Il
suo primo ricordo, prima che tutto quello accadesse, prima ancora di
venire al mondo...
no, non
era niente di concreto, nulla di tangibile, niente che potesse
disegnare o spiegare, seppure ci avesse provato. Era un miscuglio
babelico di suoni e percezioni, mescolati tanto da non riuscire ad
identificarli, all'inizio; poi, col tempo, con gli anni, nelle notti
buie in cui quel rumore si era trasformato nel sottofondo dei suoi
pensieri, era riuscito ad estrapolare e isolare quelle sensazioni una
ad una, fino a ricostruire perfettamente la dinamica di ciò
che
era successo:
per primo c'erano stati il
dondolio ritmico della boccia in vetro che lo faceva sbattere contro
gli altri, ed il flebile suono di passetti leggeri; poi, una brusca
frenata che li riportò tutti in uno stato momentaneo di
quiete.
Nel fondo c'era sempre un
indistinto caos di voci e motori, ma che arrivava ovattato alle sue
orecchie.
D'improvviso
lo strillo, uno
stridore di gomme e delle urla spaventate e poi, il colpo sordo
contro la boccia, il volo spaventoso nel vuoto finito per fortuna su
un rivolo d'acqua verso un antro.
Un rumore di vetri infranti, un
bagliore verde davanti agli occhi e poi più nulla, solo buio.
Quando si era risvegliato c'era
la penombra, quell'odore nauseante, il freddo e l'umidità,
il
fastidio, anche se allora nel nulla che era la sua mente, non ancora
addomesticata, niente aveva un nome e un significato, un senso.
C'erano
altre tre paia di occhi
lì sotto, confusi e spaventati quanto i suoi. Li riconobbe
dall'odore, erano con lui nella boccia, erano famiglia.
Stretti l'uno all'altro preda
della paura, non capivano ancora, non potevano capire.
Erano cresciuti, le loro
dimensioni e la loro forma cambiata, e nelle loro menti tutto
sembrava più complicato, più difficile: c'erano
pensieri e
sensazioni e impressioni di cose che avrebbero dovuto sapere, o
esprimere, ma che ancora non sapevano elaborare.
Uno di loro si staccò dagli
altri e gli tese una zampa, ma era così strana, era sicuro
che non
fossero così prima, e solo quando allungò la sua
si accorse che
anche il suo corpo era diverso da prima.
Si avvicinò e si strinse contro
di loro, cercando conforto, cercando di scacciare quel sentimento di
disagio, anche se allora ancora non sapeva quel nome.
Si erano
risvegliati con un
fascio di luce che cadeva dal cielo, illuminando le fogne a giorno:
quel buco lassù da cui entrava sembrava un portale per un
mondo
migliore, più bello, ma il loro istinto gli suggeriva di non
avventurarcisi, di starne alla larga.
La fame subentrò alla paura,
sotto forma di crampi dolorosi e rombi rumorosi dai loro corpicini, e
l'istinto di sopravvivenza si accese, iniziarono a camminare per quei
cunicoli alla ricerca di cibo e acqua, qualcosa di commestibile in
quella pozza marcescente, senza trovar altro che avanzi decomposti,
insetti e piccoli roditori.
Lui si
sentiva responsabile per
gli altri.
Ce n'era uno più quieto e
tranquillo, uno un po' scontroso e scostante e uno affettuoso e
carino, e lui sentiva di doverli proteggere e sostenere;
procurò e
cacciò da mangiare, offrendo loro le parti più
grandi, dandogli
piccole pacche sulle loro testoline quando nonostante la fame non
volevano mangiare per il disgusto, incoraggiandoli e guidandoli come
poteva in quel mondo sotterraneo e malsano, finché non
crollavano
dalla stanchezza, raggomitolati tutti assieme.
Per mesi,
quella era stata la
loro vita. Loro quattro uniti e sostegno l'uno dell'altro; tutto il
loro mondo iniziava e finiva con loro quattro.
Lui, Leonardo, fratello maggiore
di quella strana famiglia, attento e vigile.
Donatello, il più quieto e
tranquillo.
Raphael, scontroso e scostante.
E Michelangelo, affettuoso e
carino.
Anche se allora non sapevano
ancora parlare e nessuno aveva ancora dato loro dei nomi.
Erano soli,
sperduti, confusi.
Senza una guida, un genitore,
qualcuno che si prendesse cura di loro. A vagare nelle fogne senza
uno scopo né un motivo, senza sapere come ci fossero finiti
né
perché i loro corpi e le loro menti fossero mutate, cosa
stessero
diventando, percependo solo quel disagio che non sapevano spiegare.
Purtroppo,
il cibo iniziò
presto a scarseggiare. I piccoli ratti scappavano velocemente e ormai
si tenevano alla larga da loro, gli insetti trovati non bastavano a
saziare la fame dei loro corpi in crescita e gli avanzi putridi li
avevano fatti stare male troppe volte per provare ancora a mangiarli.
Anche se ancora non conoscevano
l'alternarsi del tempo e i giorni, ripensandoci da grande, Leonardo
era sicuro che avessero passato molti mesi nelle fogne, mentre
imparavano a camminare meglio, a prendere le misure nei movimenti, a
evolvere, in un certo senso.
Ma quando la fame divenne troppa
e ormai non c'era più alternativa, si spinsero oltre il
bordo, verso
la luce.
Il mondo di superficie era
diverso, luminoso da far male agli occhi, profumato, ma anche caotico
e frenetico, ansiogeno; lo scrutarono con occhi curiosi e spaventati,
nascosti nelle ombre, timorosi di mostrarsi apertamente, di cercare
aiuto dagli esseri che lo popolavano.
Ce n'erano
tanti, simili a loro
eppure in qualche modo diversi e qualcosa li spingeva a non
avvicinarsi; non capivano i versi che facevano, quelle cose che
indossavano, le loro espressioni.
Si avventuravano lassù solo per
cercare cibo nei grandi cassoni per poi riscendere velocemente al
sicuro nelle fogne, anche se sempre più di malavoglia.
Ogni volta, convincere il loro
fratello scontroso a ridiscendere era sempre più difficile.
Impararono
molte cose, nelle
loro escursioni.
La differenza tra la notte e il
giorno, le macchine e il traffico, le varie razze di quegli umani,
qualche parola della loro lingua, le loro lingue, differenti e
musicali, strane e diverse, le varie gamme di emozioni che mostravano
ogni giorno.
Ogni giorno si allontanavano
sempre un po' di più, un pochino di più, sfidando
l'istinto.
Non
potevano sapere che qualcuno
li avesse visti. Dapprima diffidente, li aveva studiati da lontano
per controllarli poi, capito che non fossero una minaccia, si era
infine rivelato, nel vicolo in cui stavano frugando nei bidoni
dell'immondizia.
Era un vecchio, con abiti logori
e un pugno di denti in bocca.
Tra le mani aveva un cartone
sottile che emanava un profumo delizioso.
Il piccolo affettuoso si gettò
verso l'uomo senza riserve, un sottile filo di bava mentre
occhieggiava la scatola misteriosa, e loro tre gli corsero dietro per
fermarlo: il vecchio spalancò il coperchio, rivelando una
cosa
tonda, rossa e bianca, dal delizioso profumo.
“Pizza”
disse con voce
dolce.
Era calda,
bollente, ma il
piccolo ne prese a grandi mani e gli diede un morso con gusto, sotto
gli occhi sorpresi dei suoi fratelli: dalla gola gli uscì un
verso
di felicità, mentre faceva sparire la mozzarella filante
giù con
rapidi morsi famelici.
Il vecchio gli sorrideva con
fare incoraggiante, porgendo il cibo verso di loro.
Quello tranquillo prese una
fetta per secondo, mentre quello scontroso sembrò pensarci
un attimo
ancora, indeciso tra la fame e la prudenza, cedendo infine al rombo
nel suo stomaco.
Lui, il fratello maggiore, li
controllò con occhio clinico, diffidente e cauto, valutando
le loro
reazioni, poi si azzardò a prenderne un pezzo e a portarlo
alla
bocca: il profumo era così meraviglioso da smuoverlo di un
sentimento positivo che non aveva mai provato il prima.
E il sapore era ancora più
meraviglioso, lo faceva sentire bene, non solo nello stomaco che si
riempiva, ma anche nel petto, un calore che lo riempiva tutto.
Stava
mandando giù il secondo
morso, quando il fratellino affettuoso cadde al suolo, dritto con
ancora una fetta di cibo nella manina, gli occhi voltati
all'indietro.
Lui e gli altri due lasciarono
all'istante le loro porzioni e si gettarono a controllarlo, ma anche
quello affettuoso cadde con un'espressione vacua.
Quello scontroso ringhiò di
rabbia e si alzò di scatto per colpire l'uomo, ma dopo pochi
passi
cedette e si accasciò con fatica, cercando di resistere con
uno
sforzo immane, per poi cadere anche lui sul terreno con un tonfo
sordo.
Era rimasto
solo lui in piedi,
ma la testa iniziava a vorticare e una strana ansia gli cresceva
dentro. Voleva scappare via, ma doveva proteggere gli altri come lui,
la sua famiglia.
Chiuse i pugni e si lanciò in
avanti, ma l'uomo, alto, molto più alto di lui lo
bloccò con
facilità e con un movimento veloce gli calò un
sacco in testa.
Nell'oscurità soffocante, prima
di perdere conoscenza del tutto, sentì l'uomo ridacchiare e
dire
qualcosa, anche se allora non comprendeva appieno la lingua degli
umani.
“Il circo mi pagherà davvero bene per voi mostriciattoli.”
Note:
Buona notte!
Secondo
capitolo, un flash back
nella vita di questo Leo solitario e cupo, campione di lotte
clandestine.
Che cosa è successo nella vita
delle turtles senza Splinter? Lo vedremo passo passo, in un lungo
flash back che spiega come lui sia arrivato alle lotte e che ne
è
stato degli altri.
Abbraccio a tutti