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Autore: lestylinson    20/10/2017    0 recensioni
La vita di Louis cambia radicalmente quando Harry, il suo migliore amico, lascia Doncaster e si trasferisce a Los Angeles per inseguire il suo sogno.
Una scelta sbagliata ed impulsiva rovinerà tutto ciò che di bello avevano costruito insieme, gettando Louis nel baratro dello sconforto.
Ma il ritorno di Harry, improvviso e inaspettato, sconvolge Louis, rimettendo in discussione le convinzioni su cui aveva basato la sua vita negli ultimi quattro anni.
Tra rabbia e vecchi rancori, delusioni e ferite ancora aperte, riusciranno tuttavia a ritrovarsi.
A quel punto Louis capirà che Harry è indispensabile per la proprio felicità, ma ammetterlo risulterà difficile e metterà ancora una volta a dura prova il loro rapporto.
A complicare tutto: sentimenti inesplorati e inesplicabili, e un matrimonio imminente.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Louis
 
“Forza Tom, marcalo! Levagli la palla! Ti voglio cattivo!”
“Louis non credo che dovresti incitare i tuoi ragazzi ad usare la cattiveria per vincere un’amichevole”.
Mark - il proprietario del campetto - aveva ragione, ma ogni partita che giocavano i miei pulcini era di vitale importanza e soprattutto doveva essere vinta.
Allenavo la squadra junior di Doncaster da tre anni ormai, vedevo gli stessi bambini ogni giorno.
Avevo assistito ai loro fallimenti, avevo ammirato il coraggio con cui si erano rialzati, la caparbietà con cui inseguivano giorno dopo giorno i loro sogni, e quando raggiungevano i loro obbiettivi, quando stringevano tra le loro esili mani piccole vittorie che per loro avevano valore immenso, io non potevo essere che orgoglioso.
I miei bambini rappresentavano tutto quello che io non ero mai stato, tutto quello che non avevo raggiunto.
Ogni loro sconfitta, ogni loro caduta, ogni loro fallimento, erano miei.
Quindi sì, Mark poteva anche avere ragione, perché accanirsi per vincere un’amichevole tra junior non era proprio necessario, ma per me ogni vittoria era un’occasione per sentirmi bene, per stare meglio con me stesso, dicendomi che forse, nonostante tutto, qualcosa nella vita sapevo pur fare.
 
Ero teso come una corda di violino.
Mancavano pochi minuti alla conclusione della partita. Se il punteggio si fosse mantenuto lo  stesso fino alla fine avrei potuto ammirare i sorrisi smaglianti della mia squadra per aver ottenuto una vittoria con un ottimo risultato.
Ero immerso completamente nel gioco, scrutando con perizia i movimenti dei piccoli giocatori in campo, quando il mio telefono prese a squillare.
Snervato da quella interruzione lo afferrai osservando il nome del mittente.
Se possibile l’ansia crebbe a dismisura. Era mia madre, e ultimamente le sue telefonate annunciavano disastri uno dopo l’altro, come una grande valanga inarrestabile che diventando sempre più grande, travolgendo tutto senza curarsi di niente e di nessuno.
Risposi, mio malgrado.
“Mamma, sono al campo. Ti posso richiamare quando finisco?”
“E’ uscito, Lou. Dan è libero...”
Il terrore nella voce di mia madre mi fece rabbrividire, era in preda al panico, e non ci volle molto affinché il panico raggiungesse anche me.
“Cosa? È impossibile, sarebbe dovuto rimanere dentro per anni!”
“Il nostro avvocato ha avuto una soffiata, non so molto.”
“Io non… Tu come stai?”
“Come credi possa stare? Ho paura, Lou. Per te, per le tue sorelle. Per tutti noi.”
"Metti l'acqua a scaldare per una camomilla. Arrivo subito."
Chiusi la chiamata con un gesto automatico e mi imposi di non pensare a quello che mi aveva appena detto. Mentre componevo il numero di Liam, con la coda dell'occhio riuscii a vedere i miei bambini esultare per la vittoria ottenuta.
Avrei festeggiato con loro se la vita vera non fosse venuta a bussare insistentemente alla mia porta, presentandomi un nuovo problema che sarebbe stato l'ennesimo mio fallimento.
"Tommo?"
"Per stasera tutto annullato. Non so come, ma Dan è uscito dalla galera e sono con la merda fin sopra la testa. Ti faccio avere notizie quando saprò qualcosa."
Non attesi risposta.
Cominciai a correre velocemente verso casa e in quel momento, come di rado mi capitava, rimpiansi di non avere avuto più il coraggio di guidare, dopo quel giorno di due anni prima.
 
 
 
Harry
 
Ritornare a Doncaster fu molto più strano di quanto avessi potuto immaginare.
Sull'aereo, mentre ero immerso nei miei pensieri, avevo pensato che una volta sceso a terra avrei respirato un'aria che avrebbe profumato di casa.
In realtà mi sbagliavo, e tanto.
Quando misi piede nella mia città natale dopo quattro anni di assenza, tutto ciò che riuscii a percepire fu disagio, inadeguatezza.
La sensazione di conforto che pensavo di poter provare si rivelò in realtà una deludente stretta attorno all'esofago, sfacciata, fastidiosa, ad impedirmi di respirare liberamente.
Libertà.
Quella meravigliosa sensazione che mi aveva avvolto come una coperta di seta delicata e mi aveva accompagnato nelle mie avventure americane, in quel momento mi sembrò un lontano ricordo.
Un altro di ricordo, invece, si fece più vivido e insistente.
Quello di un giovane me che voleva poter vivere i propri sogni senza ostacoli e impedimenti stupidi, rozzi. Quello che si era guardato intorno e aveva visto in Doncaster tutto quello che non voleva essere.
In quel preciso istante, mentre fuori dall'aeroporto, sommerso dai borsoni, facevo un cenno ad un taxi, mi sembrò di essere tornato esattamente a quattro anni prima, quando avevo il cuore diviso a metà fra la curiosità scoprire un nuovo mondo e l'angoscia di dover lasciare le persone a cui tenevo più nella mia vita.
Specialmente una.
 
 
 
 
L’aeroporto era gremito di gente che correva in tutte le direzioni.
Voci metalliche uscivano dagli altoparlanti, rotelle di valigie stridevano sul pavimento lucido, singhiozzi tristi e risa gioiose riecheggiavano in quello spazio enorme.
Mi guardai attorno smarrito, insicuro, con un’ansia tale da stravolgere lo stomaco e farmi desiderare di entrare nel primo bagno e vomitare tutto.
Non era la tipica ansia dovuta all’adrenalina o all’entusiasmo, no. Era più un timore, la paura che non stessi facendo la cosa giusta.
Era sbagliato inseguire il proprio sogno? No.
E lo era lasciare il mio migliore amico con cui avrei dovuto condividere quell’avventura? Forse.
Per un attimo, quando mesi prima Louis mi aveva detto di non poter venire con me, avevo pensato di lasciar perdere tutto, di accontentarmi di quello che mi avrebbe offerto Londra, anche se non era quello a cui aspiravo. Ma Louis mi aveva dissuaso, mi aveva convinto a non demordere, promettendomi che non appena avesse guadagnato abbastanza e la sua famiglia si fosse ripresa dall’abbandono di Mark, mi avrebbe raggiunto.
Mesi dopo da quella sua promessa mi trovavo dunque lì, una mano stretta alla mia valigia, l’altra stretta a quella di mia madre.
Dietro di noi, mia sorella Gemma e i miei quattro migliori amici.
Mi fermai ad osservarli, espressioni tristi e lacrime mal trattenute. Chissà quando li avrei rivisti.
Louis come al solito cercava di sdrammatizzare, facendo continuamente battute idiote per risollevare il morale di tutti, ma io vedevo come dietro a quella risata troppo fragorosa stesse nascondendo tutte le sue lacrime. Avevamo passato la notte seduti sotto al nostro albero di Londra, io e lui, e non avevamo fatto altro che piangere. Non eravamo pronti a dirci addio, forse non lo saremmo mai stati.
Quando il mio volo venne chiamato, vidi un panico mal celato impadronirsi dei loro occhi.
Mia madre e mia sorella mi abbracciarono velocemente, loro sarebbero venute a trovarmi nel giro di due settimane. Distaccarmi da loro fu comunque doloroso, perché da quella volta le cose sarebbero inevitabilmente cambiate, anche se ci fossimo visti spesso.
Poi fu la volta degli altri quattro.
“Abbraccio di gruppo?” propose Niall.
Tutti annuirono, con sorrisi bagnati, e mi travolsero con abbraccio talmente stretto e caldo, che una volta arrivato in America avrei potuto ancora sentirmelo addosso.
Eravamo un groviglio indistinto di braccia che si aggrappavano tra di loro, stringendo forte, per paura di lasciar andare. Impressi nella mia mente quella sensazione di pienezza che provai , nei momenti più bui ero sicuro mi avrebbe ridato la forza per andare avanti.
Mi sarebbe mancato tutto di loro.
I capelli troppo biondi di Niall, le sue risate frequenti e genuine, il suo ottimismo e la sua inesauribile meraviglia per la vita.
La parlantina di Liam e i suoi strani passi di danza, la sua espressione accigliata quando provava ad essere attraente.
La quiete silenziosa di Zayn, che parlava poco, ma quando lo faceva riusciva sempre a stupire per la sua saggezza.
Gli occhi cristallini e puri di Louis, due zaffiri blu contornati da lunghe ciglia; il suo supporto, la sua comprensione, il suo infinito altruismo, il suo bisogno di proteggermi, sempre, a qualunque costo.
In effetti, mi sarebbe mancato tutto di Louis.
Non perché volessi più bene a lui degli altri, ma perché noi due, insieme, avevamo qualcosa di talmente speciale e intenso, che in nessun modo e con nessun altro avremmo potuto ripeterlo.
Eravamo stati programmati per combaciare alla perfezione, funzionavamo solo se l’uno si incastrava all’altro, proprio come due pezzi di un puzzle, che se provi a combinarli con altri non riusciranno mai ad amalgamarsi e fondersi per creare quella stessa immagine in modo altrettanto impeccabile.
Sentii il cuore dilatarsi a quei pensieri, per poi restringersi immediatamente, schiacciato dalla tristezza, dalla separazione, dalla nostalgia.
Non li avevo ancora salutati ma già sentivo la mancanza. Era troppa, mi sembrava ingestibile. E lo sarebbe stata, talmente tanto che alla fine avrei perso la ragione e avrei commesso l’errore più grande della mia vita. Solo che questo ancora non potevo saperlo.
“Harry, tesoro, devi andare” mi richiamò gentilmente mia madre.
Annuii piano, e lentamente sciolsi l’abbraccio. Provai a parlare, avrei voluto fare un discorso degno di un addio come quello, ma le lacrime mi risalirono in gola, e tutto ciò che potei fare fu scoppiare a piangere.
“Vi voglio bene, sarete sempre con me” dissi soltanto, tra un singhiozzo e l’altro.
Quattro paia d’occhi annacquati mi osservarono intensamente, cercando di trasmettermi il coraggio che ad ogni lacrima sentivo venire meno.
Liam, Niall e Zayn mi diedero un veloce bacio sulle guance umide, senza dire nulla, le parole non sarebbero bastate. Poi si allontanarono un po’, lasciando a me e Louis un attimo tutto per noi, di cui sapevano avessimo bisogno.
Louis si fece avanti piano, un’espressione contrita nello sforzo di non piangere e un sorriso instabile sulle labbra sottili e rosse, mangiucchiate dai suoi denti nervosi.
“Se dovessi incontrare David Beckham ricordati di dirgli che sono un suo grande fan” esordì, strappandomi una risata sincera, la prima della giornata.
Come potevo separarmi da lui, che sapeva sempre come farmi stare bene, senza che nemmeno glielo chiedessi?
“Gli dirò anche che sei un idiota!”
Mi diede uno scappellotto sulla nuca, a mo’ di punizione per averlo appena insultato.
Poi mi guardò fisso e la sua risata si trasformò tutt’a un tratto in un pianto isterico.
Si coprì subito il volto con le mani; non voleva che lo vedessi piangere, non voleva che mi sentissi in colpa perché stavo partendo.
Lo attirai subito in abbraccio che sperai potesse mettere insieme i pezzi, invece mi sembrò che tutto si stesse mescolando caoticamente, potevo sentire i suoi sentimenti dentro di me. Un pezzo del mio cuore si incastrò al suo.
Me lo strinsi addosso, le mani a modellare la sua schiena, a toccarlo finché c’ero, a sentirlo finché potevo.
“Ti prego Lou, ti prego non piangere!” lo supplicai, perché egoista com’ero non potevo sopportare di vederlo così a causa mia.
“Mi dispiace, ma non posso. Come faccio adesso che te ne vai?” mi rivelò, la voce un sussurro spezzato dal pianto, gli occhi un concentrato di smarrimento e frustrazione.
Adesso era il suo turno di crollare, e toccava a me rialzarlo da terra.
Gli afferrai le mani, scostandole dal suo volto, e le avvolsi tra le mie, intrecciando insieme le nostre dita.
“Io non vado da nessuna parte, rimango sempre qui” indicai con i nostri indici il suo cuore, sfiorando con i polpastrelli il suo petto caldo e ansimante per il pianto.
Sospirò, affranto, unendo le nostre fronti, i respiri confusi, il dolore condiviso in quel piccolo scorcio d’aria che ci separava.
“Promettimi  che non ti dimenticherai mai di me.”
Suonò come una preghiera quando me lo disse,  fissando attentamente i miei occhi.
“Non posso, ho una collana proprio sopra i battiti del cuore che mi ricorda dove dovresti essere.”
Accarezzò l’aeroplanino argentato che mi aveva regalato la sera prima, e un sorriso orgoglioso gli illuminò il viso.
“Mi manchi già Haz.”
“Anche tu Lou.”
L’ultima chiamata per il mio volo annunciò che il nostro tempo era finito.
Inspirai profondamente, rassegnato. Posai le labbra sulla punta del suo naso, nel fantasma di un bacio,e le trascinai lentamente fino alla fronte, dove posai uno schiocco bagnato. A quel contatto Louis serrò le palpebre, io invece rimasi a guardarlo, riempiendomi gli occhi di quell’immagine, irripetibile per la sua perfezione.
Mi strizzò forte i fianchi prima di lasciarmi andare.
Quando riaprì gli occhi ero già troppo lontano.
 
 
 
 
I primi tre giorni trascorsi a casa furono sorprendentemente piacevoli.
Nonostante Doncaster, cittadina retriva che pullula di gente bigotta e ficcanaso, non mi andasse più a genio, non potevo dire lo stesso della mia famiglia.
Poter godere delle compagnia genuina di mia madre e mia sorella fu una cosa di cui capii di aver avuto bisogno in quegli anni.
Le loro visite a Los Angeles erano rare e spesso si concretizzavano in incontri sporadici, a causa del mio lavoro. Gli orari assurdi di radiofonico non mi permettevano di passare del tempo quantitativamente sufficiente con loro.
Mi sentivo fuggevole, sempre con qualcosa da fare che sembrava essere più importante di loro.
 E forse Anne e Gemma pensavano realmente che il mio lavoro contasse per me più di loro, più dello stare tutti e tre insieme a raccontarci come procedevano le nostre vite.
Durante le nostre riunioni, distesi nel mio letto gigante a mangiare schifezze, ci dicevamo tutto quello che ci eravamo persi durante quei mesi di forzata separazione.
Loro mi raccontavano di quanto Doncaster non fosse cambiata, di come le loro giornate passassero lente e spesso fossero un po’ tristi a causa della mia assenza.
Io invece raccontavo loro quanto l’America mi cambiasse ogni giorno di più, tra gente di diverse etnie, tra strade caotiche e affascinanti, tra  grattacieli troppo alti o case troppo piccole e diroccate. Quando parlavo con loro cercavo sempre di tirare fuori gli aspetti postivi di quel luogo che mi aveva attirato a sé come una sirena col suo canto.
Dentro di me, invece, tenevo tutto quello che a volte mi faceva crollare: lo stress, l’ansia di dover essere sempre impeccabile, perché gli errori difficilmente venivano perdonati, la pesantezza della solitudine che spesso si presentava davanti alla porta di casa quando ritornavo dopo una lunga giornata di lavoro.
La città degli angeli era tutto quello che avevo sempre sognato.
Era un tripudio di gioia, lusso, sole, indipendenza.
In quella città avevo avuto il coraggio di capire chi ero e di vivere la mia realtà senza bastoni tra le ruote che impedissero la mia corsa sfrenata verso la libertà.
Ma se da un lato lì io ero tutto quello che volevo e potevo essere, dall’altro molto spesso mi sembrava di vivere in una dimensione in cui esistevo solo io.
Il difetto di una città troppo grande, pronta a soddisfare le curiosità e i desideri di ogni suo singolo abitante, è che spesso ti fa sentire solo.
I ritmi frenetici, gli orari da rispettare, la gente che ti passa accanto senza nemmeno vederti, senza accorgersi della tua esistenza, mi facevano sentire invisibile, come se non contassi nulla.
Ma se solo avessi detto tutto questo a mia madre e a mia sorella, la magia sarebbe svanita.
Soffrivano già troppo, anche se non volevano darlo a vedere.
Non avrei mai potuto essere così egoista da confessare loro qualcosa che sarebbe stato un ulteriore motivo di preoccupazione nel sapermi tutto solo lì fuori.
 Quando nelle settimane precedenti le avevo chiamate per avvisarle della mia imminente pausa di sei mesi, prima di impegnarmi in un progetto che mi avrebbe tenuto impegnato a Londra, erano scoppiate a piangere dalla gioia.
L'euforia di recuperare il tempo perso, di creare nuovi ricordi per sopperire al vuoto lasciato dagli ultimi anni.
Ma in quei mesi avrei imparato a mie spese che il tempo perso non si può recuperare, non può essere rivissuto.
È solo perso.
È andato.
L'unico modo per non renderlo vano è andare avanti, cercando di tappare quelle buche che si trovano di fronte al proprio cammino.
Legittimare quello squarcio temporale che è andato via, sfuggito alle nostre mani imbranate e maldestre che non hanno saputo tenerlo stretto, accarezzarlo, cullarlo, apprezzarlo.
E di tempo, in quei tre giorni, ne era passato tanto, forse troppo.
E io dovevo trovare il coraggio di non sprecarne altro, di ritrovare le vecchie amicizie, le stesse che avevo dovuto lasciare dietro di me.
Cominciai così dal comporre il numero del destinatario con il quale sapevo sarebbe stato più facile parlare, riprendere le fila di tempi passati e intrecciarle con quelle del presente.
Rispose subito.
"Dunque il tuo ritorno dalle Americhe non è una leggenda metropolitana!"
"Vedo che le voci corrono."
La voce cristallina di Niall, molto più profonda dall'ultima volta che l'avevo sentita, mi accolse con la solita ilarità che la distingueva da tutte le altre.
"Bentornato nella mitica Doncaster, traditore della patria!"
E da lì fu solo un susseguirsi di risate genuine e conversazioni senza senso, come era sempre stato con lui.
E mentre gli parlavo mi resi conto, grazie anche alla sua sempreverde spensieratezza, che sì, il tempo perso non poteva essere recuperato, ma il passato poteva essere rivissuto e prendere forme diverse, metamorfizzandosi, nel presente, in qualcosa di piacevole e inaspettato.
 
 
 
 
 
 
 
Note personali:
Buona sera a tutti!
Innanzitutto vorrei ringraziare coloro che hanno letto la storia, l’hanno inserita tra le seguite, le ricordate e le preferite. Sono rimasta piacevolmente colpita da questo responso, quindi grazie di cuore, davvero!
Oggi avete avuto un piccolissimo assaggio di uno dei tanti problemi che incasinano la vita di Louis, avete conosciuto un po’ Harry, che è appena ritornato a Doncaster, e avete assistito al loro addio di quattro anni fa.
La prossima volta arriverà il primo incontro tra Harry e Louis.
Come lo immaginate? Sarei curiosa di scoprirlo.
Spero  che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate.
Vi abbraccio.
A presto,
lestylinson.
   
 
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