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Autore: JanineRyan    14/10/2017    3 recensioni
Non sono tanto brava nelle intro, ma proverò comunque...
E se il viaggio verso il Monte Fato fosse stato differente? E se la compagnia fosse stata di undici membri e non nove?
Insieme agli originari membri della Compagnia dell'Anello ne faranno parte anche due guerriere elfiche: Estryd e Alhena, figlie di Elrond di Gran Burrone.
Genere: Avventura, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Boromir, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao di nuovo a tutti! Sono sparita per tanto, anche troppo tempo... ma ora rieccomi con un nuovo capitolo!
Vi auguro buona lettura!



“Chi entra nei miei domini?”
Una voce spettrale rimbombò nella caverna; i muri vibrarono e l’aria divenne gelida. Alhena si guardò attorno, senza sapere cosa aspettarsi, odiava sentirsi così fragile. Istintivamente si avvicinò al fratello, in cerca di un contatto con lui. Non sapeva cosa aspettarsi, ma era chiaro che anche i suoi amici erano intimoriti da quella voce.
Un rivolo di sudore rigò la fronte della giovane elfa, era freddo e la fece rabbrividire mentre percorreva lentamente le linee del suo volto. Chiuse gli occhi; sapeva cosa si celava nell’ombra ma, come ogni immortale, lo temeva più di ogni altra cosa. Elladan, con affetto, sorrise alla sorella minore e le strinse la mano nel tentativo di infonderle forza.
“Non aver paura… sono qui.” le sussurrò in modo tale che solo lei potesse udire quelle parole.
Aragorn si fece avanti con coraggio, lo sguardo fiero che scrutava l’oscurità. Poi, una risata malefica si amplificò attorno a loro, rimbombando nella caverna e facendo cadere fini fili di polvere dal soffitto.
Accadde velocemente, quasi non si accorsero della fine nebbiolina che strisciava verso di loro. Non avevano mai visto nulla di simile; era strana, verde cupo e pareva muoversi tutt’intorno a loro, quasi si riusciva a distinguere dei volti, lievi tratti quasi umani. Lentamente la nebbia circondò i cinque, tenendosi comunque a distanza.
L’aria si fece ancora più pungente, tanto che del fumo bianco usciva dalle loro bocche mentre respiravano con maggior affanno. Era tutto così irreale; non capivano cosa stava accadendo attorno a loro. Dopo quella risata, il silenzio li circondò.
Alhena percepì che nella sua mente stava strisciando il dubbio; chi aveva parlato loro poco prima? Conosceva molte leggende che venivano narrate su quel luogo, ma non poteva essere reale… aveva sempre creduto che fossero storie perlopiù raccontate per far capire l’importanza della fedeltà e che un patto è vincolante ma, forse, c’era un fondo di verità in tutto questo. Forse, l’avvertimento che aveva udito era di un dannato.
“Ma cosa…” sussurrà Boromir guardandosi attorno con cipiglio incerto.
La foschia iniziò a prendere forma; fermando il suo strisciare e trasformandosi in figure tetre… Alhena deglutì comprendendo cosa stata spaventando il valoroso guerriero; stavano prendendo la forma di uomini, vestiti da guerrieri… ma erano tutti morti. Morti e consumati dal tempo. Ricorse a tutta la sua forza per non scappare perché erano circondati dai fantasmi dei traditori che avevano abbandonato Isildur durante la Prima Grande Guerra del Regno di Gondor contro Sauron.
Cercò con gli occhi i suoi amici, erano tutti smarriti, tranne Aragorn che ricambiò lo sguardo di tutti loro. Il ramingo sentiva una forte rabbia pulsare nelle sue vene: per colpa loro a Sauron era stato permesso di sopravvivere. Il loro tradimento aveva colpito il suo popolo, lasciando le ultime armate di Gondor stremate ed indifese. Era stata solo fortuna quella che aveva permesso ad Isildur di vincere la battaglia… solo fortuna.
Alhena percepì il respiro profondo di Aragorn, stava cercando di placare il disprezzo. Lo vide stringere i pugni con forza, tanto che le nocche divennero bianche.
Legolas si avvicinò all’amico e posando una mano sulla sua spalle, gli fece un cenno col capo e abbozzando un lieve sorriso. Aragorn si guardò attorno, cercando di capire chi aveva parlato prima. I loro volti erano orripilanti; scavati dal tempo, la pelle si stringeva contro le ossa, i corpi semitrasparenti e vestiti con armature arrugginite dal tempo e da stracci strappati. Gli sguardi erano vitrei e si poteva percepire anche la profonda tristezza che regnava in quella caverna che, altro non era, che la loro tomba.
“Avanti! Parlate!” esclamò, nuovamente la stessa voce spettrale.
I cinque guardarono quello che doveva essere il Comandante dei traditori; quand’era vivo doveva essere stato un uomo davvero imponente. Aragorn si fece avanti, cercando di mantenere un passo dignitoso e guardò negli occhi lo spettro, certo che mai nella sua vita avrebbe scordato quegli occhi vitrei e completamente bianchi.
Il Comandante sorrise nuovamente quando notò che non c’era timore nei viaggiatori; negli anni in pochi avevano avuto tale audacia e, questa strana compagnia, non solo era entrata nella sua terra senza invito, ma questi elfi e uomini erano giunti fino a lui e, uno di loro, lo stava guardava con aria quasi di sfida. Sorrise maligno; nessuno era mai sopravvissuto e la stessa sorte sarebbe presto toccata anche a loro.
Facendo ricorso a tutto il coraggio di cui disponeva, Aragorn fece un ultimo passo in avanti, trovandosi dunque a faccia a faccia con lo spettro: “Uno che avrà la vostra lealtà.”
“I morti non consentono ai vivi di passare.” esclamò con disprezzo, guardando l’uomo anonimo che aveva davanti.
“Invece lo consentirai a me. Io sono Aragorn, figlio di Arathorn. Io vi invito a rispettare il giuramento.” rispose con calma.
“Una sola stirpe potrebbe richiedere il nostro aiuto e questa si è spezzata anni fa.”
“Non è spezzata!” esclamò il ramingo con vigore, estraendo dalla fodera la spada donatagli da Sire Elrond.
Nonostante Narsil fosse forgiata dalla Lama Spezzata, il Comandante dei traditori seppe che era Lei. Lei era la spada del Re di Gondor… i suoi occhi la osservarono increduli. Non poteva essere vero… con ferocia si fece avanti e, impugnando la sua fida arma, affrontò l’irriverente umano; pronto a colpire e, quasi certo, che il suo attacco sarebbe andato a segno, uccidendolo.
Ma accadde qualcosa che lo spettro non aveva previsto; la lama della sua spada si scontrò contro quella che impugnava l’uomo che rispondeva al nome di Aragorn, producendo un suono metalicco che echeggiò nella caverna. Una scintilla di paura attraversò lo sguardo del Comandante dei traditori; non poteva essere vero.
“Non può essere! Non ci credo! Quella discendenza è stata spezzata!” urlò con rabbia, ancora incredulo.
“Sbagli! Si è ricostituita ed io ho il potere di chiedere il vostro aiuto!” rispose con calma Aragorn.
Nessuno rispose. Lo spettro osservò l’uomo in silenzio; non sapeva che fare. Era un’affermazione azzardata quella che aveva udito, ma possibile che corrispondesse al vero?
Attese per qualche istante la reazione del comandante dei traditori ma, non ottenendo alcuna reazione, Aragorn si voltò verso i suoi amici e, annuendo, li avvisò che avrebbe chiesto il loro aiuto.
Riportando infine l’attenzione allo spettro, il ramingo respirò a fondo e, approfittando della sorpresa che la sua affermazione aveva creato, riprese parola:
“Vi offro un’opportunità di riscatto. Aiutate Minas Tirith, aiutate Gondor in questo scontro e io vi prometto che vi libererò dalla maledizione di Isildur.”
“Cosa mi assicura che manterrai la parola data?”
“Sono venuto qui perché non ho altra scelta. La minaccia di Mordor incombe su tutti noi e ho bisogno del vostro aiuto per avere una possibilità di vittoria. Avete la mia parola; non posso darvi altro oltre questa.”
Il Re dei morti stava per sparire quando, quasi urlando, Boromir intervenì: “Avete la parola di Aragorn, futuro Re di Gondor! Che altro volete? Un Re mantiene sempre la parola data!”
Il Comandante si avvicinò all’uomo che aveva parlato; quanta spavalderia aveva!
“Vi preghiamo! Tutti noi qui presenti...” aggiunse Boromir controllando il tono della voce. “Tutti noi siamo venuti fin qui senza aspettarci nulla. Ma vi offriamo comunque una possibilità di riscatto! Non sprecatela… potrete avere la pace che da secoli agoniate!”
Lo spettro osservò nuovamente Aragorn; negli occhi dell’uomo vi leggeva una grande onestà. Non mentiva, avrebbe prestato fede alla parola data. Annuì debolmente: “Ci penseremo.” convenne infine, prima di svanire nella stessa nebbia verde che aveva accompagnato il suo e l’arrivo dei suoi compagni.

Rimasti soli, i cinque si guardarono increduli per quanto appena accaduto. Boromir si avvicinò ad Aragorn, seguito da Legolas.
“Che vuol dire? Che possiamo contare su di loro?” chiese il capitano di Gondor.
Aragorn guardò i compagni, ma non sapeva cosa rispondere loro. La risposta che avevano ottenuto era enigmatica.
Con sguardo sconfitto, respirò a fondo…
“Mi dispiace avervi trascinati fin qui. È stata una missione inutile.” convenne Aragorn, privato di ogni speranza.
Riflettendo, pensò al comportamento degli spettri. Si erano già arresi secoli addietro. Cosa impediva loro di fuggire anche questa volta? La loro vita era stata segnata dall’infamia ed erano morti da traditori, quali erano. A spingerli al tradimento era stata la codardia e, nemmeno tutti i secoli trascorsi, potevano dar coraggio a uomini che avevano preferito scappare piuttosto che combattere, piuttosto che prestar fede al giuramento dato.
“Non è stato un viaggio inutile, abbiamo tentato.” s’intromise con saggezza Elladan che, seguito da Alhena, raggiunsero i tre amici. “Inoltre il loro non è stato un rifiuto. Potrebbero sorprenderci e accettare la nostra richiesta d’aiuto. Avremo una risposta solo quando ormai la battaglia sarà in atto. Ma dubito che rinunceranno a un’opportunità di riscatto e di pace. Vivono da traditori, confinati in questo posto, ormai da molto tempo. non hanno nulla da perdere, solo da guadagnarci.”
“Elladan sei sempre stato troppo buono. Vedi sempre il meglio nelle persone, anche, e forse soprattutto, in coloro che non meritano nulla… ho ascoltato anche io le loro parole e mi dispiace ammettere ma non erano parole di coloro che sono pronti alla guerra.” intervenne Alhena che aveva seguito con attenzione il discorso. “Quanto a noi, conviene proseguire. Abbiamo perso fin troppo tempo e le armate di Sauron non attenderanno il nostro arrivo per l’inizio della battaglia.”
Aragorn annuì; la giovane principessa aveva ragione.
“Va bene.” asserì. “Proseguiamo. Non abbiamo altra scelta, per ora. Inoltre, vostro padre mi ha riferito dell’avvicinarsi di nemici anche dal mare… risaliranno il fiume fino ad arrivare ai porti di Osgiliath. Possiamo cercare di far qualcosa per rallentarli. Creare un diversivo. Siamo in pochi, ma con un pizzico di astuzia… Gondor non ha bisogno di altri nemici… avrà già il suo da fare affrontando gli orchi provenienti da Mordor.”

Senza prendere tempo, i cinque iniziarono a percorrere le gallerie quasi correndo. I cubicoli erano stretti e, senza sapere con esattezza se le vie intraprese fossero quelle giuste, avanzavano senza guardarsi indietro. Era difficile orientarsi e spesso si trovarono in vicoli ciechi, costringendoli a ripercorrere i propri passi.
Si fermavano a intervalli abbastanza regolari, cercando di riposare e mangiare quel poco che avevano preso con loro. Erano stanchi e il perenne buio affliggeva i loro spiriti, privandoli a poco a poco della speranza.
Durante una di queste pause, mentre Aragorn, Boromir ed Elladan riposavano stesi sulla fredda roccia, Legolas stava osservando l’oscurità che lo circondava, incantato dal rumore prodotto da piccole gocce d’acqua che cadevano a intervalli abbastanza regolari dal soffitto poco più avanti a loro. Quel piccolo suono si amplificava attorno a loro, incantando il giovane principe elfo.
“Ti disturbo se mi accomodo qui accanto a te?”
Legolas si voltò, incrociando lo sguardo cristallino di Alhena. La giovane gli stava sorridendo tenuamente, con la testa lievemente china a destra e tenendo una piccola fiaccola stretta in mano.
Il principe annuì e, facendo segno all’amica, di accomodarsi accanto a lui, riprese ad osservare il buio. Era da molto che la giovane principessa non si rivolgeva a lui con parole così dolci e, quel tono, aveva spaesato Legolas.
Accomodandosi con grazia accanto all’elfo, Alhena sorrise ancora all’amico e posando la testa sulla spalla del principe, sussurrò: “Alcuni giorni fa mi hai fatto una domanda alla quale non ho risposto.” Fece una pausa, respirando a fondo. “Ci ho pensato a lungo alla risposta che avrei dovuto darti… mi hai chiesto se merita il mio amore. Se vale la pena amarlo, nonostante tutto. Nonostante lui.”
Legolas si mosse facendo spostare Alhena; la guardò negli occhi, smarrendosi in essi.
“Hai trovato una risposta?”
La bionda annuì debolmente, chinando il capo.
“Credo di averla sempre avuta. La risposta.”
Legolas sorrise, amareggiato.
“Perché allora? Perché mi hai baciato? Perché mi hai illuso così?”
“Credevo che fossi tu colui che dominava nel mio cuore… ne ero così certa…” sospirò, triste. “E’ straziante combattere contro gli scherzi che il cuore fa. Sembrerà sciocco, ma negavo i sentimenti che provavo per timore di essere ferita…” una lacrima rigò la guancia candida di Alhena. “Sono ancora spaventata per quello che provo, non mi è mai capitato di sentire una tale emozione… così forte, così… vera!”.
Guardò Legolas negli occhi; cercava di nascondere le lacrime.
Carezzandogli il volto: “Non penso però di essere corrisposta.” concluse con tono triste pensando al bel volto del Re di Bosco Atro. “Per lui chiunque è una ripicca per soddisfare i suoi capricci. Ha bisogno di sentirsi importante, di condividere bei momenti con una persona che possiede una bellezza paragonabile a quella che possedeva tua madre… ha solo bisogno di provare qualcosa, di provare piacere nelle cose che lo circondano… per farlo sentire vivo. Non voglio essere un’alternativa a un qualunque suo vizio.”
Legolas guardò la ragazza come se la vedesse per la prima volta: era amore allora quello che Alhena provava per suo padre. Amore. Questa scoperta lo aveva colpito. Una vitta al petto, una pugnalata dritta nel cuore.
“Questo non risponde alle mie domande.”
Respirando a fondo, Alhena concluse: “Credo di sì… ma tu vuoi sentirmelo dire. Vuoi che sia la mia voce a pronunciare la risposta che ormai penso tu abbia compreso.” deglutì e, prendendo tra le sue mani quelle di Legolas, continuò: “Mi hai chiesto se lo amo? Credo di sì. Ma questo non ha alcuna importanza. Quello che c’è stato tra noi sono stati solo attimi rubati: bei momenti e anche litigi… ma non sono nulla. Non sono contati nulla per lui.”
“Cosa è successo tra voi?”
Alhena guardò Legolas, non sapendo cosa rispondere.
“Un bacio.” Legolas interruppe i pensieri dell’elfa.
Guardò l’amico, sorpresa: “Come lo sai?”
“Ero presente.” rispose, storcendo le labbra quasi disgustato dal ricordo.
“Non… non sapevo… ”
“Mi ero recato dai miei avi per pregare. Per stare un po’ con mia madre… ma poi, mentre scendevo le scale per raggiungere la cripta, ho sentito dei passi alle mie spalle, mi sono nascosto perché non avevo voglia di parlare con nessuno. Ho visto mio padre superarmi e raggiungere la tomba di mia madre… stavo per parlargli, ma sei arrivata tu. Ho visto come vi siete guardati, come vi siete parlati… i movimenti dei vostri corpi mentre vi guardavate, avvicinandovi… le sue parole e la passione di quel momento…” scosse il capo, come per allontanare quel pensiero.
“Non era passione quella che hai visto, ma ira. Era incredibilmente arrabbiato con me. Non mi ha mai sopportata… penso lo divertisse il tentativo di domarmi… ero un gioco, per lui.”
“No.” la corresse Legolas. “Conosco mio padre: era passione quella che ho visto. E poi… quel bacio rubato… ho capito quanto lo attendeva, quanto lo desiderava… ti ha afferrata e stretta a lui, ti ha presa per i capelli… lo faceva sempre con mia madre… si è tormentato per mesi dopo la tua fuga.”
Sentire quelle parole colpirono Alhena; mai si sarebbe aspettata questa sofferenza da parte di Thranduil.
“Si è nuovamente rinchiuso in se stesso e ha negato nuovamente il suo cuore a chiunque. Perfino a me, suo figlio. Lo hai ferito, proprio quando si stava per rialzare… stava per superare la precedente ferita.”
“Io… io non sapevo. Pensavo d’essere solo un capriccio per lui. Una delle tante.”
“Non eri una delle tante. Sei stata l’unica dopo mia madre.”
Senza parole, Alhena guardò i suoi piedi e il terreno sotto di essi. Era stata così cieca da non capirlo? Con il palmo di una mano sfiorò il terreno, spostando la polvere e la sabbiolina grigia attorno a lei.
“Ha sussurrato una cosa quando sei fuggita.” continuò Legolas. Quest’ultima confessione costava un enorme sacrificio al principe perché avrebbe definitivamente spinto Alhena tra le braccia del padre.
“Cosa? Cosa ha detto?” lo incalzò Alhena, posando entrambe le mani sul braccio dell’amico.
“Ha detto che ti ama.”
Legolas ricordava fin troppo bene cos’era accaduto dopo la fuga di Alhena da Bosco Atro. Ogni cosa era precipitata nel buio, ogni cosa era andata nuovamente in frantumi nella vita di suo padre.


Erano passate due settimane da quando Alhena era fuggita da Bosco Atro senza dare spiegazione alcuna e, con l’inizio del nuovo mese, come di consueto, si sarebbe dovuta tenere la riunione con i membri del Consiglio. Avrebbero dovuto discutere di argomenti delicati; una nuova forza si stava muovendo a Sud e si iniziava a temere un attacco da Mordor.
Da anni si vociferava la possibilità di un ritorno del Signore di Mordor, ma Thranduil era tra quelli che non avevano mai dato troppo credito a queste voci. 
“Padre…” Legolas bussò un paio di volte alla porta dell’alloggio privato del padre. “Ti attendono i Consiglieri nella Sala del Trono. È tardi…”
Non ottenendo risposta, il principe bussò ancora un paio di volte chiamando il genitore con insistenza.
Preoccupato per il silenzio, Legolas entrò nella stanza privata di Thranduil senza invito. Nei mesi prima della partenza di Alhena, avevano appianato ogni divergenza e tra loro si stava ricreando la complicità che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra un padre e il proprio figlio. Ma, da quella sera, ogni cosa era nuovamente cambiata; fuggendo da Bosco Atro, Alhena aveva portato con sé la ritrovata pace del Re.
La camera era immersa nel buio; le tende erano tirate per impedire alla luce del sole di penetrare.
Legolas entrò e, senza parlare, si diresse verso la grande portafinestra che dava sulla terrazza, afferrò con decisione le tende e, con un movimento forte, le spalancò. I caldi raggi del sole irruppero con prepotenza nella camera, illuminando il mobilio pregiato e Thranduil seduto sulla grande poltrona, un calice in mano.
“Padre…” sussurrò nuovamente il principe, sorpreso dalla postura del genitore. Sembrava così infelice, con le spalle piegate e i capelli sporghi che gli ricadevano sul viso. “Stai bene?”
Gli dava le spalle e, preoccupato, avanzò verso di lui che, come se nulla forse, restò chino sulla grande scrivania cosparsa da documenti macchiati di rosso. Allineate accanto al muro, c’erano sette bottiglie e una, appena stappata, era posata davanti al volto di Thranduil.
“Come osi entrare nella mia stanza senza invito?” sbiascicò, alzando gradualmente il tono della voce fino quasi a urlare.
Legolas si fermò, spaventato dall’ira del padre. Alzandosi di scatto, con veemenza, il sovrano scaraventò il calice di cristallo contro il figlio, non colpendolo solo grazie alla prontezza di questo che si scostò, schivandolo.
“Vattene!” disse calmo, rimettendosi a sedere e, accostando la bottiglia alle labbra, bevve un gran sorso. “Vattene e lasciami solo!"
Senza parole, il giovane principe di Bosco Atro, non ebbe scelta se non quella di acconsentire alla supplica del padre e, voltandosi, s’incamminò verso la porta.
“Richiudi la tenda.” sussurrò Thranuil e, posando la bottiglia di vino sul tavolo, spostò lo sguardo dai cocci del calice che aveva appena rotto al caminetto davanti al letto.
“Posso esserti d’aiuto?” chiede Legolas, notando il rammarico con cui il padre osservava il bicchiere. “Sono io, padre. Tuo figlio. Legolas! Parlami. Parlami!”
Scuotendo il capo, accostò nuovamente la bottiglia direttamente alla bocca e fece un lungo sorso.
Consapevole di non aver alcun potere sulla situazione, Legoals raggiunse l’uscio e, posando la mano sulla maniglia, osservò il padre.
Come aveva potuto permettere che accadesse di nuovo? Lo aveva lasciato cadere nuovamente nella disperazione, senza far nulla per aiutarlo.
“Papà…” disse con afflizzione Legolas, le lacrime negli occhi. “Per favore…”
Le spalle di Thranduil tremarono appena, un movimento quasi impercettibile. Un lamento soffocato.
“Io…” sussurrò.
Legolas, camminò verso il padre.
“Io la amo…” concluse, prima di riprendere la bottiglia e bere da essa un abbondante sorso.
L’affermazione di Thranduil gelò il sangue nelle vene a Legolas. Ripase senza parole… aveva intuito che a suo padre importava, ma non fino a questo punto.
Dischiuse le labbra, ma non seppe che dire.
“Vattene e lasciami solo.” ordinò il Re.
Percorrendo i corridoi del palazzo di Bosco Atro, Legolas raggiunse i propri alloggi. Le parole di suo padre rimbombavano nelle sue orecchie. La amava. La ama. Sospettava la ragione che turbava il cuore del genitore. Ma udire quelle parole… dalla sua bocca… rendeva tutto così reale. Così vero.
Da giorni Legolas stava soffocando i suoi sentimenti; troppo preoccupato per Thranduil. Ma, vedere quel bacio e ora sapere i reali sentimenti del padre, aveva lasciato tanto amaro nella bocca del principe. Per la prima volta, si era reso conto che non solo si era affezionato alla giovane principessa di Gran Burrone, ma se ne era innamorando.
Non sapeva che fare. Si sentiva impotente. Si considerava uno sciocco per non essersi accorto prima che il tempo trascorso in compagnia di Alhena aveva fatto nascere verso la bionda dei profondi sentimenti. Ma, soprattutto, mai si sarebbe aspettato che anche il padre provava emozioni simili.
Guardò il panorama oltre la propria finestra; avrebbe potuto fermare Alhena, impedirle di fuggire. Ma aveva scelto di non far nulla, timoroso che lei ricambiasse Thranduil
.

Rispettando i desideri del Re, Legolas non disturbò il padre nei giorni seguenti. Ma, con l’avvicinarsi del decimo giorno di silenzio da parte del sovrano, Legolas non potè evitare di preoccuparsi seriamente per lui; così, approfittando di un futile motivo, bussò alla porta del padre.
Non si aspettava di ottenere una risposta e, davanti al silenzio più ostinato, entrò comunque.
Sorpreso vide che le finestre della stanza erano spalancate e una calda brezza entrava nella camera. Meravigliato, si guardò attorno, ma di Thranduil non c’era traccia.
Entrò e studiando la brace nel camino, decretò che l’alloggio era ormai deserto da un paio di giorni. Come mai non l’aveva visto uscire? Aveva controllato personalmente gli spostamenti del padre e non lo aveva visto abbandonare le sue stanze. Non capiva cosa stava accadendo e, soprattutto, dove si trovasse in quel momento.


“Ma tu non gli hai risposto e sei fuggita. Ha passato l’inferno. Non solo lui, anche io. È scomparso per giorni e nessuno sapeva dove si trovasse.” continuò Legolas.
Alhena chiudendo gli occhi ripensò a quel momento della sua vita. Dopo aver abbandonato Bosco Atro aveva raggiunto Pontelagolungo, ma a nessuno aveva raccontato cosa era accaduto in quella terra. A nessuno aveva narrato cosa era successo prima di dirigersi a Sud, verso Edoras.
Legolas, percependo lo stato d’animo dell’amica si avvicinò a lei e, afferrandola per le spalle, la guardò in volto. Sapeva qualcosa, lo intuiva… aveva nascosto qualcosa a tutti.
“Dimmi cos’è successo! Sai qualcosa…”
La bionda non replicò, ma questo ennesimo silenzio fece scattare Legolas che, alzando di poco il tono della voce, incalzò: “Cosa sai? Parlami!”
Alhena piegò il collo, per poter evitare lo sguardo dell’elfo; forse aveva nascosto la verità per troppo tempo e, dopotutto, Legolas la meritava.
Passò le mani tra i capelli e, sospirando, guardò i meravigliosi occhi di Legolas, così simili a quelli di Thranduil. Meritava la verità.


“Cosa ci fai qui?” domandò Alhena, vedendo Thranduil seduto sul letto della camera che aveva affittato nella locanda del paese.
“Ho cercato… ho davvero tentato di essere superiore a tutto questo…”
Alhena studiò il Re; era rigido e indossava comuni abiti da viaggio.
“Superiore a cosa?” lo incoraggiò Alhena, chiudendo la porta alle sue spalle.
“Siediti, per favore.”
Obbedendo la bionda si accomodò accanto all’elfo.
“Superiore a cosa?” richiese la principessa, senza aver comunque coraggio di guardarlo in volto.
“Superiore a quello che sento qui.” rispose, posando una mano all’altezza del cuore.
Alhena rimase in silenzio.
“Non mi pento di quanto accaduto quella notte. Lo desideravo da tempo.” continuò, afferrando le mani di Alhena.
“No!” esclamò lei, alzandosi in piedi e allontanandosi dal letto.
Thranduil la imitò: “Alhena…”
“Non chiamare il mio nome… non con quella voce… non con quello sguardo…” lo supplicò.
“Alhena…” ripeté lui, avvicinandosi alla giovane.
“Perché? Perché io?”
“Non lo so.”
La raggiunse e, carezzandole il volto con il dorso della mano destra, si piegò verso di lei.
Spaventata, Alhena si divincolò dalla presa del Re e, senza guardarsi indietro, scappò dalla stanza, dalla locanda, dalla città.

 

“Bene direi che possiamo procedere.”
La voce di Aragorn raggiunse i due elfi, interrompendo il loro discorso. Alhena, sollevata, si alzò, divincolandosi dalla presa del principe e, raggiungendo il fratello, prese il mantello che gli porgeva, pronta a ripartire.

  
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