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Autore: Sospiri_amore    18/10/2017    1 recensioni
TERZO LIBRO DI UNA TRILOGIA
Elena se ne è andata via da New Heaven appena finite le scuole superiori, da ragazza ha lasciato gli USA per l'Europa. Tutte le persone a cui ha voluto bene l'hanno tradita, umiliata e usata.
Dopo quattordici anni, ormai adulta, Elena incontrerà di nuovo le persone che più ha amato e odiato nella sua vita, si confronterà con loro rivivendo ricordi dolorosi.
Torneranno James, Jo, Nik, Adrian, Lucas, Kate, Stephanie, Rebecca più altri personaggi che complicheranno e ingarbuglieranno la vita di Elena.
Come mai Elena è tornata in America?
Chi è il padre di suo figlio?
Elena riuscirà a staccarsi dal passato?
Chi si sposerà?
Riusciranno i vecchi amici a trovare l'armonia di un tempo?
Elena riuscirà ad amare ancora?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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OGGI:
Andare incontro al passato






 

Il treno che collega Boston a New Heaven ci impiega poco più di due ore e mezza in tutto. Sebastian ha sempre adorato viaggiare, suo padre Miguel l'ha sempre portato in giro quando stava a Madrid. Zaino in spalla e via. Niente programmi. Niente cartine. Bastava un paio di biglietti del treno, un sacco a pelo, una bottiglietta d'acqua e un buon libro da leggere.

Credo che al mio piccolo manchino un po' queste cose, anche se è un bambino molto calmo e preciso ha un lato selvaggio che poteva sfogare nei weekend di campeggio con il padre. 

 

«Mamma c'è la neve», urla Seb appiccicando la faccia al finestrino.

Kate ride.

«Adesso siediti. Sono le dieci del mattino, è ora dello spuntino». Tiro fuori da un piccolo zaino una vaschetta piena di frutta tagliata a cubetti che allungo a Sebastian.

«Grazie mamma», mi dice mentre si tuffa a capofitto sulla vaschetta fermandosi di tanto in tanto a guardare i candidi fiocchi cadere dal cielo.

«Lo sai Elena che non ti ho mai immaginata come madre? Non che non pensassi che tu non saresti stata brava, ma l'ultima cosa a cui avrei pensato di te è che ti piacessero i bimbi», mi dice Kate.

«La vita giochi scherzi strani a volte. Forse mi immaginavi troppo presa nei miei drammi per potermi impegnare a fondo con un figlio. Sto imparando a farne a meno, dei guai in generale anche se è dura», le rispondo schiacciando l'occhio ironica mentre appoggio la testa allo schienale del mio sedile osservando il magnifico spettacolo che la neve ci sta regalando.

«No. Non è quello. Non credevo potessimo essere diverse da come eravamo. A diciott'anni ero convinta che quello che fino ad allora ero stata lo sarei stata per sempre. Forse mi piace crederci un po' ancora. Non sono nostalgica, ma la vita allora ci consentiva di essere tutto, di fare di tutto. Adesso che ho passato i trenta mi sento come se la parte più viva di me fosse svanita. Certo ho Jane che amo alla follia, ho il mio lavoro, ma mi manca quella spensieratezza, quella leggerezza. Era bello preoccuparsi dei tuoi drammi, non si poteva stare mai tranquilli con te nei paraggi». 

 

Kate è seduta di fronte a me sorridente. 

Mi chiedo come abbia fatto in tutti questi anni senza di lei. Nessun amico, nessuna persona è mai stata capace di entrare in sintonia con i miei pensieri come lei. Sono bastati pochi giorni di chiacchiere, telefonate e una montagna di lacrime per riunirci spiritualmente come amiche e come donne.

 

«A volte mi piace immaginare se la nostra vita fosse andata diversamente. Ti sei mai chiesta se ti fossi laureata a Yale che cosa saresti adesso? Saremmo rimaste amiche? Tu staresti con James? Io avrei fatto la fotografa di reportage?», chiede a raffica.

«Vedi che sei tu che vuoi stuzzicarmi? Le ipotesi, le fantasia su cosa avrei potuto essere sono potenzialmente infinite, ma non mi interessano. Non ho una Laurea a Yale perché nel profondo non ho mai voluto essere avvocato. Non sto con James perché non era giusto per me. Adesso come adesso ho tutto ciò che desidero: una famiglia. Amore puro e vero. La mia piccola peste è l'unica cosa buona che ho fatto in vita mia». Spettino i ricci di Sebastian che sta cercando di infilare un pezzo di mela in bocca al suo robot giocattolo.

«Non consideri Nik. Lui fa parte ancora della tua vita?», mi chiede Kate prendendomi per mano.

 

Nik.

Ci siamo sentiti per telefono, ma  ci siamo detti poco, è molto preso dal lavoro e dai casi che segue. Non ha voluto chiarire quello che è successo nel suo ufficio e io non gli ho domandato nulla. 

Mi manca.

Mi manca la sua presenza e il suo ottimismo.

Mi manca il suo affetto.

Mi manca, ma non so se è il momento di vederci.

Adesso voglio concentrarmi su papà, Tess e Maggie, il resto verrà dopo.

 

Abbozzo un sorriso. Non so cosa rispondere a Kate.

«Vedrai che tutto andrà a posto», mi dice mentre inizia a giocare con Sebastian innescando una lotta tra il robot con pezzetti di mela incastrati nella bocca metallica e un triceratopo in plastica verde fluorescente. Quei due vanno così d'accordo che sembra si conoscano da sempre.

 

Dopo nemmeno quindici minuti il treno arriva in stazione.

 

Fa freddo anche a New Heaven. Il gelo penetra attraverso i guanti di lana, ma la neve della campagna qui non c'è. 

Sebastian, Kate ed io corriamo lungo tutto il binario per poi infilarci in fretta e furia dentro la piccola sala d'aspetto. Riusciamo a bloccare un taxi che ci porterà prima a comprare il gelato per Geltrude e successivamente a casa della vecchia.

«Sei emozionata di essere qui?», mi chiede Kate in un orecchio.

«Credo di avere un po' paura».

«Io sono qui per te. Per voi», dice Kate prendendo in braccio Seb per farlo sedere sul sedile posteriore del taxi.

 

Poi.

 

Un uomo con un lungo cappotto blu si para davanti al taxi con le braccia spalancate, non vuole farci partire.

«Ma che diavolo succ...». Non finisco la frase, riconosco immediatamente l'uomo anche se ha più rughe e più capelli grigi di quanto ricordassi.

«Michael!», urlo emozionata. Esco dal taxi correndo incontro all'autista della Signora McArthur stritolandolo per qualche secondo.

«È un piacere rivederla Signorina Elena. La macchina vi aspetta, andiamo», dice con gli occhi gonfi di lacrime e il solito viso gentile impossibile da non amare.

 

Il tassista furioso scende dal mezzo sbraitando. Vuole partire, lavorare e quindi guadagnare, non gli va di perdere dei clienti.

Micheal allunga una banconota da 100 dollari all'uomo che con la bocca spalancata per lo stupore se la intasca senza dire nulla.

 

Michael prende il mio zaino, saluta con il baciamano Kate e si inginocchia per guardare in faccia Sebastian che con decisione gli allunga la mano muovendola su e giù con energia.

 

«Adesso andiamo, la Signora non vede l'ora di incontrarvi», dice l'uomo indicandoci una Rolls  Royce ultimo modello con i vetri oscurati. 

Sebastian pare impazzito, non è abituato a salire su macchine del genere: «Ma... ma... si può trasformare in un Robot?», chiede mentre osserva i cerchioni lucidi e le finiture luccicanti in metallo.

«Non dirlo a nessuno, ma ci sto lavorando. Sto mettendo a punto un paio di modifiche per farlo volare, ma sono un po' bloccato. Hai qualche idea?».

Sebastian inizia a parlare, niente potrebbe fermarlo, pare un fiume in piena la sua fantasia non ha limiti.

 

Ridiamo tutti per la spontaneità del piccolo.

 

Michael guida dalla stazione attraverso le strade di New Heaven che riconosco via dopo via. Alcuni palazzi sono cambiati, altri sono stati ristrutturati, altri abbandonati. La piccola cittadina ha subito modifiche, diverse zone si sono popolate di casette altre hanno diversi negozi moderni e alla moda. Attraversiamo il centro città passando di fronte al Trinity.

 

«Sebastian, guarda! Quella è la scuola in cui andavamo io e Kate», dico al mio piccolo.

«Mamma, sembra un castello. Tu eri la principessa?», mi chiede Seb mentre ammira la magnifica struttura in grandi mattoni della scuola.

«La mamma non ha bisogno di una corona per essere una regina e nemmeno di un castello. Tu sei il mio tesoro più prezioso», dico a Sebastian sbaciucchiandolo.

«Ma che dici mamma? Le principesse hanno sempre una corona e anche il principe».

 

Già, un principe.

 

Kate mi guarda, sa benissimo a cosa stia pensando. 

 

James. 

Rebecca.

Lucas.

Adrian.

Stephanie.

Jo.

Nik.

 

Era da quattordici anni che non percorrevo quella via e non vedevo il grosso cortile del Trinity.

Era quattordici anni che tutti i ricordi legati a quel posto esplodessero dentro di me.

 

Quando ho conosciuto Jo.

Il primo giorno in mensa.

Il mio armadietto pieno di schifezze.

Le lezioni di Dibattito.

I baci.

Il Club di Teatro.

La foto di Adrian e Miss Scarlett.

La festa degli ex studenti.

Lo spettacolo di fine anno.

La chiamata di Demetra.

Il vuoto senza James.

La rabbia.

Le menzogne di Andrew.

Lo studio.

L'elezione di reginetta di fine anno.

Il ballo.

 

Michael mi osserva preoccupato dallo specchietto retrovisore, l'ultima volta che è stato lì è stato durante la festa del ballo. Lui mi ha portata via, lui mi ha salvata da tutto quello schifo. Non so come avrei potuto fare senza di lui.

 

Gli sorrido per tranquillizzarlo. Anche se soffro quando ripenso a quel periodo non posso essere che felice di essermene andata da New Heaven. Ho conosciuto nuove persone, esplorato una parte di mondo meravigliosa e ho avuto mio figlio. Non potrei desiderare di meglio.

 

Sebastian pare in preda a una curiosità incontenibile, il fatto che percorriamo le vie e le strade in cui io ho vissuto da ragazza sembra eccitarlo parecchio.

È un continuo: lì che c'è? Quello cos'è? Mamma, sei mai andata in quel posto?

Kate si diverte un sacco mentre cerca di rispondere al posto mio a tutte quelle domande.

 

In meno di cinque minuti la macchina si trasforma in un baraccone rumoroso. Tra urla, chiacchiere e risate sembra un circo ambulante.

 

«Michael, hai sbagliato strada. La gelateria è da quella parte», dico all'autista mentre vedo sfilare rapida lo svincolo che dovevamo prendere.

«Signorina Voli, ho pensato io al gelato per la Signora. Il dottore le ha vietato dolci e cibi troppo grassi, sa l'età avanza e non le fa bene mangiare troppe schifezze. Gelato di soia senza zucchero. Non è certo la stessa cosa, ma George McArthur non vuole che la madre si ingozzi di dolciumi», dice l'uomo sghignazzando.

«Ok». Anche io non posso fare a meno di ridere immaginandomela a mangiare quella specie di pseudo gelato.

 

L'auto rallenta.

Il cancello della villa è di fronte a noi.

 

Nulla sembra cambiato, mi sembra di non essermene mai andata da lì. Il vialetto con i sassi candidi e perfettamente ordinati, l'erba tagliata corta e i grandi alberi potati senza nemmeno un ramo fuori posto.

Michael parcheggia davanti l'ingresso:«Andate pure. La domestica vi accoglierà».

Kate, Sebastian ed io corriamo alla porta suonando il campanello. Fa così freddo che abbiamo tutti voglia di entrare per scaldarci un pochino.

 

La porta si apre.

 

Geltrude McArthur è davanti a noi.

 

«Benvenuti», dice in tono serio e solenne.

«Buongiorno Geltrude», dico alla donna andando ad abbracciarla.

 

Non scherzo quando dico che mi è mancata.

Quella vecchia scorbutica è molto importante per me. Le lettere che ci siamo spedite per tutti questi anni, i consigli che mi ha dato, la vicinanza che mi ha dimostrato. Negli ultimi mesi, da quando sono a Boston, l'ho un po' accantonata, ma mai dimenticata.

 

«Vedo che le buone maniere non le hai imparate nonostante tutto questo tempo. Una stretta di mano delicata, ma vigorosa, sarebbe andata più che bene. Tutte queste smancerie sono superflue», mi dice mentre con eleganza saluta Kate.

 

Sebastian è come paralizzato. Osserva la vecchia senza capire bene cosa debba fare, poi abbozza un inchino rischiando di cadere per terra.

 

Geltrude accenna a un sorriso cercando di non farsi vedere, prende per mano il piccolo e lo porta verso il grande salone dell'ingresso, lo stesso in cui ho messo ad asciugare i miei libri quando aiutavo Demetra con le lezioni di Italiano. Lo stesso giorno in cui ho scoperto che James e La Signora McArthur erano parenti. Una vita fa.

 

Un grosso pacco color blu elettrico è posizionato su un tavolino davanti al camino. Le fiamme riflettono sulla carta lucida creando giochi di luce multicolore.

«Questo è per te. Tua mamma mi ha detto che ti piacciono i Robot e cose simili, spero che ti piaccia», dice Geltrude al piccolo con una dolcezza che raramente ho sentito nella sua voce.

Sebastian non sa che fare, scalpita sul posto:«Posso aprirlo? Posso aprirlo?».

«Certo, vai pure», gli dico dandogli una piccola pacca sul sedere.

 

Come un Barbaro lanciato a sconfiggere il nemico, Sebastian si lancia sul pacco blu distruggendo la carta e spargendola da tutte le parti.

 

Diverse confezioni di mattoncini da costruire a tema spaziale svettano sul tavolo uno sopra l'altro. Astronavi, astronauti, robot meccanici, navicelle. Un intero set per costruire il mondo che il mio piccolo ama alla follia.

Insieme guardiamo tutti i particolari, osserviamo le fotografie mentre rigiriamo i vari pacchetti. Sebastian pare impazzito, urla ad ogni scatola, urla a ogni cosa che gli piace. È la cosa più bella che abbia mai visto in vita sua.

 

«Geltrude, non doveva e...», ma mi interrompo subito.

La Signora McArthur e Kate confabulano una nelle orecchie dell'altra come fossero due vecchie comari. Mi guardano. Mi squadrano. Mi osservano con un po' troppa insistenza.

«Che state dicendo voi due?», chiedo curiosa e anche un po' preoccupata, la vecchia sarebbe capace di tutto.

«Niente», si affretta a dire Kate.

«Solo che il piccolo ha l'aria sveglia, è molto carino e sembra ben educato. Mi chiedo da chi abbia preso visto che tu... tu... sei... insomma, sai come sei», dice seria la donna con aria altezzosa.

 

 

In passato mi sarei offesa, probabilmente avrei tenuto il muso per una battuta del genere, ma in fondo al mio cuore so che la Signora McArthur è felice di vedermi e quello, seppur contorto, è il suo modo di dimostrarmelo.

 

Mi sento finalmente a casa.

Grazie a Kate, Sebastian e Geltrude mi sento amata come non mai.

Adesso, per rendere tutto perfetto, manca solo papà.

 

 

 

   
 
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