bocca piena – anche
quelle fatte finora sono speculazioni e basta. Magari Gaara voleva
fargli una
sorpresa, magari è stata una coincidenza ed era
lì per un altro motivo, magari
Sasuke ci ha ripensato quando lo ha visto. Non possiamo rispondere a
certe
domande, è impossibile. L’unica cosa sicura
è che sono in pessimi rapporti. Tu
che vuoi fare?”
Bella
domanda e, per una volta, Itachi non aveva una risposta.
“Shisui,
manda giù prima di parlare e poi hai un pezzo
d’insalata tra i denti” lo
rimbeccò, senza reale irritazione, in fondo il cugino gli
piaceva proprio
perché era tanto diverso da lui, persino nel modo di stare a
tavola.
Ignorò
i suoi borbottii e rifletté, senza sentire nemmeno il gusto
di ciò che stava
mangiando.
“Non
lo so – ammise e per lui era difficile confessare la sua
impotenza – per il
momento rimarrò a guardare come si evolve la situazione.
Sasuke ha in mano il
progetto di ampliamento dello studio, quindi saranno costretti a
rivedersi.”
“Mmhh…
e per quanto riguarda te? – all’occhiata
interrogativa dell’altro aggiunse – Ricordo
male o mi avevi detto che Gaara ti interessava?”
Itachi
rimase interdetto da quell’affermazione, ulteriore segno che
tutta quella
storia lo stava scombussolando più del dovuto. Nemmeno
quando Konan aveva
annunciato che se ne sarebbe andata era rimasto tanto colpito. Non
notò
l’occhiata più attenta di Shisui, il suo
interrompersi mentre mangiava per
puntare la sua completa attenzione su di lui e la sua risposta.
“Beh,
è bello, interessante, lo ammetto, ma se ha una storia con
Sasuke come posso
intromettermi?”
“Itachi,
sei troppo altruista, specialmente se si tratta di tuo fratello, se ne
avesse
bisogno gli doneresti persino il cuore per trapiantarlo –
sospirò Shisui per
poi avvicinare la testa alla sua – va bene amare il proprio
fratello, ma devi
pensare anche a te stesso, non puoi negarti una scopata per lui.
Nemmeno tu sei
felice, e la vita di Sasuke è di Sasuke, tu non puoi sempre
spianargliela, è un
adulto ormai. Deve prendersi la piena responsabilità dei
suoi errori e
accettarne le conseguenze, e Gaara è una di queste. Se non
stanno insieme,
perché non dovresti farti avanti se ti piace, e poi da
quello che ho visto una
botta di felicità non guasterebbe nemmeno a quel ragazzo.
Pareva che gli fosse
morta tutta la famiglia, cane e gatto compresi.”
“Vaffanculo
Shisui” sospirò Itachi, senza rabbia.
Semplicemente il cugino lo metteva sempre
di fronte ad alcune domande scomode che altrimenti avrebbe evitato. Era
più
comodo trincerarsi dietro alla scusa di Sasuke per non doversi esporre.
Shisui
lo comprese alla perfezione e per quello gli sorrise, continuando a
mangiare
soddisfatto. Voleva bene a tutti i suoi cugini, ma Itachi era speciale
e non
solo perché ogni tanto facevano sesso, per lui la sua
felicità veniva prima di
quella di tutti gli altri e in quel momento finire a letto con Gaara lo
avrebbe
reso felice. Non ci vedeva niente di male o di compromettente, niente
che
avrebbe potuto turbare in modo significativo il suo futuro, solo un
qualcosa di
passeggero ma piacevole.
Rimasero
in silenzio, ognuno preso nei propri pensieri quando
all’improvviso Itachi
domandò:
“Cosa
c’era nel pacchetto che mi hai portato?”
Era
stata la scusa con cui Shisui era salito, ma era stata una cosa che
aveva
improvvisato sul momento.
“Oh,
già – disse questi sorridendo –
preservativi, che altro?”
Itachi
rimase con la forchetta a mezz’aria, guardandolo:
“Io
ti ammazzo” sibilò.
“Ma
se la confezione è addirittura nuova!”
protestò l’altro, mentre Itachi pregava
che nessuno andasse a sbirciare sulla sua scrivania o avrebbe dovuto
cambiare
lavoro per la vergogna.
“Puoi
lasciarli in ufficio, magari ti serviranno prima o poi con
Gaara” continuava a
blaterare quell’idiota, ignaro del pericolo.
“Io
ti ammazzo sul serio.”
L’angolino
oscuro:
Dopo tutti questi casini a quanto pare Sasuke ha fatto la prima azione
sensata,
si è rivolto a qualcuno per chiedere aiuto. In questo
momento così confuso e
travagliato ha bisogno di qualcuno che gli faccia luce e gli permetta
di
distinguere il cammino da seguire, un aiuto per trovare quelle risposte
di cui
ha bisogno e che nessun’altro può fornirgli,
adesso è tutto nelle sue mani e
deve essere lui a scegliere cosa fare.
Il
“segreto” di Gaara viene svelato da Shisui e Itachi
è forse sulla strada giusta
per scoprire la verità, ma sarà davvero
così semplice? E soprattutto cosa farà
Itachi con questo interesse che prova verso Gaara?
Continuerà a mettere Sasuke
davanti a sé e ai propri bisogni? Insomma entrambi i
fratelli Uchiha si trovano
davanti delle decisioni importanti da prendere, quale sarà
quella giusta? Per
il momento godetevi questo spezzone di vita e complicità tra
i due cugini, e
non perdete d’occhio Shisui…
Alla
prossima, se vi va fatemi sapere che ne pensate della storia.