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Autore: cin75    20/10/2017    4 recensioni
Questa sarà una raccolta di storie, di pezzi di vita, di tanti "diversi" Jared e Jensen. A volte saranno storie tristi, a volte comiche, a volte romantiche. Saranno quello che mi ispirerà il mio animo nel momento in cui le scrivo. Quindi sperate sempre che io sia felice!!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jared Padalecki, Jensen Ackles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PREGA

Era ormai quasi un mese e mezzo che Jared era ospite del suo amico Massimo, che aveva un agriturismo al centro di Monteverde, nel quartiere Gianicolense a Roma. Era un posto bellissimo, immerso tra le colline romane. Da un lato, le rasserenanti distese romane, dall’altro, i meravigliosi Sette Colli di Roma. Una bellezza per gli occhi, una pace per l’anima.

Ma ogni volta che il giovane americano, dal patio della sua stanza, si incantava su quella vista, non poteva che ritornare con la mente al perché si era ritrovato a fuggire da Austin fino ad arrivare nella città eterna.

E in quei pensieri, era come se tutta la meraviglia che si ritrovava di fronte perdesse colore e profondità. Così si ritrovava a sospirare frustrato, a volte amareggiato , perché si rendeva conto che non riusciva a venire fuori da quel suo malinconico stato d’animo.

“Ehi! Jay!?” fu la voce di Massimo a richiamarlo. “Non ti ho visto a colazione. Tutto bene?”

Jared si voltò verso di lui. Un sorriso timido, quasi accennato. Ringraziò l’amico per l’interessamento ma rispose che quella mattina non aveva molta fame.

“Wow!! Questa sì che è bella!” cercò di farlo ridere l’amico. “Quando un cane non mangia, vuol dire che qualcosa non va!” fece ancora, anche se Massimo sapeva benissimo quello che affliggeva il giovane davanti a lui. Ne sapeva abbastanza, ma non voleva intromettersi più di tanto, anche perchè voleva che fosse l’amico ad aprirsi quando fosse stato pronto a farlo.


 

Quando, Massimo, se l’era visto davanti con quella valigia troppo grande per un semplice weekend romano, aveva subito inteso che non si trattava di una vacanza ma di una sorta di fuga.

Jared, gli aveva detto che il padre era morto e che lui non riusciva più a restare ad Austin e l’unica cosa che era riuscito a fare era prendere il primo volo.


 

“Resta fin quando ne hai bisogno, Jay. Sei tra amici qui!” lo rassicurò il ristoratore, accompagnandolo verso quella che sarebbe stata la sua stanza.


 

Ma ora, non che fosse stanco di averlo in giro, tutt’altro. La cosa che lo stancava era il fatto che Jared ancora non riuscisse a tirar fuori quello che lo angustiava e che lo rendeva un Jared così diverso dal Jared che conosceva e ricordava lui: solare , allegro, vitale. Un vero uragano di energia positiva.


 

E ora su quel balcone era proprio arrivato al limite e l’italiano sbottò.

“Ok! Basta così!!” disse severo e Jared si voltò finalmente verso di lui, stupendosi di quell’uscita così dura e inaspettata.

Massimo gli si fece di fronte. “Sei arrivato più di un mese fa. Mi hai a malapena detto quello che era successo e per quanto io possa essermene dispiaciuto , credo che dopo un mese e mezzo, il dispiacere per la morte di qualcuno, si possa metabolizzare. Non dico dimenticare ma almeno accettare.”

“Max, tu non puoi…”

“Cosa? Capire?!”

“Esatto!”

“Spiegamelo allora.” Esclamò Massimo. “Cazzo, Jay. Giulio Cesare era meno depresso di te quando vide Bruto e capì che lo avrebbe fatto fuori. Quindi , ora, o sputi il rospo e mi dici che cazzo è successo ad Austin o fai i bagagli e ti trovi un altro posto in cui deprimerti.” E lo disse con una serietà e una severità che nemmeno pensava di avere.

Jared lo fissò stupito per un simile out out. Per un attimo si sentì ferito, ma poi, subito dopo, si convinse che non poteva più approfittare della pazienza con cui Massimo lo aveva accolto. Strinse le labbra, annuì appena e deglutì dispiacere.

“Ok! Preparo le mie cose. Dammi un’ora e ti libero la stanza!” fece sorprendendo l’amico che lo fissò a bocca aperta. Era decisamente un'altra la reazione che voleva avere da Jared.

L’americano fece per superarlo, quando la mano di Massimo lo afferrò per un braccio, fermandolo.

“Aspetta…aspetta. Che fai? Cazzo, Jared!, ma davvero credi che ti manderei via??!! Siamo amici da anni.”

“Ma tu…”

“Io volevo solo spingerti a parlarmi. A confidarti. Non mi piace vederti in queste condizioni. Posso capire il dolore che provi per la morte di tuo padre, ma ormai lui è andato. È in pace. Devi darti pace anche tu, amico mio. Ti fa male stare così. Lo so, lo vedo!” finì di dire con la voce sempre più amareggiata ma anche dolce.

“Mi dispiace, Max. Ma quello che è successo …è…è…”

“Lo so che non sono affari miei. Lo capisco. Ma per favore , credimi, io ci sarò quando vorrai tirar fuori tutto. Quando avrai bisogno di alleggerire quello che hai qui…” gli disse puntandogli un dito sulla fronte. “..che hai qui..” puntando quello stesso dito dritto contro il cuore..” e poi aprendo la mano e poggiando il palmo giusto al centro del petto, lì, dove vive l’anima. “…e qui. Dovrai solo chiamarmi!” concluse, abbracciandolo calorosamente.

Jared non si sottrasse da quell’abbraccio, anzi, lo assecondò e lasciò che il suo calore lo rincuorasse.

Quando i due si allontanarono, Massimo gli sorrise amabilmente e gli diede due buffetti fraterni sulla guancia.

“Sono da basso , se hai bisogno!”

Jared annuì, ma un attimo dopo, prima che Massimo andasse via da lui, le parole gli volarono via prima dalla mente, poi dalla bocca, come fatte di vita propria.

“Non mi ha mai accettato!” disse solo.

Massimo si voltò verso il ragazzo e lo guardò. Non era certo di aver capito bene.

“Jared, cosa…chi non ti ha mai accettato?” gli fece eco , sperando che il ragazzo non ci ripensasse e si chiudesse di nuovo in sé stesso.

Jared sospirò e come se si fosse improvvisamente svuotato di ogni forza, si lasciò cadere su una delle poltroncine del patio. “Mio padre. Non mi ha mai accettato. O meglio non ha mai accettato quello che sono. Come sono.”

“E cosa saresti, scusa?!” fece confuso l’italiano.

“Max, io sono gay.”

“ Lo so e con questo, mi ripeto: cosa saresti?!”

“Lui non lo accettava. Non riusciva a farsene una ragione.”

“Stai scherzando? Non si può non accettare un figlio solo perché è gay. Potrei prendere a calci in culo il mio fino a lasciarlo su una sedie a rotelle se sapessi che si droga o stronzate simili, ma non perché è gay. Non c’è colpa o scelta nell’essere gay. Lo si è e basta. E comunque non significa essere meno o più di un qualsiasi etero.”

“Purtroppo non sei tu mio padre.”

“O cazzo, Jay!!” fece affranto e incredulo, l’altro.

“Quando a sedici anni feci coming out, il primo a cui lo dissi fu lui. Pensavo che fosse la cosa giusta, che lui mi avrebbe appoggiato. Sai?! Quella cosa padre-figlio…” Raccontò il giovane, ironizzando sul finale.

“E invece?!”

“La sera stessa, avevo le valigie pronte, preparate da lui e la porta di casa spalancata pronta a chiudersi alle mie spalle.”

“Te ne andasti?!”

“Mi mandò via. Lievemente diverso, non credi?!”

“Jay, mi…mi dispiace.” E lo era sul serio.

Jared era una persona fantastica, intelligente. Un organizzatore di eventi con un’agenda che traboccava impegni anche con VIP di un certo calibro. Uno di quei ragazzi, insomma, che le madri più “all’antica” avrebbero indicato come un buon partito sia per una figlia che per un figlio!! “Che è successo, poi? Come l’avete risolta?”

“Non l’abbiamo risolta!” fu la risposta amareggiata e forse il cardine dello stato d’animo di Jared.

“Cosa?!”

“Quando mi cacciò, provai per mesi a contattarlo ancora. Provai e riprovai a riagganciare un se pur minimo rapporto. Era mio padre e io rimanevo comunque suo figlio. Volevo provare. Ma quando , dopo l’ennesima telefonata lui mi ringhiò contro tutto il suo disgusto dicendomi che ero un pervertito, un abominio dannato da Dio e condannato all’Inferno, che lui mi rinnegava come figlio e come sangue del suo sangue, qualcosa mi fece capire che dal giorno in cui mi confidai con lui, avevo smesso di avere un padre.” Fece alzandosi dalla sedia e fissando il paesaggio che si stagliava davanti a lui.

“Jay…Jay, no. Tu non sei…non sei assolutamente ciò che lui pensava…”

“Lo so, Max. Lo so. Io sono in pace con quello che sono, il mondo in cui vivo e lavoro se ne sbatte altamente di chi mi porto a letto. Quello che mi angoscia è che lui adesso è morto e io..io…” e a questo punto la voce iniziò a incrinarsi.

“Jay, andiamo…”

“Vedi, nel mio profondo io speravo….io speravo ancora in una …una….”

“Riappacificazione?!” e Jared annuì soltanto oramai troppo emozionato per riuscire a parlare.

“Mi ha odiato e forse mi odiava anche mentre era sul letto di morte e forse anche io l’ho odiato per qualche anno, ma era…era mio padre. Lui…lui era mio padre!” Gli occhi lucidi, il fiato corto, i singhiozzi appena trattenuti, le parole appena pronunciate. “Io…io…gli volevo…gli volevo…” e poi non riuscì più a parlare.

Massimo gli corse vicino e lo abbracciò forte, stringendolo tra le sue braccia. Carezzandogli , quasi massaggiandogli la schiena scossa dal pianto. Cercando di calmarlo. Di calmare quei disperati “gli volevo bene” che Jared continuava a ripetere con il viso nascosto in quell’abbraccio.

Quando l’italiano capì che la tempesta stava iniziando a passare e chetarsi, si allontanò con lentezza da quella stretta fraterna. Accompagnò Jared di nuovo verso il basso, verso la sedia e lui fece lo stesso sedendosi di fronte a lui.

“Ora , ascoltami. Ascoltami bene!”

“Max, io…”

“Sta’ zitto, Padalecki e stammi a sentire.” e si drizzò le spalle come per rendere le sue parole più importanti. “Ci sono alcune frasi a cui faccio sempre riferimento quando sono a terra , messo meglio di te…” specificò , rubando un sorriso al giovane. “..ma comunque a terra.”

“Ti va di condividerle? Mi farebbero comode in questo momento!” fece con aria stanca Jared.

“Non chiedo di meglio.” Esclamò compiaciuto l’italiano. “Allora, UNO: Rifiutare di amare chiunque per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire. Tuo padre ti amava anche se non riusciva a capirlo.”

“Max..”

“DUE!” lo fermò. “Sorridi anche se il tuo sorriso è triste perché più triste di un sorriso triste c’è solo la tristezza di non saper sorridere. Pensa a tuo padre sia quando ti sorrideva che quando ha aperto quella porta di casa. Può averla chiusa, ma credimi , come te, avrà pianto quando lo ha fatto.”

“Non ne sono certo. Io…”

“TRE!!” lo fermò ancora. “Non arrenderti mai, perché quando pensi che tutto sia finito, è il momento in cui tutto ha inizio!

“Inizio?” ripetè con poca convinzione Jared.

“Jay, sei giovane , intelligente. Un gran bel pezzo di ragazzo. Il tuo passato, quello con tuo padre, non può segnare la fine di tutto quello che la vita ha da darti. Fa’ che quello che è successo a te, sia di insegnamento. Ti faccia da guida. Ti renda capace di amare nel modo in cui tu non sei stato amato o almeno in cui volevi essere amato!” e questo lo disse con gli occhi lucidi, dato che anche Jared lo guardava nello stesso modo.

Poi il giovane si poggiò con le spalle alla sedia e si passò le mani sul viso come a volersi rimettere in sesto.

“Wow!!” esclamò colpito mentre riprendeva a respirare regolarmente. “Antica saggezza romana?” ironizzò.

“Jim Morrison, amico. Che cavolo!! Jim Morrison!!” lo rimproverò l’amico, accusandolo di non aver riconosciuto i mantra del carismatico cantante statunitense.

Quell’offeso, ma fraterno rimprovero, fece scoppiare a ridere entrambi e quando quella risata pian piano scemò in singhiozzi accennati, Jared porse la mano all’amico.

“Grazie, Max. Grazie di cuore!” e la strinse con decisione quando Massimo gli porse la sua.

“Quando vuoi, idiota!” e si alzò dalla sedia, facendo per andarsene. “Ti aspetto di sotto. Mia moglie ha fatto quella pasta che adori. Quindi vedi di farti venire fame e scendi a pranzare con noi, intesi?”

“Intesi.”



Jared mantenne la promessa e pranzò con i suoi amici. Il temporale sembrava passato e quella notte, nel suo letto, Jared trovò la forza per pregare per l’anima di suo padre. E al contrario di quello che gli augurarono le dure parole paterne, il giovane supplicò per il padre, perchè fosse in pace nel posto più bello del Paradiso.

Pregò fortemente, che un giorno, quando Dio avesse concesso loro di rincontrarsi, tutto sarebbe stato come doveva essere tra padre e figlio.

   
 
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