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Autore: Sospiri_amore    17/10/2017    0 recensioni
TERZO LIBRO DI UNA TRILOGIA
Elena se ne è andata via da New Heaven appena finite le scuole superiori, da ragazza ha lasciato gli USA per l'Europa. Tutte le persone a cui ha voluto bene l'hanno tradita, umiliata e usata.
Dopo quattordici anni, ormai adulta, Elena incontrerà di nuovo le persone che più ha amato e odiato nella sua vita, si confronterà con loro rivivendo ricordi dolorosi.
Torneranno James, Jo, Nik, Adrian, Lucas, Kate, Stephanie, Rebecca più altri personaggi che complicheranno e ingarbuglieranno la vita di Elena.
Come mai Elena è tornata in America?
Chi è il padre di suo figlio?
Elena riuscirà a staccarsi dal passato?
Chi si sposerà?
Riusciranno i vecchi amici a trovare l'armonia di un tempo?
Elena riuscirà ad amare ancora?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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OGGI:
Un passato da scoprire




Per rimettere sui giusti binari la mia vita devo fare una cosa per volta. 

Prima di tutto devo chiarire con le persone che più ho amato e devo cercare di ricominciare ad avere un rapporto con loro. Certo è difficile, soprattutto se si considera che sono passati molti anni, troppi, ma non voglio deprimermi prima del necessario, per una volta voglio vedere le cose con ottimismo.

 

Basta lagne.

 

Lo studio fotografico di Kate è a Coolidge Corner un quartiere ben diverso dal centro città. Qui c'è meno traffico, l'atmosfera è più rilassata, c'è un fantastico teatro Art Déco e decine di ristoranti dall'aria invitante. 

 

L'aria di neve gonfia il cielo, grosse nuvole coprono il sole. Una leggera brina ghiacciata spira da Nord. 

 

Avvolta nel mio sciarpone extralarge di lana cerco il numero civico 41, l'indirizzo l'ho preso dal sito internet di Kate. È facile trovarlo, proprio vicino alla uscita della metropolitana. Una grossa insegna appesa sulla porta mi fa capire che sono arrivata, la scritta Studio fotografico Husher è inciso su una lastra di ferro grezza.

Non ho idea se Kate sia nel suo studio o sia in viaggio, non so neanche se abbia voglia parlarmi o meno. So solo che devo vederla il prima possibile.

 

Schiaccio il campanello.

La porta si apre dopo pochissimo.

 

«Buongiorno, posso esserle utile?». Un ragazzo allampanato con un paio di occhiali dalla montatura nera mi accoglie.

«Cercavo la Signora Husher», gli dico cercando di darmi un tono, anche se con la mia sciarpa avvolta due volte intorno al collo e il cappello di lana calato sugli occhi non devo fare una grande impressione.

«Ha un appuntamento?», mi chiede con risolutezza.

«No. Effettivamente, no».

«Mi dispiace. La Signora Husher è molto impegnata e...».

Non lo lascio terminare: «Si, ok. Ho capito. Dici questa cosa a tutti gli scocciatori, ma ti chiedo un favore. Puoi dare un foglietto a Kate? Deciderà lei se farmi entrare o meno». Estraggo dalla borsa la mia agenda e strappo un foglietto. Poi scrivo:

 

Puoi regalare dieci minuti del tuo tempo alla tua ex amica perfetta?

 

Piego il foglietto e lo allungo al ragazzo.

«Non credo che la Signora Husher apprezzerà. Sta lavorando su un progetto importante e...».

«Fidati. Se Kate ti dirà di mandarmi via io lo farò senza problemi. Ok?», gli dico con un sorriso. 

Il ragazzo tentenna un attimo, poi se ne va con il biglietto in mano e chiudendo la porta.

 

Non ho idea se Kate voglia vedermi o meno.

Non ho idea se sia arrabbiata per il fatto che non l'abbia accompagnata a New York.

In quattordici anni non ha voluto sapere nulla di me, l'invito alla mostra fotografica potrebbe essere un segno di apertura, ma anche no. Del resto lei mi conosce come le mie tasche e sa benissimo come ragionano Rebecca e tutti gli altri. 

 

E se avesse un piano?

E se escogitasse qualcosa?

 

Elena, fermati.

Stop.

 

Devo smetterla di pensare male.

Devo smetterla di essere negativa.

Gli anni del Trinity sono passati, non voglio credere che Kate sia diventata meschina e perfida.

 

La porta dello studio fotografico si apre.

Il ragazzo con gli occhiali mi fa cenno di seguirlo e senza aspettarmi mi indirizza attraverso una grande sala dai soffitti alti piena zeppa di teli colorati, cavalletti e molta attrezzatura per scattare foto. Da lì andiamo lungo un corridoio con diverse porte, alla fine di questo c'è una scala che porta al piano superiore dove c'è un piccolo pianerottolo adibito a sala d'aspetto.

Il ragazzo mi indica una poltrona bianca: «Si accomodi qui, la signora Husher la chiamerà al più presto». Senza aggiungere altro se ne va giù per le scale.

 

L'ambiente è ordinato, pulito e molto curato: dalle luci dall'aria minimale, alla tappezzeria vintage, fino alle maniglie delle porte in bronzo antico, tutto pare fare parte di uno schema organizzato e pensato. Uno stile retrò con inserti moderni.

Favoloso.

 

«Quindi ti sei decisa». Kate è sulla soglia del suo studio con le braccia conserte. 

La osservo per qualche secondo, sono ancora imbacuccata nella sciarpa e avvolta dal cappotto, mi serve un attimo per prendere fiato per cercare di non crollare tutto in un botto.

«S-sì. Quattordici anni, più o meno», le dico mentre inizio a liberarmi dei capi che mi stanno facendo sudare.

«Alla buon ora. E come mai?», mi chiede.

«Ho bisogno di te», le dico schietta.

«Certo. Ovvio. Fammi indovinare, hai problemi con Nik? Vuoi parlarmi di quanto ami James? Oppure vuoi raccontarmi come Rebecca ti sta ostacolando la tua vita perfetta? Il repertorio varia un pochino, ma alla fine la storia è sempre la stessa». Kate mi scruta con i suoi occhi azzurri, duri, forti, gli occhi di una donna che ha girato il mondo e non gioca più a essere una ragazzina, ma vuole crescere e diventare migliore.

«Ho bisogno di te perché mi manchi. Tutto qui. Mi manchi come mi mancherebbe avere il mio braccio destro. Mi manchi come mi mancherebbe avere il sole nel cielo. Sei sempre stata vicina a me, nel momento in cui tu avevi bisogno ti ho abbandonata...».

«... Mi hai abbandonata per due baci di James. Mi hai abbandonata per cercare di diventare ciò che non avresti mai potuto essere. Adesso vieni qui e cerchi di farmi credere che sei pentita? Ci hai messo quattordici anni per capirlo?». Kate mi si scaglia addosso.

«Sì. Ho sbagliato. Io ci ho messo molto tempo per ammettere a me stessa di aver fatto un errore, ma tu in tutto questo tempo non sei riuscita a metterti il cuore in pace? Sei una donna di successo, hai il lavoro che ami, ti stai per sposare, eppure non sei riuscita a liberati dei tuoi fantasmi. Se è stato difficile per te immagina quanto possa esserlo stato per me. Mi sono trovata senza la mia migliore amica da un momento all'altro, l'unica che mi accettasse per quella che ero. Ho sbagliato, te lo dirò un milione di volte se servirà a farti stare bene, ma non posso cancellare quello che ho fatto», le dico con impeto, con energia, con tutto il sentimento che possiedo.

 

Kate mi squadra. Cammina avanti e indietro sulla porta del suo studio.

Capisco da come mi guarda che non mi vuole credere, che non si fida.

 

«Lo sai perché ti ho invitata alla mia mostra? Perché volevo che sapessi che ero felice anche senza te, che riuscivo a camminare con le mie gambe senza Elena appiccicata al mio fianco. Sai quanto è stata dura per me riuscire a fare quello che ho fatto? Avevo paura della mia ombra, della gente, del mondo». Gli occhi di Kate sono umidi.

«Mi dispiace». Sono sincera, non so cos'altro dire. Ha ragione, ha ragione su tutto.

«Perché oltre il danno c'è la beffa. Mi abbandoni e poi sparisci da New Heaven. Credi che le lettere che mi hai spedito i primi anni bastassero a farti perdonare? Hai abbandonato tutti per non so quale capriccio», mi urla in faccia.

 

Tremo.

Il ricordo di quei giorni riemerge con forza.

Le parole di James, le sue risate di scherno, le offese di Rebecca, l'indifferenza di Adrian, i complotti di Jo, il voltafaccia di Stephanie, l'arroganza di Lucas, il bacio di Andrew.

È tutto così difficile da confessare.

Mi sento così stupida ad aver creduto a tutti loro che non ho la faccia per confessarlo, per raccontarlo. Mi sento male al solo pensiero.

 

«Perché te ne sei andata? Mi hai abbandonata per due volte, come se per te non avessi importanza, come se quello che mi avevi fatto con New York non fosse abbastanza crudele». Kate è a un passo da me. Urla come raramente l'ho sentita fare. Rovescia su di me tutta la frustrazione provata e accumulata anno dopo anno. Mi fissa con intensità, si aspetta una risposta chiara e netta, non vuole mezze bugie o verità parziali. Si aspetta che io sia sincera e aperta, vuole che riesca ad aprire il mio cuore e sappia raccontare ciò che provo per davvero. Non vuole sentirsi dire ciò che dovrei dire, frasi di circostanza vuote e senza senso, vuole sapere la parte scomoda della mia storia, briciole della mia vita, i pilastri della mia fuga da New Heaven.

 

Io taccio.

Tremo e taccio.

 

«Vattene. Se non hai nulla di aggiungere puoi andartene». Kate mi gira le spalle sta entrando nel suo studio. Dopo tanti anni non ha tempo da perdere, non ha più voglia di giocare e sopportare i miei sbalzi d'umore.

 

Non posso perderla di nuovo.

Non posso permettere a ciò che è successo di impedirmi di vivere.

Non posso sbagliare, non questa volta.

 

«James mi ha usata», urlo. A occhi chiusi e con i pugni stretti dico quello che nessuno ha mai saputo, ciò che ho costudito nel profondo del mio cuore per molto tempo.

«Che cosa significa? Non ha senso». Kate è infastidita e confusa allo stesso tempo.

«Il giorno del ballo di fine anno Andrew...», le dico.

Kate mi interrompe: «Aspetta. Aspetta. Aspetta. Che diavolo c'entra quel pazzo di Andrew?».

Alzo le spalle rassegnata: «Sai che mi trovo sempre in situazioni complicate».

«Complicate? Pare tu ti diverta a incasinarti la vita. Prova ad immaginare come mi senta nel momento in cui mi dici che Andrew c'entra con tutta questa storia. Ma lasciamo perdere, continua».

«Andrew mi ha fatta nascondere dietro l'angolo di una parete vicina al Teatro del Trinity, quella verso il corridoio.  Mi ha fatta mettere lì perché voleva che sentissi una cosa», le dico sempre a testa bassa.

«Cosa?».

«La gentilezza di Rebecca e di tutti gli altri nei miei confronti era motivata. Quando al parco Franklin, nel magazzino dell'anfiteatro, sono rimasta da sola con Nik... ti ricordi?», le chiedo.

«Sì. Era successo quel casino con Andrew, ti ricattava per le foto di Rebecca», aggiunge lei.

«Ecco... in quel momento Nik mi ha quasi baciata. C'è stato solo un momento di tenerezza tra di noi, ma senza che succedesse nulla. Lucas e James ci hanno visto e hanno pensato bene di sfruttare la mia influenza sul professor Martin per avere successo a Yale. Se loro manipolavano me potevano manipolare Nik».

 

Kate mi guarda con la bocca spalancata, non credo si aspettasse una cosa del genere.

 

«L'aiuto nello studiare, le gentilezze, le moine, i baci. Era tutto falso. Tutti loro erano d'accordo con il farmi diventare importante per poi sfruttare la mia fama. Dalla gara di dibattito alla elezione di reginetta. Anche il fatto che non avessi il caricatore del cellulare il weekend di New York, è stato James a nasconderlo. Volevano... volevano che non avessi più amici. Volevano potermi usare come una marionetta. In questo modo Yale sarebbe stata loro come lo era il Trinity. Per questo me ne sono andata, non avevo più niente, non avevo te e il ragazzo che ho amato di più nella mia vita mia ha tradita. Tutti erano d'accordo, nessuno escluso».

«T-tutti? Tutti chi?». Kate sembra furiosa.

«Rebecca. Adrian. Lucas. James e... e... anche Jonathan e Stephanie», dico con un filo di voce.

 

Kate indietreggia. È sconvolta. Scuote la testa come se la cosa appena raccontatale fosse una bestemmia, un'eresia. Un'energia compressa per troppo tempo la scuote. Non può credere, non vuole credere.

La capisco, mi sembra di vedere me quattordici anni fa la sera del ballo.

 

«Io... tu... ma perché non mi hai detto queste cose prima? Dovevi correre da me quella sera. Dovevi raccontarmi tutto anni fa», mi urla Kate.

«Non volevi vedermi. Ti sei rifiutata in tutti i modi. Se fossi venuta da te come avresti reagito? Mi avresti appoggiata o ti saresti rifiutata? Ho sempre combinato un sacco di guai, drammi, complicazioni, ti stesso l'hai detto poco fa. Io... io... non credevo di meritare il tuo perdono». Nel dire le ultime parole scoppio a piangere, è più forte di me.

Mi sembra di essermi tolta un macigno dalle spalle ora che qualcuno sa di questa storia.

 

Kate mi abbraccia.

Il suo profumo è come aprire un vaso che riporta in vita un passato troppo lontano.

Le gite in barca.

Le spiagge in Italia.

Mamma e Hanna a chiacchierare.

I racconti di Roger.

I Ketchup sugli spaghetti di Kate.

I pisolini sulle sdraio.

Risate.

Tante risate.

 

La morte di mamma.

 

Ciò che sono stata, quella spensieratezza che ha accompagnato tutta la mia infanzia ha creduto il posto a qualcosa di diverso, più intenso. Da madre di Sebastian, oggi, non oso neanche immaginare come possa essersi sentita mia mamma all'idea di dover abbandonarmi per sempre per colpa della malattia. Il dolore provato per la sua perdita è una ferita non ancora rimarginata.

 

 «Forse sarei stata dura con te anni fa, ero molto arrabbiata, ma... ma... non sei l'unica ad essere stata tradita quella sera. Jo è ancora uno dei miei migliori amici, conosce Jane benissimo. Sarà il mio testimone di nozze. Non posso accettarlo. Io non riesco a immaginare che complotti contro te e abbia usato il mio colloquio a New York per... per... e poi Stephanie, dopo tutto quello che abbiamo passato...». Kate è sconvolta.

 

Non avevo mai riflettuto su questa cosa prima di adesso, anche lei è stata tradita da quelli che credeva suoi amici, in modo particolare da Jonathan e Stephanie, due pezzi importanti della sua vita. Il suo migliore amico e il suo primo amore.

 

«Quello che ti posso dire è che non serve nascondersi o mentire a se stessi. Il male per essere stati traditi esce sempre fuori. Ho provato per quattordici anni a fingere, ma da quando sono tornata tutto sembra esattamente come allora. Basta. Basta. Non ne posso più, voglio vivere serena con mio figlio».

«Quindi cosa facciamo?», mi chiede mentre si asciuga gli occhi.

«Diamo importanza a ciò che conta e liberiamoci dei pesi inutili. Tutti loro per me non contano più nulla. Solo di poche persone mi importa. Papà mi aspetta da anni. Aspetta da tempo le mie scuse. Inoltre ho scoperto da poco di avere una sorellina e tra un po' è il suo compleanno», le dico con gli occhi lucidi e la felicità che trasuda da ogni poro della mia pelle, «Ho bisogno della mia amica perfetta. Ti va di venire con me?».

 

Kate si illumina. Ride.

 

Quando Kate è felice, io sono felice.

 
   
 
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