僕は孤独さ – No Signal
⌘
Parte sesta: Il caso Arakawa.
L’aeree
terso e la sensazione di fluttuare gli fecero capire sin da subito che quello
era un sogno. Eppure, nonostante questa razionale consapevolezza, non riusciva
a non viverlo come se fosse tutto reale.
Il
tavolino sul quale appoggiò con un gesto quasi istintivo il cellulare e il
portafogli sembrava incredibilmente solido, così come l’attaccapanni dove
appese il trench grigio fumo di ordinanza e la katana. L’intera sala era
avvolta dal silenzio, poiché la sola fonte di rumore proveniva dalla finestra
aperta e riecheggiava nella placidità del soggiorno. Uno schiamazzo leggero, lo
schiamazzo di bambini che giocano, che lo portò ad avvicinarsi alla porta
finestra socchiusa, scorgendo due piccole figure intente a rincorrersi. Una non
riuscì a vederla bene, mentre l’altra gli ricordò se stesso. Che stesse avendo
un ricordo della sua infanzia? Eppure non riconosceva quella casa. Era più
bella di quella in cui suo padre l’aveva cresciuto prima di morire e a
giudicare dall’ampio giardino, doveva trovarsi in una zona residenziale, ben
lontana dalla prima circoscrizione a cui era abituato. I suoi occhi e quelli
del bambino non si incontrarono mai. Più lo guardava, più si identificava in
lui, in quel modo di brandire un bastone come se fosse una quinque, in un goffo
tentativo di imitare suo padre.
Un
tintinnare di stoviglie distrasse il suo sguardo, portandolo verso una porta
scorrevole, tradizionale come tutto il resto del mobilio. Vi arrivò soppesando
attentamente chi avrebbe trovato dall’altra parte di quella fragile parete di
carta e legno leggero, ma non ebbe bisogno di aprirla per scoprirlo.
«Kuki?»
La
voce che lo chiamò giunse alle sue orecchie come una musica leggera. Era
famigliare, calda e intima nel pronunciare il suo nome. Così spalancò quella
inconsistente barriera. In piedi di fronte a un lavello lucido, a dargli le
spalle, c’era Aiko. Non la riconobbe all’inizio, con i capelli lunghi raccolti
in una treccia che le ricadeva sulla spalla sinistra, lasciata scoperta dal
maglione ampio da casa.
Lui
rimase immobile, come pietrificato, fino a che lei non si voltò a guardarlo.
Urie era convinto di essersi già dimenticato di quanto intenso fosse il giallo
di quelle iridi, e invece eccole lì, brillanti. Vive.
«Sei
tornato prima, classe speciale», gli disse con il solito tono canzonatorio,
tornando a dargli le spalle. «Non ti aspettavo per un’altra ora. Dovrai
aspettare per la cena o metterti il grembiule e contribuire.»
«Deve
essere davvero un sogno se tu stai cucinando per me.»
Una
risata cristallina proruppe dalla giovane, «Lo dici tutte le sere. Va bene,
inizi a diventare vecchio, ma questo è esagerato persino per te.» Solo a quel
punto, Aiko si voltò del tutto verso di lui, con il ventre rigonfio che non poteva
venire nascosto dalla maglia ampia e l’espressione beffarda, addolcita da una
leggera sfumatura nello sguardo.
E
Urie capì che quello in giardino non era lui.
«Allora?
Si può sapere perché stai zitto? Non è molto da te. Non ti stai lamentando di
niente, oggi. Mi devo preoccupare?»
Questo è un
sogno.
Le
mani fresche e umide della donna si posarono sulle sue guance, accarezzandole
piano con i pollici. Non gli aveva mai sorriso in quel modo. Per riflesso, Urie
andò a catturare quelle mani nelle sue, abbassandole all’altezza del pancione
della donna e guardando la fede dorata che portava all’anulare. Identica a
quella che si accorse di portare lui stesso.
Questo è un sogno…
«Visto
che sei tornato presto possiamo mangiare prima e guardare un film», gli sorrise
di nuovo Aiko e lui la trovò così bella da spezzargli il fiato. Non aveva
parole. «Chiama Mikito e Ginshi e dì loro di preparare la tavola.»
«Mik-»
Gli
occhi serpentini si spalancarono alla prima vibrazione, ma nonostante questo
non ebbe la forza di muoversi per quelli che gli parvero minuti lunghi come
ore. Il suo cellulare aveva preso a suonare insistente sul comodino per poi
tacere e riprendere da capo. Quando ci riuscì, allungò un braccio, percependo
enorme quel letto vuoto e freddo.
Rispose
senza leggere il nome del suo interlocutore.
-Stavi
dormendo?-
«Aizawa»,
passandosi una mano sugli occhi stanchi, Urie soffiò fuori quel nome. «Sì. Sono
riuscito ad addormentarmi dopo molti, molti tentativi. Spero che valga la pena
l’avermi svegliato.»
Dall’altra
parte della cornetta non arrivò una risposta immediata. Aizawa stava prendendo
tempo, ma lui non aveva altro per la testa che quel sogno. Amareggiato,
scoraggiato e sconfitto dalla consapevolezza che quella era la cosa più bella
che fosse mai riuscito a immaginare.
Ma
che non sarebbe rimasta altro che un triste sogno.
-Sono
arrivati i risultati degli esami sul sangue di Aiko.-
La
risposta lo sorprese. «Così presto?»
-Ho
chiesto un favore a Cheiko, un’amica del laboratorio.-
«Hai
trovato qualcosa di utile all’indagine?»
Stavolta,
Ivak rispose di getto. –Perché non ci vediamo in una caffetteria di tuo gusto?
Vorrei parlartene di persona. Però non al :re. Lì non posso più parlare di
lavoro, non chiedermi perché, ero troppo ubriaco per ricordarmelo.- l’altro
oppose una debole resistenza, ma si convinse quando Aizawa gli disse che non si
sentiva di dirglielo al telefono.
«Ci
vediamo alla caffetteria della stazione della metro di Shibuya fra mezzora.»
Aveva
sperato di non dover lasciare lo chateau per alcuni giorni, convinto che in
qualche modo gli altri si sarebbero organizzati da soli per fare la spesa.
Sarebbe stata Saiko a prendere le redini della baracca, con lui sospeso e
Aiko…. Morta. Non importava 0però.
L’agente
Masa non sarebbe mai tornata nella Quinx Squad dopo aver assaggiato la S3.
Per
cosa, poi? Per finire ammazzata dai suoi capi.
Con
molta calma Urie si mise seduto, prendendo delle pillole da un cassetto e
iniziando a leggere i foglietti illustrativi di ogni singola scatola. Aiko
aveva un vero arsenale lì dentro e quando trovò quelli che parevano essere
ansiolitici, ne prese due senza nemmeno bere un sorso d’acqua.
Se
non l’avevano ucciso le gocce per l’insonnia di prima, non l’avrebbero fatto
nemmeno quelle. Poi si vestì con calma, senza mettere la cravatta. Le dita
tremavano troppo per allacciare il nodo, nonostante per lui fosse ormai un
gesto automatico.
Quando
lasciò la sua stanza si pentì di non aver chiesto al medico di raggiungerlo lì
a casa sua, ma poi si disse che conoscendolo, Aizawa era già arrivato al bar
con largo anticipo, per godersi una fetta di torta alle fragole e un caffè in
solitudine.
Passando
di fronte alla camera di Hige, vide la luce accesa e la porta accostata. Bussò
un paio di volte prima di spalancarla, trovando il compagno di squadra seduto
sul letto con in mano un registratore di vecchio stampo, a mangianastri, le
cuffie nelle orecchie e gli occhi sbarrati.
«Higemaru?»
Sentendo
la voce del suo caposquadra, il ragazzo saltò su, spaventato. Si tolse le
cuffiette in fretta, ficcando il registratore sotto al cuscino.
«Cosa
stai-»
«Una
vecchia cassetta. Musica. Niente di interessante.»
Il
farfugliare sconnesso del giovane non lo convinse per niente, ma non aveva
voglia né di indagare né di fare altro. «Ivak vuole parlarmi. Esco per un paio
di ore, spero meno. Puoi dirlo tu agli altri?»
«Certo,
caposquadra.»
Si
salutarono con un cenno, poi Urie lasciò lo chateau con una strana sensazione
alla bocca dello stomaco. Non sapeva il perché, non voleva nemmeno scoprirlo in
realtà, ma sentiva che le notizie di Aizawa si sarebbero rivelate ancor più devastanti.
Erano
le sei di sera, Aiko non era morta da nemmeno un giorno intero e lui non aveva
né un corpo su cui piangere né un perché fosse successo.
Sperò
in qualche notizia che avrebbe fatto luce sull’intera questione.
Aveva
bisogno della verità.
Meno di due mesi
prima…
Capitolo
trentadue
Urie
aveva avuto la possibilità di dormire per cinque ore, prima di ricevere una
chiamata verso le dieci e mezzo del mattino. Una voce zelante lo avvisava che
era atteso dal Presidente Washuu, nel suo ufficio, nel giro di un’ora e mezzo,
per parlare di cosa fosse andato storto durante l’operazione di sgombro della
diciannovesima.
E
anche per far confessare chiunque avesse aperto bocca in merito a quella
manovra strettamente riservata.
Aiko
era già uscita. Aveva scarabocchiato in modo quasi romantico qualche parola di
scuse a Urie sul blocco note dell’albergo ed era tornata nella tredicesima a
chiedere clemenza a Nakarai per quella fuga notturna, domandando a Urie di
tenerla aggiornata su ciò che sarebbe successo quel pomeriggio.
Alla
fine, non successe nulla. Dopo a mala pena venti minuti in piedi di fronte alla
scrivania del presidente, spalla a spalla con il classe speciale Aura e il
prima classe Itou, vennero mandati via. Era uscito fuori che quel pover’uomo di
Jaina aveva detto tutto a sua moglie la mattina dell’operazione, diverse ore
prima dell’inizio delle manovre. Anche Kuramoto aveva confessato di aver
chiesto consiglio a Take Hirako, che si era presentato e aveva confermato la
versione del suo ex braccio destro, garantendo poi che lui non aveva aperto
bocca con nessun altro.
Sia
il direttore che il presidente credettero alle loro parole, tanto che per un
istante Urie pensò che forse anche lui avrebbe dovuto parlare e dire che
spifferato tutto all’agente Masa. Non lo fece però, perché nella stanza c’era
anche Matsuri.
Non
poteva permettersi di rivelarsi un bugiardo agli occhi del sui stesso
supervisore.
Così
quando gli venne chiesto direttamente se ne avesse parlato a qualcuno, negò.
Allo
stesso modo fece anche il classe speciale Aura ed entrambi furono incoraggiati
a non omettere nulla. Di fronte alla determinazione della donna nel sostenere
che aveva tenuto il segreto per il bene del bureau, si era accodato.
«Non ho parlato a nessuno del caso,
presidente. Non tradirei mai il dipartimento.»
⌘
Il laboratorio criminologico della sede
della prima circoscrizione era uno dei più grandi di tutta Tokyo. Le diverse
sezioni, divise da ampie vetrate che consentivano di vedere all’interno di ogni
singolo ambiente, erano dotate di macchinari all’avanguardia per lo più donati
dalle case di costruzione. Gli investigatori di ghoul potevano essere delle
ottime cavie per provare tecnologie avanzate, visto che solitamente i casi
riguardanti i mostri erano ritenuti meno importanti degli omicidi fra esseri umani.
Per non parlare del fatto che solo il sette percento degli agenti operativi
aveva basi di criminologia o profiling, certificati da lauree o corsi di
aggiornamento, tali da consentire il corretto utilizzo delle macchine in
dotazione. Eccetto i tecnici di laboratorio fissi, pochi altri avevano accesso
alle strutture interne.
Urie stava osservando interessato
l’addetto agli screening dei liquidi secreti dai kagune – e quindi
all’elaborazione del dna al loro interno- quando il classe speciale Aura mise piede
nel laboratorio tracce, seguito dal ragazzino dalla cresta blu.
«Vedo che il tecnico non è ancora
arrivato», sottolineò con tono stanco la donna, oscillando con i fianchi ad
ogni passo, fino ad arrivare alle casse di plastica disposte in fila sull’ampio
tavolo. Avevano fatto il possibile per separare le componenti delle bombe dalle
macerie, ma a distanza di poco più di dodici ore dalla demolizione del palazzo,
c’erano ancora persone sul posto a lavorare per loro. Nonostante il lavoro
lento e poco incoraggiante, erano riusciti a recuperare due detonatori dai
pilastri esterni del palazzo collassato. Una piccola vittoria nel grande mare
di sconfitte, alle quale avevano dovuto far fronte quel giorno. «Coraggio,
primo livello», continuò a parlare Kiyoko, voltandosi verso Urie e guardandolo
diritto negli occhi serpentini, mentre Hsiao se ne stava immobile accanto al
suo caposquadra. «Non fare quella faccia. Questa non è né la prima né l’ultima
volta che verrai convocato dal presidente e dal direttore.»
«Sono solo molto stanco, classe speciale»,
gli rispose educatamente il giovane, facendola sorridere divertita.
«Hai sentito, Naoki?», domandò al collega
giovane, il quale si era seduto senza grazia su uno dei tavoli laterali,
incrociando le mani sulle ginocchia. «I quinx sono stanchi.»
«Il trucco è essere positivi», rispose
Ikari con altrettanto divertimento. «Per questo noi siamo così riposati e loro
no.»
Ovviamente era ironico. Le sue occhiaie
stavano chiamando mamma, ma i suoi occhi erano incredibilmente svegli.
Urie si chiese se fosse un suo tratto caratteriale o se avesse svuotato la
macchinetta del caffè nell’atrio. A rispondere implicitamente alla sua domanda
fu Kiyoko.
E lo fece in modo spiazzante.
«Sei sempre più raggiante, Naoki. Questo
ragazzo deve davvero aver fatto colpo.»
Il ragazzo dalla cresta blu si esibì in un
lungo sospiro estasiato. «Eccome», esalò, senza filtri. «Dovrebbe vederlo,
classe speciale: è così bello. Ha gli occhi eterocromi e i capelli che sembrano
così morbidi. Ah, ancora mi resiste! So però che prima o poi cederà!»
«Hai detto che fa il cameriere, vero?»
«Sì! In un bar che si chiama-»
«Scusate il ritardo!»
Nascosta sotto tre scatoloni di prove,
Aiko mise piede nella stanza. Dietro di lei, con un solo scatolone sotto
braccio e le due valigette nell’altra mano, c’era Nakarai. Masa scaricò le
scatole sul tavolo, passando la mano sulla base della schiena e sorridendo a
tutti i presenti. Anche le sue occhiaie parlavano, ma sembrava che la
stanchezza avesse superato la soglia del non ritorno, portandola a quella
classica euforia data dalla mancanza di sonno.
«Non importa», le disse Kiyoko mentre
salutava con un sorriso caloroso Keijin, il suo ex partner. «Il tecnico non è
ancora arrivato.»
«Per forza. Sono io, il tecnico.»
Urie sospirò, rassegnato. «Aiko…»
«La tredicesima non è esattamente dietro
l’angolo», si intromise il vice capo della squadra Suzuya, con tono leggero ma
deciso. Tenne gli occhi grandi e neri sulla figura magra della collega, che si
era avvicinata ad un attaccapanni per liberarsi del cappotto nero e lungo al
fine di indossare il camice. «In ogni caso, se le nostre teorie si riveleranno
fondate, il caso passerà a noi.»
«Come mai?», chiese Urie, alzando un
sopracciglio con aria critica. «Il caso è nostro, visto che a rimetterci quasi
le penne siano stati noi.»
Ma tu guarda questo stronzo biondo…
«Se il dinamitardo è lo stesso che ha fatto
esplodere l’atrio di questo palazzo mesi fa, allora il caso è nostro da molto più
tempo, primo livello.»
«Cookie, non litigare con il mio capo», si
intromise Aiko, ficcando le mani avvolte dai guanti di lattice dentro alle
scatole di plastica e frugando, finendo per
prendere in mano due bustine. Osservò i detonatori con occhio critico,
facendosi improvvisamente seria, mentre Nakarai apriva una delle scatole che
avevano portato con loro per estrarne una terza. Gliela passò e subito il quinx
andò al microscopio, accendendolo e disponendo con cura prima il detonatore
rinvenuto nella sede della prima a seguito dell’esplosione nella quale anche
lei e Urie erano rimasti coinvolti e poi, di seguito, anche gli altri due.
«Non ci sono dubbi», espose alla fine,
dopo aver regolato le manopole con attenzione al fine di creare una
sovrapposizione perfetta. «I materiali e la mano che li ha plasmati sono i
medesimi che hanno quasi fatto esplodere questo posto mesi fa. Ci troviamo di
fronte a un singolo dinamitardo.»
«Firestone», disse il classe speciale
Aura. «Abbiamo controllato la sua identità e abbiamo scoperto che è un chimico.
Ha lavorato presso l’università di Tokyo per diversi anni in qualità di
ricercatore, ma è da un po’ che non si fa vedere in giro.»
«O il Ripper», aggiunse Nakarai.
«Indagando su Enoki Sero abbiamo scoperto che ha avuto a che fare con la yakuza
per molti anni, prima di passare a qualcosa di molto più radicale. Potrebbe
avere portato qualche nuova competenza fra i ranghi di Aogiri.»
Masa alzò gli occhi dal microscopio. «Come
sappiamo il nome del Ripper, Keijin?», chiese stranita. Il suo partner aveva
omesso un’informazione molto importante.
Il biondino incrociò le braccia sul petto,
mentre si avvicinava al microscopio per dare un occhiata. «Mentre riposavi, spossata
dalla tua fuga notturna», fece una pausa, guardando verso Urie. Lo fece
spostando solo le grandi iridi color carbone, «siamo venuti a conoscenza della
cattura di una delle Facce di Cuoio.»
«Quando è successo??», chiese Kuki,
stringendo i pugni. La sua operazione stava diventando l’operazione della
squadra Suzuya.
«Questa mattina, poco dopo le nove. Un
singolo individuo ferito che ha dato il nome del suo capo in cambio di una
scorta sicura al Corniculum. Abbiamo un appuntamento nella dodicesima alla fine
di questo incontro, Masa.»
La mora annuì, spostandosi per far sì che
il partner potesse osservare a sua volta e confermare i riscontri.
«Come procediamo, quindi?», si informò
Hsiao, guardando verso il più alto di grado nella stanza.
Aura ci pensò su, prima di parlare nuovamente.
«Arrivati a questo punto, credo sia inutile per me tenere questo caso.
Offriremo supporto tecnico se deciso dal direttore Washuu, ma lascio a voi le
investigazioni. I quinx si occuperanno di Nishijima mentre la squadra Suzuya di
Sero.»
«Chiamiamolo ‘il caso Arakawa’.» Nakarai
alzò di nuovo il viso per incontrare gli occhi serpentini di Urie.
«Collaboriamo, va bene?»
«Va bene», concordò il capo dei quinx, il
quale non voleva che quel caso gli venisse tolto. Aveva troppe domande a cui
doveva rispondere e tutte portavano alla diciannovesima circoscrizione.
Keijin parve siglare quell’accordo con lo
sguardo, prima di riabbassarsi sul microscopio. Aura e Naoki lasciarono la
stanza dopo aver salutato e Aiko sospirò pesantemente. Uno dei suoi uomini, una
Faccia di Cuoio, era stato catturato e portato al Corniculum. Lei sicuramente
sarebbe stata incaricata dell’interrogatorio a giudicare dalle parole di
Nakarai, senza contare che aveva ancora da risolvere-
«Masa, hai notato che questi due inneschi
non sono stati fatti falla stessa persona?» Se Nakarai le avesse tirato un
pugno in pancia, invece di parlarle pacatamente, sarebbe stato meglio. Lo
guardò con gli occhi sgranati dalla sorpresa, prima di balbettare qualcosa. Lui
continuò a fissarla, imperscrutabile. «Il senso di rotazione del cavo e il
taglio delle cesoie non coincidono, anche se la struttura dell’innesco è
identica.»
«Non-Aspetta, fammi controllare.»
Aiko tornò sui suoi passi, chinandosi sul
microscopio. E nel momento le cui fu fatto notare, quell’errore grossolano le parve
grande quanto un elegante e le venne sbattuto in viso senza pietà. I due
inneschi recuperati erano uguali, ma non coincidenti. Sentì Nakarai spostarsi
nella stanza, alle sue spalle. «Leva le prove», ordinò, facendola scattare.
Aiko prese le bustine e le controllò prima di infilare i vari oggetti al loro
posto. «Guardate tutti», disse, rivolgendosi anche a Urie e Hsiao, che
iniziavano a fare solo presenza. Prese le tenaglie e recise un pezzo da una
matassa di fil di ferro. «Se io recido il filo di ferro usando la mano destra,
il taglio su di esso tenderà a pendere verso l’interno, mentre lo avvolgo.»
Nakarai prese a rigirare il filo doppiato attorno all’indice e Masa si morse il
labbro. Lei usava il mignolo, ma il processo era lo stesso. Nakarai forse non aveva
una laurea, ma le sue doti investigative erano di molto superiori a quelle
degli altri presenti. Gli anni al fianco di Kiyoko Aura lo avevano formato bene
e lì dentro non c’era nessuno che potesse competere in acume, Aiko compresa,
che aveva peccato di presunzione. «Ecco, così.» mostrò a tutti il risultato.
«Il prodotto finale è differente se, a farlo, è un mancino.»
Passò le tenaglie a Aiko, impassibile. Lei
le afferrò, prendendo anche il filo e tagliandolo, prima di imitare il biondo,
cercando di sembrare poco sicura, quasi goffa. Gli occhi di Nakarai le stavano
perforando il cranio, come se volesse aprirlo per guardarci dentro.
«Vedete?», proseguì Keijin appena l’altra
gli passò lo scarso prodotto della sua prova. «Il taglio va verso l’interno.
Così come nella bomba che ha distrutto l’atrio di questa sede. da questo ne
deduco due cose: il dinamitardo ha lavorato da solo la prima volta, ma quando
si è ritrovato a fare più bombe, ha chiesto a qualcuno di aiutarlo. Un destro,
che ha creato quindi inneschi uguali, ma differenti nel particolare. La mia
domanda è: aveva fretta? E se sì, perché? »
«Forse la persona che ha fatto la chiamata
alla ccg è stata scoperta», ipotizzò a voce alta Hsiao, guardando i due
esperimenti e alternando lo sguardo sui colleghi della tredicesima. Si soffermò
sul volto di Aiko, «Hanno dovuto fare tutto di corsa perché si sono ritrovati
con le spalle al muro. Così possiamo forse dimostrare che c’entra nulla la
spia, questa volta.»
«Impossibile», le rispose Nakarai,
pensieroso. «Sapevano da dove sareste arrivati e dove inviarvi. No. C’è
premeditazione dietro al piano di Labbra Cucite e vi dirò di più: credo che
dietro alle bombe ci sia lei.»
«Ha chiesto una mano per finire le bombe
perché non avevano tempo…» Urie corrugò la fronte, massaggiandosi il mento,
meditabondo. «Se la spia ha parlato, avranno avuto alcuni giorni per
prepararsi. Non sono un esperto, ma per creare cinque bombe non credo ci sia
bisogno di più di un paio di giorni, con un lavoro continuo. Quindi perché
farsi aiutare? Masa, una volta mi hai detto che i dinamitardi sono narcisisti e
gelosi del loro lavoro. Non corrisponde al profilo che tracciasti quel giorno
nell’atrio.»
Aiko annuì lentamente, cercando una via di
fuga e, al contempo, provando a sembrare solo pensierosa. Non tesa. «Non
saprei. Di norma, chi fabbrica bombe è molto geloso del proprio lavoro. È
insopportabile per queste personalità di condividere le luci della ribalta e i
loro trucchi con un'altra persona. Soprattutto la loro firma.» Prese in mano
uno degli inneschi, quello che aveva fatto quell’idiota di Nishijima. No.
L’idiota era lei che aveva commesso due errori: non pensare che quel lavoro
sarebbe stato analizzato in ogni suo aspetto e sottovalutare l’intelligenza di
Nakarai. «Forse avevano anche altro da fare. Forse stanno preparando
qualcos’altro e i capi si sono dovuti riunire?»
«Possiamo provare a chiederlo al nostro
ospite al Corniculum», rispose spiccio Nakarai, mentre Aiko chiudeva le bustine
e sistemava i sigilli, firmandoli. Tenendosi impegnata. «Tu però non te ne sei
accorta. Sii più attenta la prossima volta.»
«Senz’altro, prima classe. Forse ho davvero
bisogno di riposare.» Un leggero bussare al vetro le fece alzare di nuovo il
capo, mentre anche Urie si voltava. Un uomo sulla quarantina entrò, salutando
con un cenno i colleghi sul campo e passando ad Aiko un foglio. Lei annuì,
ringraziando il tecnico del dna, prima di leggere con attenzione.
«Di cosa si tratta?», chiese Nakarai.
«L’analisi sulle bende che il primo
livello Urie ha strappato dal braccio di Labbra Cucite», risposte Aiko. «Il
liquido secerne dal kagune che le incrostava in abbondanza appartiene, a quanto
pare, al Gufo col Sekigan.»
«Cosa?? No, impossibile.» Urie la strappò
il foglio di mano, rischiando di tagliarla con la carta, se non avesse avuto i
guanti. Lesse e rilesse il foglio, sentendosi gelare il sangue nelle vene.
«Non era una donna quella che avete
affrontato?», si informò il biondo.
«Il caposquadra Urie l’ha affrontata da
solo», lo corresse con educazione Hsiao «Però sì, era una donna. L’abbiamo
vista bene tutti e non ci sono dubbi.»
«No, non ci sono», sussurrò Urie,prima di appoggiare
il documento sul tavolo, come in trance. «Quindi Labbra Cucite potrebbe essere
in realtà il Gufo? Non abbiamo mai valutato questa possibilità.»
«Non l’abbiamo mai nemmeno esclusa», gli
rispose Keijin. «Solo che non è possibile che Labbra Cucite sia il Gufo con
Sekigan per un motivo logistico: è un ghoul che è apparso molto di recente, non
più di due anni e mezzo. Secondo i rapporti della ex squadra Hirako, è apparsa
dal nulla dopo molti anni che il Gufo aveva già avviato la sua attività.»
«Vero», convenne Aiko. «Però non lo
abbiamo mai visto privo della sua Kakuija. Senza contare che Labbra Cucite è un
diretto sottoposto di Tatara, a quanto ne sappiamo. Sappiamo che il Gufo lavora
per Aogiri solo grazie all’operazione nella ventesima di tre anni fa…. Potrebbe
benissimo trattarsi di quella donna.»
«C’è anche un altro ghoul che usa le
bende, se non sbaglio», soppesò Hsiao. «Una scelta stilistica peculiare.»
«Eto», disse Nakarai, «La chiamano La Bambina con le Bende perché è molto
bassa. Non abbiamo un profilo aggiornato su di lei, perché nessuno l’ha mai
vista combattere. In effetti, non sappiamo nemmeno che kagune abbia, come per Labbra
Cucite. Per quanto strane siano queste coincidenze, Eto non corrisponde al
profilo della nostra indiziata. Cosa ne pensi, Aiko?»
La mora stava sudando leggermente sul
retro del collo. Ci passò le dita, indecisa. «Dico che né il profilo di Labbra
Cucite, né di Eto corrispondono a quello del Gufo. Sono entrambi membri recenti
o relativamente recenti di Aogiri, anche se non possiamo escludere che siano in
seno all’organizzazione da anni ma non si siano mai palesate prima. Entrambe
lavorano per Tatara ma-»
«Perché i loro profili non corrispondono
con quelli del Gufo?»
«Per quello che stavo dicendo ora. Il Gufo
appare e scompare quando vuole, sembra che lavoro per se stesso più che per
Aogiri.» Aiko aveva acceso il tono senza accorgersene, tirando fuori i denti
come un topo all’angolo. «Queste due invece sono sottoposti di Tatara.»
«Si presume.»
«Lo ha detto anche Fueguchi in più
interrogatori.» Urie si mise in mezzo. « Non abbiamo prove in nessun senso.
Solo il liquido del kagune del Gufo su un pezzo di benda e qualche
testimonianza di prigionieri della Cochlea che possono essere di nuovi
interrogati.»
Aiko prese un respiro profondo, scusandosi
con uno sguardo con il suo partner. «Senza contare che potrebbe essere una
contaminazione casuale. Labbra Cucite non usa il kagune, giusto? Magari era
vicina al Gufo quando ha estratto il suo e qualche schizzo le è arrivato
addosso. Un trasferimento secondario.»
Nakarai rimase in silenzio per un paio di
secondi, prima di annuire lentamente. «Ha senso. Per ora teniamo per buona questa
teoria. Prendi il cappotto e la quinque, andiamo nella dodicesima a raggiungere
Abara e Suzuya.» guardò Aiko eseguire il comando in silenzio, prima di
rivolgersi a Urie. «Vi terremo informati. Sarà premura di Masa chiamarti dopo
l’interrogatorio e tenerti al passo, primo livello Urie.»
«Grazie, prima classe.»
Kuki smise di considerarlo, tornando a
guardare Aiko. Gli dava le spalle mentre indossava il lungo pastrano nero,
allacciando ogni bottone, compreso quello sul collo. Infine sistemò diritta la
fascetta sul braccio, chiudendo una spilla da balia che si era aperta.
Quando i loro occhi si incontrarono,
dentro alle iridi gialle, Urie non lesse nessun sentimento.
Solo un po’ di amarezza che lui interpretò
erroneamente come una mancanza di zelo.
Nessuno l’aveva mai messa così in
difficoltà, prima di Nakarai.
Aveva fatto una pessima figura a livello
professionale di fronte a loro due e al suo capo.
Quell’amarezza però aveva tutt’altro
significato per lei.
Avevano sfiorato la tragedia, in quella
stanza.
⌘
«Secondo voi se lancio il cellulare in
modalità aereo di sotto, vola?»
Mizorou voltò il capo verso i compagni di
squadra, carico di aspettativa, smettendo di fissare il tunnel senza fondo
della Cochlea. Suzuya non colse la battuta, troppo preso a tirare lentamente il
filo cucito sul labbro, con lo sguardo vacuo perso su una parete. Abara sospirò
piano, mentre Nakarai ponderava di buttare di sotto il collega insieme al
cellulare per testare se sarebbe o meno potuto succedere davvero.
Aiko non prestava loro attenzione.
Rimase ferma con le mani nelle tasche del
pastrano nero e il volto infilato nel colletto alto e nero fino al mento.
Teneva la schiena contro lo stesso parapetto contro il quale Tamaki si stava
tenendo, sporto in avanti, nella speranza di scorgere il fondo. Impossibile, il
livello detentivo per i livelli SSS era totalmente avvolto dall’oscurità, che
sembrava salire verso l’alto come una nebbia letargica.
Un’ala che, tecnicamente, in quel periodo
doveva essere vuota.
«Basta con queste cazzate. Concentrati sul
tuo lavoro o la prossima volta sarai tu a venire lasciato a compilare le
scartoffie, non Mikage.» Keijin non ci mise nulla ad arguirlo a denti stretti.
Tamaki sospirò. «Se ci fosse stato Mika
avrebbe riso.»
L’astrologo del gruppo aveva avuto
l’ingrato compito di rimanere al Corniculum per completare il rapporto di
consegna del soggetto catturato alla squadra Suzuya. Loro avevano fatto da
scorta al blindato che aveva portato il ghoul fin dentro alla Cochlea. Aiko smaniava per poterlo vedere. Era
piuttosto sicura che non fosse nessuno di importante, quindi difficilmente
avrebbe potuto riconoscere in lei il leader della diciannovesima. La cautela
però non era mai troppa. Si sentiva ancora un po’ disorientata da ciò che era
successo qualche ora prima in laboratorio, con Nakarai.
Il modo in cui l’aveva incalzata era stato
strano. Sembrava che la stesse mettendo alla prova per chissà quale ragione.
Lanciò uno sguardo verso il biondo, che
però non stava prestando attenzione a lei. Rimaneva immobile contro alla parete
opposta alla sua, con le braccia dietro la schiena e il bacino sporto in
avanti. Gli occhi fissi sul pavimento, pensieroso. Forse stava già pensando a
cosa chiedere al prigioniero o magari a qualche teoria che aveva su di lei. Perché
aveva capito qualcosa, no? L’aveva detto lui stesso che si era aspettato una
persona totalmente diversa, grazie al modo in cui Tamaki l’aveva presentata al
gruppo prima del suo arrivo.
No, non devo essere paranoica. Devo smetterla.
Aiko si passò una mano sugli occhi
stanchi, prima di staccarsi dal parapetto. «Io propongo di fare la seconda
colazione degli Hobbit, mentre aspettiamo che ci permettano di parlare con il
ghoul», disse con un sorriso stanco e gli occhi cercati dalle occhiaie. «Ho
bisogno di un caffè doppio.»
«Hai bisogno di dormire, Aiko-san», le
rispose Hanbee, dispiaciuto per lei. «Le fughe notturne sono romantiche, certo,
ma poco produttive. Non che tu non sia produttiva!» Le sue mani scattarono
verso l’alto, come per scusarsi. «Intendo solo per oggi. Insomma, oggi non sei
produttiva, forse. Non lo sono. Non c’ero nella sede della prima circoscrizione
quando-»
«Va tutto bene, Hanbee-kun», lo riprese
bonariamente lei, dandogli una piccola pacca sul braccio. Poi prese un respiro
profondo. «Hai ragione però, oggi sono meno sveglia del solito.»
«Quindi sei praticamente in coma.»
La mora fece la lingua a Tamaki, che
rispose allo stesso modo proprio quando un
tecnico interno venne a chiamarli. Sorprendentemente, non era Tsubasa.
Ad Aiko quasi dispiacque.
Per una volta che aveva bisogno di uno
scarafaggio, questi non si presentava.
Come aveva previsto, il ghoul catturato
era solo uno dei tanti visi celati dalle maschere integrali in cuoio economico,
ma lavorato. Masa era certa che non si fossero mai incontrati direttamente. Quanto
meno, era sicura che nessuno dei due avesse mai visto la faccia dell’altro.
Il prigioniero era un tipetto smunto, se
possibile più stanco di quanto sembrasse lei. Dovevano averlo imbottito di
inibitori, ma non sembrava essere pericoloso dietro il vetro anti sfondamento e
legato con una camicia di forza, irrobustita da fili e lucchetti in acciaio
quinque.
Quando Nakarai e Suzuya entrarono insieme
a lei, lasciando Tamaki e Abara a fare presenza in corridoio, il ghoul li
guardò rassegnato.
«Parlerò», disse con tono dimesso,
«Parlerò, ma non uccidetemi.»
«Tutto dipende molto da ciò che ci dirai.»
Nakarai si sedette su una delle sedie, lasciando Aiko in piedi, alle sue spalle.
Suzuya si era già accaparrato l’altra e aveva incrociato le gambe,
apparentemente annoiato, con i gomiti ficcati sulle cosce e il capo a
penzoloni, appoggiato ai polsi. «Non possiamo permetterci un’altra bocca da
sfamare che non sa cantare.»
«Canterò. Ho informazioni molto importanti
da riferirvi, ma prima dovete garantirmi che non mi ucciderete.»
Il biondo scambiò uno sguardo col suo
capo, prima di annuire. «Va bene. Ora sentiamo cosa hai da dire.»
Il ghoul prese un respiro. «Mi chiamo
Matsuratsu Yokumoru. Ho trentacinque anni e ho passato gli ultimi dieci fra i
ranghi di Aogiri. Inutilmente, a quanto ho scoperto.» Un velo di amarezza gli
offuscava le iridi. Aiko lo percepì nitidamente quando si avvicinò al vetro per
appoggiare il registratore sul tavolino. «Proprio ora che avevamo deciso
finalmente di disertare sono stato catturato…»
Il cuore di Aiko saltò un battito.
«Chi ha deciso di disertare?», lo incalzò
Nakarai, mentre lei si riportava dietro alla sedia.
«Le Facce di Cuoio. Hanno tutti disertato
quando Labbra Cucite ci ha abbandonati, dopo averci ordinato di non uccidere
nemmeno un agente, durante l’assalto di ieri sera.»
Lo stomaco di Masa prese a bruciare,
mentre lei prendeva il suo solito quadernino dalla tasca del cappotto, così da
non dover guardare altro se non la pagina bianca. La sua mano non tremò mentre
iniziava a segnarsi qua e la qualche appunto.
Mentre dentro di sè stava urlando, fuori
sembrava solo stanca.
«Non uccidere gli agenti? Come mai un
ordine di questo genere? Gli agenti non hanno esitato ad uccidere voi.»
Il ghoul sbuffò una risata priva di
colore. «Questo è quello che il Ripper ha detto. Ha affrontato Soldato,
richiedendo di essere ricevuto immediatamente dal boss. Lei però non era più
nella circoscrizione quando siamo tornati al punto di ritrovo. Hanno lottato e
alla fine Cesoie è intervenuta, evitando al Soldato di perdere la testolina.
Poi il Ripper si è voltato verso di noi e ci ha chiesto se volevamo essere
liberi dai giochini mentali dell’Albero di Aogiri e noi abbiamo accettato. Io
però sono stato troppo lento e quello stupido agente con la faccia da volpe mi
ha preso questa mattina mentre cercavo di raggiungere un contatto del Ripper
con la yakuza.»
«Come si chiama questo contatto?»
«Itora Kanzuki, vive a Hasu.»
Itou l’aveva beccato sulla metropolitana,
mentre stava andando al lavoro. Se la sua auto non avesse avuto un problema e
se quello stupido non si fosse fatto prendere dal panico alla vista della
valigetta, Aiko non avrebbe scoperto molto presto del tradimento di Enoki. Non ci voleva. Doveva sapere di più, ma
doveva lasciare che le domande uscissero dalla bocca di Nakarai.
«Dove si trova il quartier generale della
diciannovesima?»
«Se lo sapessi, ve lo dire», ammise
risentito il prigioniero, storcendo il naso. «Noi sacrificabili per non lo
sappiamo. I capi si guardano bene dal portarsi in casa i loro cani. Aogiri
aveva acceso in me un barlume di speranza per questo mondo. Il Re col Sekigan
l’aveva fatto tramite le parole che i suoi seguaci spiattellavano a noi poveri
bastardi. Credevo che sarebbe stato diverso, invece mi sono ritrovato a servire
come uno schiavo uno straniero albino, un ragazzino di diciassette anni, una
coreana frigida e quella puttana di Labbra Cucite. Non ha mai mostrato una sola
volta il suo volto ai suoi uomini, così come non ha mai esitato a sacrificarci.
Il Ripper ha ragione: noi siamo già liberi, perché possiamo prenderci questa
libertà uccidendo e nutrendoci. Non ci serve l’Aogiri per farlo.»
Suzuya si animò improvvisamente.
Si alzò in piedi, andando a bussare contro
il vetro, dimostrando che fra loro c’era quella lastra spessa e che no, non era
libero. Non lo sarebbe più stato.
Juuzou però non rimarcò su questo. Era più
interessato a un’altra parte del discorso del ghoul. «Non hai mai visto il viso
del tuo capo?»
«Mai.»
«E lei non è tornata da voi dopo
l’attacco, ma è andata via?»
«Esatto.»
Juuzou si portò di nuovo le dita ai fili,
tirando il labbro in fuori mentre rifletteva. «Curioso, davvero curioso. Urie
ha detto che non combatte usando il kagune e che i suoi occhi sono strani. I
suoi uomini non saprebbero mai riconoscerla. Aiko-chan?»
Lei aveva la schiena leggermente sudata,
quando incontrò il suo sguardo. «Sì, classe speciale?»
«Cosa possiamo capire da tutto questo?»
Lei resistette all’impulso di vomitare
addosso a Nakarari. «Che Labbra Cucite potrebbe essere chiunque. Anche un
essere umano.»
«Anche un agente della ccg?»
Nakarai assottigliò gli occhi, «Anche la spia.»
Ci fu un istante in cui Masa fu certa di
essere stata scoperta. Sia Suzuya che Nakarai si erano voltati verso di lei e
la stavano guardando in silenzio. Lei non disse niente. Non si mosse nemmeno.
Nella sua mente c’erano solamente le immagini di ciò che sarebbe successo se
lei avesse confessato.
Avrebbe perso tutto.
Avrebbe perso Urie.
Avrebbe deluso Tatara e Eto.
Avrebbe reso vane tutte le morti che si
erano susseguite per garantirle la posizione nella quale si trovava in quel
momento.
Per questo reagì di petto, con sicurezza.
Mentire, dopotutto, le veniva naturale.
«Se la spia è Labbra Cucite, allora, è
sicuramente qualcuno che ha contatto con le alte sfere», disse meditativa.
«Devo pensare a una serie di profili che potrebbero essere compatibili con
lei.»
«Mi chiedo quante probabilità ci siano che
sia davvero così», valutò a voce alta Nakarai. «La nostra è una teoria a dir
poco folle, se ben esaminata. La spia lavora da oltre tre anni per Aogiri…. Chi
ha avuto così tanti contatti interni con tutte le squadre i cui piani sono
falliti miseramente?»
«Posso andare all’archivio e provare ad
andare a ritroso, verificando se c’è una squadra in particolare che ha avuto il
maggior numero di piani sventati», si propose subito Aiko.
Suzuya la guardò a fondo, prima di
sorridere, chiudendo gli occhi. «Domani, Aiko-chan. Oggi, terminato questo
colloquio, potrai andare a dormire. Ora che ci penso, tu non hai domande per il
nostro amico? Hirako-san ha scritto sulla tua scheda che sei brava negli
interrogatori.»
Masa non seppe se stupirsi di più per il
complimento di Take o per il fatto che Suzuya avesse effettivamente letto il
suo fascicolo. «Una domanda ce l’ho. La più importante.» Fece un passo avanti,
battendo la penna sul quadernino. «Dove si trova ora il Ripper e di quanti
uomini dispone?»
Dall’altra parte del vetro non arrivò una
risposta immediata. Il ghoul la guardò attentamente e per un attimo Aiko
temette di essersi scoperta. Fortunatamente, il motivo di quel tentennamento
era un altro. «Non mi piace parlare con le donne.»
«Peccato che non interessi più a nessuno
cosa ti piace o meno», rispose Nakarai a tono, con la voce leggera eppure dal
tono incisivo. «Rispondi.»
«Non so quanti si sono uniti al Ripper, di
preciso. Tutte le Facce di Cuoio e alcuni degli altri rimasti insoddisfatti da
questa assurda pretesa di Labba Cucite.»
«Di risparmiare gli agenti?», chiese Aiko.
L’interrogato annuì. «Diciamo che questa
mattina eravamo più o meno ottanta persone. Per quanto riguarda il luogo in cui
si nascondono, non lo so proprio. Il Ripper parlava delle fogne, però.»
«Le fogne? Dove di preciso? I condotti
fognari di Tokyo sono migliaia di chilometri da battere. Non puoi darci nemmeno
un indizio?»
«Faccia di volpe mi ha preso prima che
potessi scoprire il nuovo luogo che avrei chiamato casa.»
Nakarai sbuffò forte, alzandosi in piedi.
«Questa è la tua nuova casa.» Guardò senza espressione il ghoul, prima di fare
cenno agli agenti di custodia di portarlo via dalla saletta. «Fino a che non
verrà deciso il giorno dell’esecuzione.»
Matsuratsu Yokomuru impallì, venendo a
sapere che sarebbe comunque morto. «Avevate promesso!», urlava e scalciava,
mentre veniva trascinato via. «Io ho parlato perché avevate promesso!»
La porta infondo allo stanzone si richiuse
con un tonfo metallico, lasciando i tre agenti da soli.
«Teniamo questa teoria su Labbra Cucite
fra noi», disse Nakarai, sistemandosi il colletto della giacca. «Ci lavoreremo
noi due, primo livello Masa. Se si rivelasse fondata, allora voglio essere
sicuro che questa persona venga catturata immediatamente, che sia di fatto lei
oppure qualcuno con cui è strettamente in contatto. Da oggi tutti sono sotto
indagini», fece una pausa per costringerla a guardarlo. Lei fu costretta ad
abbassare il quadernino a quel punto. «Tutti. Anche io e te. Anche Tamaki e
Mikage. Anche Abara. Anche Urie e i suoi, così come Hirako, Itou e gli altri.
Non farne parola con nessuno di loro, va bene?»
«Sì, prima classe. Non dirò niente e noi
due lo prenderemo.»
«La prenderemo», corresse il biondo,
seguendo Suzuya che li aveva preceduti lasciando la stanza, consapevole che
stavano parlando di una cosa in cui lui non voleva mettere il becco. Credeva in
Nakarai, si fidava ciecamente di lui.
Gli stava lasciando carta bianca.
Il discorso parve terminato nel momento in
cui lasciarono la stanzetta e si avventurarono nel corridoio.
Aiko aveva già avvistato Tamaki e Abara
insieme al caposquadra, accanto al parapetto, dove li avevano lasciati. Stava
per affrettare il passo e raggiungere l’ex compagno di scuola, quando Nakarai
le gelò di nuovo il sangue nelle vene.
«Posso assicurarti che quando la prenderò,
si pentirà di averci tradito.»
Non c’era il plurale nella sua frase, né
la pietà.
E lei non seppe come replicare di fronte a
quella infuocata determinazione.
Sembrava quasi che sapesse tutto.
Che lo avesse sempre saputo, dal primo
istante in cui si erano incontrati, al suo arrivo nella tredicesima.
La terrorizzava a morte.
Ma non l’avrebbe fermata.
Strinse i pugni.
«Lo faremo insieme, prima classe. Darò
tutta me stessa su questo caso.»
⌘
Aiko aveva consegnato un zelante rapporto
a Nakarai due giorni dopo la visita alla Cochlea. Aveva sacrificato la sua
serata libera per terminarlo, ma aveva tracciato un diagramma degli spostamenti
degli agenti da una squadra all’altra e la percentuale di successi e fallimenti
di ciascuna di esse, inserendo ovviamente anche se stessa. Il risultato erano
almeno una decina di profili per lo più maschili. Sorprendentemente, la
percentuale di successi di Masa era così alta da portare Nakarai a non
considerarla fra i sospetti, almeno all’apparenza.
«Se la spia vende le informazioni sulle
operazioni, dobbiamo concentrarci sulle sconfitte cocenti, non sulle missioni
andate a buon fine.»
Nakarai era incredibilmente bravo, un
piccolo genio dell’investigazione. Però non aveva visione di insieme. Era un
uomo di azione, che sapeva usare bene il cervello e aveva un’ampia visuale dei
sistemi probabilistici in combattimento e anche nelle discussioni. Però non
aveva studiato criminologia, non aveva mai lavorato su un caso che concerneva
la psicologia umana. Era un macellaio di ghoul, così come ogni altro membro
della squadra Suzuya, ad eccezione di Hanbee.
Per questo, nonostante la paura che Aiko
aveva avuto nella Cochlea, non l’aveva visto muovere più passi nella sua
direzione. La ragazza sapeva che poteva anche essere una strategia, la sua.
Farla sentire al sicuro, aspettando che si tradisse da sola. Era qualcosa che
credeva che Nakarai avrebbe potuto anche fare. Il fine che giustifica i mezzi.
Per questo si era portata ai ripari.
Nel suo viaggio in metropolitana verso la
sede centrale della prima aveva rubato un cellulare, senza farsi vedere. Con
esso aveva chiamato Kenta e Tatara, spiegando nei dettagli la situazione
utilizzando un disturbatore per la voce, idea che le aveva dato la donna che
aveva denunciato le attività di Aogiri nella diciannovesima alla ccg. Sarebbe
sparita per qualche tempo e passava il comando a Mi-Him. Tatara aveva
concordato che era meglio così e non aveva aggiunto altro, se non un invito a
non farsi scoprire. Si era poi liberata del disturbatore della voce, del
telefono rubato e della scheda sim con cui aveva tenuto i contatti con Aogiri
in quei tre anni.
Sapeva comunque come avrebbe potuto
contattarli in caso di bisogno.
Per questo aveva gettato nel fiume quella
schedina piccola, senza remore. La sua maschera era al sicuro al quartier
generale e niente di ciò che aveva tra i suoi effetti personali sia allo
chateau che nella casa della squadra Suzuya avrebbe mai potuto tradirla.
Si era quindi buttata su lavoro,
concentrandosi sia sul Ripper, che su Firestone, ma anche su se stessa, sulla
spia. Quest’ultima parte in privato, nella stanza di Nakarai a notte fonda,
sfogliando quel rapporto e sviscerandolo pezzo per pezzo.
Non avevano trovato niente di probatorio,
ovviamente, ma un paio di chiamate di Suzuya avevano messo sotto stretta
sorveglianza un paio di agenti che lei nemmeno conosceva, ma che erano quasi
suoi coetanei. Quella ricerca era uno sparo nel buio, una caccia alle streghe, ma
lei fingeva così bene di crederci che forse iniziava a trascinare anche Nakarai
in quella menzogna.
Forse.
Non avrebbe più peccato di presunzione,
per questo rimase all’erta su ogni fronte.
⌘
«Ciao Aogiri, come va?»
Aiko sobbalzò, lasciando cadere sul tavolo
il pezzo dell’involucro esterno di un candelotto di dinamite che stava
analizzando. Lentamente, si voltò a guardare Aizawa che, soddisfatto, masticava
rumorosamente una gomma americana.
In mano aveva due caffè e gli occhi
luminosi come lucciole al buio.
«Non chiamarmi così al lavoro», lo avvertì
con tono basso, alzando le sopracciglia quando le offrì la tazza piena di
bevanda calda. Dal profumo invitante, essa proveniva sicuramente dalla scorta
speciale di Komoto e non dalle macchinette. «Questo?»
«Un premio per il duro lavoro. Sono tre
ore che non ti tiri su da questo pattume.»
La giovane si sfilò i guanti da lavoro,
decidendo di fare pausa. Non si era nemmeno resa conto di quanto tempo fosse
passato da quando si era messa al lavoro, ma ricomporre le bombe era
sicuramente più difficile che crearle. Prese un sorso, storcendo il naso. «Ci
hai messo dentro del liquore?»
«Bayles.»
«Alle undici del mattino?»
«Non conosco più altri modi per bere il
caffè da quando è morta Mei.»
La mora scosse piano il capo, prendendo un
altro sorso, più piccolo. «Questo tuo alcolismo non inficia sul lavoro?»
Lui, per risposta, rise. «Cosa ti sta
succedendo, Masa? Ti stai già preparando a diventare la signora Oreo? Perché
sai, questa è una cosa che direbbe Urie. Non tu. Tu mi chiederesti perché ne ho
messo così poco e perché non usciamo a farci un giro venerdì.»
«Lavoro lontana, il venerdì sera», gli
ricordò lei, prima di sedersi pesantemente sullo sgabello. «Senza contare che
ultimamente non sono in vena di fare festa.»
«Si tratta del caso Nagachika, vero?»
Sbalordita, Aiko rischiò di strozzarsi col caffè. «Sei strana da quando lo hai
chiuso. Hai scoperto qualcosa di strano, vero?»
«Cosa te lo fa credere?», rilanciò lei,
rispondendo con un’altra domanda.
«Perché hai chiesto a uno degli uomini di
mio padre di procurarti un certificato di morte falso. O lo ha fatto Tsubasa,
non lo so. Si chiama Tsubasa l’informatore, no?»
La mora prese un lungo respiro, prima di
parlare nuovamente, stanca. «Non posso parlartene. Non posso parlarne a nessuno
ma diciamo che sì, quel caso mi ha aperto più di un nuovo punto di vista.»
Portò la tazza nuovamente alle labbra, prima di fermarsi e abbassarla, colta da
una illuminazione. «Attento a cosa dici dalla prossima settimana in poi:
doteranno tutte le telecamere di sorveglianza di microfoni. Pensano che sarà un
modo efficace di catturare la spia. È stata una proposta di Hachikawa.»
«Lo sapevo già, Komoto deve lavorare la
notte per installarle senza farsi vedere.» Aizawa svuotò la tazza in un sorso
unico, appoggiandosi poi al bancone con una mano. «Stai attenta a non farti
beccare, Aogiri.»
«Tutti abbiamo i nostri segreti, Yakuza.»
Si scambiarono un sorriso sghembo, poi il
biondo parlò nuovamente, ora nostalgico. «Si sente la tua mancanza, sai?
Nessuno mi dice più cose deprimenti per aiutarmi a superare la morte di Mei e
credo che Urie si stia stufando di venire a prendere in giro per Tokyo quando
mi ubriaco. Però sai…. Non posso chiamare sempre Shimura.»
«Komoto non verrebbe a prenderti?»
«Mai. Ha troppa paura che gli vomiterei in
macchina.»
Masa sbuffò, prima di lasciarsi andare in
una risata liberatoria. La prima dopo tanti giorni di tensione. Parlare con
Aizawa la stava rassicurando, come se improvvisamente tutto fosse tornato
normale, come mesi prima.
Quando era ancora apparentemente felice.
Tamaki irruppe nella stanza con passo
tronfio, guardando entrambi. «Indovinate chi ha catturato un altr’altro membro
delle Facce di Cuoio?»
«Non ci credo», gli rispose Masa,
socchiudendo le labbra. «Come??»
«Abbiamo tenuto sotto controllo un paio di
ingressi alle fognature e uno di loro è sbucato come una margheritina in
primavera.» Mizurou le rubò la tazza, prendendo un sorso. Poi corrugò la
fronte. «Non c’è un po’ troppo poco Bayles qui dentro? Aizawa, mi deludi.»
«Questa
è la razione di cui parlavo prima», gli fece eco il dottore, puntandolo
con il pollice per indicarlo ad Aiko.
Lei alzò gli occhi al cielo e tornò a
fissare il collega. «Cosa ha detto?»
«Questo è stato più difficile da
convincere, ma ha comunque parlato, alla fine.» Il castano le rese la tazza
vuota, sorridendo vincitore. «Abbiamo una data, un’ora e un luogo per un
incontro fra il Ripper e uno dei capi di Aogiri. Non si sa chi, ma qualcuno di
grosso. Apparentemente è una resa dei conti per la storia della scissione dalla
cellula terroristica. In ogni caso, a meno che non decidano di non fare più
niente per paura che ormai noi lo sappiamo, possiamo arrivare a far fuori non
solo tutto il gruppo delle Facce di Cuoio, ma anche qualche membro di Aogiri.»
Aiko non ne sapeva naturalmente nulla. Non
aveva avuto contatti con Tatara negli ultimi cinque giorni. Potevano essere
state prese molte decisioni dal momento in cui si era liberata della sim card.
Non avrebbe rischiato di essere scoperta
per capire contro chi si sarebbero trovati a combattere, visto che avrebbe
mantenuto un profilo basso.
«Quando?»
«Il tredici di settembre.»
«Fra tre giorni.»
Mizorou era su di giri. «Il coordinamento
dell’operazione è andato a Marude, però a quanto ho capito ci saranno anche la
S3 e la S1. Senza contare che Matsuri ci presterà i quinx. La creme de la creme del ccg tutta riunita
nelle fogne di Tokyo!»
«Lo scontro sarà nelle fogne?», chiese
Aizawa, storcendo il naso. «Che schifo. Attenti alle malattie portate dalle
feci.»
«Domani pomeriggio alle tre ci sarà la
riunione per decidere i dettagli», concluse Tamaki, dondolandosi sui talloni e
appoggiandosi con le mani alle spalle di Aiko. «Potete dirlo a chiunque, Marude
ha detto che intanto in un modo o nell’altro la spia comunicherà ciò che verrà deciso. Per citare il prima classe, ci
spera quasi. Così sapranno che li inseguiremo anche in capo al mondo.»
Alcuni giorni prima, Eto le aveva detto
all’interno della caffetteria di leggere un libro. Non solo, però. Le aveva
anche detto che non voleva perderla perché il Re col Sekigan aveva le sue spie
nella ccg e lei non intendeva perdere la sua.
Qualcuno avrebbe comunque parlato e forse
sarebbe stato scoperto, distogliendo ogni dubbio legittimo dalla sua figura.
Aiko sorrise a quel pensiero, mentre
Tamaki continuava a parlare dell’operazione con entusiasmo.
Sì, avrebbe lasciato scorrere gli eventi.
Ne avrebbe raccolto i frutti.
Continua…