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Autore: Sunako_7    05/10/2017    1 recensioni
Sasuke e Gaara si frequentano da qualche mese, nonostante abbiano un dialogo quasi inesistente. Basterà questo per riuscire ad andare avanti o lo scontro con i problemi della vita e i fantasmi di un passato mai dimenticato li schiaccerà, costringendoli a separarsi? E se quel passato tornasse più reale che mai? E se altre persone entrassero nella vita dei due protagonisti? Un viaggio complicato e irto di ostacoli nella vita di questi due ragazzi chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare eppure bisognosi di affetto e amore.
Questa ff è il continuo della mia one-shot "If I had a heart" anche se non è indispensabile leggerla per seguire questa long, ma alcuni dettagli potranno essere più chiari.
[GaaraxSasuke][Itachix?][accenni HidanxDeidara]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Itachi, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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La giusta decisione

 

 

Il mondo al di fuori della finestra era ostile e spettrale. Un Dio inascoltato stava riversando le sue lacrime su una terra piena di uomini sordi, che oramai da tempo avevano smesso di prestare le orecchie alle sue preghiere o di levare le proprie verso di lui. I loro cuori erano così freddi che quelle gocce di pioggia non riuscivano a posarsi a terra se non sotto forma di neve. Neve bianca, candida, gelida, che ammantava ogni cosa, rendendo più difficile camminare, guidare o andare in bicicletta. Ma, in fondo, perché affannarsi nell’uscire di casa se poi gli occhi erano sempre incollati a un cellulare, un tablet, un libro, ignorando l’essere umano che sedeva di fianco, ignorando chiunque al di fuori del proprio guscio?
Non aveva forse ragione quel Dio lontano a piangere nell’osservare i suoi amati figli ignorarsi, interessati solo a farsi la guerra e intessere relazioni superficiali per appagare i loro bisogni momentanei?
“Allora, Sasuke… raccontami qualcosa di te.”
Non c’era bisogno di stare in strada per avvertire un’atmosfera ostile e gelida. Anche in quella stanza opportunamente riscaldata, dai mobili in legno che contribuivano a dare un senso di calore e familiarità, con poltroncine imbottite e comode,  c’era altrettanto gelo e chiusura.
Sasuke voltò la testa per spostare lo sguardo dalla finestra all’uomo seduto di fronte a lui, vestito con un comodo cardigan e pantaloni di velluto. Squadrò ogni suo dettaglio, senza trovare niente di rilevante o che gli facesse intuire qualcosa sul suo carattere: i suoi abiti erano anonimi, non portava anelli né orologi, anche gli occhiali avevano una montatura sobria.
La cosa lo irritò, benché si fosse messo lui stesso in quella posizione di svantaggio, doveva essersi proprio bevuto il cervello con tanto di olivetta per aver deciso di rivolgersi a uno psicologo.
“Non so proprio cosa ci sia interessante che potrei dirle.”
L’uomo fece un lieve sorriso e accavallò una gamba. Quel paziente era singolare: aveva rifiutato di dare il suo cognome e voleva pagare solo in contanti, affermando che non gli interessava niente della fattura. Si era persino intestardito nel non volergli dare il numero di cellulare, ma alla fine lo aveva convinto dicendogli che per qualsiasi contrattempo aveva bisogno di un contatto. Inoltre era molto più difficile risalire all’identità di qualcuno da un numero di cellulare che non da una mail.
Quella rivelazione lo aveva fatto capitolare e, a denti stretti, gli aveva dettato il suo numero.
Non era certo la prima né ultima persona che si vergognava a chiedere l’aiuto di un professionista come lui, facendo poi di tutto per mantenere segreta la sua privacy, ma di sicuro era stato il più testardo.
Lo aveva accettato come paziente pur non conoscendo il suo cognome, era solo una questione di tempo in fondo, doveva prima guadagnarsi la sua fiducia.
“Se avessi voluto sentire qualcosa di interessante avrei chiamato un mio amico – gli rispose, poggiando un gomito sul bracciolo e piegando il braccio per poggiare la testa sulla mano – qualsiasi cosa che ti passa per la testa andrà bene. Per esempio puoi parlarmi dei tuoi amici, o di cosa ci fosse di tanto interessante fuori dalla finestra.”
Sasuke fece una smorfia e accavallò a sua volta le gambe in una posa fintamente rilassata, in realtà era teso come la corda di un violino, ma cercava di dissimulare.
“Non mi chiederà dei miei genitori o dei sogni che faccio?”
“Oh no, buon dio, no! – rise lo psicologo divertito – Freud e le sue teorie sui sogni e sui genitori sono abbastanza superate, quindi sta’ pur certo che non ti chiederò se sogni peni giganti che entrano in vagine o se provi un affetto insano verso tua madre. È solo una chiacchierata tra noi due, qualsiasi cosa rimarrà qui, anche se tu dovessi aver commesso un omicidio… ma tu non ne hai commesso uno, vero Sasuke?”
“No, certo che no” rispose il ragazzo, ammorbidito dal suo tono divertito nonostante le proprie resistenze.
“Bene, avrei avuto un po’ di paura a incontrarti altrimenti” sorrise ancora l’uomo.
Quel ragazzo era il più classico esempio di persona che rifiutava l’aiuto di cui aveva bisogno, e che aveva chiesto in uno sprazzo di annebbiamento dell’orgoglio. Era palese che non voleva trovarsi lì, ricorreva a battutine acide, atteggiamenti e frasi denigratorie verso la sua professione, nel tentativo di convincersi che lo psicologo era un ciarlatano e lui non ne aveva nessun bisogno, perché stava bene, non esisteva nessun problema.
Invece quel problema c’era, ed era piuttosto grosso, era solo compito dello psicologo portarlo delicatamente alla luce, come un archeologo alle prese col ritrovamento di un antichissimo e fragile reperto.
“Se avesse avuto così tanta paura avrebbe potuto rifiutare di vedermi” minimizzò Sasuke, sempre sulla difensiva.
“No, non funziona così – lo contraddisse – sei un mio paziente ora, ho un dovere nei tuoi confronti e oltre a questo anche un interesse a farti stare meglio, anche se avessi avuto paura. Sono qui per te, Sasuke, unicamente per te. Per questo di qualsiasi argomento vorrai parlarmi, qualsiasi cosa grande o piccola sarà ben accetta, perché è tua. Puoi anche stare a guardare fuori dalla finestra per l’intera ora, è una tua decisione; io sono qui.”
Il ragazzo si morse un labbro e guardò nuovamente fuori dalla finestra. Nascosta dalle gambe accavallate, tormentava una pellicina del pollice, della mano che teneva in grembo. Fuori la neve continuava a cadere e ad accumularsi, ma prima o poi sarebbe sparita, sciolta dal caldo e dal sole primaverili, che invece niente potevano fare contro i cumuli di ghiaccio che racchiudeva in sé.
Quell’uomo diceva di essere lì per lui e, benché lo fosse solo perché lo pagava per esserci, trovava la cosa… piacevole. Gli piaceva l’idea di poter essere semplicemente ascoltato e non giudicato.
“Io a volte ho paura di me stesso – sbottò istintivamente, per una volta aveva parlato senza riflettere – non mi capisco più, o forse non mi sono mai capito.”
Lo psicologo non batté ciglio, bensì gli sorrise incoraggiante:
“Bene, e c’è qualcosa in particolare che ti spaventa di te stesso? E non intendo le occhiaie di prima mattina.”
Sasuke si ritrovò a dover nascondere un sorriso. Era una battuta stupida, da quattro soldi, ma lo aveva portato a sorridere, forse perché lo aveva preso alla sprovvista. Nel suo immaginario gli psicologi erano noiosissimi, intenti a scrivere su un block-notes senza nemmeno guardarti in faccia, mentre questo tizio non gli staccava gli occhi di dosso, usava le mani per reggersi il mento o grattarsi la testa e usava una lieve ironia di fondo in tutte le sue frasi.
Ancora si chiedeva dove fosse la fregatura.
“Credo… il fatto di non capirmi, non capisco cosa voglio da me e dagli altri e riesco a ferire le persone con una facilità sorprendente ogni volta che apro la bocca.”
Non pensava solo a Gaara e al loro ultimo disastroso incontro, ma anche a tutte le volte in cui Naruto aveva nascosto dietro un sorriso la delusione o la tristezza, il modo in cui Itachi lo aveva sempre cercato nonostante i suoi rifiuti e solo perché… gli volevano bene. Senza contare poi tutti gli altri amici o semplici conoscenti che erano stati punti dalle sue parole. “Finora non me ne è mai importato molto, ma adesso sento che c’è qualcosa di diverso e non capisco perché sia accaduto così all’improvviso” aggiunse.
L’uomo sospirò:
“Parli di capire, capire e ancora capire, perché vuoi tenere tutto sotto controllo? Alcune cose non sono spiegabili con la logica, come si possono capire i sentimenti, Sasuke?”
Il ragazzo lo guardò irritato:
“Me lo dica lei, la pago apposta!”
“No, tu mi paghi per ascoltarti e il mio lavoro è ascoltarti e farti presente ciò che non va, ed è il tuo approccio ai problemi che in questo caso non funziona. L’animo umano non è un’equazione matematica da comprendere e risolvere.”
“Mi sta dicendo un sacco di parole inutili, io ho bisogno di una soluzione e basta.”
“Finora non ho sentito nessun problema, quindi quale soluzione vorresti? Desidereresti una bacchetta magica per il tuo carattere spigoloso? Vorresti che nessuno ti fraintendesse più così da non rimanere ferito dalle tue parole che dici, ma soprattutto da quelle che non dici?”
Sasuke che si era già alzato con la ferma intenzione di andarsene, mandare al diavolo lui, il suo cardigan anonimo, le poltroncine imbottite e se stesso per la malsana idea di andare lì, si bloccò, inchiodato da quell’ultima frase.
Già, lui non parlava.
Ogni cosa era chiara nella sua testa, peccato che non lo fosse anche nella testa degli altri. Ripensò a Gaara, a come si era arrabbiato e aveva frainteso, ma poteva dargli torto visto il modo in cui lo aveva trattato? Non gli aveva detto niente di tutti i pensieri che gli aveva dedicato, della voglia che aveva avuto di rivederlo, di rimettere le cose a posto. Gli era saltato addosso e si era anche risentito perché l’altro lo aveva respinto.
Sentì un fiotto d’acido salirgli dallo stomaco nel ripensare a quel pomeriggio, ma soprattutto nel trovarsi ad ammettere con se stesso di essere stato lui a sbagliare. Era dovuto scendere dal piedistallo e fare i conti con la propria fallacità, non era così immune dagli errori come gli piaceva credersi e tutto ciò… beh sì, tutto ciò era piuttosto destabilizzante.
Così tanto che uno poteva persino ritrovarsi nello studio di uno psicologo!
“Credo di essere gay, e questa è la prima volta che lo dico ad alta voce” disse guardandolo dritto in faccia, sfidandolo a mostrarsi scandalizzato o disgustato, ma l’uomo semplicemente sorrise incoraggiante e gli fece un applauso.
“Bravo, bisogna festeggiare! Cioccolatino?” propose alzandosi e prendendone una scatola.
“Eh? N-no” rifiutò Sasuke, iniziando a chiedersi se a furia di avere a che fare con gente poco sana anche gli psicologi finivano per impazzire.
“Peccato, vorrà dire che ne mangerò uno anche per te – disse risedendosi – allora, è crollato il mondo dopo il tuo coming-out?”
Sasuke lo squadrò ancora un po’ perplesso e, senza rendersene conto, diede un’occhiata in giro.
“Non direi.”
“Allora puoi continuare a parlarmi di tutto quello che vuoi, anche i dettagli più scabrosi, perché continuerà a non succedere niente di male.”
“Lei è pazzo.”
“Forse – concesse lo psicologo – mai sentito parlare di lucida follia?” domandò con un sorriso.
Sasuke si passò le mani tra i capelli e lo fissò mentre sedeva sereno e imperturbabile, col tavolino tra di loro su cui campeggiava la scatola di cioccolatini.
“C’è fondente?”
“Cerca, è così che funziona Sasuke; se non cerchi non saprai né otterrai mai niente.”
“Confermo, lei non è normale” borbottò, allungando però una mano a prendere la scatola.

 

***

 

Itachi stava dividendo la propria attenzione tra Gaara e il cellulare. Digitò frettolosamente qualcosa sullo schermo e vide che il suo messaggio era stato visualizzato subito.


-          Shisui non salire, ci ho ripensato, non è il caso, è una stupidaggine.
-          Ehi, e vuoi sprecare così il nostro meraviglioso piano “Scova il gay”? Noooo non se ne parla!

 Itachi occhieggiò Gaara, quel giorno gli pareva di umore peggiore del solito e le occhiaie lo stavano facendo assomigliare pericolosamente a un panda o un tasso.
Sapeva che quella mattina il ragazzo era passato in università a vedere i risultati dell’esonero, lo aveva passato anche se con un voto assolutamente nella media, niente di eccezionale né in negativo né in positivo. Itachi ne era rimasto sorpreso perché il segretario era veramente ben preparato per quell’esame, lo aveva verificato personalmente.
Aveva pensato che l’emozione gli doveva aver giocato qualche brutto tiro, tuttavia, vedendolo così spento e abbattuto, aveva capito che il suo problema non era il voto: il segreto che Gaara si portava dietro lo stava corrodendo al punto di spezzarlo, per quello non se la sentiva più di portare avanti la strategia concordata col cugino, sebbene ciò potesse andare a discapito di Sasuke. In quel momento Gaara aveva la precedenza.


-          E da dove esce questo nome idiota? L’hai ribattezzato solo tu così. Se sali in ufficio ti picchio, Shisui.
-          Oh sìììììì, Itachi non sai quanto volessi provare il sadomaso con te! Natale è vicinissimo ti regalerò un frustino!
-          Non ho parole per quanto sei idiota!
-          Lo so, lo so, ti voglio bene anch’io, dai aprimi sono arrivato.

 Itachi non fece in tempo a minacciarlo ancora per messaggio che sentì il ronzio del citofono. Vide Gaara accigliarsi e dire:
“Chi diavolo sarà? Speriamo non qualche cliente in anticipo.”
A volte succedeva che arrivassero prima o che durante le lunghe attese in anticamera decidessero che Gaara, invece di essere il segretario dello studio, fosse il loro psicologo e gli riversassero addosso tutti i problemi della loro vita o che li avevano spinti a rivolgersi a un avvocato. Era un ruolo che ovviamente il ragazzo non voleva rivestire, ma si trovava costretto ad annuire mentre faceva buon viso a cattivo gioco e cercava una maniera cortese per evidenziare il fatto che stava lavorando e non era pagato per ascoltarli. Era logico comprendere come la prospettiva che gli rovinassero persino la pausa pranzo non lo rendesse esattamente felice.
“Dovrebbe essere mio cugino, deve salire a portarmi una cosa” si premurò a informarlo Itachi, ormai rassegnato ad assistere all’incontro tra i due.
“Ah, meno male” rispose Gaara visibilmente sollevato, premendo su un pulsante per aprire il portone. Non era un cliente inopportuno e nemmeno Sasuke, per quanto si trattasse sempre di un Uchiha, ma probabilmente Itachi sarebbe uscito tra poco assieme a lui per andare a pranzo, lasciandolo finalmente da solo e in pace.
Era stanco, stanco del lavoro, di sentire la gente e risolvere i loro stupidi problemi; era stanco dei propri e non riusciva a smettere di chiedersi perché diavolo si ostinasse ad andare avanti.
Scrollò col mouse il documento che stava leggendo, domandandosi anche perché la gente continuasse a litigare e a farsi cause stupide, buone solo a sperperare denaro, soprattutto perché poi toccava a lui protocollare gli atti d’ufficio ed espletare tutta la burocrazia accessoria.
Vide con la coda dell’occhio Itachi alzarsi per andare ad aprire la porta, confabulare a bassa voce con qualcuno appena entrato e, poco dopo, entrarono assieme nell’ufficio.
“Gaara, noi usciamo – gli disse l’avvocato posando un pacchetto sulla scrivania – comunque lui è mio cugino Shisui Uchiha.”
Il segretario sollevò gli occhi dallo schermo e osservò un ragazzo alto, dagli occhi scuri quanto i capelli corti e mossi, era molto bello e assomigliava a Itachi sebbene sul suo viso ci fosse un largo sorriso amichevole.
“Piacere, Gaara” disse alzandosi in piedi e tendendo la mano al di sopra della scrivania.
“Oh, piacere mio, scusa il disturbo” rispose il ragazzo stringendogliela. Nonostante le dita fredde la sua presa era salda e piacevole.
“Figurati” mormorò asciutto, non sapendo che altro dire.
L’altro però non sembrò scoraggiarsi e anzi continuò, con voce divertita:
“In realtà ero curioso di conoscerti, Itachi mi ha parlato di te e del tuo aiuto, se non ci fossi stato lo avrebbero licenziato il secondo giorno probabilmente.”
“Shisui! Ma che… – esclamò Itachi, irritato, per poi rivolgersi al segretario – scusalo, è caduto dal seggiolone più volte da piccolo.”
Gaara, nonostante tutto, sorrise per quella battuta, per quel modo che i due avevano di approcciarsi, denotava una grande confidenza e complicità, proprio come ci si aspettava da una famiglia con rapporti normali.
Il suo sorriso scomparve.
“Itachi è bravissimo, anche senza di me se la sarebbe cavata, ne sono certo” rispose, ed era vero. Non doveva nemmeno prenotargli il taxi o fare altre stronzate che un qualsiasi essere dotato di pollice opponibile avrebbe potuto risolversi da sé. Tutti tranne gli altri avvocati dello studio evidentemente.
“Dai Shisui, andiamo. Lasciamo respirare Gaara almeno durante la pausa, è quello che lavora più di tutti qua dentro” si intromise Itachi. Le sue parole rispecchiavano ciò che pensava, d’altronde lui non era il tipo da parlare a vanvera o sprecare complimenti senza fondamento, quelle poche volte in cui li elargiva.
Shisui però non gli diede retta, adocchiò il contenitore posato sulla scrivania vicino al mouse e in cui c’era una forchetta dispersa in mezzo a dei fagioli e un po’ di verdura, non gli sembrava un pranzo degno di nota.
“Perché non vieni a mangiare con noi? Tanto oggi offre Itachi!”
“Grazie, ma sarà per un’altra volta. Oggi ho un po’ di cose da sbrigare durante la pausa.” Nel rispondere, Gaara non mostrò la sorpresa dovuta a quell’invito proferito in maniera spontanea, aveva avuto l’impressione che quel ragazzo avrebbe davvero provato piacere per la sua presenza.
Forse la compagnia di quello Shisui poteva essere divertente, un’uscita con quei due poteva davvero essere un bel diversivo alla sua triste routine, ma non quel giorno. Forse nemmeno in quella vita in generale visto il suo stato d’animo attuale.
“Non preoccuparti Gaara, adesso lo porto via – lo rassicurò Itachi – ma se qualche volta vogliamo andare a pranzo insieme mi farebbe piacere.”
Il segretario annuì semplicemente, nuovamente sorpreso da quell’ennesima proposta inaspettata e li osservò uscire con un mezzo sorriso sulle labbra, anche perché i due continuavano a rimbeccarsi.
Quando furono da soli nell’ascensore Itachi gli diede una spinta:
“Ti avevo detto di non venire! E poi che cose ti metti a dire? Bastava che ti presentassi e basta.”
Shisui sospirò e alzò gli occhi verso l’alto, osservando il piccolo schermo dove si avvicendavano i numeri dei piani. Non disse una parola, né l’altro lo stimolò, consapevole che il cugino stava cercando il modo adatto per dirgli qualcosa che probabilmente non gli sarebbe piaciuto. Avvertì un brivido corrergli per la schiena, non dovuto alla giornata gelida, e infilò le mani nelle tasche del cappotto, attendendo. Shisui non gli avrebbe risparmiato niente, lo sapeva.
Si accomodarono in un locale poco distante, piuttosto semplice e affollato da altri lavoratori come loro che lasciavano gli uffici dove lavoravano diligentemente, al pari di industriose api operaie e, sempre come tali, sciamavano fuori in cerca di una boccata d’aria invece che di polline.
I due ragazzi erano uno di fronte l’altro, tra di loro i bicchieri, la bottiglia d’acqua, i tovaglioli, ma non osservarono niente di tutto ciò, troppo presi a guardarsi.
Itachi incrociò le mani sul tavolo, non fece nessun altro movimento, sembrava imperturbabile e sereno, una maschera perfetta in attesa del verdetto.
“È gay” rispose semplicemente Shisui alla sua domanda silenziosa.
All’improvviso l’aria sembrò densa, come uno zuccheroso sciroppo, e Itachi rimase qualche istante in apnea perché mandarla giù ai polmoni e poi portarla fuori era diventato difficile. Respirò con la bocca, dopo di che si morse delicatamente l’unghia di un dito.
“Come fai ad esserne certo?”
“Perché l’ho visto in un gay bar qualche volta e lì non ci vai per caso.”
Itachi sapeva che il cugino frequentava senza problemi certi posti, a differenza sua che ci andava molto raramente, e credette subito alle sue parole. Pensò alla variegata fauna di quei locali e provò un moto di paura per Sasuke perché lì, mescolati a gente comune, si nascondevano predatori, uomini senza scrupoli, puttane che cambiavano anche più di un cazzo in una serata, gente malata che pretendeva di scopare senza preservativo e tanti altri che si sarebbero potuti approfittare senza problemi di un inesperto come Sasuke. Certo, il fratello non era uno stupido, nemmeno qualcuno capace di dare confidenza, ma c’era anche chi quella confidenza se la prendeva con la forza.
“Parlami di lui” disse al cugino; in che cerchia rientrava Gaara? Cosa nascondeva dietro ai suoi modi pacati ed educati, dietro quegli occhi chiarissimi e a volte inquietanti?
Shisui si guardò un attimo attorno, intuì la preoccupazione del cugino e non perse altro tempo a rispondergli.
“Non lo conosco personalmente, l’ho notato qualche volta, in fondo con quei capelli rossi è un bersaglio facilmente individuabile, oltre ad essere piuttosto ambito, ho visto parecchi girargli attorno. Però lui mi sembra un tipo tranquillo, l’ho sempre visto al bancone del bar, beveva da solo e chiacchierava col barista, un tipo biondo, Deidara, te ne ho anche parlato, è quello che prepara quei cocktail divini. Probabilmente sono amici visto che lui sta da anni con un tizio strambo che si chiama Hidan che lavorava lì prima di andare da un’altra parte. Adesso sta in un altro posto un piano bar, mi sembra, non vado spesso là perché è troppo da fighetti ed è costoso.”
“Shisui, non mi interessa la tua vita notturna o l’elenco dei tuoi bar e barman preferiti” lo interruppe Itachi, tamburellando le dita sul tavolo.
“Sì, sì – sospirò questi – non c’è molto altro da dire. L’ho sempre visto al bancone a bere, a volte scambia qualche parola con altri e chiacchiera con Deidara. Una volta sola un tizio gli stava dando fastidio, questo era ubriaco ed era impossibile non notarlo perché parlava a voce alta, Gaara molto semplicemente gli ha intimato di lasciarlo in pace e se ne è andato, senza fare casini e deve essere stato piuttosto duro perché quello non lo ha seguito. Insomma pare un tipo tranquillo, sicuramente ogni tanto avrà anche dato più confidenza a qualcuno, ma non è che io stia là tutte le sere, anche se, ora che ci penso, è da parecchio che non lo vedo. Come ti ho detto, quei capelli sono piuttosto riconoscibili.”
Itachi si passò una mano sul labbro inferiore, sentendo sotto al polpastrello le pellicine secche a causa del freddo. La cameriera portò le loro ordinazioni, ma nessuno dei due iniziò a mangiare.
“In sostanza mi stai dicendo che è a posto e che se Sasuke e lui hanno avuto una relazione non dovrebbe esserci stato qualche problema… ma allora perché tra loro i rapporti sono così tesi? – guardò il cugino – Quando Gaara ha scoperto che ero suo fratello è sbiancato e quando si è trovato davanti Sasuke pareva aver vinto un fantasma, era turbato. Non sono reazioni normali.”
“Beh, magari hanno litigato e non sono rimasti in buoni rapporti, capita – rispose Shisui pratico, iniziando a mangiare – non è semplice avere a che fare con Sasuke. Non pensare al modo in cui è con te o coi suoi amici, lui è davvero chiuso e inflessibile e secondo me la risposta ai tuoi dubbi sta nella fuga di Gaara il giorno della sua laurea. Se veramente era lì per lui, come pensi che abbia reagito il tuo fratellino chiuso, che non ha mai parlato con nessuno della sua omosessualità, e per cui la cosa più importante al mondo è non deludere tuo padre? Come può aver mai reagito vedendo il suo amante così vicino alla propria famiglia?”
“Di merda” sospirò Itachi, bevendo un sorso d’acqua.
Per quanto i rapporti nella sua famiglia fossero migliorati, Fugaku rimaneva un uomo molto severo e all’antica e i sentimenti di inferiorità di Sasuke non potevano certo scomparire dal giorno alla notte, si erano di sicuro mitigati, ma il ragazzo provava ancora il bisogno di dimostrarsi perfetto e migliore di chiunque. Una combinazione letale che faceva a cazzotti con i dubbi e le incertezze che un giovane alle prese con una sessualità incerta, soffocata dal bisogno di mostrarsi conforme agli standard della società e del loro padre.
“Ma se è come dici perché lo ha invitato per poi cacciarlo?” domandò ancora Itachi, voleva capire e trovare un modo per aiutare il fratello.
“Che ne so? Qui stiamo facendo solo ipotesi – rispose Shisui a bocca piena – anche quelle fatte finora sono speculazioni e basta. Magari Gaara voleva fargli una sorpresa, magari è stata una coincidenza ed era lì per un altro motivo, magari Sasuke ci ha ripensato quando lo ha visto. Non possiamo rispondere a certe domande, è impossibile. L’unica cosa sicura è che sono in pessimi rapporti. Tu che vuoi fare?”
Bella domanda e, per una volta, Itachi non aveva una risposta.
“Shisui, manda giù prima di parlare e poi hai un pezzo d’insalata tra i denti” lo rimbeccò, senza reale irritazione, in fondo il cugino gli piaceva proprio perché era tanto diverso da lui, persino nel modo di stare a tavola.
Ignorò i suoi borbottii e rifletté, senza sentire nemmeno il gusto di ciò che stava mangiando.
“Non lo so – ammise e per lui era difficile confessare la sua impotenza – per il momento rimarrò a guardare come si evolve la situazione. Sasuke ha in mano il progetto di ampliamento dello studio, quindi saranno costretti a rivedersi.”
“Mmhh… e per quanto riguarda te? – all’occhiata interrogativa dell’altro aggiunse – Ricordo male o mi avevi detto che Gaara ti interessava?”
Itachi rimase interdetto da quell’affermazione, ulteriore segno che tutta quella storia lo stava scombussolando più del dovuto. Nemmeno quando Konan aveva annunciato che se ne sarebbe andata era rimasto tanto colpito. Non notò l’occhiata più attenta di Shisui, il suo interrompersi mentre mangiava per puntare la sua completa attenzione su di lui e la sua risposta.
“Beh, è bello, interessante, lo ammetto, ma se ha una storia con Sasuke come posso intromettermi?”
“Itachi, sei troppo altruista, specialmente se si tratta di tuo fratello, se ne avesse bisogno gli doneresti persino il cuore per trapiantarlo – sospirò Shisui per poi avvicinare la testa alla sua – va bene amare il proprio fratello, ma devi pensare anche a te stesso, non puoi negarti una scopata per lui. Nemmeno tu sei felice, e la vita di Sasuke è di Sasuke, tu non puoi sempre spianargliela, è un adulto ormai. Deve prendersi la piena responsabilità dei suoi errori e accettarne le conseguenze, e Gaara è una di queste. Se non stanno insieme, perché non dovresti farti avanti se ti piace, e poi da quello che ho visto una botta di felicità non guasterebbe nemmeno a quel ragazzo. Pareva che gli fosse morta tutta la famiglia, cane e gatto compresi.”
“Vaffanculo Shisui” sospirò Itachi, senza rabbia. Semplicemente il cugino lo metteva sempre di fronte ad alcune domande scomode che altrimenti avrebbe evitato. Era più comodo trincerarsi dietro alla scusa di Sasuke per non doversi esporre.
Shisui lo comprese alla perfezione e per quello gli sorrise, continuando a mangiare soddisfatto. Voleva bene a tutti i suoi cugini, ma Itachi era speciale e non solo perché ogni tanto facevano sesso, per lui la sua felicità veniva prima di quella di tutti gli altri e in quel momento finire a letto con Gaara lo avrebbe reso felice. Non ci vedeva niente di male o di compromettente, niente che avrebbe potuto turbare in modo significativo il suo futuro, solo un qualcosa di passeggero ma piacevole.
Rimasero in silenzio, ognuno preso nei propri pensieri quando all’improvviso Itachi domandò:
“Cosa c’era nel pacchetto che mi hai portato?”
Era stata la scusa con cui Shisui era salito, ma era stata una cosa che aveva improvvisato sul momento.
“Oh, già – disse questi sorridendo – preservativi, che altro?”
Itachi rimase con la forchetta a mezz’aria, guardandolo:
“Io ti ammazzo” sibilò.
“Ma se la confezione è addirittura nuova!” protestò l’altro, mentre Itachi pregava che nessuno andasse a sbirciare sulla sua scrivania o avrebbe dovuto cambiare lavoro per la vergogna.
“Puoi lasciarli in ufficio, magari ti serviranno prima o poi con Gaara” continuava a blaterare quell’idiota, ignaro del pericolo.
“Io ti ammazzo sul serio.”

 

 

 

 

L’angolino oscuro: Dopo tutti questi casini a quanto pare Sasuke ha fatto la prima azione sensata, si è rivolto a qualcuno per chiedere aiuto. In questo momento così confuso e travagliato ha bisogno di qualcuno che gli faccia luce e gli permetta di distinguere il cammino da seguire, un aiuto per trovare quelle risposte di cui ha bisogno e che nessun’altro può fornirgli, adesso è tutto nelle sue mani e deve essere lui a scegliere cosa fare.
Il “segreto” di Gaara viene svelato da Shisui e Itachi è forse sulla strada giusta per scoprire la verità, ma sarà davvero così semplice? E soprattutto cosa farà Itachi con questo interesse che prova verso Gaara? Continuerà a mettere Sasuke davanti a sé e ai propri bisogni? Insomma entrambi i fratelli Uchiha si trovano davanti delle decisioni importanti da prendere, quale sarà quella giusta? Per il momento godetevi questo spezzone di vita e complicità tra i due cugini, e non perdete d’occhio Shisui…
Alla prossima, se vi va fatemi sapere che ne pensate della storia.

 

   
 
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