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Autore: Chemical Lady    16/10/2017    0 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Parte sesta: Il caso Arakawa.

 

 

L’aeree terso e la sensazione di fluttuare gli fecero capire sin da subito che quello era un sogno. Eppure, nonostante questa razionale consapevolezza, non riusciva a non viverlo come se fosse tutto reale.

Il tavolino sul quale appoggiò con un gesto quasi istintivo il cellulare e il portafogli sembrava incredibilmente solido, così come l’attaccapanni dove appese il trench grigio fumo di ordinanza e la katana. L’intera sala era avvolta dal silenzio, poiché la sola fonte di rumore proveniva dalla finestra aperta e riecheggiava nella placidità del soggiorno. Uno schiamazzo leggero, lo schiamazzo di bambini che giocano, che lo portò ad avvicinarsi alla porta finestra socchiusa, scorgendo due piccole figure intente a rincorrersi. Una non riuscì a vederla bene, mentre l’altra gli ricordò se stesso. Che stesse avendo un ricordo della sua infanzia? Eppure non riconosceva quella casa. Era più bella di quella in cui suo padre l’aveva cresciuto prima di morire e a giudicare dall’ampio giardino, doveva trovarsi in una zona residenziale, ben lontana dalla prima circoscrizione a cui era abituato. I suoi occhi e quelli del bambino non si incontrarono mai. Più lo guardava, più si identificava in lui, in quel modo di brandire un bastone come se fosse una quinque, in un goffo tentativo di imitare suo padre.

Un tintinnare di stoviglie distrasse il suo sguardo, portandolo verso una porta scorrevole, tradizionale come tutto il resto del mobilio. Vi arrivò soppesando attentamente chi avrebbe trovato dall’altra parte di quella fragile parete di carta e legno leggero, ma non ebbe bisogno di aprirla per scoprirlo.

«Kuki?»

La voce che lo chiamò giunse alle sue orecchie come una musica leggera. Era famigliare, calda e intima nel pronunciare il suo nome. Così spalancò quella inconsistente barriera. In piedi di fronte a un lavello lucido, a dargli le spalle, c’era Aiko. Non la riconobbe all’inizio, con i capelli lunghi raccolti in una treccia che le ricadeva sulla spalla sinistra, lasciata scoperta dal maglione ampio da casa.

Lui rimase immobile, come pietrificato, fino a che lei non si voltò a guardarlo. Urie era convinto di essersi già dimenticato di quanto intenso fosse il giallo di quelle iridi, e invece eccole lì, brillanti. Vive.

«Sei tornato prima, classe speciale», gli disse con il solito tono canzonatorio, tornando a dargli le spalle. «Non ti aspettavo per un’altra ora. Dovrai aspettare per la cena o metterti il grembiule e contribuire.»

«Deve essere davvero un sogno se tu stai cucinando per me.»

Una risata cristallina proruppe dalla giovane, «Lo dici tutte le sere. Va bene, inizi a diventare vecchio, ma questo è esagerato persino per te.» Solo a quel punto, Aiko si voltò del tutto verso di lui, con il ventre rigonfio che non poteva venire nascosto dalla maglia ampia e l’espressione beffarda, addolcita da una leggera sfumatura nello sguardo.

E Urie capì che quello in giardino non era lui.

«Allora? Si può sapere perché stai zitto? Non è molto da te. Non ti stai lamentando di niente, oggi. Mi devo preoccupare?»

Questo è un sogno.

Le mani fresche e umide della donna si posarono sulle sue guance, accarezzandole piano con i pollici. Non gli aveva mai sorriso in quel modo. Per riflesso, Urie andò a catturare quelle mani nelle sue, abbassandole all’altezza del pancione della donna e guardando la fede dorata che portava all’anulare. Identica a quella che si accorse di portare lui stesso.

Questo è un sogno…

«Visto che sei tornato presto possiamo mangiare prima e guardare un film», gli sorrise di nuovo Aiko e lui la trovò così bella da spezzargli il fiato. Non aveva parole. «Chiama Mikito e Ginshi e dì loro di preparare la tavola.»

«Mik-»

 

Gli occhi serpentini si spalancarono alla prima vibrazione, ma nonostante questo non ebbe la forza di muoversi per quelli che gli parvero minuti lunghi come ore. Il suo cellulare aveva preso a suonare insistente sul comodino per poi tacere e riprendere da capo. Quando ci riuscì, allungò un braccio, percependo enorme quel letto vuoto e freddo.

Rispose senza leggere il nome del suo interlocutore.

-Stavi dormendo?-

«Aizawa», passandosi una mano sugli occhi stanchi, Urie soffiò fuori quel nome. «Sì. Sono riuscito ad addormentarmi dopo molti, molti tentativi. Spero che valga la pena l’avermi svegliato.»

Dall’altra parte della cornetta non arrivò una risposta immediata. Aizawa stava prendendo tempo, ma lui non aveva altro per la testa che quel sogno. Amareggiato, scoraggiato e sconfitto dalla consapevolezza che quella era la cosa più bella che fosse mai riuscito a immaginare.

Ma che non sarebbe rimasta altro che un triste sogno.

-Sono arrivati i risultati degli esami sul sangue di Aiko.-

La risposta lo sorprese. «Così presto?»

-Ho chiesto un favore a Cheiko, un’amica del laboratorio.-

«Hai trovato qualcosa di utile all’indagine?»

Stavolta, Ivak rispose di getto. –Perché non ci vediamo in una caffetteria di tuo gusto? Vorrei parlartene di persona. Però non al :re. Lì non posso più parlare di lavoro, non chiedermi perché, ero troppo ubriaco per ricordarmelo.- l’altro oppose una debole resistenza, ma si convinse quando Aizawa gli disse che non si sentiva di dirglielo al telefono.

«Ci vediamo alla caffetteria della stazione della metro di Shibuya fra mezzora.»

Aveva sperato di non dover lasciare lo chateau per alcuni giorni, convinto che in qualche modo gli altri si sarebbero organizzati da soli per fare la spesa. Sarebbe stata Saiko a prendere le redini della baracca, con lui sospeso e Aiko…. Morta. Non importava 0però.

L’agente Masa non sarebbe mai tornata nella Quinx Squad dopo aver assaggiato la S3.

Per cosa, poi? Per finire ammazzata dai suoi capi.

Con molta calma Urie si mise seduto, prendendo delle pillole da un cassetto e iniziando a leggere i foglietti illustrativi di ogni singola scatola. Aiko aveva un vero arsenale lì dentro e quando trovò quelli che parevano essere ansiolitici, ne prese due senza nemmeno bere un sorso d’acqua.

Se non l’avevano ucciso le gocce per l’insonnia di prima, non l’avrebbero fatto nemmeno quelle. Poi si vestì con calma, senza mettere la cravatta. Le dita tremavano troppo per allacciare il nodo, nonostante per lui fosse ormai un gesto automatico.

Quando lasciò la sua stanza si pentì di non aver chiesto al medico di raggiungerlo lì a casa sua, ma poi si disse che conoscendolo, Aizawa era già arrivato al bar con largo anticipo, per godersi una fetta di torta alle fragole e un caffè in solitudine.

Passando di fronte alla camera di Hige, vide la luce accesa e la porta accostata. Bussò un paio di volte prima di spalancarla, trovando il compagno di squadra seduto sul letto con in mano un registratore di vecchio stampo, a mangianastri, le cuffie nelle orecchie e gli occhi sbarrati.

«Higemaru?»

Sentendo la voce del suo caposquadra, il ragazzo saltò su, spaventato. Si tolse le cuffiette in fretta, ficcando il registratore sotto al cuscino.

«Cosa stai-»

«Una vecchia cassetta. Musica. Niente di interessante.»

Il farfugliare sconnesso del giovane non lo convinse per niente, ma non aveva voglia né di indagare né di fare altro. «Ivak vuole parlarmi. Esco per un paio di ore, spero meno. Puoi dirlo tu agli altri?»

«Certo, caposquadra.»

Si salutarono con un cenno, poi Urie lasciò lo chateau con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Non sapeva il perché, non voleva nemmeno scoprirlo in realtà, ma sentiva che le notizie di Aizawa si sarebbero rivelate ancor più devastanti.

Erano le sei di sera, Aiko non era morta da nemmeno un giorno intero e lui non aveva né un corpo su cui piangere né un perché fosse successo.

Sperò in qualche notizia che avrebbe fatto luce sull’intera questione.

Aveva bisogno della verità.

 

Meno di due mesi prima…

Capitolo trentadue

Urie aveva avuto la possibilità di dormire per cinque ore, prima di ricevere una chiamata verso le dieci e mezzo del mattino. Una voce zelante lo avvisava che era atteso dal Presidente Washuu, nel suo ufficio, nel giro di un’ora e mezzo, per parlare di cosa fosse andato storto durante l’operazione di sgombro della diciannovesima.

E anche per far confessare chiunque avesse aperto bocca in merito a quella manovra strettamente riservata.

Aiko era già uscita. Aveva scarabocchiato in modo quasi romantico qualche parola di scuse a Urie sul blocco note dell’albergo ed era tornata nella tredicesima a chiedere clemenza a Nakarai per quella fuga notturna, domandando a Urie di tenerla aggiornata su ciò che sarebbe successo quel pomeriggio.

Alla fine, non successe nulla. Dopo a mala pena venti minuti in piedi di fronte alla scrivania del presidente, spalla a spalla con il classe speciale Aura e il prima classe Itou, vennero mandati via. Era uscito fuori che quel pover’uomo di Jaina aveva detto tutto a sua moglie la mattina dell’operazione, diverse ore prima dell’inizio delle manovre. Anche Kuramoto aveva confessato di aver chiesto consiglio a Take Hirako, che si era presentato e aveva confermato la versione del suo ex braccio destro, garantendo poi che lui non aveva aperto bocca con nessun altro.

Sia il direttore che il presidente credettero alle loro parole, tanto che per un istante Urie pensò che forse anche lui avrebbe dovuto parlare e dire che spifferato tutto all’agente Masa. Non lo fece però, perché nella stanza c’era anche Matsuri.

Non poteva permettersi di rivelarsi un bugiardo agli occhi del sui stesso supervisore.

Così quando gli venne chiesto direttamente se ne avesse parlato a qualcuno, negò.

Allo stesso modo fece anche il classe speciale Aura ed entrambi furono incoraggiati a non omettere nulla. Di fronte alla determinazione della donna nel sostenere che aveva tenuto il segreto per il bene del bureau, si era accodato.

«Non ho parlato a nessuno del caso, presidente. Non tradirei mai il dipartimento.»

 

 

Il laboratorio criminologico della sede della prima circoscrizione era uno dei più grandi di tutta Tokyo. Le diverse sezioni, divise da ampie vetrate che consentivano di vedere all’interno di ogni singolo ambiente, erano dotate di macchinari all’avanguardia per lo più donati dalle case di costruzione. Gli investigatori di ghoul potevano essere delle ottime cavie per provare tecnologie avanzate, visto che solitamente i casi riguardanti i mostri erano ritenuti meno importanti degli omicidi fra esseri umani. Per non parlare del fatto che solo il sette percento degli agenti operativi aveva basi di criminologia o profiling, certificati da lauree o corsi di aggiornamento, tali da consentire il corretto utilizzo delle macchine in dotazione. Eccetto i tecnici di laboratorio fissi, pochi altri avevano accesso alle strutture interne.

Urie stava osservando interessato l’addetto agli screening dei liquidi secreti dai kagune – e quindi all’elaborazione del dna al loro interno- quando il classe speciale Aura mise piede nel laboratorio tracce, seguito dal ragazzino dalla cresta blu.

«Vedo che il tecnico non è ancora arrivato», sottolineò con tono stanco la donna, oscillando con i fianchi ad ogni passo, fino ad arrivare alle casse di plastica disposte in fila sull’ampio tavolo. Avevano fatto il possibile per separare le componenti delle bombe dalle macerie, ma a distanza di poco più di dodici ore dalla demolizione del palazzo, c’erano ancora persone sul posto a lavorare per loro. Nonostante il lavoro lento e poco incoraggiante, erano riusciti a recuperare due detonatori dai pilastri esterni del palazzo collassato. Una piccola vittoria nel grande mare di sconfitte, alle quale avevano dovuto far fronte quel giorno. «Coraggio, primo livello», continuò a parlare Kiyoko, voltandosi verso Urie e guardandolo diritto negli occhi serpentini, mentre Hsiao se ne stava immobile accanto al suo caposquadra. «Non fare quella faccia. Questa non è né la prima né l’ultima volta che verrai convocato dal presidente e dal direttore.»

«Sono solo molto stanco, classe speciale», gli rispose educatamente il giovane, facendola sorridere divertita.

«Hai sentito, Naoki?», domandò al collega giovane, il quale si era seduto senza grazia su uno dei tavoli laterali, incrociando le mani sulle ginocchia. «I quinx sono stanchi.»

«Il trucco è essere positivi», rispose Ikari con altrettanto divertimento. «Per questo noi siamo così riposati e loro no.»

Ovviamente era ironico. Le sue occhiaie stavano chiamando mamma,  ma i suoi occhi erano incredibilmente svegli. Urie si chiese se fosse un suo tratto caratteriale o se avesse svuotato la macchinetta del caffè nell’atrio. A rispondere implicitamente alla sua domanda fu Kiyoko.

E lo fece in modo spiazzante.

«Sei sempre più raggiante, Naoki. Questo ragazzo deve davvero aver fatto colpo.»

Il ragazzo dalla cresta blu si esibì in un lungo sospiro estasiato. «Eccome», esalò, senza filtri. «Dovrebbe vederlo, classe speciale: è così bello. Ha gli occhi eterocromi e i capelli che sembrano così morbidi. Ah, ancora mi resiste! So però che prima o poi cederà!»

«Hai detto che fa il cameriere, vero?»

«Sì! In un bar che si chiama-»

«Scusate il ritardo!»

Nascosta sotto tre scatoloni di prove, Aiko mise piede nella stanza. Dietro di lei, con un solo scatolone sotto braccio e le due valigette nell’altra mano, c’era Nakarai. Masa scaricò le scatole sul tavolo, passando la mano sulla base della schiena e sorridendo a tutti i presenti. Anche le sue occhiaie parlavano, ma sembrava che la stanchezza avesse superato la soglia del non ritorno, portandola a quella classica euforia data dalla mancanza di sonno.

«Non importa», le disse Kiyoko mentre salutava con un sorriso caloroso Keijin, il suo ex partner. «Il tecnico non è ancora arrivato.»

«Per forza. Sono io, il tecnico.»

Urie sospirò, rassegnato. «Aiko…»

«La tredicesima non è esattamente dietro l’angolo», si intromise il vice capo della squadra Suzuya, con tono leggero ma deciso. Tenne gli occhi grandi e neri sulla figura magra della collega, che si era avvicinata ad un attaccapanni per liberarsi del cappotto nero e lungo al fine di indossare il camice. «In ogni caso, se le nostre teorie si riveleranno fondate, il caso passerà a noi.»

«Come mai?», chiese Urie, alzando un sopracciglio con aria critica. «Il caso è nostro, visto che a rimetterci quasi le penne siano stati noi.»

Ma tu guarda questo stronzo biondo…

«Se il dinamitardo è lo stesso che ha fatto esplodere l’atrio di questo palazzo mesi fa, allora il caso è nostro da molto più tempo, primo livello.»

«Cookie, non litigare con il mio capo», si intromise Aiko, ficcando le mani avvolte dai guanti di lattice dentro alle scatole di plastica e frugando, finendo per  prendere in mano due bustine. Osservò i detonatori con occhio critico, facendosi improvvisamente seria, mentre Nakarai apriva una delle scatole che avevano portato con loro per estrarne una terza. Gliela passò e subito il quinx andò al microscopio, accendendolo e disponendo con cura prima il detonatore rinvenuto nella sede della prima a seguito dell’esplosione nella quale anche lei e Urie erano rimasti coinvolti e poi, di seguito, anche gli altri due.

«Non ci sono dubbi», espose alla fine, dopo aver regolato le manopole con attenzione al fine di creare una sovrapposizione perfetta. «I materiali e la mano che li ha plasmati sono i medesimi che hanno quasi fatto esplodere questo posto mesi fa. Ci troviamo di fronte a un singolo dinamitardo.»

«Firestone», disse il classe speciale Aura. «Abbiamo controllato la sua identità e abbiamo scoperto che è un chimico. Ha lavorato presso l’università di Tokyo per diversi anni in qualità di ricercatore, ma è da un po’ che non si fa vedere in giro.»

«O il Ripper», aggiunse Nakarai. «Indagando su Enoki Sero abbiamo scoperto che ha avuto a che fare con la yakuza per molti anni, prima di passare a qualcosa di molto più radicale. Potrebbe avere portato qualche nuova competenza fra i ranghi di Aogiri.»

Masa alzò gli occhi dal microscopio. «Come sappiamo il nome del Ripper, Keijin?», chiese stranita. Il suo partner aveva omesso un’informazione molto importante.

Il biondino incrociò le braccia sul petto, mentre si avvicinava al microscopio per dare un occhiata. «Mentre riposavi, spossata dalla tua fuga notturna», fece una pausa, guardando verso Urie. Lo fece spostando solo le grandi iridi color carbone, «siamo venuti a conoscenza della cattura di una delle Facce di Cuoio.»

«Quando è successo??», chiese Kuki, stringendo i pugni. La sua operazione stava diventando l’operazione della squadra Suzuya.

«Questa mattina, poco dopo le nove. Un singolo individuo ferito che ha dato il nome del suo capo in cambio di una scorta sicura al Corniculum. Abbiamo un appuntamento nella dodicesima alla fine di questo incontro, Masa.»

La mora annuì, spostandosi per far sì che il partner potesse osservare a sua volta e confermare i riscontri.

«Come procediamo, quindi?», si informò Hsiao, guardando verso il più alto di grado nella stanza.

Aura ci pensò su, prima di parlare nuovamente. «Arrivati a questo punto, credo sia inutile per me tenere questo caso. Offriremo supporto tecnico se deciso dal direttore Washuu, ma lascio a voi le investigazioni. I quinx si occuperanno di Nishijima mentre la squadra Suzuya di Sero.»

«Chiamiamolo ‘il caso Arakawa’.» Nakarai alzò di nuovo il viso per incontrare gli occhi serpentini di Urie. «Collaboriamo, va bene?»

«Va bene», concordò il capo dei quinx, il quale non voleva che quel caso gli venisse tolto. Aveva troppe domande a cui doveva rispondere e tutte portavano alla diciannovesima circoscrizione.

Keijin parve siglare quell’accordo con lo sguardo, prima di riabbassarsi sul microscopio. Aura e Naoki lasciarono la stanza dopo aver salutato e Aiko sospirò pesantemente. Uno dei suoi uomini, una Faccia di Cuoio, era stato catturato e portato al Corniculum. Lei sicuramente sarebbe stata incaricata dell’interrogatorio a giudicare dalle parole di Nakarai, senza contare che aveva ancora da risolvere-

«Masa, hai notato che questi due inneschi non sono stati fatti falla stessa persona?» Se Nakarai le avesse tirato un pugno in pancia, invece di parlarle pacatamente, sarebbe stato meglio. Lo guardò con gli occhi sgranati dalla sorpresa, prima di balbettare qualcosa. Lui continuò a fissarla, imperscrutabile. «Il senso di rotazione del cavo e il taglio delle cesoie non coincidono, anche se la struttura dell’innesco è identica.»

«Non-Aspetta, fammi controllare.»

Aiko tornò sui suoi passi, chinandosi sul microscopio. E nel momento le cui fu fatto notare, quell’errore grossolano le parve grande quanto un elegante e le venne sbattuto in viso senza pietà. I due inneschi recuperati erano uguali, ma non coincidenti. Sentì Nakarai spostarsi nella stanza, alle sue spalle. «Leva le prove», ordinò, facendola scattare. Aiko prese le bustine e le controllò prima di infilare i vari oggetti al loro posto. «Guardate tutti», disse, rivolgendosi anche a Urie e Hsiao, che iniziavano a fare solo presenza. Prese le tenaglie e recise un pezzo da una matassa di fil di ferro. «Se io recido il filo di ferro usando la mano destra, il taglio su di esso tenderà a pendere verso l’interno, mentre lo avvolgo.» Nakarai prese a rigirare il filo doppiato attorno all’indice e Masa si morse il labbro. Lei usava il mignolo, ma il processo era lo stesso. Nakarai forse non aveva una laurea, ma le sue doti investigative erano di molto superiori a quelle degli altri presenti. Gli anni al fianco di Kiyoko Aura lo avevano formato bene e lì dentro non c’era nessuno che potesse competere in acume, Aiko compresa, che aveva peccato di presunzione. «Ecco, così.» mostrò a tutti il risultato. «Il prodotto finale è differente se, a farlo, è un mancino.»

Passò le tenaglie a Aiko, impassibile. Lei le afferrò, prendendo anche il filo e tagliandolo, prima di imitare il biondo, cercando di sembrare poco sicura, quasi goffa. Gli occhi di Nakarai le stavano perforando il cranio, come se volesse aprirlo per guardarci dentro.

«Vedete?», proseguì Keijin appena l’altra gli passò lo scarso prodotto della sua prova. «Il taglio va verso l’interno. Così come nella bomba che ha distrutto l’atrio di questa sede. da questo ne deduco due cose: il dinamitardo ha lavorato da solo la prima volta, ma quando si è ritrovato a fare più bombe, ha chiesto a qualcuno di aiutarlo. Un destro, che ha creato quindi inneschi uguali, ma differenti nel particolare. La mia domanda è: aveva fretta? E se sì, perché? »

«Forse la persona che ha fatto la chiamata alla ccg è stata scoperta», ipotizzò a voce alta Hsiao, guardando i due esperimenti e alternando lo sguardo sui colleghi della tredicesima. Si soffermò sul volto di Aiko, «Hanno dovuto fare tutto di corsa perché si sono ritrovati con le spalle al muro. Così possiamo forse dimostrare che c’entra nulla la spia, questa volta.»

«Impossibile», le rispose Nakarai, pensieroso. «Sapevano da dove sareste arrivati e dove inviarvi. No. C’è premeditazione dietro al piano di Labbra Cucite e vi dirò di più: credo che dietro alle bombe ci sia lei.»

«Ha chiesto una mano per finire le bombe perché non avevano tempo…» Urie corrugò la fronte, massaggiandosi il mento, meditabondo. «Se la spia ha parlato, avranno avuto alcuni giorni per prepararsi. Non sono un esperto, ma per creare cinque bombe non credo ci sia bisogno di più di un paio di giorni, con un lavoro continuo. Quindi perché farsi aiutare? Masa, una volta mi hai detto che i dinamitardi sono narcisisti e gelosi del loro lavoro. Non corrisponde al profilo che tracciasti quel giorno nell’atrio.»

Aiko annuì lentamente, cercando una via di fuga e, al contempo, provando a sembrare solo pensierosa. Non tesa. «Non saprei. Di norma, chi fabbrica bombe è molto geloso del proprio lavoro. È insopportabile per queste personalità di condividere le luci della ribalta e i loro trucchi con un'altra persona. Soprattutto la loro firma.» Prese in mano uno degli inneschi, quello che aveva fatto quell’idiota di Nishijima. No. L’idiota era lei che aveva commesso due errori: non pensare che quel lavoro sarebbe stato analizzato in ogni suo aspetto e sottovalutare l’intelligenza di Nakarai. «Forse avevano anche altro da fare. Forse stanno preparando qualcos’altro e i capi si sono dovuti riunire?»

«Possiamo provare a chiederlo al nostro ospite al Corniculum», rispose spiccio Nakarai, mentre Aiko chiudeva le bustine e sistemava i sigilli, firmandoli. Tenendosi impegnata. «Tu però non te ne sei accorta. Sii più attenta la prossima volta.»

«Senz’altro, prima classe. Forse ho davvero bisogno di riposare.» Un leggero bussare al vetro le fece alzare di nuovo il capo, mentre anche Urie si voltava. Un uomo sulla quarantina entrò, salutando con un cenno i colleghi sul campo e passando ad Aiko un foglio. Lei annuì, ringraziando il tecnico del dna, prima di leggere con attenzione.

«Di cosa si tratta?», chiese Nakarai.

«L’analisi sulle bende che il primo livello Urie ha strappato dal braccio di Labbra Cucite», risposte Aiko. «Il liquido secerne dal kagune che le incrostava in abbondanza appartiene, a quanto pare, al Gufo col Sekigan.»

«Cosa?? No, impossibile.» Urie la strappò il foglio di mano, rischiando di tagliarla con la carta, se non avesse avuto i guanti. Lesse e rilesse il foglio, sentendosi gelare il sangue nelle vene.

«Non era una donna quella che avete affrontato?», si informò il biondo.

«Il caposquadra Urie l’ha affrontata da solo», lo corresse con educazione Hsiao «Però sì, era una donna. L’abbiamo vista bene tutti e non ci sono dubbi.»

«No, non ci sono», sussurrò Urie,prima di appoggiare il documento sul tavolo, come in trance. «Quindi Labbra Cucite potrebbe essere in realtà il Gufo? Non abbiamo mai valutato questa possibilità.»

«Non l’abbiamo mai nemmeno esclusa», gli rispose Keijin. «Solo che non è possibile che Labbra Cucite sia il Gufo con Sekigan per un motivo logistico: è un ghoul che è apparso molto di recente, non più di due anni e mezzo. Secondo i rapporti della ex squadra Hirako, è apparsa dal nulla dopo molti anni che il Gufo aveva già avviato la sua attività.»

«Vero», convenne Aiko. «Però non lo abbiamo mai visto privo della sua Kakuija. Senza contare che Labbra Cucite è un diretto sottoposto di Tatara, a quanto ne sappiamo. Sappiamo che il Gufo lavora per Aogiri solo grazie all’operazione nella ventesima di tre anni fa…. Potrebbe benissimo trattarsi di quella donna.»

«C’è anche un altro ghoul che usa le bende, se non sbaglio», soppesò Hsiao. «Una scelta stilistica peculiare.»

«Eto», disse Nakarai, «La chiamano La Bambina con le Bende perché è molto bassa. Non abbiamo un profilo aggiornato su di lei, perché nessuno l’ha mai vista combattere. In effetti, non sappiamo nemmeno che kagune abbia, come per Labbra Cucite. Per quanto strane siano queste coincidenze, Eto non corrisponde al profilo della nostra indiziata. Cosa ne pensi, Aiko?»

La mora stava sudando leggermente sul retro del collo. Ci passò le dita, indecisa. «Dico che né il profilo di Labbra Cucite, né di Eto corrispondono a quello del Gufo. Sono entrambi membri recenti o relativamente recenti di Aogiri, anche se non possiamo escludere che siano in seno all’organizzazione da anni ma non si siano mai palesate prima. Entrambe lavorano per Tatara ma-»

«Perché i loro profili non corrispondono con quelli del Gufo?»

«Per quello che stavo dicendo ora. Il Gufo appare e scompare quando vuole, sembra che lavoro per se stesso più che per Aogiri.» Aiko aveva acceso il tono senza accorgersene, tirando fuori i denti come un topo all’angolo. «Queste due invece sono sottoposti di Tatara.»

«Si presume.»

«Lo ha detto anche Fueguchi in più interrogatori.» Urie si mise in mezzo. « Non abbiamo prove in nessun senso. Solo il liquido del kagune del Gufo su un pezzo di benda e qualche testimonianza di prigionieri della Cochlea che possono essere di nuovi interrogati.»

Aiko prese un respiro profondo, scusandosi con uno sguardo con il suo partner. «Senza contare che potrebbe essere una contaminazione casuale. Labbra Cucite non usa il kagune, giusto? Magari era vicina al Gufo quando ha estratto il suo e qualche schizzo le è arrivato addosso. Un trasferimento secondario.»

Nakarai rimase in silenzio per un paio di secondi, prima di annuire lentamente. «Ha senso. Per ora teniamo per buona questa teoria. Prendi il cappotto e la quinque, andiamo nella dodicesima a raggiungere Abara e Suzuya.» guardò Aiko eseguire il comando in silenzio, prima di rivolgersi a Urie. «Vi terremo informati. Sarà premura di Masa chiamarti dopo l’interrogatorio e tenerti al passo, primo livello Urie.»

«Grazie, prima classe.»

Kuki smise di considerarlo, tornando a guardare Aiko. Gli dava le spalle mentre indossava il lungo pastrano nero, allacciando ogni bottone, compreso quello sul collo. Infine sistemò diritta la fascetta sul braccio, chiudendo una spilla da balia che si era aperta.

Quando i loro occhi si incontrarono, dentro alle iridi gialle, Urie non lesse nessun sentimento.

Solo un po’ di amarezza che lui interpretò erroneamente come una mancanza di zelo.

Nessuno l’aveva mai messa così in difficoltà, prima di Nakarai.

Aveva fatto una pessima figura a livello professionale di fronte a loro due e al suo capo.

Quell’amarezza però aveva tutt’altro significato per lei.

Avevano sfiorato la tragedia, in quella stanza.

 

 

«Secondo voi se lancio il cellulare in modalità aereo di sotto, vola?»

Mizorou voltò il capo verso i compagni di squadra, carico di aspettativa, smettendo di fissare il tunnel senza fondo della Cochlea. Suzuya non colse la battuta, troppo preso a tirare lentamente il filo cucito sul labbro, con lo sguardo vacuo perso su una parete. Abara sospirò piano, mentre Nakarai ponderava di buttare di sotto il collega insieme al cellulare per testare se sarebbe o meno potuto succedere davvero.

Aiko non prestava loro attenzione.

Rimase ferma con le mani nelle tasche del pastrano nero e il volto infilato nel colletto alto e nero fino al mento. Teneva la schiena contro lo stesso parapetto contro il quale Tamaki si stava tenendo, sporto in avanti, nella speranza di scorgere il fondo. Impossibile, il livello detentivo per i livelli SSS era totalmente avvolto dall’oscurità, che sembrava salire verso l’alto come una nebbia letargica.

Un’ala che, tecnicamente, in quel periodo doveva essere vuota.

«Basta con queste cazzate. Concentrati sul tuo lavoro o la prossima volta sarai tu a venire lasciato a compilare le scartoffie, non Mikage.» Keijin non ci mise nulla ad arguirlo a denti stretti.

Tamaki sospirò. «Se ci fosse stato Mika avrebbe riso.»

L’astrologo del gruppo aveva avuto l’ingrato compito di rimanere al Corniculum per completare il rapporto di consegna del soggetto catturato alla squadra Suzuya. Loro avevano fatto da scorta al blindato che aveva portato il ghoul fin dentro alla Cochlea.  Aiko smaniava per poterlo vedere. Era piuttosto sicura che non fosse nessuno di importante, quindi difficilmente avrebbe potuto riconoscere in lei il leader della diciannovesima. La cautela però non era mai troppa. Si sentiva ancora un po’ disorientata da ciò che era successo qualche ora prima in laboratorio, con Nakarai.

Il modo in cui l’aveva incalzata era stato strano. Sembrava che la stesse mettendo alla prova per chissà quale ragione.

Lanciò uno sguardo verso il biondo, che però non stava prestando attenzione a lei. Rimaneva immobile contro alla parete opposta alla sua, con le braccia dietro la schiena e il bacino sporto in avanti. Gli occhi fissi sul pavimento, pensieroso. Forse stava già pensando a cosa chiedere al prigioniero o magari a qualche teoria che aveva su di lei. Perché aveva capito qualcosa, no? L’aveva detto lui stesso che si era aspettato una persona totalmente diversa, grazie al modo in cui Tamaki l’aveva presentata al gruppo prima del suo arrivo.

No, non devo essere paranoica. Devo smetterla.

Aiko si passò una mano sugli occhi stanchi, prima di staccarsi dal parapetto. «Io propongo di fare la seconda colazione degli Hobbit, mentre aspettiamo che ci permettano di parlare con il ghoul», disse con un sorriso stanco e gli occhi cercati dalle occhiaie. «Ho bisogno di un caffè doppio.»

«Hai bisogno di dormire, Aiko-san», le rispose Hanbee, dispiaciuto per lei. «Le fughe notturne sono romantiche, certo, ma poco produttive. Non che tu non sia produttiva!» Le sue mani scattarono verso l’alto, come per scusarsi. «Intendo solo per oggi. Insomma, oggi non sei produttiva, forse. Non lo sono. Non c’ero nella sede della prima circoscrizione quando-»

«Va tutto bene, Hanbee-kun», lo riprese bonariamente lei, dandogli una piccola pacca sul braccio. Poi prese un respiro profondo. «Hai ragione però, oggi sono meno sveglia del solito.»

«Quindi sei praticamente in coma.»

La mora fece la lingua a Tamaki, che rispose allo stesso modo proprio quando un  tecnico interno venne a chiamarli. Sorprendentemente, non era Tsubasa.

Ad Aiko quasi dispiacque.

Per una volta che aveva bisogno di uno scarafaggio, questi non si presentava.

 

Come aveva previsto, il ghoul catturato era solo uno dei tanti visi celati dalle maschere integrali in cuoio economico, ma lavorato. Masa era certa che non si fossero mai incontrati direttamente. Quanto meno, era sicura che nessuno dei due avesse mai visto la faccia dell’altro.

Il prigioniero era un tipetto smunto, se possibile più stanco di quanto sembrasse lei. Dovevano averlo imbottito di inibitori, ma non sembrava essere pericoloso dietro il vetro anti sfondamento e legato con una camicia di forza, irrobustita da fili e lucchetti in acciaio quinque.

Quando Nakarai e Suzuya entrarono insieme a lei, lasciando Tamaki e Abara a fare presenza in corridoio, il ghoul li guardò rassegnato.

«Parlerò», disse con tono dimesso, «Parlerò, ma non uccidetemi.»

«Tutto dipende molto da ciò che ci dirai.» Nakarai si sedette su una delle sedie, lasciando Aiko in piedi, alle sue spalle. Suzuya si era già accaparrato l’altra e aveva incrociato le gambe, apparentemente annoiato, con i gomiti ficcati sulle cosce e il capo a penzoloni, appoggiato ai polsi. «Non possiamo permetterci un’altra bocca da sfamare che non sa cantare.»

«Canterò. Ho informazioni molto importanti da riferirvi, ma prima dovete garantirmi che non mi ucciderete.»

Il biondo scambiò uno sguardo col suo capo, prima di annuire. «Va bene. Ora sentiamo cosa hai da dire.»

Il ghoul prese un respiro. «Mi chiamo Matsuratsu Yokumoru. Ho trentacinque anni e ho passato gli ultimi dieci fra i ranghi di Aogiri. Inutilmente, a quanto ho scoperto.» Un velo di amarezza gli offuscava le iridi. Aiko lo percepì nitidamente quando si avvicinò al vetro per appoggiare il registratore sul tavolino. «Proprio ora che avevamo deciso finalmente di disertare sono stato catturato…»

Il cuore di Aiko saltò un battito.

«Chi ha deciso di disertare?», lo incalzò Nakarai, mentre lei si riportava dietro alla sedia.

«Le Facce di Cuoio. Hanno tutti disertato quando Labbra Cucite ci ha abbandonati, dopo averci ordinato di non uccidere nemmeno un agente, durante l’assalto di ieri sera.»

Lo stomaco di Masa prese a bruciare, mentre lei prendeva il suo solito quadernino dalla tasca del cappotto, così da non dover guardare altro se non la pagina bianca. La sua mano non tremò mentre iniziava a segnarsi qua e la qualche appunto.

Mentre dentro di sè stava urlando, fuori sembrava solo stanca.

«Non uccidere gli agenti? Come mai un ordine di questo genere? Gli agenti non hanno esitato ad uccidere voi.»

Il ghoul sbuffò una risata priva di colore. «Questo è quello che il Ripper ha detto. Ha affrontato Soldato, richiedendo di essere ricevuto immediatamente dal boss. Lei però non era più nella circoscrizione quando siamo tornati al punto di ritrovo. Hanno lottato e alla fine Cesoie è intervenuta, evitando al Soldato di perdere la testolina. Poi il Ripper si è voltato verso di noi e ci ha chiesto se volevamo essere liberi dai giochini mentali dell’Albero di Aogiri e noi abbiamo accettato. Io però sono stato troppo lento e quello stupido agente con la faccia da volpe mi ha preso questa mattina mentre cercavo di raggiungere un contatto del Ripper con la yakuza.»

«Come si chiama questo contatto?»

«Itora Kanzuki, vive a Hasu.»

Itou l’aveva beccato sulla metropolitana, mentre stava andando al lavoro. Se la sua auto non avesse avuto un problema e se quello stupido non si fosse fatto prendere dal panico alla vista della valigetta, Aiko non avrebbe scoperto molto presto del tradimento di Enoki. Non ci voleva. Doveva sapere di più, ma doveva lasciare che le domande uscissero dalla bocca di Nakarai.

«Dove si trova il quartier generale della diciannovesima?»

«Se lo sapessi, ve lo dire», ammise risentito il prigioniero, storcendo il naso. «Noi sacrificabili per non lo sappiamo. I capi si guardano bene dal portarsi in casa i loro cani. Aogiri aveva acceso in me un barlume di speranza per questo mondo. Il Re col Sekigan l’aveva fatto tramite le parole che i suoi seguaci spiattellavano a noi poveri bastardi. Credevo che sarebbe stato diverso, invece mi sono ritrovato a servire come uno schiavo uno straniero albino, un ragazzino di diciassette anni, una coreana frigida e quella puttana di Labbra Cucite. Non ha mai mostrato una sola volta il suo volto ai suoi uomini, così come non ha mai esitato a sacrificarci. Il Ripper ha ragione: noi siamo già liberi, perché possiamo prenderci questa libertà uccidendo e nutrendoci. Non ci serve l’Aogiri per farlo.»

Suzuya si animò improvvisamente.

Si alzò in piedi, andando a bussare contro il vetro, dimostrando che fra loro c’era quella lastra spessa e che no, non era libero. Non lo sarebbe più stato.

Juuzou però non rimarcò su questo. Era più interessato a un’altra parte del discorso del ghoul. «Non hai mai visto il viso del tuo capo?»

«Mai.»

«E lei non è tornata da voi dopo l’attacco, ma è andata via?»

«Esatto.»

Juuzou si portò di nuovo le dita ai fili, tirando il labbro in fuori mentre rifletteva. «Curioso, davvero curioso. Urie ha detto che non combatte usando il kagune e che i suoi occhi sono strani. I suoi uomini non saprebbero mai riconoscerla. Aiko-chan?»

Lei aveva la schiena leggermente sudata, quando incontrò il suo sguardo. «Sì, classe speciale?»

«Cosa possiamo capire da tutto questo?»

Lei resistette all’impulso di vomitare addosso a Nakarari. «Che Labbra Cucite potrebbe essere chiunque. Anche un essere umano.»

«Anche un agente della ccg?»

Nakarai assottigliò gli occhi, «Anche la spia.»

Ci fu un istante in cui Masa fu certa di essere stata scoperta. Sia Suzuya che Nakarai si erano voltati verso di lei e la stavano guardando in silenzio. Lei non disse niente. Non si mosse nemmeno. Nella sua mente c’erano solamente le immagini di ciò che sarebbe successo se lei avesse confessato.

Avrebbe perso tutto.

Avrebbe perso Urie.

Avrebbe deluso Tatara e Eto.

Avrebbe reso vane tutte le morti che si erano susseguite per garantirle la posizione nella quale si trovava in quel momento.

Per questo reagì di petto, con sicurezza.

Mentire, dopotutto, le veniva naturale.

«Se la spia è Labbra Cucite, allora, è sicuramente qualcuno che ha contatto con le alte sfere», disse meditativa. «Devo pensare a una serie di profili che potrebbero essere compatibili con lei.»

«Mi chiedo quante probabilità ci siano che sia davvero così», valutò a voce alta Nakarai. «La nostra è una teoria a dir poco folle, se ben esaminata. La spia lavora da oltre tre anni per Aogiri…. Chi ha avuto così tanti contatti interni con tutte le squadre i cui piani sono falliti miseramente?»

«Posso andare all’archivio e provare ad andare a ritroso, verificando se c’è una squadra in particolare che ha avuto il maggior numero di piani sventati», si propose subito Aiko.

Suzuya la guardò a fondo, prima di sorridere, chiudendo gli occhi. «Domani, Aiko-chan. Oggi, terminato questo colloquio, potrai andare a dormire. Ora che ci penso, tu non hai domande per il nostro amico? Hirako-san ha scritto sulla tua scheda che sei brava negli interrogatori.»

Masa non seppe se stupirsi di più per il complimento di Take o per il fatto che Suzuya avesse effettivamente letto il suo fascicolo. «Una domanda ce l’ho. La più importante.» Fece un passo avanti, battendo la penna sul quadernino. «Dove si trova ora il Ripper e di quanti uomini dispone?»

Dall’altra parte del vetro non arrivò una risposta immediata. Il ghoul la guardò attentamente e per un attimo Aiko temette di essersi scoperta. Fortunatamente, il motivo di quel tentennamento era un altro. «Non mi piace parlare con le donne.»

«Peccato che non interessi più a nessuno cosa ti piace o meno», rispose Nakarai a tono, con la voce leggera eppure dal tono incisivo. «Rispondi.»

«Non so quanti si sono uniti al Ripper, di preciso. Tutte le Facce di Cuoio e alcuni degli altri rimasti insoddisfatti da questa assurda pretesa di Labba Cucite.»

«Di risparmiare gli agenti?», chiese Aiko.

L’interrogato annuì. «Diciamo che questa mattina eravamo più o meno ottanta persone. Per quanto riguarda il luogo in cui si nascondono, non lo so proprio. Il Ripper parlava delle fogne, però.»

«Le fogne? Dove di preciso? I condotti fognari di Tokyo sono migliaia di chilometri da battere. Non puoi darci nemmeno un indizio?»

«Faccia di volpe mi ha preso prima che potessi scoprire il nuovo luogo che avrei chiamato casa.»

Nakarai sbuffò forte, alzandosi in piedi. «Questa è la tua nuova casa.» Guardò senza espressione il ghoul, prima di fare cenno agli agenti di custodia di portarlo via dalla saletta. «Fino a che non verrà deciso il giorno dell’esecuzione.»

Matsuratsu Yokomuru impallì, venendo a sapere che sarebbe comunque morto. «Avevate promesso!», urlava e scalciava, mentre veniva trascinato via. «Io ho parlato perché avevate promesso!»

La porta infondo allo stanzone si richiuse con un tonfo metallico, lasciando i tre agenti da soli.

«Teniamo questa teoria su Labbra Cucite fra noi», disse Nakarai, sistemandosi il colletto della giacca. «Ci lavoreremo noi due, primo livello Masa. Se si rivelasse fondata, allora voglio essere sicuro che questa persona venga catturata immediatamente, che sia di fatto lei oppure qualcuno con cui è strettamente in contatto. Da oggi tutti sono sotto indagini», fece una pausa per costringerla a guardarlo. Lei fu costretta ad abbassare il quadernino a quel punto. «Tutti. Anche io e te. Anche Tamaki e Mikage. Anche Abara. Anche Urie e i suoi, così come Hirako, Itou e gli altri. Non farne parola con nessuno di loro, va bene?»

«Sì, prima classe. Non dirò niente e noi due lo prenderemo.»

«La prenderemo», corresse il biondo, seguendo Suzuya che li aveva preceduti lasciando la stanza, consapevole che stavano parlando di una cosa in cui lui non voleva mettere il becco. Credeva in Nakarai, si fidava ciecamente di lui.

Gli stava lasciando carta bianca.

Il discorso parve terminato nel momento in cui lasciarono la stanzetta e si avventurarono nel corridoio.

Aiko aveva già avvistato Tamaki e Abara insieme al caposquadra, accanto al parapetto, dove li avevano lasciati. Stava per affrettare il passo e raggiungere l’ex compagno di scuola, quando Nakarai le gelò di nuovo il sangue nelle vene.

«Posso assicurarti che quando la prenderò, si pentirà di averci tradito.»

Non c’era il plurale nella sua frase, né la pietà.

E lei non seppe come replicare di fronte a quella infuocata determinazione.

Sembrava quasi che sapesse tutto.

Che lo avesse sempre saputo, dal primo istante in cui si erano incontrati, al suo arrivo nella tredicesima.

La terrorizzava a morte.

Ma non l’avrebbe fermata.

Strinse i pugni.

«Lo faremo insieme, prima classe. Darò tutta me stessa su questo caso.»

 

 

Aiko aveva consegnato un zelante rapporto a Nakarai due giorni dopo la visita alla Cochlea. Aveva sacrificato la sua serata libera per terminarlo, ma aveva tracciato un diagramma degli spostamenti degli agenti da una squadra all’altra e la percentuale di successi e fallimenti di ciascuna di esse, inserendo ovviamente anche se stessa. Il risultato erano almeno una decina di profili per lo più maschili. Sorprendentemente, la percentuale di successi di Masa era così alta da portare Nakarai a non considerarla fra i sospetti, almeno all’apparenza.

«Se la spia vende le informazioni sulle operazioni, dobbiamo concentrarci sulle sconfitte cocenti, non sulle missioni andate a buon fine.»

Nakarai era incredibilmente bravo, un piccolo genio dell’investigazione. Però non aveva visione di insieme. Era un uomo di azione, che sapeva usare bene il cervello e aveva un’ampia visuale dei sistemi probabilistici in combattimento e anche nelle discussioni. Però non aveva studiato criminologia, non aveva mai lavorato su un caso che concerneva la psicologia umana. Era un macellaio di ghoul, così come ogni altro membro della squadra Suzuya, ad eccezione di Hanbee.

Per questo, nonostante la paura che Aiko aveva avuto nella Cochlea, non l’aveva visto muovere più passi nella sua direzione. La ragazza sapeva che poteva anche essere una strategia, la sua. Farla sentire al sicuro, aspettando che si tradisse da sola. Era qualcosa che credeva che Nakarai avrebbe potuto anche fare. Il fine che giustifica i mezzi.

Per questo si era portata ai ripari.

Nel suo viaggio in metropolitana verso la sede centrale della prima aveva rubato un cellulare, senza farsi vedere. Con esso aveva chiamato Kenta e Tatara, spiegando nei dettagli la situazione utilizzando un disturbatore per la voce, idea che le aveva dato la donna che aveva denunciato le attività di Aogiri nella diciannovesima alla ccg. Sarebbe sparita per qualche tempo e passava il comando a Mi-Him. Tatara aveva concordato che era meglio così e non aveva aggiunto altro, se non un invito a non farsi scoprire. Si era poi liberata del disturbatore della voce, del telefono rubato e della scheda sim con cui aveva tenuto i contatti con Aogiri in quei tre anni.

Sapeva comunque come avrebbe potuto contattarli in caso di bisogno.

Per questo aveva gettato nel fiume quella schedina piccola, senza remore. La sua maschera era al sicuro al quartier generale e niente di ciò che aveva tra i suoi effetti personali sia allo chateau che nella casa della squadra Suzuya avrebbe mai potuto tradirla.

Si era quindi buttata su lavoro, concentrandosi sia sul Ripper, che su Firestone, ma anche su se stessa, sulla spia. Quest’ultima parte in privato, nella stanza di Nakarai a notte fonda, sfogliando quel rapporto e sviscerandolo pezzo per pezzo.

Non avevano trovato niente di probatorio, ovviamente, ma un paio di chiamate di Suzuya avevano messo sotto stretta sorveglianza un paio di agenti che lei nemmeno conosceva, ma che erano quasi suoi coetanei. Quella ricerca era uno sparo nel buio, una caccia alle streghe, ma lei fingeva così bene di crederci che forse iniziava a trascinare anche Nakarai in quella menzogna.

Forse.

Non avrebbe più peccato di presunzione, per questo rimase all’erta su ogni fronte.

 

 

«Ciao Aogiri, come va?»

Aiko sobbalzò, lasciando cadere sul tavolo il pezzo dell’involucro esterno di un candelotto di dinamite che stava analizzando. Lentamente, si voltò a guardare Aizawa che, soddisfatto, masticava rumorosamente una gomma americana.

In mano aveva due caffè e gli occhi luminosi come lucciole al buio.

«Non chiamarmi così al lavoro», lo avvertì con tono basso, alzando le sopracciglia quando le offrì la tazza piena di bevanda calda. Dal profumo invitante, essa proveniva sicuramente dalla scorta speciale di Komoto e non dalle macchinette. «Questo?»

«Un premio per il duro lavoro. Sono tre ore che non ti tiri su da questo pattume.»

La giovane si sfilò i guanti da lavoro, decidendo di fare pausa. Non si era nemmeno resa conto di quanto tempo fosse passato da quando si era messa al lavoro, ma ricomporre le bombe era sicuramente più difficile che crearle. Prese un sorso, storcendo il naso. «Ci hai messo dentro del liquore?»

«Bayles.»

«Alle undici del mattino?»

«Non conosco più altri modi per bere il caffè da quando è morta Mei.»

La mora scosse piano il capo, prendendo un altro sorso, più piccolo. «Questo tuo alcolismo non inficia sul lavoro?»

Lui, per risposta, rise. «Cosa ti sta succedendo, Masa? Ti stai già preparando a diventare la signora Oreo? Perché sai, questa è una cosa che direbbe Urie. Non tu. Tu mi chiederesti perché ne ho messo così poco e perché non usciamo a farci un giro venerdì.»

«Lavoro lontana, il venerdì sera», gli ricordò lei, prima di sedersi pesantemente sullo sgabello. «Senza contare che ultimamente non sono in vena di fare festa.»

«Si tratta del caso Nagachika, vero?» Sbalordita, Aiko rischiò di strozzarsi col caffè. «Sei strana da quando lo hai chiuso. Hai scoperto qualcosa di strano, vero?»

«Cosa te lo fa credere?», rilanciò lei, rispondendo con un’altra domanda.

«Perché hai chiesto a uno degli uomini di mio padre di procurarti un certificato di morte falso. O lo ha fatto Tsubasa, non lo so. Si chiama Tsubasa l’informatore, no?»

La mora prese un lungo respiro, prima di parlare nuovamente, stanca. «Non posso parlartene. Non posso parlarne a nessuno ma diciamo che sì, quel caso mi ha aperto più di un nuovo punto di vista.» Portò la tazza nuovamente alle labbra, prima di fermarsi e abbassarla, colta da una illuminazione. «Attento a cosa dici dalla prossima settimana in poi: doteranno tutte le telecamere di sorveglianza di microfoni. Pensano che sarà un modo efficace di catturare la spia. È stata una proposta di Hachikawa.»

«Lo sapevo già, Komoto deve lavorare la notte per installarle senza farsi vedere.» Aizawa svuotò la tazza in un sorso unico, appoggiandosi poi al bancone con una mano. «Stai attenta a non farti beccare, Aogiri.»

«Tutti abbiamo i nostri segreti, Yakuza.»

Si scambiarono un sorriso sghembo, poi il biondo parlò nuovamente, ora nostalgico. «Si sente la tua mancanza, sai? Nessuno mi dice più cose deprimenti per aiutarmi a superare la morte di Mei e credo che Urie si stia stufando di venire a prendere in giro per Tokyo quando mi ubriaco. Però sai…. Non posso chiamare sempre Shimura.»

«Komoto non verrebbe a prenderti?»

«Mai. Ha troppa paura che gli vomiterei in macchina.»

Masa sbuffò, prima di lasciarsi andare in una risata liberatoria. La prima dopo tanti giorni di tensione. Parlare con Aizawa la stava rassicurando, come se improvvisamente tutto fosse tornato normale, come mesi prima.

Quando era ancora apparentemente felice.

Tamaki irruppe nella stanza con passo tronfio, guardando entrambi. «Indovinate chi ha catturato un altr’altro membro delle Facce di Cuoio?»

«Non ci credo», gli rispose Masa, socchiudendo le labbra. «Come??»

«Abbiamo tenuto sotto controllo un paio di ingressi alle fognature e uno di loro è sbucato come una margheritina in primavera.» Mizurou le rubò la tazza, prendendo un sorso. Poi corrugò la fronte. «Non c’è un po’ troppo poco Bayles qui dentro? Aizawa, mi deludi.»

«Questa  è la razione di cui parlavo prima», gli fece eco il dottore, puntandolo con il pollice per indicarlo ad Aiko.

Lei alzò gli occhi al cielo e tornò a fissare il collega. «Cosa ha detto?»

«Questo è stato più difficile da convincere, ma ha comunque parlato, alla fine.» Il castano le rese la tazza vuota, sorridendo vincitore. «Abbiamo una data, un’ora e un luogo per un incontro fra il Ripper e uno dei capi di Aogiri. Non si sa chi, ma qualcuno di grosso. Apparentemente è una resa dei conti per la storia della scissione dalla cellula terroristica. In ogni caso, a meno che non decidano di non fare più niente per paura che ormai noi lo sappiamo, possiamo arrivare a far fuori non solo tutto il gruppo delle Facce di Cuoio, ma anche qualche membro di Aogiri.»

Aiko non ne sapeva naturalmente nulla. Non aveva avuto contatti con Tatara negli ultimi cinque giorni. Potevano essere state prese molte decisioni dal momento in cui si era liberata della sim card.

Non avrebbe rischiato di essere scoperta per capire contro chi si sarebbero trovati a combattere, visto che avrebbe mantenuto un profilo basso.

«Quando?»

«Il tredici di settembre.»

«Fra tre giorni.»

Mizorou era su di giri. «Il coordinamento dell’operazione è andato a Marude, però a quanto ho capito ci saranno anche la S3 e la S1. Senza contare che Matsuri ci presterà i quinx. La creme de la creme del ccg tutta riunita nelle fogne di Tokyo!»

«Lo scontro sarà nelle fogne?», chiese Aizawa, storcendo il naso. «Che schifo. Attenti alle malattie portate dalle feci.»

«Domani pomeriggio alle tre ci sarà la riunione per decidere i dettagli», concluse Tamaki, dondolandosi sui talloni e appoggiandosi con le mani alle spalle di Aiko. «Potete dirlo a chiunque, Marude ha detto che intanto in un modo o nell’altro la spia comunicherà ciò che  verrà deciso. Per citare il prima classe, ci spera quasi. Così sapranno che li inseguiremo anche in capo al mondo.»

Alcuni giorni prima, Eto le aveva detto all’interno della caffetteria di leggere un libro. Non solo, però. Le aveva anche detto che non voleva perderla perché il Re col Sekigan aveva le sue spie nella ccg e lei non intendeva perdere la sua.

Qualcuno avrebbe comunque parlato e forse sarebbe stato scoperto, distogliendo ogni dubbio legittimo dalla sua figura.

Aiko sorrise a quel pensiero, mentre Tamaki continuava a parlare dell’operazione con entusiasmo.

Sì, avrebbe lasciato scorrere gli eventi.

Ne avrebbe raccolto i frutti.

 

 

Continua…

 

  
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