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Autore: TheLoneDarkness    11/10/2017    1 recensioni
Il Sangue di Drago è ormai leggenda, Skyrim non è più quella di un tempo, l'orgoglio nord è sopito ormai, ma non distrutto. Saewen è una ragazza che vive a Solitude, sembrerebbe una comune ragazza, se non presentasse tratti tipici di Aldmeri e Nord. Sebbene la ragazza non sia una nord, trascorre molto tempo a immaginare le storie del passato, ascoltare leggende sul Sangue di Drago e a sembrare una nord. In un clima di tensione tra Impero e Thalmor, ribellioni e il ritorno di alcuni draghi, quale ruolo avrà questa fanciulla? E soprattutto, quale legame ha con Alduin e il Sangue di Drago?
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Si avvicinò di nuovo alla bandiera. Lei era nata trenta anni dopo gli eventi del sangue di drago e della guerra civile, dieci anni dopo la seconda guerra, perciò non aveva mai visto la Skyrim di un tempo, non conosceva le leggende e la cultura di quel paese, che gli Aldmeri avevano messo a tacere. Quello che conosceva, lo sapeva per aver ascoltato alcuni bardi nelle taverne, ma non era certo che quello che raccontavano fosse vero: ormai il sangue di drago era diventato una leggenda e le sue gesta erano state talmente cantate da essere in parte inventate.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alduin, Altri, Vilkas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- La vita non cambia -
 
 

 
 
NDA: Salve a tutti! Colgo innanzitutto l'occasione per ringraziare polx e afep per le loro preziose recensioni e in particolare polx per i suoi consigli. Grazie a lei ho "ritrovato" la voglia di rileggere i capitoli (che prima non avevo perchè davo più importanza ad altri miei progetti, non volevo togliere loro troppo tempo). Quindi gli errori che troverete saranno frutto di mia incapacità oppure potrebbero essere sfuggiti alla rilettura. Ad ogni modo, ho prestato particolare attenzione alle ripetizioni come suggerito, e credo di aver fatto un buon lavoro (e poi magari contrariamente a quel che penso, ho fatto peggio di prima xD). Detto questo, chiedo scusa per il ritardo al quale siete praticamente abituati, purtroppo la mia facoltà non mi permette di avere molto tempo libero. Comunque, per la felicità o la disperazione di molti, ho intenzione di adornare il prossimo capitolo con un'altra immagine. Detto questo, buona lettura, e grazie a tutti di seguire questa storia a cui non ho mai dato molta speranza. 


 


 
Seduta per terra, Saewen stava imparando i nomi di numerosi autori mentre sistemava i libri. Ad esempio scoprì che un trattato sulla caccia con l’arco era stato scritto da un tizio di nome “Udodak Arroway”, il cui cognome, pensò la ragazza, parlava da solo. Tra i vari tomi scoprì anche “Trattato sulla storia e la cultura del popolo Kajhiiti”, di J’Raks Ri’Dar: fu così che scoprì che i kajhiiti avevano strani nomi, in genere composti da parole separate da apostrofi. Si rese conto di non aver visto kajhiiti in vita sua: a Solitude non ve ne era ormai nessuno e durante il viaggio verso Falkreath non ne aveva incontrati. Sapeva, invece, cosa fossero gli Argoniani e conosceva la loro passione per le pietre preziose. Si ricordava la paura che le incutevano da piccola, si ricordò che quando li vedeva correva a nascondersi e perciò era spesso derisa dai suoi coetanei. In quel momento era cresciuta ed aveva imparato la differenza tra argoniani, coccodrilli e salamandre, ma nondimeno le trasmettevano sia inquietudine che un leggero ripugno.
Purtroppo non riusciva a trovare alcun libro sul Sangue di Drago, o comunque su ciò che era accaduto cinquanta anni prima. Quasi tutti i tomi, infatti, riguardavano magia, alchimia e incantamenti di cui Saewen non conosceva il nome.
Seorith scendeva le scale di tanto in tanto, forse per controllarla, forse per prendere qualcosa che gli sarebbe tornato utile al suo scopo. Saewen lo guardava e non faceva a meno di chiedersi cosa ci fosse sotto quel cappuccio. Un Kajhiti? Un argoniano? Scrollò la testa: quelle razze non erano molto portate per la magia. Forse era semplicemente un nord o un elfo presuntuoso.
Di tanto in tanto Saewen alzava la testa per controllare quanti libri dovesse ancora sistemare, e ogni volta si disperava:  dispersi nel pianerottolo c’erano un numero indefinito di tomi, alcuni dei quali polverosi, altri talmente consumati da non essere leggibile il nome dell’autore. Quando Saewen chiedeva al mago chi avesse scritto uno di quei tomi antichi e rovinati, si vedeva sempre squadrare con aria di supponenza e si sentiva sempre rispondere con frasi della sorta: “Come puoi non conoscere l’autore di questo celeberrimo libro? Che ragazza di bassa cultura…”
Saewen allora ritornava a lavorare irritata e offesa.
I giorni trascorrevano lenti, Siddgeir non pareva degnarla di molta attenzione, Kyitald non voleva assolutamente allenarla e Saewen trascorreva intere ore a riordinare l’immensa biblioteca del mago, che non finiva di trattarla con supponenza.
Dopo pranzo, ogni giorno, Saewen passeggiava per la città, che a suo parere assomigliava più a un paesello.
Aveva sperato che la sua vita cambiasse, invece anche a Falkreath pareva trascorrere uguale e monotona.
Anche quel giorno, Saewen, dopo pranzo, si recò per prima cosa alla Goccia Fatale. Come sempre, salutò il fabbro che ricambiò con frettolosità.  Non dimenticò di scambiare due parole con Oraf, il vecchio guardiano del santuario che sedeva tutti i dì davanti alla locanda.
“Anche oggi qua, giovane Saewen?”
La ragazza osservò il vegliardo con sguardo benevolo.
“Voglio ascoltare le canzoni del bardo. Ogni volta parlano di nuove avventure, nuovi cavalieri, nuove storie. Quella di ieri, ad esempio…”
“Ah sì, sì”, il vecchio la scacciò con un gesto, “Le storie mi annoiano”.
Saewen sospirò ed entrò nella locanda, cercando di non ascoltare il chiacchiericcio degli abitanti.
“Quella lì è così strana”
“Già. Ascolta le canzoni dei bardi, come gli uomini. Dovrebbe fare cose da donne!”
“Chissà se sa tessere!”
“O cucinare”
“Oh dei! E se non sapesse nemmeno danzare?”
“Nessuno la vorrebbe come sposa. Cosa te ne fai di una donna che passa il suo tempo a leggere ed ascoltare le canzoni dei bardi?”
Saewen passò oltre, ma ogni volta quelle parole sprezzanti la rattristavano. Incontrò Asbel, che come sempre beveva il suo bicchiere di birra quotidiano. Il problema era che, a differenza di ciò che affermava, Asbel beveva molto più di un solo bicchiere.
Saewen lo salutò con garbo e osservò le cameriere servire il cibo.
Si sedette su una panca e attese che il bardo arrivasse. Come sempre, il cantore le fece un cenno del capo e un sorriso enigmatico. Probabilmente era davvero singolare anche per lui vedere una fanciulla che ascoltava le sue canzoni in mezzo a tanti uomini.
“Oggi”, esordì il bardo, “Intonerò una canzone molto popolare ai tempi di Ulfric e dei manto della tempesta. Una canzone che infondeva gioia e speranza nel cuore di chi la ascoltava. Ecco il suo titolo: L’era dell’aggressione”.
Una canzone dei tempi di Ulfric? Allora significa che anche il Sangue di Drago la ascoltava! Chissà se era la sua preferita, chissà se appoggiava l’impero o i manto della tempesta!
Il bardo iniziò a suonare, poi intonò la canzone:
“Brindiamo al domani e alla sua gioventù, perché l'aggressore non torni mai più”.
Saewen si era già immersa in un mondo fantasioso e incredibile all’udire quelle note, già immaginava popoli in guerra, soldati feriti che combattevano per la patria contro un aggressore forte e pericoloso. Li vedeva poi brindare, dopo la battaglia, nella vana e caduca speranza di poter finalmente raggiungere la vittoria il giorno seguente e tornare a casa come eroi.
“Dei Manto di Tempesta la sorte è funesta, col sangue e la spada riavremo una casa”.
La mente di Saewen corse verso un’altra vivida immagine, quella di un canto prima della battaglia, di prodi guerrieri pronti a tutto per la loro terra ma trepidanti di riabbracciare le loro famiglie, speranzosi di chiamare di nuovo “Casa” la loro patria. Dall’altra parte del campo di battaglia, invece, c’erano i manto della tempesta, soldati stupidi che non capivano che senza l’impero Skyrim non sarebbe potuta sopravvivere, persone egoiste e barbare, che avevano ucciso una persona per ottenere il potere.
“Preparati Ulfric, assassino di re, che il dì tuo fatale rideremo di te”
Ecco Ulfric avanzare in mezzo al campo della battaglia con espressione malvagia e superba, ecco i soldati suoi avversari urlargli che un giorno sarebbe morto, che gli assassini e le persone disoneste sono destinate a perire nel peggiore dei modi.
“Siamo i figli di Skyrim, lottiam con ardore e nel Sovngarde alfine troveremo l'onore”.
Nella mente di Saewen la battaglia era iniziata: schiere di soldati combattevano mettendo a repentaglio la loro vita e il loro futuro. Sapevano che la sorte della loro terra era più importante di ciascuna delle loro vite e sognavano un mondo in cui i loro figli sarebbero potuti essere liberi.
“Ma la terra è la nostra e mai esiteremo, il cuor del nemico marcirà nel terreno!”.
Saewen si alzò istintivamente in piedi e iniziò ad applaudire con entusiasmo. Certo, lei avrebbe preferito una Skyrim libera, ma la canzone era stata composta sotto il punto di vista imperiale e lei non aveva potuto fare a meno di esplorare anche le loro intenzioni con la fantasia.
Uscì dalla Goccia fatale e si avviò verso il cimitero. Come sempre, molte galline erano fuggite dall’aia e alcuni contadini le inseguivano urtando contro tutti.
“Salve, signorina”
“Buondì, Signore”
Ogni giorno trascorreva uguale. Saewen era delusa dalla sua nuova vita, ma doveva ammettere che aveva una disponibilità infinita di libri. Si sedette in attesa di Steid davanti al santuario e iniziò a leggere. Dopo un po’ strinse il libro a sé.
“Cosa succede?”
Saewen si voltò in direzione dell’uomo.
“Oh, ho solo letto il mio passo preferito. Parla del duello tra Ragnar il Rosso e Matilda. Era una donna veramente coraggiosa! Vorrei davvero diventare come lei!”
“Non è l’unica donna coraggiosa”, disse Steid.
Saewen chiuse il libro e ignorò le risate di alcune ragazze che passavano di lì.
“Dicono tutti che sono stravagante”, si lamentò.
“Ed è un difetto?”, le chiese Steid.
“Credo di sì”.
“Io invece penso di no. Mi sono innamorato una sola volta nella mia vita. Mi ha colpito la sua intelligenza, la sua curiosità, la sua singolarità. Quando tutte le ragazze pensavano solo all’esteriorità e alle frivolezze, lei trascorreva il suo tempo a leggere e scrivere. Adorava scrivere”.
Saewen sorrise, ma poi sospirò.
“Questa vita mi deve un po’ di più”.
“Vedrai, quando meno te lo aspetterai, cambierà”
Saewen annuì lentamente. Si alzò. Era andata da Steid per conoscere altra storia riguardo a Falkreath, ma le era passata la voglia.
Salutò l’uomo e tornò nella via principale per recarsi da Seorith. Vide di sfuggita Kyitald davanti alla locanda e lo salutò con un cenno del capo. Stava parlando con due uomini.
“Certo che la nuova arrivata è strana”
“Una ragazza singolare, sì”, affermò Kyitald.
“Sembra sempre con la testa tra le nuvole”.
“In effetti è così. Saewen è una ragazza diversa dalle altre, ma credo che la gente che abita qui non capirà la sua originalità. Lei è intelligente, fantasiosa, introversa”.
 
Saewen arrivò alla torre più tardi del solito, come sempre la porta si aprì automaticamente e lei salì a sistemare i libri.
“Sai che ho trovato un terreno comune tra noi?”
Seorith era sbucato dal nulla dietro di lei.
“Ma davvero?”
“Ci disprezzano tutti. È un’ottima cosa, mi permette di isolarmi. Odio la gente”.
“Si nota”.
“Dovresti imparare ad andare fiera di ciò”.
Saewen non rispose. Seorith era veramente pazzo, pensò.
La ragazza prese distrattamente in mano “Tecniche alchemiche per maghi principianti” di Ralamus Marend e lo aprì per leggere velocemente l’introduzione: scoprì così che essa non riguardava l’alchimia, e che pure la firma dell’autore era diversa e apparteneva ad un tal Pilper Entius.
Che cosa singolare. Perché mai il contenuto del libro dovrebbe essere diverso da quello del titolo?
Di cosa parlasse, Saewen non lo sapeva. Molti periodi, anche molto lunghi, erano stati scritti in una strana lingua ed erano affiancati da illustrazioni di cui la ragazza non comprendeva il significato. Tuttavia, quel poco che riusciva a leggere riguardava il lessico o la grammatica di un’altra lingua, a quel che Saewen poteva comprendere. In realtà, il tutto non sembrava avere molto senso visto che i vari paragrafi sembravano non essere collegati da alcun filo logico.
Così, Saewen si recò da Seorith che stava ancora una volta chino su un tomo con un’ampolla in mano.
Saewen si schiarì la voce e il mago si voltò pigramente verso di lei.
“Cosa vuoi adesso?”
Non sembrava aver voglia di mostrare un linguaggio forbito: forse lo aveva distratto nel bel mezzo di un esperimento importante.
“Si tratta di questo libro. Si intitola ‘Tecniche alchemiche per maghi principianti’ ma l’introduzione non parla di alchimia, e anche l’autore scritto nella copertina è sbagliato. C’è scritto ‘Ralamus Marend’, ma l’introduzione è stata firmata da Pilper Entius”.
Seorith sbuffò.
“Tu devi riordinare i libri per autore, non leggerli”, la rimproverò.
“Lo so, ma ero curiosa. Non voglio sapere cosa tratta questo libro, voglio che tu mi dica in quale scaffale inserirlo!”
“Se il cognome dell’autore in copertina è ‘Marend’, dove mai dovrai sistemarlo?”, la canzonò il mago.
Saewen scese le scale irritata, e sistemò provvisoriamente il libro dopo “Storia di Falkreath volume V” di “Elbent Mapoz”.
Durante le ore seguenti, tuttavia, continuava a chiedersi perché quel libro trattasse un argomento diverso da quello del titolo: l’autore aveva voluto confondere i lettori oppure il contenuto del tomo era stato sostituito? E in quel caso, perché? Ad un tratto nella mente della ragazza balenò un’idea: si alzò in piedi e cercò tra tutti i tomi dispersi uno scritto da Pilper Entius, ma non lo trovò. Così, quando calò la sera, non aveva svolto tutto il lavoro che avrebbe dovuto, e ovviamente Seorith non perse occasione di rimproverarla.
Il pensiero riguardante quel libro la accompagnò anche durante il ritorno alla casa lunga e durante la cena.
Solo un bagno caldo la distrasse da quell’ossessione.
Si affacciò alla finestra, osservando l’orizzonte illuminato solo dal chiaro di luna.
L’eccitazione provata durante il viaggio al pensiero che avrebbe potuto avere l’opportunità di una nuova vita aveva lasciato spazio allo stesso sentimento di rassegnazione che era solita percepire a Solitude.
Aveva veramente pensato, ad un certo punto, di poter migliorare la sua vita e invece si era ingannata. Falkreath era una cittadina noiosa dove non accadeva mai nulla di nuovo, le persone la disdegnavano anche lì e non c’erano arcani segreti o luoghi da esplorare. Forse doveva arrendersi al fatto che la vita è monotona e tediosa.
“La mia vita deve cambiare”, sussurrò.
Saewen aggrottò le sopracciglia: le era venuta in mente un’idea.
Uscì ben coperta dalla casa lunga. Le strade di Falkreath sembravano diverse di notte: qualcuno le avrebbe potute ritenere inquietanti, ma lei le trovò stranamente affascinanti. Camminare per la città al chiaro di luna era un’esperienza nuova, le sembrava di percorrere strade mai conosciute. Anche la casa lunga di notte pareva diversa, così come “Il solenne Intruglio”. Si sedette su quella sorta di ponte che aveva visitato con Asbel e guardò attraverso i grandi rami dell’abete. Anche il sentiero che riusciva a intravedere era diverso: Saewen giurò di aver visto un lupo percorrerlo.
Chiuse gli occhi e non sentì altro che tranquillità. Ancora si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lei e pensava a come e quando la sua vita sarebbe cambiata, ma il silenzio e la notte le stavano incutendo sentimenti di pace. Forse avrebbe solo dovuto accettare la sua vita per quella che era, senza volerla necessariamente cambiare: le opportunità sarebbero giunte da sole. Pensò che avrebbe dovuto essere felice visto che era ancora viva dopo il periglioso viaggio intrapreso e che nessuno aveva intenzione di nuocerle come aveva pensato. Lei aveva sempre pensato di stare male, che la sua vita fosse brutta e indegna, ma alla fine c’erano molte persone che vivevano peggio e forse aveva sempre mancato loro di rispetto.
Aprì gli occhi e non fece che contemplare quel paesaggio, pensando a quanto lontano la vita la avesse portata: alla fine era quello che aveva sempre sognato, ma non se ne era mai avveduta.
Forse, oltre alla sua vita, doveva accettare anche se stessa. Non era un aldmero, né un nord, né qualsiasi altra razza. Era un ibrido. Un incrocio. Avrebbe tanto voluto essere una fiera nord, ma si rese conto che non lo sarebbe mai stata, neppure atteggiandosi come quella razza: lei era quello che era, e doveva iniziare ad accettarlo.
Alla fine nessuno è ciò che desidera essere. Forse dall’accettazione di noi stessi e della nostra identità troviamo la vera pace. A cosa serve lottare per essere quelli che non siamo? Devo accettare me stessa per scoprire e utilizzare al completo le mie capacità.
D’un tratto il suo cuore trovò pace. Forse era una tranquillità effimera, forse il giorno seguente sarebbe tornato tutto come prima, forse si sarebbe pure dimenticata quei pensieri, ma forse quel momento sarebbe stato il fondamento di qualcosa di nuovo, di una maturazione, di una crescita. 
   
 
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