Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Minga Donquixote    16/10/2017    3 recensioni
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano, facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.» le sibilò.
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei, testarda.
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Era sicuramente un incubo il posto in cui era capitata la giovane Eris Gallese. Parrucche incipriate, lotte di pirati, dannati corsetti e no docce saponate.
Quando non si studia la storia, ci si trova impreparati.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Norrington, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11. Che brutta idea
Eris si svegliò di soprassalto. Un colpo forte alla porta rischiò quasi di scardinarla dai perni.
Spaventata e irritata per il risveglio poco dignitoso, con una mano andò a cercare l’orologio da taschino sul mobile di fianco al letto, e quando lo trovò guardò l’ora sulle piccole lancette.
Le sei e mezza del mattino.
Ebbe un moto di disappunto. Chi osava fare tutto quel baccano alle sei e mezza del mattino, interrompendo il suo sonnellino?!
Sonnellino, esatto. La sera prima la ragazza era rimasta a torturare Beckett quanto più possibile e si era ritrovata in camera soltanto alle tre del mattino.
Aveva dormito un totale di tre ore e mezza. E non poteva certo essere definito altro che pisolino.
Si alzò a sedere, insonnolita, scostò le coperte e si accorse di aver dormito nel completo nero. La veste da notte era abbandonata su una sedia poco più in là.
Mentre provava a scorgere la propria figura nello specchio della scrivania, fuori dalla porta continuavano a venire rumori e agitazione.
Si passò una mano sugli occhi stanchi, sicuramente solcati da profonde borse, e sospirò piano. Si alzò dal letto e si avvicinò al bacile, rinfrescandosi il viso e il collo con esasperata voglia.
“Ma quando finirà tutto questo strazio?”
Afferrò alla cieca il pezzo di stoffa fissato lì vicino e si asciugò accuratamente anche se non le sarebbe dispiaciuto lasciare che qualche goccia continuasse a bagnarle il viso quando sarebbe uscita nell’aria afosa al di fuori.
Si spogliò di quelle vesti nere e indossò quelle pulite grigie, sospirando di felicità. Poi prese il suo paio fidato di Nike e le indossò alla svelta, senza calzini.
Sistemandosi nuovamente il pugnale alla coscia, andò alla porta e la spalancò.
Davanti alla sua camera c’era un via vai continuo di marinai e ufficiali, tutti impegnati nella loro personale corsa. Alcuni avevano braccia cariche di oggetti, altri sembravano soltanto girarsi intorno, quasi cercando qualcosa.
Quando si richiuse la porta alle spalle, un ufficiale la guardò e salutò galantemente, poi passò avanti, salendo le scalette. Alcuni invece la ignoravano palesemente, troppo di fretta per prestarle attenzione ed interrompere i loro impegni.
Fece per salire anche lei al piano superiore quando un uomo con una sciarpa le balzò davanti, superandola.
“Addirittura con le sciarpe?” si domandò, salendo due scalini alla volta, in modo da liberare in fretta il passaggio affollato.
Quando salì sovraccoperta, ma ancora fedelmente al chiuso, in effetti, non faceva tutto quel caldo del giorno prima. Effettivamente aveva avvertito lentamente un cambio di temperatura in quei giorni, da quando erano partiti dai caraibi. Ma quella mattina sembrava superarli tutti.
Con un groppo in gola per le scale infinite, tornò in camera e agguantò il cappotto ma qualcosa prese a strattonarlo verso il basso.
Sbuffò sonoramente ma quando guardò la fine del mantello, trovò un lembo stretto nella bocca del cagnolino.
«Cosa c’è, piccolo ingrato?» chiese, piegandosi per liberare la stoffa dai suoi dentini aguzzi. «Hai fame anche te?»
Quello abbaiò lasciando andare il mantello, come se avesse davvero capito la domanda appena posta ed Eris lo afferrò mettendoselo sotto il braccio a mo’ di baguette.
«E allora andiamo, dai!»
Si sistemò alla meglio il mantello sulle spalle, andando a coprire anche il povero cucciolo, e uscì nuovamente all’aria aperta.
Davanti a lei si stagliò l’imponente distesa di case e vie affollate. Erano giunti finalmente nella misteriosa Gran Bretagna del 1700.
Quando salì sul ponte della nave il freddo le penetrò nelle vene ma il sole le illuminò il viso. Prese un respiro profondo come per giovare i suoi polmoni di aria fresca.
Anche se faceva freddo, il cielo stava volgendo ad un azzurro…in quel momento era un grigio pallido e a Eris ricordarono gli occhi chiari di Beckett.
“Sembra proprio che abbia l’Inghilterra negli occhi.” Pensò, venendo però subito interrotta da un ringhio disturbato del fagotto tra le sue braccia.
«Si, ho capito!» sibilò alla bestiola, girando nuovamente per andare nella sala da pranzo.
Quando entrò, essa era completamente vuota. Sul tavolo giaceva soltanto una ciotola con delle mele.
Si avvicinò avvilita e ne prese una tra le mani.
“Sul serio, qui hanno seri problemi con le mele…mele ovunque.”
Ne addentò un bel pezzo e quando fu soddisfatta la passò sotto il mantello, davanti al muso del cagnolino, che dopo averla annusata per bene abbaiò contrariato.
«E’ l’unica cosa nei paraggi, bestia. Probabilmente non mangeremo finché non arriverà il pranzo.» gli disse, sistemandoselo meglio sotto il braccio ed uscendo nuovamente all’aria aperta del mattino.
Fece scorrere lo sguardo scuro e ancora assonnato su tutti i presenti, poi, poco distante, trovò la figura di Beckett che spiegava e consegnava un paio di fogli ad un ammiraglio con un cappello dotato di una lunga piuma bianca e grigia.
Sicuramente non faceva parte della ciurma, altrimenti lo avrebbe almeno intravisto di sfuggita.
«Ehi, Beckett. Che fine ha fatto il cuoco?» gli urlò quando fu abbastanza vicina.
Il più basso si girò di scatto verso di lei e poi lanciò uno sguardo preoccupato all’uomo davanti a lui.
Quando la Gallese fu abbastanza vicina Cutler fece un gran sorriso, chiaramente falso anche a chilometri di distanza, e la afferrò per una mano, baciandola con delicatezza.
«Buongiorno, mia cara.»
La mora alzò un sopracciglio, guardandolo con divertimento ma quando fece per parlare lui le si avvicinò così tanto che sentì il suo respiro sulle guance.
«Dormito bene?»
Eris continuò a mantenere fermo sul viso un sorriso piuttosto tirato e confuso ma bastò un altro palese sguardo all’uomo con la piuma per capire a cosa parasse.
«Ooooh, ma siiii, ceeerto…» e gli fece un occhiolino fin troppo evidente, facendo sospirare sconsolato il Lord.
«Voi siete Lady Eris Beckett, presumo. Immaginavamo foste così…singolare.» l’uomo che fino a quel momento stava analizzando la coppia, si fece avanti, aspettando.
La donna lo guardò finché Beckett non le pizzicò il braccio sinistro da dietro le spalle. Senza rendersene conto il signore dei mari le aveva avvolto un braccio lungo la base della schiena.
Per il dolore improvviso mosse il braccio in avanti e l’ufficiale straniero, che lo prese per un consenso, agguantò la mano della ragazza e se la portò alle labbra.
«Il Re non vede l’ora di conoscervi. Temevamo di non avere mai il piacere.» e lanciò uno sguardo obliquo a Cutler che non fece altro che rafforzare la presa sul fianco di lei.
Eris decise saggiamente di non aggiungere nessun “Avete temuto bene, D’Artagnan”. La situazione sembrava già abbastanza tesa senza che lei ci mettesse del suo.
«Questo lo manda il Re in persona.» e tirò fuori dalla divisa una lettera bianca con il marchio rosso di Giorgio II.
Beckett si fece avanti con la mano ma il giovane la distanziò con un sorrisetto di scherno sulle labbra.
«E’ per Lady Beckett, mio signore.» gli disse quello, sostenendo con fierezza lo sguardo di fuoco di Cutler.
«Ciò che mio è anche della mia signora, lo stesso in caso contrario.» ribatté il Lord, disturbato non poco.
«Perdonate la mia insolenza, ma il Re mi ha caldamente ordinato di consegnarlo a Lady Eris e a lei soltanto.» si inchinò alla giovane e le consegnò la lettera. Poi, senza una parola, lasciò il ponte della nave scendendo per la passerella calata sul molo.
Beckett le sfilò la lettera delle mani in modo silenzioso e se la intascò.
Eris, completamente distratta da altro, si sporse un pochino per guardare meglio il ragazzo ormai sceso a terra e i suoi occhi maliziosi le caddero inevitabilmente sul quel bel paio di pantaloni bianchi e attillati che mettevano in risalto quel magnifico fondoschiena…
«Vi prego…»sospirò Beckett, allungando una mano per chiuderle la bocca spalancata. «Un po’ di decoro.» e seguì l’esempio del D’Artagnan dei poveri, scendendo a terra.
La Gallese ghignò apertamente, lasciò che il cagnolino rimasto in silenzio scivolasse a terra e si avvicinò di soppiatto al Lord, sussurrando senza che gli altri intorno a loro potessero ascoltare.
«Non essere geloso.»
Beckett sbuffò divertito e continuò a camminare. «Geloso? E di cosa?»
«Anche tu hai un bel culo.»
Il più basso si girò verso di lei, imbarazzato, e la fulminò con gli occhi grigi. La ragazza, come risposta, non fece che tirargli una guancia rosea e chinandosi sul suo viso.
«Smettetela.» si liberò dalla presa e continuò a guardarla male, mentre si sistemava il cappello sulla testa. «Possibile che non possiate assecondarmi qualche volta?»
«Che divertimento ci sarebbe, altrimenti?» domandò in risposta, facendo spallucce, prendendolo sottobraccio e portandolo avanti lungo la passerella che li avvicinava al porto strapieno di persone che guardavano affascinate e incuriosite.
«Vi ricordo che ho ancora un asso nella mia manica.» sussurrò, mefistofelico, mentre si fermava e la afferrava per i fianchi, portandosela talmente vicino che non poté far altro che ricordare la loro prima danza.
Nonostante fosse il più basso dei due, senz’altro era anche il più forte.
«Siete Lady Beckett, da oggi in poi. Quindi dovete comportarvi come tale.» le afferrò il mento così che non distogliesse lo sguardo da lui e ghignò.
«Beckett, che diavolo fai?! Ci guardano…» sussurrò terrorizzata, guardando con la coda dell’occhio la fila di curiosi che si fermava a guardare i marinai tutto fare e la coppia sul molo.
«Ne sono perfettamente a conoscenza.» disse lui solamente, volgendo, con una forzatura del polso, il viso di lei verso destra e abbassandola al suo livello. Lasciò un bacio leggero sulla sua guancia e avvicinò le labbra al suo orecchio.
«Andate a indossare un vestito alla svelta. Se vi vedo di nuovo con un completo simile qui a Londra, vi farò girare nuda.»
Eris si distanziò dall’uomo e lo trovò ghignante di vittoria. Quel dannato diavolo. Beh, ma potevano giocare entrambi a quel gioco.
«Beh, non che sia di mio interesse. Quando tornerò nel mio mondo sarà come se non l’avessi mai fatto, perciò…» portò una mano alla casacca e fece per sbottonare i primi bottoni. Quando Beckett capì cosa stesse cercando di fare, le afferrò i polsi di entrambe le mani e le allontanò dal suo petto, che ora mostrava una scollatura profonda.
«Perché devi sempre contraddirmi?»
La ragazza fece la finta tonta. «Contraddirti? Mi hai dato una scelta.»
«Non farmi usare la mia carta, Eris.» gli sussurrò, irato.
La mora fece nuovamente spallucce e lo guardò con un sorrisetto di vittoria.
«Bene. Allora, grazie all’ingegnoso patto fatto tempo fa, la mia richiesta diventa un ordine. Ti comporterai come ti ordinerò io per tutto il tempo che resteremo in Inghilterra.» la zittì, lasciandole andare i polsi e rivolgendole uno sguardo mortalmente serio.
«Non oserai…» disse lei, ma nonostante l’aria spavalda non riuscì a coprire la nota ansiosa nella voce. Non si era dimenticata la scommessa fatta settimane prima.
«Oso, oso. Ora fila.»
La giovane provò a ribattere ma l’uomo si girò verso un ammiraglio e prese una fitta conversazione con lui, lasciandola alla propria sorpresa e rabbia.
«Giuro che me la paghi.» gli sibilò in un orecchio.
Salì nuovamente sul ponte, agguantò il cagnolino, sussurrò un “Andiamo, Ingrato, questo posto non è per noi” offeso e scomparve sottocoperta.
Il tutto seguito da uno sguardo divertito del Lord.

Riuscirono ad essere nella carrozza che li avrebbe scortati al palazzo alle 12. Eris fu costretta nel vestito rosso sangue e non fece altro che sbuffare contrariata per tutto il viaggio. O almeno finché non attraversarono la strada piena di negozi da ogni lato.
A quel punto prese a spiaccicarsi sul vetro della carrozza mentre Beckett se ne stava tranquillo , incollato allo schienale.
Forse Eris non se n’era accorta ma da quando erano entrati in quel mezzo ambulante, il cagnolino e Cutler non avevano fatto altro che squadrarsi a vicenda.
Avevano fatto a meno della presenza dell’altro per tutto il tempo sopra la nave ma era finalmente giunto il momento di affrontarsi.
«Eris, davvero, cosa ci trovate in quel cane?»
La giovane, che ormai aveva fatto assumere al vetro la forma della sua faccia, si tirò indietro un pochino, titubante di dover abbandonare quella visione, e guardò l’altro.
«Non so. Mi tiene compagnia la notte.»
Beckett non riuscì a controbattere, per cui preferì tacere.
«Che diceva la lettera, a proposito?» domandò subito dopo lei, volgendo gli occhi sulla strada, un sorrisetto furbo sulle labbra fine.
I negozi stavano chiudendo e le piccole baracche allestite stavano smontando tutto, dandosi un gran da fare.
Il sole aveva finalmente riscaldato la temperatura, seppur fosse ancora fredda, e illuminava le strade. Al loro passaggio, i pochi cittadini che ancora giravano all’aria aperta volsero lo sguardo alla carrozza, cercando di scrutare chi vi fosse al suo interno.
Eris intanto pensava a cosa le sarebbe capitato una volta davanti al Re. Lo aveva ovviamente già visto nel film e sembrava una persona piuttosto viziata.
Sperò che non la costringesse in qualche attività strana…e che soprattutto ascoltasse la sua richiesta.
«Invitava a pranzo entrambi.» rispose solamente il Lord, spostando gli occhi anche lui al finestrino opposto a quello assaltato dalla ragazza.
Proprio in quel momento, un grosso armadio dietro una vetrina attirò la sua attenzione. Fu come guardare qualcosa di mistico in qualcosa di estremamente semplice. Non capiva il motivo ma un brivido gli percosse la spina dorsale, facendolo rabbrividire sul posto.
«Eris, l’armadio di cui mi avete raccontato…com’era?»
La domanda, del tutto imprevista, lasciò la donzella perplessa e rispose con altrettanta confusione.
«Mi stai chiedendo di descrivere quell’armadio?»
«Si.» sembrava molto serio ma ancora non si girava a guardarla.
«Beh…» titubò dopo qualche secondo. «Era alto almeno due metri e mezzo, il legno non so quale fosse ma era molto scuro, quasi nero, e portava il simbolo delle Indie sia sulla carta che lo spediva sia sulla maniglia di entrambe le ante.»
Cutler si accigliò e passò il pollice sulle labbra, pensoso. Non aveva potuto certamente sapere se l’armadio che aveva visto avesse o meno quelle figure incise sopra, eppure la strana sensazione non lo abbandonò.
«Qualche altra accortezza?» chiese ancora, stavolta guardandola con un’intensità che lei non gli aveva mai visto in quelle pozze di argento fuso.
Tentò di ricordare il momento in cui mise piede all’interno del mobile e sorrise. «Ricordo che vi erano tanti vestiti di questo periodo e…le pareti del suo interno erano rosse. Un rosso vermiglio.»
Beckett pensò che sicuramente il colore interno era una particolarità più che utile. Quale armadio comune avrebbe avuto un interno color del sangue?
«A cosa ti serve?»
L’uomo concentrò di nuovo i suoi pensieri sulla Gallese e scosse la testa, come a tranquillizzarla. Lei lasciò correre più in fretta del previsto e non oppose altre richieste.
Il tragitto sembrò essere calato nel più silenzioso dei viaggi. Strano, data la presenza incessante del sacco di pulci, che non faceva altro che ringhiare al nobile, e della giovane, solitamente sempre al centro dell’attenzione di tutti.
Quando la carrozza finalmente cessò il suo sbatacchiare a destra e manca, Eris aprì la porta senza aspettare che qualcuno l’aprisse con lei.
Grave errore.
Spinse forte la portiera e quella andò a colpire dritto sul naso un valletto che era lì proprio per offrirle la cortesia.
Un piede dopo l’altro e si ritrovò sulla terra coperta da ciottolini bianchi. Guardandosi alle spalle notò che non erano nell’immediata città nonostante l’avessero percorsa tutta ma erano passati all’interno del castello tramite un ponte levatoio.
Ai lati di esso due alte torri di guardia, come quelle che si vedevano nel medioevo, solo con qualche scrematura di oro, rosso e bianco.
Il Re si proteggeva bene dalla plebe.
Quando sentì un forte lamento alla sua destra si voltò e trovò un uomo con la mano premuta contro il viso, più specificatamente sul naso.
«Uhm? Va tutto bene?»
Cutler uscì dalla stessa portiera di Eris e la guardò storto. «Ovviamente non sta bene.»
Mercer, che guidava la carrozza, scese al fianco del collega e gli porse il proprio fazzoletto, seppur con disgustosa riluttanza.
Eris alzò gli occhi al cielo e prese sotto braccio l’ometto al suo fianco.
Il castello che le si presentava davanti agli occhi pece le fece trattenere il fiato. Era molto più grande di come l’aveva immaginato (e visto nel film). Anche la parete rocciosa e ben levigata di esso era di un bianco perlaceo con qualche accenno di strisce d’oro qui e là.
Un altro valletto aprì il portone, aiutato da un altro accorso in aiuto e li fecero accomodare al suo immenso interno.
Le pareti interne potevano rispecchiare la brillantezza esterna se non fosse stato per i millemila quadri che tappezzavano tutto e lunghe tende e bandiere rosse attaccate ogni 20 quadri.
Diversi soldati in giacche dei medesimi colori erano fermi alle loro postazioni lungo l’ampio corridoio.
Gli occhi della ragazza si spostarono velocemente verso le grandi porte di quercia alla fine dell’ingresso che si aprirono con un altro forte cigolio che rimbalzò contro le pareti.
Poi, quasi in concomitanza con quell’evento, il braccio che Eris stringeva con la mano destra si tese spasmodicamente.
Fece scorrere lo sguardo al suo fianco e trovò il viso di Beckett tremendamente serio, la mascella serrata e tesa quasi come il muscolo del suo braccio.
La parrucca bianca quasi le faceva male agli occhi. Si era talmente abituata a vederlo senza che ormai le dava un fastidio incredibile al solo guardarlo.
Le mani le prudevano dalla voglia di mettergli le mani in testa e sfilargliela via.
«Nervoso?» gli sorrise, distraendosi.
Lord Beckett si raddrizzò per bene e schiarì la voce. «Per quale motivo dovrei esserlo? Certo che no.»
Il suo tono si era forzato all’impeccabilità in maniera innaturale.
«Uhm, se lo dici tu…»
Quando oltrepassarono le porte una visione paradisiaca le si presentò davanti. Il cagnolino, che silenzioso aveva seguito i due tenendosi il più vicino possibile ai piedi della giovane, tirò in alto il muso e prese a fiutare l’aria con fare sognante.
Un lungo tavolo era posato al centro dall’enorme sala da ricevimento. Era stracolmo di dolci e portate di tutti i tipi, dal pollo alla carne di manzo cotta a puntino e con salse delicate poggiate al di sopra.
La stanza era ampia, probabilmente come il resto di quelle che non avevano ancora visitato. Era stranamente familiare.
Un lampadario in oro massiccio era fermo proprio al di sopra della tavolata e una grande finestra dall’altra parte illuminava il tutto.
Lasciò, ancora stupefatta, il braccio dell’uomo che era stato velocemente affiancato da Mercer, e avanzò verso la tavola, il cagnolino che ringhiava affamato.
Quando si trovò davanti ad un dolcetto alla crema ricordò.
Quella era la stessa stanza in cui Jack era stato trascinato... pronto per affrontare la persona più forte di tutto il continente.
Le porte laterali, posizionate sotto un piccolo soppalco, si aprirono e ne uscì nient’altri che il Re in persona.
In tutta la sua grandezza…e ampiezza.
Un uomo basso e incredibilmente grasso, così familiare alla ragazza, con una parrucca lunga dai molti boccoli dorati, entrò con passo pesante e sgraziato.
Posò i suoi occhi porcini prima sulla figura di Eris, come soppesando il suo essere, poi sul cagnolino che si era fatto avanti con i denti in mostra, come a proteggere il suo padrone.
«Mio Re.»
Vedere Beckett chinato ad un soggetto di quel calibro fece quasi venire i brividi lungo la schiena alla Gallese.
Giorgio II finalmente rivolse la sua attenzione al suo uomo e aprì le labbra in un sorriso radioso, colmo di aspettative.
«Lord Beckett, portate buone notizie immagino.»
Eris si accigliò guardando il tavolo e si morse un labbro. Dovevano proprio parlare di affari davanti a tutto quel ben di Dio?
«Senz’altro.» ma prima che potesse aggiungere altro, lanciò uno sguardo eloquente a tutte le guardie presenti.
Il Re, che stupido non era e sicuramente non era nemmeno la prima volta che parlavano di affari in privato, fece un cenno stizzito alle giubbe rosse (Beckett lo fece a Mercer) che con un inchino si dileguarono tutte dalla porta da cui era spuntato Giorgio, chiudendosela alle spalle.
«La Compagnia delle Indie è in possesso del cuore di Davy Jones, mio re.» completò una volta al sicuro da orecchie e occhi indiscreti.
«Allora la giovane stava dicendo la verità.» constatò il sovrano, girando la testa verso Eris che con mano lunga stava per afferrare un chicco d’uva.
Cutler seguì lo stesso esempio e lanciò lampi di fastidio nella direzione della giovane.
La Gallese, improvvisamente a disagio, fece il sorriso più convinto che riuscì a fare e osservò i due uomini cercare risposte dalla sua bocca.
«Beh, il mio era stato solo un accenno, veramente…» si grattò la guancia con un dito e distolse lo sguardo per posarlo su un tacchino fumante al centro della tavola. «Ma non vi sembra scortese dialogare di cuori pompanti e pirati davanti a tutte queste belle pietanze?»
Quasi al solo immaginare la bocca piena di carne e dolci il suo stomaco brontolò nervosamente e il cane parve acconsentire con un lieve ringhio.
Beckett si passò una mano sul viso, esasperato, e si rivolse al maggiore. «Perdonatela, sua maestà. Il viaggio è stato estenuante.»
Il Re rise e segnalò due sedie dall’altro lato, come dicendogli di sedersi.
Eris non vedeva l’ora di mettere qualcosa sotto i denti per poi sparire in qualche stanza lussuosa di quell’immensa magione per un bel bagno e lavarsi i capelli, pettinarli davanti ad un fuoco finché non si fossero asciugati e riposare in un bel letto stabile e soprattutto al sicuro da movimenti bruschi, come era di consueto sulla nave.
Mangiò col più garbo possibile a causa dello sguardo del Lord che non la lasciava mai.
Il Re sembrava, invece, impegnato quanto lei nel dedicarsi al cibo.
Proprio mentre avvicinava l’ennesima coscia di pollo al piatto, il cagnolino al suo fianco ringhiò e poi le abbaiò, arrabbiato.
Giorgio, che era saltato sulla sedia a quel rumore, guardò sotto la tovaglia e individuò la creaturina irritata.
«Ma guarda un po’, avete anche un cane.» provò a far cenno alla bestia di avvicinarsi ma quello annusò l’aria con aria altezzosa e poi girò nuovamente la sua attenzione sulla padroncina. «Mi chiedo come avete fatto a convincere Lord Beckett a tenerlo.» e indicò l’uomo con un pollice, sghignazzando sotto i baffi.
«L’ho preso e l’ho tenuto.» disse solamente lei, allungando un pezzo di carne al cane.
Cutler alzò gli occhi al cielo e tornò al suo piatto. Era già fin troppo tranquilla per i suoi gusti, preferiva stuzzicarla il meno possibile per non rischiare in qualche sua pazzia.
«Mia moglie ha una bellissima Terrier.» disse sua obesità, picchiandosi un dito sulla guancia grassoccia. «Sicuramente sarà felice di vederli interagire.»
La giovane, contenta di potersi liberare del cagnolino logorante anche solo per poche ore, deglutì a forza il pezzo di pollo rimastole in bocca e sorrise radiante.
«E’ un’ottima idea!»
Beckett, dal canto suo, era preoccupato. Quel cane ai piedi della Gallese era stato trovato in mezzo alla strada ed era incredibilmente aggressivo.
Che sarebbe successo se quel coso avesse aggredito l’animale da compagnia della regina…o peggio, la regina stessa?
«Mia signora, quel cagnolino può effettivamente stare in compagnia di qualcun altro?» aveva generalizzato volutamente e la mora si rivolse a lui con il sorriso più tirato possibile.
«Ma certamente!»
Ovviamente mentiva spudoratamente e l’uomo lo sapeva, lo sapeva benissimo.
Sperò quasi che potesse leggere il suo sguardo intimidatorio che le diceva “se quel cane fa qualche pasticcio, vi butto in mare” ma il sorriso di lei si fece più dolce, sintomo che non aveva afferrato proprio un bel nulla.
Il Re bevve un lungo sorso dalla sua coppa e si assicurò che l’attenzione di entrambi si posasse su di lui.
«Ottimo, questa sera ci sarà la cerimonia. Ho fatto ordinare una camera per voi, in modo da organizzarvi al meglio.»
Eris aprì la bocca, stupita, e guardò l’omone alzarsi in piedi con aria affaticata.
«Cerimonia? Ma non era solamente un ballo in maschera?»
Il sovrano sorrise apertamente e le fece un occhiolino furbetto, come a sottolineare qualcosa che la ragazza non capiva nemmeno lontanamente.
«Sarete stanchi dal viaggio. Vi farò scortare dalle guardie.» batté le mani in modo imperioso e un paio di giubbe rosse rientrarono nella sala, le baionette alte e pronte all’uso in caso di necessità.
Decisamente inquietanti.
Beckett si passò un’ultima volta il tovagliolo di seta sulle labbra e si alzò con garbo dalla tavola, avvicinandosi agli uomini in divisa.
Allungò il braccio nella direzione della ragazza ma quella abbassò lo sguardo sui propri piedi e poi sul Re.
«Vostra maestà, posso richiedere altri cinque minuti del vostro tempo per una questione importante?» chiese, mortalmente seria in volto.
L’uomo acconsentì ma la ragazza si ostinò a tenere la bocca chiusa finché non lanciò uno sguardo nella direzione delle guardie e di Cutler, che aveva la fronte corrucciata dalla confusione.
«In privato. Solo io e voi, mio re.»
Beckett sgranò gli occhi alla conferma del Re ma non fece in tempo ad aprire bocca che le guardie lo affiancarono con decisione, accompagnandolo all’uscita.

«Cosa gli avete detto?»
«Cutler, è la quindicesima volta che me lo chiedi e io ti do sempre la stessa risposta.» strinse il pugno all’interno della tasca interna della gonna e lo guardò con un sorrisetto sadico. «Non è una tua preoccupazione.»
Il tragitto era stato lungo, incredibilmente fastidioso con la presenza sospettosa e tesa di Beckett e ansioso di arrivare a destinazione.
Eris già si immaginava la sua totale libertà all’interno della sicuramente enorme stanza che stavano per mostrarle.
L’unica pecca è che l’avrebbe dovuta condividere con quel nano logorroico ma lo avrebbe scacciato nei migliori dei modi.
Avevano imboccato molti corridoi, decisamente di più rispetto alla magione Swann, e attraversato diverse camere e stanze di ogni tipo. Quasi le parve di adocchiare una piccola libreria in una di esse.
Finalmente le guardie si fermarono davanti ad un’alta porta in mogano e si disposero ai lati.
«Prego»
La aprirono con una chiave e mossero appena avanti il legno così che si aprisse e mostrasse tutto ciò che era al suo interno.
Eris aprì la bocca come un pesce lesso e avanzò fino al centro della stanza, guardandola ammirata e eccitata.
Era enorme, assai più grande della camera che l’aveva ospitata dopo la caduta a Port Royal (nonostante già lei la considerasse grande), aveva un soffitto a volta decorato con dipinti di fiori e frutta mentre il resto era di un rosso e oro, proprio come tutta la villa.
Vi erano vari mobili, un grande armadio e un piccolo cassetto adornato di uno specchio, probabilmente per far si che una signora si sistemasse a dovere.
Un’ampia vetrata che dava ad un bellissimo terrazzo era proprio dall’altro capo della porta, al suo lato un piccolo caminetto in marmo bianco.
Il letto, situato lontano da tutto il resto, era poggiato contro la parete e il tessuto che lo ricopriva era pesante e di un bianco perlaceo.
Eris ringraziò l’aria fresca e spesso pungente di Londra, così che non sarebbe morta di caldo nel caso.
Al capo opposto un bel divano rosso e lungo.
Talmente sorpresa e deliziata da tutto quel lusso, Cutler si occupò da sé delle guardie, ordinando loro che le valige venissero trasferite tutte in quell’alloggio.
Quando si girò la ragazza era sparita, ma con la porta del bagno aperta non ci mise molto a capire dove fosse nascosta.
Si aggirava tranquillamente nel largo bagno, sfiorando delicatamente i mobili e i diversi lavabi. La vasca da bagno, situata contro il muro di fondo, era enorme e dentro potevano entrarci almeno 5 persone adulte.
Quella mini stanza poteva persino permettersi di essere occupata da un’alta scultura di marmo bianco e accecante.
A differenza della stanza però, il bagno era quasi la purezza del castello. Bianco e oro, come il tempio di un angelo.
«Sembra che non abbiate mai visto un bagno, Eris.»
La voce sarcastica di Cutler le arrivò, però, chiarissima alle orecchie, anche nonostante la disattenzione.
«Sono sicura che nemmeno tu ne hai mai visto uno così.» lo rimbeccò, felice di essere finalmente sulla terra ferma e in un mondo simile a quello da cui veniva. Con i giusti lussi e le giuste comodità.
«Dovrei essere contrariato dal tuo tono irrispettoso, ma è vero.» sbuffò, entrando nella stanzetta e affiancando la compagna. «La mia magione di certo non poteva creare simili scenari, nonostante un ottimo commercio, e non posso dire di aver arredato un bagno in modo simile alla mia villa, dato che sono pur sempre occupato con la Compagnia delle Indie, per cui…»
Eris si girò verso di lui e aggrottò le sopracciglia. «Hai una casa tua?»
Beckett quasi si sorprese per la tanta sorpresa mostrata. «Certamente, dove credete che alloggi mentre ho dei periodi di stallo?»
La ragazza si lasciò sfuggire una risata e il Lord la guardò stranito. Si chiedeva perché avesse sempre da ridacchiare.
«Periodi di stallo? Li consideri così i tuoi giorni di beato riposo?»
L’uomo girò su se stesso e cominciò ad uscire dal quel bagno, ormai fin troppo idolatrato, e guardò di sottecchi la giovane che lo seguiva.
«Io non riposo.»
Lo disse con un sorrisetto dipinto sulle labbra rosee, ed Eris colse al volo l’occasione di trovarlo così calmo.
«Il male non riposa mai, eh?»


La temperatura si era alzata, per quanto poteva, durante il mattino e qualche ora del pomeriggio. Parte degli invitati alla cerimonia, che venivano da lontano, avevano cominciato a presentarsi verso le 16:00, riempiendo l’entrata di valigie e il viale di carrozze.
«Come faceva il Re a sapere che saremmo arrivati per la cerimonia di stasera?» chiese confusa la ragazza mentre osservava l’ennesima coppia altezzosa sparire dalla porta principale.
«Non lo sapeva.» rispose secco il più basso, mentre guardava qualcosa nascosto tra i rami dell’albero sotto il quale si erano acquattati. «Si possono fare possibili congetture o previsioni sull’arrivo di una nave ma non è mai certo. Dipende da importanti variabili fattori come il vento, il mare e il tempo…»
Un colpo di vento agitò i rami sopra di loro ed Eris dovette trattenere i capelli per evitare che le finissero davanti al viso.
Dopo essersi ben rinfrescati dal viaggio, la mora aveva insistito per visitare il giardino, o meglio la fauna che lo popolava. Tuttavia non vi erano animali oltre che qualche raro uccellino.
Per lo più, esso era un enorme distesa verde con qualche albero da frutto casuale sulla vasta aerea, sotto il quale erano state portati tavolini e sedie pregiate in ferro.
A costeggiare l’imponente castello, che dava subito sul giardino, vi erano siepi dai colori più belli l’uno dall’altro. Da rose rosse ai gigli bianchi.
Tuttavia, improvvisamente la distesa verde si infittiva verso un numeroso gruppo di alberi alla fine.
Sembrava proprio che il giardino del Re si ricongiungesse ad un boschetto.
Eris, Cutler e Mercer si erano seduti ad uno dei tavoli nascosti all’ombra di un albero di aranci.
Il vento era freddo, certo, ma il sole picchiava forte e stare troppo tempo al sole non faceva bene alla pelle pallida di Cutler.
«Non hai risposto alla mia domanda in modo esaustivo…» si lamentò la giovane, rivolgendo i suoi occhi pece sul volto del vicino.
«La cerimonia è organizzata in mio onore. Gli altri invitati o erano qui da tempo o sono molto vicini alla capitale. Aspettavano solo me.»
Eris alzò gli occhi al commento pomposo finale e puntò lo sguardo su una figura che usciva in sella ad un cavallo dAlla stalla distante da loro, alle spalle dell’imponente castello.
Da lontano non seppe dire se fosse veramente chi aveva pensato che fosse, anche se era ben chiaro, e ne ebbe la certezza soltanto quando arrivò a pochi passi da dove era acquattata insieme ai due.
«Un’ottima giornata per una passeggiata a cavallo, non è vero?» gongolò il Re, ben stretto alle redini del magnifico stallone marrone.
La mora annuì solamente, abbagliata dalla maestosità della creatura, e con attenzione allungò una mano per toccare l’imponente collo della bestia. Sentiva distintamente i muscoli del collo tendersi e rilassarsi ad ogni carezza.
«E’ molto bello» mormorò lei, indisturbata mentre continuava a coccolare il cavallo.
Prima che potesse azzardarsi a chiedere la provenienza dell’animale, un altro cavallo, scortato da un servitore, di un bianco perlaceo fu accostato al suo fianco.
La giovane vide Beckett avanzare verso lo stallone e lasciò che il presunto stalliere gli sistemasse bene le cinghie della sella.
Una volta fatto, il Lord fece presa sulla briglia e la sella con entrambe le mani e salì in groppa al cavallo.
Eris, sbigottita, osservò i due superiori con la bocca aperta. Per la prima volta Cutler mostrava un sorrisetto di superiorità nel guardarla dall’alto in basso.
«Che significa?» domandò subito dopo, accigliata.
«Lord Beckett non vi ha informata? Credevo le avesse riferito della sua assenza nel pomeriggio.» si pronunciò il Re, girando la testa senza collo il più possibile per guardare il “collega”.
Il signore fece un’espressione illeggibile e alzò gli occhi al cielo, fintamente pensoso.
«Deve essermi sfuggito, Maestà. Presumo che la mia testa si trovi ancora a Port Royal.»
La Gallese si morse l’interno della guancia per non dar soddisfazione al tiranno di fronte a lei. Era logico che non glielo avesse detto. Avrebbe sicuramente fatto mille storie per unirsi a loro.
E come evitare lamentii piagnucolosi?
«Davvero?» ribattè lei, offesa da quel gesto. «Io però la vedo ancora attaccata saldamente al collo.»
«Sia ringraziato il cielo per questo, non mi avete reso vita facile. Avrei potuto perderla in qualsiasi occasione.» ghignò l’altro.
Il Re, ormai persosi nella discussione indiretta, diede un colpo ai lati del cavallo che, con uno sbuffo affaticato (e vorrei ben vedere, povera bestia),avanzò con i possenti zoccoli costringendo la ragazza a spostarsi di nuovo all’ombra dell’albero, al fianco di Mercer.
Beckett fece lo stesso e rivolse uno sguardo di traverso verso di loro. Mercer era, come al solito, stoico e attendeva ordini. Eris invece era una maschera.
Fermò il cavallo per poterla osservare meglio e notò che la sua figura si era fatta ritta e insondabile.
«Mercer.» chiamò, e quello si avvicinò al padrone. «Tieni d’occhio Miss Eris, sono sicuro che ha qualcosa in mente.» aggiunse, non preoccupandosi di tenerlo lontano dall’udito di lei.
Tirò nuovamente le briglie per intimare il cavallo a girare nella direzione del Re e osservò Eris regalargli un sorriso falso.
«Cercate di non cadere, mio signore. Non vogliamo certo mancare alla vostra importante cerimonia davanti a tutti i Lord dell’Inghilterra.»
Beckett le diede bellamente le spalle e come ultime parole dichiarò un semplice «Certo che no». Poi, si allontanò, in compagnia del Re.
Nemmeno pochi minuti dopo, la giovane donna era stesa sul prato, le braccia e le gambe aperte, lamentandosi di quanto fosse ingiusto il mondo.
«Perché non posso andare anche io?»
«Non è corretto, Miss. Le assicuro che stare con i piedi per terra senza affidarsi ad un animale è la scelta migliore.»
La mora si lasciò sfuggire un sospiro esasperato. Odiava quel giardino. Era improvvisamente così solitario senza quel nano malefico. Eppure sembrava che le cose stessero procedendo così bene…
Chiuse gli occhi.
Dopo un tempo che le parve lunghissimo, senza che Mercer aprisse bocca, sentì un rumore di passi e volse velocemente lo sguardo dietro di se.
Dietro un albero, due bambini ridevano concitati, osservando la buffa ragazza stesa sul prato verde, non curandosi di terriccio e insetti.
«Che volete, mocciosi?» abbaiò e quelli squittirono e corsero via lungo tutto il verde, giungendo ai piedi dell’entrata.
Affaticata, come se avesse appena affrontato una maratona, si alzò a sedere. Un mantello le scivolò fuori dalle spalle e finì a raggomitolarsi sulle sue cosce coperte dal vestito pomposo.
 Alzando gli occhi notò che il cielo si era fatto arancione e sembrava avvicinarsi lentamente la sera.
Quando si passò una mano sui capelli, per lisciarli, una qualcosa le volò davanti al viso.
Credendo fosse un insetto o simile con le ali, si alzò di scatto, nonostante l’intontimento iniziale, e fece qualche passetto indietro.
Constatò solo quando si trovò a centimetri di distanza, al sicuro, che si era trattato semplicemente di una foglia d’arancio.
«Ben svegliata.»
La ragazza si voltò di scatto, presa dallo spavento, e incrociò lo sguardo dell’assassino. In piedi, accanto al tavolino e alle sedie in ferro.
Guardandolo malamente per smorzare l’imbarazzo, tornò nuovamente a piegarsi verso terra, dove il mantello si era ammassato.
«Credevo fossi tornato dentro.» si avvicinò a lui e gli tese l’indumento. «Grazie.» aggiunse.
L’uomo arcuò le labbra in un sorriso obliquo, evidentemente compiaciuto dall’osservazione fatta dalla moretta, e tolse il peso del suo mantello dalle braccia di lei.
«Direi di rientrare…si è fatto tardi.» comunicò al killer.
Si girò un’ultima volta verso la foresta in fondo al vasto giardino, quasi aspettandosi di vedere una figura bianca, e prese ad avanzare verso l’entrata principale del palazzo.
Se era rimasta sdraiata a terra per tutto quel tempo significava solo che Cutler e il Re dovevano aver tardato il rientro a cavallo.
Quando svoltò l’angolo, seguita a ruota e silenziosamente dal “cane” del Lord, notò che le scalinate erano strapiene di bagagli pesanti e borse di ogni tipo.
Cercò di farsi largo tra di esse, spesso inciampando in qualche fattorino che era tornato a caricarsi di altre valige e che prontamente si scusava con la ragazza (nonostante fosse chiaramente colpa della sua goffaggine).
Quando finalmente riuscì a varcare la soglia tirò un sospiro di sollievo e guardò alle proprie spalle per vedere se Mercer era dietro di lei.
Si sporse a destra e sinistra, torcendo il collo, a causa dei vari servitori che le impedivano la vista e quando decise di lasciar perdere e lasciarlo al suo destino, qualcuno la spinse forte, quasi rischiando di farla inciampare.
Irritata, ma già preparata ad un'altra sfilza di scuse, alzò gli occhi sul suo “aggressore”.
Lentamente il suo corpo si irrigidì, le labbra si aprirono di poco, non riuscendo però a dar voce ai propri pensieri, e il tempo e i movimenti intorno a lei si bloccarono all’istante.
«Le mie più sincere scuse, milady. Queste valige sono sistemate da cani. State bene?»
Eris riuscì a pensare soltanto una cosa, ovvero che niente e nessuno poteva confondere quegli innaturali e turbolenti…occhi grigi.


 

 

Angolo dell'Autrice

Okkk, si. Nemmeno mi perdo in scuse. Il mio ritardo è ingiustificabile, eppure ci provo. Purtroppo con l'Università, la vita sociale e lo sport non mi è consentito faretutto alla stessa velocità e sono stata costretta a porre le cose più importanti ai primi posti, lasciando questa fanfiction per un po'. Diciamo che questa è la parte più complicata da scrivere poichè il ballo e tutto andranno a incidere su tutta la fanfiction in modo importante. Sia sulla relazione tra i due che sulla trama.
Ho deciso di smezzare i due capitoli del ballo (forse diventeranno pure tre) per farvi leggere qualcosa e tornare a intrattenervi tutti con un capitolino.
Spero che la lucidità riguardo questa fanfiction non mi abbandoni durante la scrittura dei prossimi capitoli. Tengo molto portare alla fine questa storia, per cui farò di tutto.
E spero che voi lettori non abbiate abbandonato la speranza :') 
Parlando del capitolo rimangono con un grosso punto interrogativo molti punti. La visione periferica di Cutler, la discussione privata di Eris e...il misterioso tipo dagli occhi così grigi.
Ovviamente sentirvi attivi, anche per farmi sapere vostri pareri, mi sprona sempre molto.
Non ho nessun diritto a chiedervi di recensire con tutto il ritardo che ho fatto...ma accontentate una povera autrice che ancora non trova la stabilità mentale ahahah
          Al prossimo capitolo :P
  
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