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Autore: Aysa R Snow    12/10/2017    0 recensioni
Non tutti abbiamo la fortuna, di trovare la persona giusta, e non perderla.
Tutti abbiamo perso, c'è chi perde qualcosa, chi perde qualcuno.
Lei, ha perso la sfida più importante della sua vita: non perdere la sua persona giusta.
Ma se invece, la sfida più importante della sua vita, fosse riuscire a vincere il dolore che ormai è diventato un peso troppo ingombrante?
Questa è la storia di Arianna, o come lei ama farsi chiamare, Aria.
Perché lei è così.
Leggera e pura come l'aria che respiri in alta montagna.
Questa, non è una classica e semplice storia d'amore.
Questa, è una battaglia.
Da una parte c'è l'amore, dall'altra la vita.
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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" È nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama. "

- Fëdor Dostoevskij

 

Restai con la fronte appiccicata al piccolo finestrino per quasi tutta la durata del viaggio.

Davide aveva firmato delle scartoffie prima di abbandonare l'ospedale.

Non aveva affatto un bell'aspetto, ma stava leggermente meglio rispetto al giorno prima.

Lo guardai mentre dormiva.

Lo coprii meglio, l'aria condizionata avrebbe potuto peggiorare le cose.

 

Avevo chiamato mia madre con il cellulare di Davide prima di salire sull'aereo.

Inutile dire che ignorai le mille domande che mi urlò e riconsegnai il telefono a Davide.

Non avevo la minima intenzione di subirmi un'ora di urla, non avrei saputo neanche cosa rispondere.

 

Poggiai la testa contro il sedile e sospirai silenziosamente.

Come avrei potuto continuare ad essere felice senza il suo non saper controllare o nascondere neanche la più piccola emozione?

Come avrei potuto concepire che smettesse di esistere, come se niente fosse.

Come avrei affrontato le interminabili ore di matematica e biologia senza le scappatelle al bar con lui?

Con chi mi sarei lamentata dell'odio sproporzionato che nutrivo nei confronti della matematica?

Come poteva rappresentare così tanto per me solo dopo pochi mesi?

 

Guardai nuovamente fuori e intravidi il suolo italiano. 

Mi si strinse il cuore in una morsa dolorosa.

 

La Norvegia aveva fatto nascere in me un lieve barlume di speranza.

Sapevo di starmi illudendo, ma quella sensazione era troppo piacevole da lasciare andare.

 

Ma quando l'aereo toccò terra dovetti aggrapparmi a tutta la forza che avevo in corpo per non scoppiare a piangere. 

Era più che chiaro, era finita.

Non c'era più niente in cui sperare.

 

 

Recuperammo i nostri zaini e rimanemmo immobili.

Nessuno dei due osava parlare.

Fissammo la grande vetrata per un po' fin quando non scorsi mia madre e mio padre correre furibondi verso di noi.

Vidi anche la sorella di Davide e genitori a seguito.

Sbiancai, vedendo due agenti in divisa seguire i nostri genitori.

 

Strinsi forte il laccetto della mia felpa sentendo le gambe farsi molli e il cuore battere forte. 

 

I due agenti afferrarono Davide per le braccia e lo zaino che teneva con una mano precipitò a terra con un tonfo.

 

Gli tenevano le mani bloccate dietro la schiena.

 

Scattai verso di lui ma qualcuno mi afferrò da dietro e mi trascinò via.

 

" Lasciatemi! Lasciatelo stare! Non ha fatto niente! " urlai scalciando e dimenandomi.

Vidi Davide guardarmi sconvolto.

Urlai con tutto il  fiato che avevo in corpo mentre la gente osservava, sconvolta, la scena.

 

Trascinarono via Davide mentre io ancora mi dimenavo disperata.

" Aria, Aria calmati! " ignorai la voce agitata di mia madre.

" Ho detto lasciatemi! Perché lo portate via? Davide! "crollai sulle ginocchia guardando sconvolta l'auto della polizia allontanarsi.

Mi sollevarono di peso e mi portarono via.

Non reagii.

Non urlai, non mi dimenai.

Non lottai più.

 

Ero stremata.

La gola bruciava e non riuscivo a fermare il mio pianto silenzioso.

Sperai che fosse tutto solo un incubo e che presto mi sarei svegliata.

 

" Cosa avete fatto? " mormorai non appena mio padre mise in moto.

 

" Cosa diamine avete fato? " urlai guardando gli occhi lucidi di mia madre dallo specchietto retrovisore. 

" Questo si chiama rapimento. " spalancai gli occhi incredula.

" Ditemi che non siete seri. " risi nervosamente.

" Sei minorenne! Non puoi andar via dall'Italia senza neanche dircelo! " sbottò mio padre.

Scossi la testa furibonda. 

Aprii lo sportello e un allarme iniziò a fischiare per avvisare che c'era uno sportello aperto.

" Chiudi lo sportello! "

" Ferma l'auto o giuro che salto! " urlai di rimando.

" Sei impazzita per caso?! " urlò mia madre.

" Non sono io quella che accusa un ragazzo che sta per morire di rapimento! " calò il silenzio nell'abitacolo. 

I miei genitori si scambiarono un breve sguardo. 

" Andrai a vivere con tuo padre per un po'  "affermò con voce incerta mia madre tenendo lo sguardo basso " in Germania. " spalancai gli occhi. Non avrei mollato tutto e tutti così facilmente. 

 

" Dovete ritirare le accuse, sono assurde! 

Se questa cosa andrà avanti voi non mi vedrete più. " mio padre strinse forte il volante tra le mani. 

Ero già scappata di casa.

A dodici anni, mio padre voleva a tutti i costi che io andassi a vivere in Germania con lui. 

Sanno che potrei rifarlo, e stavolta per sempre.

 

 

 

 

   
 
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