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Autore: Mel_deluxe    09/10/2017    1 recensioni
La popolarità non è un’opinione: questo è ciò che credono gli studenti del liceo di Buckley, sperduto paesino nelle foreste del nord-Midwest, dove le regole e le relazioni sociali sono dettate da una rigida e rispettata “Catena della Popolarità”.
Linda Collins, affascinante reginetta del ballo nonché capo cheerleader in carica, si è sempre ritrovata ai primi posti della Catena senza particolari sforzi. Tutto però cambierà l’ultimo anno di liceo, quando Linda lascia il suo storico fidanzato Simon Coleman, il bello e conteso quarterback di football della scuola, che subito si rivolta contro di lei. Questo sarà l’inizio della fine.
Nel frattempo qualcuno sembra tramare nell’ombra per distruggere la Catena: strani avvenimenti iniziano ad accadere a Buckley, e un terribile, losco omicidio verrà commesso, proprio all’interno delle quattro mura scolastiche.
Linda e Simon, resosi conto che l’assassino sembra prendere di mira proprio loro due, si vedranno costretti a mettere da parte le loro rivalità e ad allearsi per risolvere questo intrigato mistero.
Chiunque sia il misterioso assassino, una cosa è certa: non apprezza affatto i ragazzi popolari.
Genere: Mistero, Parodia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Sono in ritardo ma come disse una volta D'Annunzio, MeNeFrEgO
Update: stiamo ancora migliorando

 

Capitolo 3
Il mio monologo interiore
 
 

Mother do you think she's good enough for me?
Mother do you think she's dangerous to me?
Mother will she tear your little boy apart?
Oooh aah, mother will she break my heart ?

“Mother”, Pink Floyd 1979



 
Eccomi qui, finalmente all’ultimo anno di liceo, per sfortuna viva e senza ossa rotte. Una vita spesa a farmi insegnare cose elementari e stupide, come logaritmi e il saper leggere, ma ancora non mi spiego come nessun insegnante mi abbia mai spiegato come la vita possa essere misera, e le persone malvagie...
Eccoli, guardali, si voltano sempre mentre passo io. So a cosa stanno pensando. Pensano di essere superiori a me, superiori a chiunque altro. Credono che sia una persona strana solo perché mi vesto di nero, che sia una ribelle perché fumo, che sia in cerca di attenzioni perché ho questo atteggiamento scontroso.
Beh, cari studenti, lasciate che ve lo dica: voi mi disgustate. Il vostro conformismo, il vostro sistema, tutto è sbagliato. Siete solo degli insulti schiavi del capitalismo e della società.
Siete patetici.
Siete voi a rovinare il mondo, voi che-
 
«Scusa, hai un minuto?»
Alexis Golde si voltò irritata verso la ragazza che le aveva rivolto la domanda.
Si tolse la sigaretta spenta dalla bocca per parlare.
«Hai appena interrotto il mio monologo interiore, lo sai?» chiese con rabbia.
«Ehm... cosa?»
«Lascia stare.»
Alexis osservò spazientita la ragazza che aveva appena interrotto il suo monologo. Era una cheerleader, fatto che già di per sé non le piaceva. Odiava già quella scuola dal primo giorno in cui ci metteva piede. La cheerleader era piuttosto bassa, con dei bellissimi riccioli biondi a ricoprirle le spalle. Abbastanza carina, pensò, ma probabilmente senza cervello, come tutte le altre del resto.
Alexis osservò la cheerleader davanti a sé per qualche secondo, poi la ascoltò parlare.
«Ciao! Mi chiamo Stephanie!» iniziò lei, fin troppo allegra. «Faccio parte della squadra di cheerleading e magari poteva interessarti...»
«Lo so che sei una cazzo di cheerleader: indossi la divisa.»
La cheerleader bionda la guardò stupita. Alexis non si curò nemmeno di preoccuparsi se la frase l’avesse offesa o meno.
«Okay... ehm.» la cheerleader non sapeva esattamente come rispondere. «Tu sei...?»
«Alexis.» rispose lei. «Sono arrivata da quest’anno, nella mia vecchia scuola mi hanno cacciato perché mi hanno beccata mentre me la facevo con la figlia del preside.»
Stephanie fece una risata forzata. Era evidente che era imbarazzata, ma almeno ci provava.
«Okay... allora, Alexis.» riprese la cheerleader, timidamente. «Nella squadra stiamo cercando nuove reclute e mi chiedevo se tu...»
«No.»
Stephanie cercò di coprire con un sorriso la sua agitazione palese.
«Non hai nemmeno sentito tutta la proposta...»
«C’entra con voi cheerleader? Allora è un no a prescindere. Ho chiuso con quella roba.»
Stephanie le rivolse uno sguardo.
«Oh! Eri una cheerleader alla tua vecchia scuola?»
Alexis fece un leggero sorriso.
«Ero la capo cheerleader, tesoro. La ragazza più popolare della scuola, reginetta del ballo e la più carina della scuola. Tutti mi amavano e tutti mi veneravano. Ma è acqua passata ormai.»
«Cosa è successo? S-se posso chiedertelo...» Stephanie sembrava davvero incuriosita da lei.
«Esserlo mi ha rovinato la vita.» Alexis fece un sospiro malinconico. «Non è mai facile scoprire che la ragazza perfetta in tutto è in realtà lesbica, sai. Così i miei compagni l’hanno scoperto, poi i miei genitori e sono finita in questo buco che voi chiamate Buckley. Bella storia, eh?»
Alexis sorrise ma Stephanie, al contrario, rimase seria tutto il tempo.
«Io... Mi dispiace molto, Alexis.» disse con tono sincero.
«Nah, non mi importa più ormai.»
Alexis guardò la cheerleader da capo a piedi. Non era poi così male, dopotutto.
«E che mi dici di te, Stephanie?» domandò, sicura che l’avrebbe scandalizzata. «Ti piacciono le tette?»
Stephanie spalancò gli occhi e Alexis sorrise soddisfatta. Ne era sicura.
«Cosa? Io? Noooo.»
Alexis si avvicinò di più a lei.
«Come fai a esserne così sicura?» chiese, per stuzzicarla di più. «Hai mai provato?»
«Beh, sai, ho un ragazzo...»
Alexis alzò le sopracciglia.
«Ah sì?»
«Jonas, sì. Lui è molto carino e gentile. È solo un po’...»
«Gay?»
Stephanie la guardò ad occhi spalancati.
«Perché deve sempre girare tutto sull’omosessualità?»
«Ah, non lo so. Sei tu che hai iniziato.» Alexis si divertiva troppo a irritare le persone.
«Io?» Le lanciò uno sguardo cagnesco. «Sei tu che hai iniziato, con quella domanda!»
«D’accordo, hai ragione, colpa mia. Non capisco il bisogno di arrabbiarsi tanto.»
Alexis le passò una mano tra quei folti riccioli biondi. Stephanie rimase immobile, senza protestare.
«Senti, Stephanie, sei molto carina. Ma non entrerò mai nella tua stupida squadra di cheerleaders, scordatelo e basta.»
Si allontanò, senza dire niente.
Udì, dopo qualche secondo, la voce di Stephanie, urlarle alle sue spalle:
«Va bene! Non dirò alla mia capo cheerleader che hai rifiutato. Lei prende molto sul personale queste cose...»
Alexis sorrise. Dopotutto quella ragazza le stava simpatica. Senta voltarsi le disse di rimando:
«Sapevo di piacerti, in fondo!»
 
 
Linda Collins era appoggiata agli armadietti, come al solito si limava le unghie, mentre parlava con Carey Davis, che le teneva compagnia durante il cambio dell’ora.
«Voglio dire, non è che sia un problema certo.» diceva animatamente. «Ma non trovi che Janissa sia un po’ ingrassata durante gli ultimi tempi? Se continua così farà fare brutta figura alla squadra.»
Carey non rispondeva, ma assecondava tutto ciò che Linda diceva. La capo cheerleader intanto parlava, e adorava essere ascoltata.
«E poi dai, è una lagna!» continuava Linda. «Insomma quando le ho detto che Darren C. Carmicheal sabato sera mi ha portata in un ristorante di lusso, e che poi a casa sua l’ho fatto venire tre volte in mezzora, tutto quello che è riuscita a dirmi è stato “Oh, Linda, come puoi dirmi queste cose? Sai che lo amavo!”. È una tale egoista.»
«Dai, Linda, non te la prendere.» Carey provò a farla ragionare, ma in realtà nemmeno lei ne era convinta più di tanto. «Era vero, a Janissa Darren C. Carmicheal piaceva molto.»
«Chi se ne frega! Dovrebbe capirlo che la popolarità non è una questione di amore, anzi, quello è l’ultimo dei miei pensieri!»
Improvvisamente però, si accorse di qualcosa che la distolse dal suo passatempo. Certo, adorava parlare male di Janissa alle sue spalle, ma l’occasione che si presentava era mille volte meglio.
«Ehi, Taylor!»
La cara vecchia Taylor May stava attraversando velocemente i corridoi con un pacco di libri in mano, il viso affannato e i vestiti più brutti che Linda avesse mai visto.
Si bloccò quando si sentì chiamare, Taylor si voltò, ma quando si accorse di chi si trattava, se ne pentì immediatamente.
«Chi si rivede! È passato un anno da quando ti ho visto l’ultima volta...» disse Linda con finto tono gentile. Sapeva bene che Taylor la odiava e non vedeva l’ora di istigarla di nuovo. «Dove stai andando di bello?»
«Linda? Io...» Era evidente che Taylor non sapesse affatto come gestire la situazione.
Si guardò un attimo intorno. Linda la osservava impaziente, mentre Carey fingeva di non essere nemmeno presente.
«Devo andare.» si liquidò velocemente Taylor.
Linda però fu più lesta e la richiamò indietro.
«Ehi, ehi, aspetta!»
Taylor non si girò.
«Come, ci conosciamo da tutto questo tempo e ancora non ti fermi quando ti parlo?»
Taylor continuò imperterrita a ignorarla. Linda decise allora che sarebbe passata subito all’attacco, con la sua mossa vincente:
«Immagino che tu sia già saltata addosso a Simon con la stessa velocità con cui corri, allora.»
Ci fu silenzio e Taylor si bloccò. Linda sorrise soddisfatta, essendo riuscita nel suo intento.
Lentamente, Taylor si voltò e si avvicinò a Linda in modo allarmante. Carey abbassò il viso e cercò di ignorare il più possibile la situazione. Quando furono esattamente una di fronte all’altra, Taylor urlò alla cheerleader in pieno viso, con rabbia:
«Tu non sai assolutamente nulla!» Taylor era furiosa, mentre Linda la osservava quasi compiaciuta. «Non sai nulla di me, né di Simon, né di nessun altro. Non mi piaci, Linda, lo sai bene, anzi potrei anche dire che ti detesto. Simon era il mio migliore amico e tu l’hai trasformato in un tuo clone maschile, l’hai completamente deviato! In più lo sanno tutti che te la facevi ancora con Tristan Lee quando stavi con lui. Gli hai rovinato la vita, l’hai rovinata a me e a centinaia di altre persone! Ma tu non te ne rendi conto, a te basta essere solo al primo posto della Catena e te ne freghi del resto del mondo. Sei malvagia, sei infida e la gente non se ne accorge nemmeno! Beh, sai una cosa? Non ti permetterò più di fare del male a Simon, questo è certo!»
Quando Taylor finì, i suoi ansimi erano l’unica cosa che creavano rumore tra di loro.
Linda la guardava immobile, con le braccia conserte, appoggiata agli armadietti e lo sguardo di ghiaccio su di lei.
«Che lagna. Hai finito?» chiese, quasi annoiata.
Taylor fu quasi sorpresa dalla sua fermezza. Anche se Taylor le aveva appena urlato insulti in faccia, Linda non aveva mosso un dito. Non sapeva più come reagire ormai.
«Bene, lascia che ti dica io ora una cosa, Taylor.» Linda si allungò diritta e si avvicinò di più a lei. «Non mi interessa assolutamente nulla se credi di conoscere Simon più di me, o che so io. E non mi interessa nemmeno se tu sia considerata una Numero Otto per merito suo, né che tu faccia parte del club di teatro. Tu per me sei la stessa di sempre: una nullità, una Quattordici, sempre e comunque. E lo sai qual è la differenza tra me e te? Lo sai Tay, perché io sono al Numero Uno e tu solo al Quattordici? Te lo dico io perché: perché a differenza tua io so di essere una persona orribile. Tutte quelle cose che mi hai detto sono vere, sono meschina, falsa, infida, ma so benissimo di esserlo, e non me ne vergogno. Tu invece, con il tuo atteggiamento da hippie mangia-petali-di-rose e i discorsi su come tu sia fantastica, mentre tutti noi comuni mortali non capiamo quanto tu in realtà sia speciale e stronzate simili, non convinci assolutamente nessuno. Dici che io non so nulla di te? Bene, nemmeno tu sai assolutamente nulla di me. Quindi perché non impari una buona volta a usare un po’ di umiltà, razza di fenicottero sbiadito?»
Linda si avvicinò ancora di più, e si mise vicino al viso di Taylor, per fare in modo che ciò che le sussurrasse potesse essere sentito solo da lei.
«Sai perché credo che tu mi odi, Taylor?» le disse infine. «Non c’entra assolutamente nulla con la popolarità, o la Catena, ma con Simon sì. Mi odi perché io ci sono arrivata prima di te, non è forse così?»
Taylor si sforzò per stare immobile, ma non ci riusciva. Non riusciva a ribattere nulla.
«Oh, credi che non lo sapessi, vero?» continuò Linda, con sempre più cattiveria nelle parole. «Credi che non sapessi di tutte le poesie melense che gli hai dedicato, di tutti i messaggi in segreteria e tutte le serate in cui hai pianto per colpa sua? E scommetto che adoravi pensare a lui, a pensare a quanto sarebbe stato bello se solo lui ti avesse ricambiato...»
Taylor voltò gli occhi verso di lei, sforzandosi di non piangere.
«Tu sei malvagia.» disse con voce smorzata.
Linda fece un ampio sorriso.
«Eppure Simon si è innamorato di me.» ribatté. «Sai, credo che dovresti smetterla di dare la colpa agli altri se il tuo migliore amico ha preferito non farsi vedere più in giro con te piuttosto che scoparti.»
Taylor non seppe più cosa dire. Trattenendo a stento le lacrime, mandò giù la saliva e pronunciò a bassa voce:
«Devo andare ora. La professoressa Smag mi aspetta nel suo ufficio.»
Poi abbassò lo sguardo e si allontanò da Linda, cercando di non farsi notare da nessuno.
 
 
Michael Joyce controllò due volte le dosi dei suoi antidepressivi, prima di ingerirli.  Detestava quei cosi, ma dopotutto era un suo obbligo prenderli.
Trattenne il fiato e buttò giù le due pastiglie giornaliere che lo psicologo gli aveva prescritto.
Sarebbe impazzito, ne era sicuro.
Si alzò dalla sedia girevole e si mise a camminare lungo il suo ufficio, per quanto quel minuscolo spazio gli permetteva.
Non dormiva da due giorni. Suo figlio Lewis era nato da tre settimane, e la notte non stava zitto un secondo. Michael si sentiva come un’ameba in quel momento.
Sua moglie Sarah l’aveva convinto a fatica vedere uno psicologo, in aggiunta alla terapia di coppia, che ormai frequentavano da tre mesi. Michael non sopportava quella terapia. Tutti continuavano a ripetergli che era tutto stress derivato dalla nascita del bambino, ma Michael sapeva che lui e Sarah avevano cominciato la loro crisi ben prima. Michael era anche riuscito a trovare un nuovo lavoro, ma questo non aveva risolto i problemi. Ormai erano sposati da tre anni, non c’era motivo di fingere che andasse tutto bene tra di loro.
A ventisette anni, Michael si ritrovava disperato come un bambino.
Fare l’insegnante in una scuola era il lavoro migliore che potesse aspirare. Eppure non si era mai sentito così triste come in quel momento.
Devi resistere, Mike. Devi. Resistere.
La sua stanchezza si fece sentire ancora di più quando sentì qualcuno entrare urlando nel suo ufficio, e ci mise qualche minuto per rendersene conto.
«Professoressa Smag! LeeAnn mi ha mandata a dirle che… Oh!»
Michael vide una bella ragazza dai lunghi capelli scuri davanti alla porta, nel suo ufficio che si bloccò non appena lo vide in piedi davanti a lei. La ragazza spalancò gli occhi, imbarazzata.
«Oh, mi scusi signore.» disse quasi sussurrando. «Credevo... credevo che questo fosse l’ufficio della professoressa Smag.»
La ragazza se ne stava per andare, quando Michael trovò un briciolo di lucidità in sé per risponderle:
«Non ti scusare. La professoressa Smag non lavora più qui.»
La ragazza si rivoltò verso Michael , mostrando il suo sguardo stupito. Michael notò che i suoi occhi erano arrossati, come se avesse pianto per parecchio tempo prima di venire lì.
«Cosa? Perché?» domandò lei, con voce scioccata, quasi preoccupata.
Michael non rispose subito alla domanda. Si diceva che avessero trovato della droga nel cassetto della cattedra della Smag, ma si trattenne da dirlo ad alta voce.
«Pare che abbia trovato un altro lavoro all’estero…» disse la prima cosa che gli capitava per la testa. «Io sono il professor Joyce, insegno letteratura e dirigo il club di teatro, piacere.»
Il viso della ragazza s’illuminò di colpo. Michael non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era davvero carina, a partire dalla sua sensuale bocca a cuore ai suoi lunghissimi capelli, che avevano un fascino tutto loro.
Michael si distaccò subito dai suoi pensieri. Stava comunque parlando di una sua studentessa, doveva avere al massimo diciotto anni.
Di sicuro era l’effetto degli antidepressivi.
«Fantastico!» La ragazza urlò fin troppo ad alta voce. «Ehm.. io sono Taylor May, piacere, e faccio parte proprio del club di teatro da due anni.»
Taylor. Aveva un bellissimo nome, degno di una bellissima ragazza.
Michael le sorrise. Avvertì un brivido lungo il collo non appena la ragazza ricambiò il sorriso.
«Non sapevo che l’avessero sostituita.» lo informò Taylor, sempre con il suo smagliante sorriso stampato sulle labbra. Taylor lanciò un’occhiata al cartellino sulla porta, rimasta ancora aperta. «M. Joyce. La M sta per Martin?»
«No, sta per Michael.» le rispose con gentilezza.
Taylor riportò i suoi grandi occhi scuri su di lui.
«Si chiama come mio padre, sa.» disse poi, con fare solare.
Michael le sorrise in silenzio. Non sapeva perché quella ragazza gli stesse dando così tanta confidenza, ma non gli dava troppo fastidio. Anzi, si poteva dire che avrebbe continuato a parlare con lei all’infinito se avesse potuto. Taylor continuò a parlare riguardo a club di teatro, e a informarlo di altri argomenti, che Michael fece fatica ad ascoltare. Tutto ciò che riusciva a pensare in quel momento era quanto fosse bella Taylor. Si chiese come sarebbe stato baciarla, che sapore dovessero avere le sue labbra. Poi il pensiero cambiò, e si trasformò in disgusto per sé stesso e per tutti quei pensieri non consoni riguardo a lei che stava continuando a fare.
Taylor finalmente, dopo qualche secondo, si congedò:
«Allora ci vediamo tra un’ora in auditorium.» lo salutò Taylor, uscendo dall’ufficio.
Michael la osservò uscire e chiudere la porta con delicatezza.
Rimase per qualche secondo lì in piedi in silenzio.
Infine si rallegrò pensando che tra meno di un’ora avrebbe rivisto quella meravigliosa ragazza.
  
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