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Autore: piccina    13/10/2017    0 recensioni
"Sono strani i casi della vita. Ero sicuro che Amanda fosse la donna sbagliata. Finalmente quella sera avevo aperto gli occhi. Rientravo a casa, i miei passi echeggiavano sul selciato del vicolo deserto."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Giulio Tommasi, Patrizia Cecchini, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Con l’onestà crudele dei bambini è stata Laura a riportarmi alla realtà. Era passato quasi un anno dall’incidente, era il ponte dei Santi ed eravamo Roma dai miei. Il mio stato d’animo, se possibile, era ancora più cupo in quei giorni in cui si commemorano i propri morti. Amanda riposa in un cimitero qui nella capitale ed ero appena tornato. Laura era in sala con i nonni, c’erano ospiti, sentivo voci. Sperai che nessuno mi avesse sentito, l’ultima cosa che desideravo era fare conversazione. Passando davanti alla porta accostata, con fare furtivo, non potei impedirmi di sentire qualcuno fare una di quelle odiose domande che a volte gli adulti rivolgono ai bambini, ma non fu questo quello che mi colpì, bensì la risposta di mia figlia. Una fucilata in pieno petto.
Non ho mai saputo quale fosse la prima parte della conversazione, so solo che sentii chiedere: “Chi è che ti vuole più bene al mondo, Lauretta?” e la vocina di mia figlia rispondere convinta: “Serena” che era la baby sitter. Silenzio e sconcerto per qualche secondo e poi con voce melliflua a coprire imbarazzo: “Ma no, dai Laura, è papà” e mia figlia decisa ribattere: ”No. Papà no.”
Quella sera dopo a cena, la bambina era già a letto, dissi ai miei che Laura ed io saremmo ripartiti il giorno dopo. Rimasero stupiti, dovevo fermarmi anche io ancora tre giorni e poi eravamo d’accordo che Laura sarebbe rimasta due settimane a Roma. “Cosa è successo Giulio? Problemi in caserma? Ma perché ti porti via anche Laura?” mi domandò mia mamma. “È successo che devo tornare a fare il papà, mamma e ho bisogno di stare solo con Laura. Domani rientrando ci fermiamo a Livorno al Cavallino Pazzo e poi vediamo, cercherò di prendermi qualche giorno di licenza in più. Mia figlia pensa che non le voglia bene…”
Ero scoppiato a piangere, i gomiti sul tavolo e il viso fra le mani. Mio padre si era alzato e mi aveva messo una mano sulla spalla che sussultava per i singhiozzi. “Ha ragione, Laura ha ragione, non sono più capace di volere bene a nessuno, neanche alla mia bambina, ma che razza di uomo sono diventato? Amanda non me lo perdonerebbe, Laura già non me lo perdona più.”
“Giulio, tesoro. Il dolore, quando è così forte, fa questi scherzi e non si ha la forza più per nessuno, sembra impossibile, ma neppure per i propri figli. Non vuol dire essere dei mostri, vuol dire essere umani e aver amato. L’importante è superarlo. Io lo so che tu ami Laura, papà lo sa e lo sa anche lei, devi solo ricordarglielo. Coraggio amore mio. Noi siamo qui.” Aveva detto mia madre abbracciandomi.
Da quella sera qualcosa era scattato. Laura ed io eravamo tornati a Lucca, ero rientrato in servizio giusto il tempo per chiedere due settimane di licenza per motivi famigliari, avevo affittato un camper ed eravamo partiti. Soli io e lei. Io e la mia bambina. E ce l’avevamo fatta. Ero partito credendo di farlo per lei, ero tornato che le ero grato per avermi ridato la voglia di vivere.
Amanda continuava a mancarmi. La sera a letto, a volte, mi veniva ancora da piangere o al mattino, al risveglio quando allungavo il piede e non la trovavo, ma avevo ricominciato a ridere. Laura era la mia carica, la mia allegria e la mia spinta. È in quei mesi che siamo diventati una bella coppia io e lei. I miei figli li amo tutti, i due ragazzi li adoro, ma Laura è sempre la mia bambina, anche adesso che è grande, ha una figlia di cinque anni e ancora ci basta uno sguardo per capirci al volo.
“Saluta il nonno che andiamo, dobbiamo ancora fare la spesa.” La voce di Laura mi riporta al presente. “Ciao nonno” sgattaiola via. La acchiappo per un piedino. “Che ciao nonno… Neanche un bacino?” Ride e torna su “È vero” e mi schiocca un bacio sulla guancia e mi avvolge il collo con le sue braccina, poi scende veloce verso la mamma che le infila il cappottino. Mi alzo e vado verso Laura. “Domani venite a cena da noi? Confermo alla mamma?” e le faccio una carezza. “Non lo so ancora, ma credo di si” “Senti fai così, chiamala tu così evita di dare il tormento a me… che i figli l’avvertono sempre all’ultimo momento.”
“Ema più che confermare all’ultimo si presenta all’improvviso” ridacchia. È vero. Emanuele, il secondo, è andato a vivere da solo da qualche mese e ha l’abitudine di presentarsi a cena o pranzo a sorpresa, senza avvertire. Niente di male, per carità se arrivasse solo, invece di solito si presenta in compagnia di qualcuno, amico, fidanzata o entrambi e la mamma, che magari non è attrezzata per avere due o tre ospiti in più si irrita un pelino. Gliel’ho detto in tutte le salse, niente non c’è verso. Poi lui se ne torna a casa sua e la consorte incazzata me la cucco io. Matteo, il più piccolo, ha 19 anni, frequenta il primo anno di Ingegneria e vive ancora con noi.
La giornata passa abbastanza veloce. Non ho più molto da fare, lontani i tempi quando non c’era orario, adesso sono un pensionando e me la godo. Sono le 17 e 30, spengo il pc e alzo il telefono. “Come sei messa? Esci anche tu? Si batte la fiacca oggi, eh? Passo a prenderti” Smorzo la luce sulla scrivania, cappello, guanti, cappotto sul braccio, visto che devo solo scendere due rampe di scale.
“Comodo Carasale” dico entrando “il Maggiore è libero?” chiedo, visto che la porta dell’ufficio è socchiusa. “Le ho passato una chiamata qualche minuto fa, ma credo abbia finto.” Deve aver sentito la voce perché mi chiama “Entra, finisco una cosa e sono pronta” mi avvicino alla porta. La targhetta recita “Magg.re. Cecchini Patrizia – Ufficiale Medico”
Mette due firme. Si alza, cappello, guanti e cappotto pure lei. Molla i fogli che ha appena firmato sulla scrivania di Carasale e lo saluta “Mettili nelle cartelle cliniche, grazie. Io vado. Ciao Giuseppe, a domani”
Qui al secondo piano, zona di infermeria e di visite per l’arruolamento, prima che militari sono medici e infermieri, l’etichetta militare fra di loro non la usano proprio. Solo quando sono costretti, perché ci sono esterni. Io da mo’ non sono più considerato esterno, sarò anche Generale, ma prima di tutto sono il marito di Patrizia. Mi danno del lei, si alzano e fanno tutto per benino, per carità, ma non so come dire, non c’è marzialità qui dentro.  È per questo che Pat si trova bene, immagino.  Come le sia venuto in mente di arruolarsi è per me, a distanza di vent’ anni, ancora un mistero a volte. In realtà è un ottimo carabiniere, una grande anatomopatologa e ci ha dato mano decisive nel risolvere molti casi. Ha un profondo senso della giustizia e dello Stato, è per questo la divisa, in fondo, le sta bene addosso per quanto sia un tantino refrattaria alle regole. Per un certo periodo sono stato il suo superiore e mi ha fatto diventare matto, poi mi ha fatto diventare anche il suo fidanzato, ma questa è un’altra storia. Sorrido al ricordo, mentre saliamo per le scale. “Sono passate Nina e Laura” “Lo so hanno fatto un salto anche da me” mi risponde. “Non potevi farglieli tu i vaccini?” domando. “Preferisco di no, meglio che la nonna non sia quella che fa le punture, se posso evitare” strizza l’occhio. “Nonna bellissima e astutissima.” È bella sul serio. Una bella cinquantenne.  Io ho sessantacinque anni e sono dodici gli anni che ci dividono. Per colpa mia è diventata nonna giovane, così come si era trovata a fare la mamma di una bimba di sei anni, pur di stare con me.
Me lo ricordo come fosse ieri. All’epoca ero Maggiore.
“Maggiore, è arrivato il nuovo Tenente.” “La faccia accomodare” avevo risposto e pensavo, corsi e ricorsi storici un altro Cecchini sotto il mio comando andando con il ricordo a Nino. Non sapevo quanto ero profetico, l’avrei scoperto di lì a pochi secondi.
Sulla scheda avevo letto Patrizia Cecchini, ma avevo pensato a un caso di omonimia. L’ultima volta che avevo sentito Nino, ormai in pensione, non mi aveva accennato al fatto che Patrizia si fosse arruolata. A dire il vero delle figlie parlavamo poco, durante le nostre telefonate. Di solito mi limitavo a chiedere se stessero bene e lui mi rispondeva genericamente di si, sapevo che Patrizia era rientrata dagli States, qualche anno prima, più o meno due anni dopo che mi ero sposato, e nulla più.
Faccia a faccia. Ci guardiamo stupefatti.  Era lei. Me la ricordavo giovanissima, ancora all’università. Adesso aveva ventinove anni ed era il mio nuovo medico legale. “Tenente Cecchini a rapporto, Signore” aveva scandito. Rimanendo sull’attenti davanti alla mia scrivania. “Comoda” avevo risposto alzandomi, andando verso la porta per chiuderla. “Ciao Patrizia -  le avevo detto– che sorpresa. Non pensavo fossi tu. A dire il vero non sapevo neppure ti fossi arruolata. Siediti” mi ero andato a sedere pure io. “Neanche io sapevo che fosse lei il Maggiore a cui dovevo presentarmi oggi per prendere servizio a Lucca. Una sorpresa anche per me. Come sta? Sua moglie?” Evidentemente sapeva che mi ero sposato, ma non che fossi vedovo ormai da un anno e mezzo. “Sto bene, grazie – rispondo e glisso sul resto, non voglio metterla in imbarazzo. E tu? Ci davamo del tu se non ricordo male. Qui siamo soli, hai il permesso.” Sorride. “Grazie” “Adesso devo andare, fatti accompagnare agli alloggi, ti sistemi, io fra una quarantina di minuti dovrei essere di ritorno e ti presento al Tenente Pelli che sarà il tuo superiore diretto, ok?” “Comandi” risponde. Eravamo usciti insieme dal mio ufficio, l’avevo lasciata alle cure dell’appuntato e mi ero diretto verso l’ufficio di Serci. 
  
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