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Autore: Tessie_chan    22/10/2017    5 recensioni
Amor tussique non celatur.
Questa sentenza fa sorridere e riflettere allo stesso tempo. L’amore non si può nascondere. Si può fingere in ogni modo di non provarlo, si possono trovare scuse, ma se si ama una persona sarà evidente in ogni gesto, in ogni sguardo. Al contrario, laddove amore non c'è, non lo si può fingere, la finzione non può andare oltre qualche bella parola, qualche fatua promessa. Amore non si può nascondere, e chi è amato lo capisce. Così è vero il contrario. Non si può tossire e negare di aver tossito, non si può amare e negarlo.
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- Vorresti insinuare che non mi trovi abbastanza attraente, ragazzina?
- Non è questo il punto, Trafalgar. Non potrei neanche volendo, visto che oggettivamente sei davvero molto attraente.
- Oh ti ringrazio, dolcezza!
- Non ringraziarmi. Il mio non era un complimento, ma una semplice constatazione empirica, che in ogni caso non cambia il risultato. E dolcezza sarà tua madre!
***
- Non posso tollerare di vederti con lui!
- Piantala Ace, non c’è niente tra me e Law.
- Ah, davvero? E quegli sguardi complici che vi lanciate in continuazione me li sono immaginati?
- Cosa dovrebbe essere questa, una scenata di gelosia?
- Sì, dannazione!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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Amor tussique non celatur

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Capitolo Speciale

Giorni di ordinaria follia:Portgas D. Ace


Prima Parte

 




Non si può amare per essere felici,
 ma bisogna essere felici per poter amare.

- Vincenzo Salemme







Ace si svegliò in un bagno di sudore, l’intero corpo attraversato da brividi e fitte terribili. Urlò senza rendersene neanche conto, e si sforzò di mettere a fuoco la realtà che lo circondava, ma il dolore lo bloccava, impedendogli di recuperare la lucidità; allora si agitò ancora, ma scoprì con un certo shock di avere i polsi in qualche modo bloccati ai lati del corpo.

Ma cosa diavolo…?!

Il pirata tentò di tirarsi su a sedere, ma una nuova fitta lancinante di dolore alla testa lo costrinse ad abbandonare i propri propositi, facendolo crollare di nuovo con la testa sul cuscino, mentre due mani decise lo accompagnavano.
- Non muoverti. – lo ammonì seria una voce femminile – Hai la febbre alta, le tue ferite si sono infettate. Farò il possibile per salvarti la vita, ma tu non devi assolutamente fare sforzi.
Ace sbatté convulsamente le palpebre, e si guardò intorno cercando di individuare la proprietaria di quella voce. Qualcuno gli tastò il collo, ma Ace non riuscì a vedere chi.
- Doc, non va bene. Il suo polso è irregolare, lo dobbiamo stabilizzare. – dichiarò in apprensione un’altra voce femminile.
- Dobbiamo prima di tutto abbassargli la febbre, o il suo sistema rallenterà troppo e non sarà più in grado di combattere l’infezione. – replicò metodica l’altra voce – Va’ a prendere del ghiaccio, io gli do qualcosa per farlo dormire.
Dei passi risuonarono sul pavimento, e una porta si aprì e si richiuse.
- Ehi, mi senti? – lo chiamò la prima voce – Devi stare tranquillo, sono un medico. Andrà tutto bene.
- Cosa mi è successo? – farfugliò Ace, incapace di smettere di rabbrividire. – Sto…morendo?
- Andrà tutto bene. – ripeté la voce, evitando di rispondergli – Ti aiuterò a dormire, fra poco non sentirai più niente. Andrà tutto bene.
Ace lottò contro la nebbia che gli offuscava la vista. Voleva vedere, voleva a tutti costi capire cosa stesse succedendo. Un leggero pizzico improvviso gli colpì il braccio, e per un breve momento riuscì a mettere a fuoco.
Vide una stanza ampia e dall’alto soffitto. Era in penombra, e la poca luce che c’era proveniva da alcune candele sistemate vicino al suo letto. Vide che aveva il corpo completamente fasciato, e che accanto a lui nascosta nella penombra c’era una piccola figura minuta che si affaccendava su un tavolino lì vicino, e che nel frattempo lo teneva d’occhio con aria apparentemente indifferente, stringendo in una mano quella che pareva una siringa. Ace si sforzò di afferrare i tratti del suo volto, ma l’unica cosa che riuscì a cogliere fu un paio di occhi dal verde intensissimo che lo studiavano con calma, quasi fossero in attesa di qualcosa.
- Chi…chi sei? – balbettò il ragazzo, sentendosi inspiegabilmente spaventato da quegli occhi.
Un sorriso sghembo balenò nel buio – A quanto pare una tua nuova compagna, da oggi in poi. Ma forse è il caso di rimandare le presentazioni ufficiali in un altro momento.
Ace la guardò senza capire. Che intendeva dire con quelle parole?
Uno strano torpore cominciò a diffondersi lento e inesorabile nelle sue vene. Confuso, Ace tentò di sollevare la testa, ma era diventata improvvisamente troppo pesante.
- Cosa diavolo…?
- Shhh… basta parlare. – sussurrò la donna con voce conciliante, sfiorandogli il polso con le dita per tranquillizzarlo - Ora dormi.
E la notte, calda e dolce, si chiuse sul ragazzo.


Ace spalancò gli occhi inspirando bruscamente, emergendo da un sonno fitto di immagini di sangue, fiamme e cenere. Non avvertiva più dolore, ma in compenso aveva freddo, un freddo strano e innaturale per lui che era fuoco allo stato puro, e un brivido gli attraversò la spina dorsale.

Dove sono? Cosa è successo?

Tentò di alzarsi, ma la stanza cominciò a girargli vorticosamente intorno. Un grugnito di fastidio gli sfuggì dalle labbra, e il ragazzo si appoggiò al materasso con il gomito, incaponendosi a non voler tornare disteso.
- Sei un tipo testardo, eh? – lo apostrofò sarcastica una voce femminile piuttosto familiare – Eppure ieri sera mi sembrava di averti detto di non muoverti.
Ace sobbalzò e si voltò nella direzione da cui era arrivata la voce… e in fondo alla stanza, che ora era illuminata a giorno dal sole, individuò una scrivania dietro cui era seduta una ragazza.
Era giovanissima, poco più di un’adolescente, constatò sorpreso Ace. Era minuscola, quasi delle dimensioni di una bambina, con folti capelli castani annodati sulla nuca e un piccolo viso grazioso e intelligente. In altre circostanze Ace si sarebbe chiesto da dove avesse preso quella ragazzina il coraggio di rivolgersi ad un pirata del suo livello con un tono tanto canzonatorio… ma nel momento stesso in cui il suo sguardo si posò su di lei, e si incatenò ai suoi occhi verdi da gatta, Ace rivide la scena di qualche ora prima. Rivide la stanza buia, le ombre indistinte a causa della febbre, le bende, la siringa stretta nella sua mano… e tutto gli fu più chiaro, e allo stesso tempo più confuso.
L’aveva riconosciuta. Era la donna che si era presa cura di lui quando era stato male.
- Ehi stufetta a pedali, per caso la febbre ti ha rimbambito il cervello? – gli chiese infastidita la ragazza, alzandosi dalla scrivania e camminando verso di lui – Rimettiti subito sdraiato, sei ancora debole.
Nel sentirsi rimbeccare in quel modo Ace si incupì e le lanciò un’occhiataccia – Si può sapere dove siamo? E soprattutto, tu chi diavolo sei?!
- O’Rourke D. Katherine, capo della Divisione Medica dei Pirati di Barbabianca. Molto lieta di conoscerti. – rispose la ragazza con tono sbrigativo – Ora stenditi e sta’ buono, così posso visitarti.
- Capo di una Divisione di Barbabianca?! – urlò Ace sconvolto, tirandosi bruscamente su e sfuggendo alle sue mani – Tu sei una donna di Barbabianca?!
- Sì, l’ho appena detto. Ora mi fai il piacere di restare fermo?! Finirai per strapparti i punti se continui ad agitarti in questa maniera. – sbuffò la ragazza; non troppo delicatamente lo fece poi sdraiare di nuovo e iniziò a controllare le sue fasciature, ma Ace se ne accorse a malapena.
Si era messo alla ricerca del vecchio per prendere la sua testa, ora cominciava a ricordare. Aveva deciso di affrontarlo… ma qualcuno si era messo in mezzo, anche se non riusciva a ricordare chi. Il pirata cercò di lottare contro la nebbia che gli oscurava il cervello, ma tutto quello che ottenne fu un’intensa e improvvisa fitta di dolore alla testa, in particolare alla nuca.
- La mia testa… - gemette il ragazzo, portandosi una mano al retro del collo.
- Ah, sì. – sospirò Katherine, addolcendo leggermente la sua espressione arcigna – Ti fa male, eh? Mi spiace, non era mia intenzione infierire. – Si avviò verso una credenza in fondo alla stanza, e tornò con in mano un bicchiere d’acqua e una grossa pillola – Su, prendi questa. Tra poco ti sentirai meglio.
Ace la guardò in cagnesco senza ubbidire – Perché dovrei fidarmi di te? Sei alleata del mio peggior nemico…
- Sì, e ti ho anche salvato la vita! – si spazientì la ragazza, gettando la pillola nel bicchiere e ficcandoglielo bruscamente in mano – Andiamo, non fare i capricci e ingoia, sto solo cercando di aiutarti.
Ace spostò l’attenzione dalla ragazza al bicchiere, senza sforzarsi di nascondere la propria diffidenza. Sapeva che era stata quella giovane a prendersi cura di lui quando era stato male, e che di conseguenza in teoria si era guadagnata, se non la sua fiducia, quantomeno la sua gratitudine, ma lui non riusciva a fidarsi comunque. L’immagine del vecchio imperatore continuava a balenargli davanti agli occhi, e il fatto che la ragazza fosse una sua alleata per sua stessa ammissione lo turbava, spingendolo a non abbassare la guardia. Senza contare che in quel momento il ragazzo, per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a ricordare cosa fosse accaduto negli ultimi giorni, e soprattutto come avesse fatto ad arrivare lì.
- Guarda che sei tu che ci perdi a fare il sostenuto. – gli fece notare la dottoressa – Quel mal di testa non passerà da solo, sai? E nemmeno la confusione che hai in testa, per la cronaca. Forza, bevi e basta, ti assicuro che non è veleno.
A quel punto Ace non ebbe altra scelta che arrendersi. In fondo lei aveva ragione, era lui che ci perdeva a fare resistenza, senza contare il fatto che se quella ragazzina avesse voluto nuocergli in qualche modo l’avrebbe già fatto. Buttò giù il contenuto del bicchiere in un solo sorso, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse assetato.
- Saggia scelta. – annuì soddisfatta la ragazza, arrivando addirittura a sorridergli gentile – Ora aspetta qui, e per l’amor del cielo, non ti alzare. Vado a vedere se mio fratello può procurarci qualcosa da mangiare, avrai certamente fame.
Ace non le rispose, ma lei non sembrò prendersela; alzò le spalle con noncuranza e si avviò verso l’uscita, e quando la porta si chiuse alle sue spalle Ace si concesse finalmente di rilassarsi, poggiando la schiena nuda contro la testiera del letto, complice anche il fatto che la morsa di dolore alla testa si stava finalmente allentando.
Il ragazzo raccolse tutta la concentrazione di cui in quel momento era capace, e si sforzò di fare il punto della situazione; anche se ancora non ricordava in che modo e perché, era consapevole di essersi cacciato in un bel casino. Non sapeva dove fosse, non ricordava cosa fosse accaduto negli ultimi giorni, era ferito e malato, non sapeva dove si trovassero i suoi compagni, e come se non bastasse aveva il forte sospetto di essere finito proprio nelle mani del suo peggior nemico.
Non andava bene, non andava bene per niente. Doveva inventarsi subito qualcosa per tirarsene fuori, o quantomeno per capire cosa stava succedendo.
- Sei ancora preoccupato? – chiese Katherine, rientrando in quel momento nell’infermeria con un gigantesco vassoio tra le mani – Credimi, qui nessuno ha intenzione di farti del male. A patto che tu non faccia del male a nessuno, è chiaro.
Ace la fissò scettico – Perché dovrei crederti? Non so nemmeno dove mi trovo… come puoi pretendere che io mi fidi?
- Ti trovi sulla Moby Dick scaldino, la nave ammiraglia della flotta di mio padre. – spiegò la ragazza posando il vassoio lì vicino e avvicinando una sedia al letto – Eri ferito, e io ho avuto il compito di prendermi cura di te…
- Sulla Moby Dick!? – saltò su incredulo Ace – Sono sulla nave di Barbabianca?!
- Esatto.
Ace digrignò i denti – Perciò stai dicendo che sono vostro prigioniero?
Katherine spalancò gli occhi – Niente affatto! Nessuno ti obbliga a restare se non vuoi. Non appena sarai guarito potrai andare per la tua strada, se proprio ci tieni. – la ragazza si portò una mano sotto il mento, pensierosa – Anche se mio padre vorrebbe che diventassi uno di noi, e se vuoi la mia opinione io penso che dovresti prendere in considerazione la sua offerta.
Ace inorridì – Barbabianca vuole che io mi unisca alla sua ciurma?!
Kate alzò un sopracciglio, totalmente indifferente alla sua reazione – La cosa ti sconvolge così tanto?
Ace la trucidò con lo sguardo. Non conosceva quella ragazzina, ma sentiva già di non sopportarla – Non ho la minima intenzione di accettare, sappilo.
- Vedremo. – replicò Kate con calma, chiaramente non impressionata dall’aria minacciosa del ragazzo. Allungò invece la mano verso il vassoio colmo di cibo e glielo porse – Ora pensa a mangiare. Nessun problema sembra più così insormontabile con lo stomaco pieno.
Ace serrò la mandibola, assumendo un’aria sostenuta – Non voglio.
Kate sbuffò esasperata - Sarai affamato…
- Niente affatto! – replicò arrabbiato Ace. Ma il suo stomaco lo tradì, esternando tutto il suo disappunto, e il ragazzo si sentì avvampare.
- Sì, come no. Senti, sto cominciando a stancarmi delle tue storie. – dichiarò infastidita Kate, schiaffandogli il vassoio tra le braccia – Te lo dirò una volta sola, stufetta: se vuoi andare d’accordo con me devi fare quello che ti dico in silenzio e senza discutere, mi sono spiegata? Il mio lavoro è già abbastanza complicato, non ho proprio la pazienza o la voglia di sopportare un ragazzino capriccioso come te nella mia infermeria.
Ace la fissò furibondo – Io non sono un ragazzino capriccioso!
- Allora dimostramelo e mangia senza lamentarti. – gli ordinò spazientita la ragazza – Anche perché se continui a rifiutarti mi vedrò costretta ad attaccarti ad una flebo. Non so, vedi tu se ne vale la pena pur di continuare a remarmi contro…
Ace la fissò con antipatia, ma cominciò comunque a mangiare senza levarle gli occhi di dosso. Era ovvio che non ne valesse la pena, ma non era questo il punto. Quella mocciosa insopportabile lo aveva appena sfidato, ed era una cosa che lui non poteva ignorare come se niente fosse… senza contare che stava davvero morendo di fame.
Man mano che mangiava però cominciò a dimenticarsi del proprio orgoglio… e prima ancora di rendersene conto aveva cominciato a divorare tutto senza ritegno, ingoiando il cibo senza quasi masticarlo, troppo occupato com’era a preoccuparsi del proprio stomaco. La ragazzina nel frattempo si era seduta vicino a lui, e aveva montato la guardia come un sergente guardandolo abbuffarsi; Ace non riusciva a capire se il suo atteggiamento rozzo la stesse infastidendo oppure no, ma ci sperava. In ogni caso Katherine non lasciò trapelare nulla, si limitò a fissarlo con aria impassibile per tutto il tempo.
- Ehi mocciosa, sei sempre così impettita o è un trattamento speciale che riservi solo a me?
- In realtà lo riservo a tutti i pazienti imbecilli e non collaborativi che capitano nella mia infermieria. – sorrise serafica Kate – Come va la testa? Meglio?
Ace sbuffò, ma dovette ammettere – Sì, ora mi sento meglio.
- Fantastico! Mi fa piacere. – sorrise soddisfatta la ragazza, dandogli una leggera pacca sulla spalla – Allora adesso ricordi cos’è successo?
- Non molto…
- Allora ti rinfresco io la memoria. – la dottoressa si alzò per togliergli il vassoio ormai pulito dalle mani e indicò il fondo della stanza – Sei venuto su quest’isola per affrontare Barbabianca, ma lo Shichibukai Jinbei si è messo in mezzo per impedirtelo, e così avete combattuto. È finita in pareggio, e tu eri conciato molto male, anche se non quanto lui…
A quelle parole Ace spalancò gli occhi e seguì il dito della ragazza: qualche metro più in là su un letto identico al suo c’era un uomo-pesce fasciato dalla testa ai piedi che dormiva. Non sembrava sofferente, ma era chiaro che fosse in pessime condizioni. Anzi, a voler essere onesti, sembrava più morto che vivo.
- Non preoccuparti, se la caverà... – stava dicendo Kate, ma Ace non l’ascoltava più. Ora improvvisamente ricordava, ricordava tutto, e ciò che stava ricordando non gli piaceva affatto.
- Tu… - sussurrò il ragazzo con tono spiritato, interrompendo Kate a metà di una frase – Tu ti sei intromessa. Dovevo battermi con Barbabianca, e tu ci hai fermati… mi hai colpito alla testa…
- Sì, l’ho fatto. – ammise tranquillamente la ragazza. Sembrava piuttosto compiaciuta – Ma non preoccuparti, non serve che mi ringrazi. Ad essere sinceri non ero spinta da motivazioni altruistiche… ho semplicemente agito d’istinto, tutto qui.
Ace fissò ad occhi spalancati quell’intrigante e pestifera ragazza, non trovando più il fiato per spiccicare parola. Lei ricambiò il suo sguardo fissandolo dritto negli occhi, chiaramente in attesa dei ringraziamenti che aveva appena detto non necessari, perché è una verità universalmente conosciuta che le donne dicono sempre il contrario di quello che pensano.
Voleva essere ringraziata per quello che aveva combinato? Sul serio?!
- Tu sei una folle. – ringhiò Ace con tono tanto velenoso che Katherine trasalì – Sei una folle e una ficcanaso, e se pensi che io possa esserti grato per quello che hai fatto sei totalmente fuori strada. Non mi hai fatto un favore, ti sei solo immischiata in una faccenda che non ti riguardava!
- Stai scherzando, spero. Io ti ho salvato la vita! Non ce l’avresti mai fatto contro mio padre!
- Questo lo dici tu! Che ne sai?! Avrei anche potuto batterlo…
- Invece no. Non ci saresti mai riuscito. – decretò ferma Kate, fissandolo severa con le mani sui fianchi – Sei solo un ragazzo, e per giunta un pivellino. Da quanto sei un pirata, qualche mese? Mio padre solca i mari da più di mezzo secolo, ormai. Non saresti riuscito a fargli nemmeno un graffio, poco ma sicuro. Impedendoti di affrontarlo ti ho fatto un favore eccome, te l’assicuro.
Ace la stava guardando sbigottito, incapace di trovare le parole per rispondere a quella mocciosa arrogante che lo stava deliberatamente denigrando senza colpo ferire. Non aveva mai alzato le mani su una donna, e nemmeno aveva mai avuto la voglia di farlo, ma in quel momento sentiva che avrebbe anche potuto fare un’eccezione.
- Io sarei un pivellino? – rise il ragazzo, una risata cinica e sferzante – Credo che tu sia un tantino confusa, ragazzina. Io sono un pirata di alto livello, e un giorno sarò anche il Re dei Pirati, puoi scommetterci, anche se non prima di aver preso la testa del tuo adorato capitano. E sarei proprio curioso di vedere cosa potrebbe fare una ragazzetta fragile e indifesa come te per impedirmelo.
La ragazza non gli rispose subito, lo fissò a lungo, ed Ace poté vedere il suo volto cambiare a seconda dell’emozione che lo attraversava: prima confusione, poi sorpresa, poi incredulità… e infine una furia gelida e grondante di disprezzo. Non ci voleva un genio per capire che si era offesa a morte, ma ad Ace non gliene poteva importare di meno.
- Sai che ti dico, scaldino? – disse infine Kate, il volto che sembrava scolpito nel ghiaccio – Se ti senti così in forze da riuscire a fare il gradasso, forse tutto sommato non hai così tanto bisogno di restartene a letto! – la ragazza andò verso la porta pestando i piedi e la spalancò con violenza – Fuori di qui. Vattene sul ponte, nelle cucine o dove cavolo ti pare, ma sparisci dalla mia vista! E spero con tutto il cuore che tu sia così stupido da fare incazzare anche qualcuno che abbia meno pazienza e più forza bruta della sottoscritta!
Ace non si fece pregare. Saltò rapidamente giù dal letto – vacillando per un attimo a causa della debolezza – e si diresse a passo di marcia verso l’uscita, con la schiena dritta e il mento sollevato in una smorfia impettita.
- Benissimo, allora tolgo subito il disturbo. E comunque non mi sento in debito per…
Non finì la frase. Aveva a malapena messo un piede fuori dalla stanza, e Kate gli aveva già sbattuto la porta in piena faccia, così bruscamente che pur di evitare la sportellata sul naso Ace era ruzzolato accidentalmente all’indietro. Ace rimase per un momento a fissare allibito con la mano sul naso l’uscio della stanza, poi imprecò:
- DANNATA, INSOPPORTABILE RAGAZZINA!
Poi si tirò su, voltò le spalle alla porta e si diresse verso il ponte principale per cercare i compagni, pestando i piedi sul pavimento. Quella ragazzetta poteva anche aver rovinato il suo piano iniziale, ma lui non aveva comunque intenzione di arrendersi. Si sarebbe preso la testa del vecchio, fosse stata anche l’ultima cosa che avrebbe fatto.


Kate colpì con forza il muro con il pugno, digrignando i denti con così tanta forza da farsi male, e si allontanò dalla porta prima di avere il tempo di cedere alla tentazione di fare qualche sciocchezza.

Quel piccolo, ingrato piratuncolo dei miei stivali… non posso credere che abbia avuto la faccia tosta di parlarmi in quel modo! E io che mi sono data tanta pena per aiutarlo…

Non gli importavano le sue ragioni, e nemmeno il fatto che fosse malato o ferito, e che di conseguenza avrebbe dovuto suscitare in lei quantomeno un po’ di compassione. O’Rourke D. Katherine in quel momento stabilì che due giorni prima aveva preso un grosso abbaglio, che quel ragazzo proprio non lo sopportava, e che mai e poi mai l’avrebbe sopportato.

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Ancora una goccia… Si ripeté Kate, mentre rivoli di sudore le scorrevano lungo il volto per la tensione. Una goccia sola e sarà perfetto…

BOOM!

No, ti prego! Non rovinare tutto!

Troppo tardi. Nella provetta non era caduta una sola goccia, ma più di metà bottiglietta, e adesso il composto era irrimediabilmente rovinato. Dal becher si sollevò pigramente un filo di fumo, e Kate sbatté tutto sul tavolo, con i polsi che tremavano per la rabbia.
- E con questa siamo a sei. – sghignazzò divertito Marco sbirciando la scena dall’oblò.
- PER TUTTI I KAMI, QUESTA STORIA STA INIZIANDO A STANCARMI!
- Dai non prendertela, zuccherino! – cinguettò Izou dalla poltrona su cui era stravaccato da un paio d’ore per tenerle compagnia – Puoi sempre rifarlo, no? Non è la fine del mondo….
- No, è quel tipo ad essere la fine del mondo! E non in senso buono! – esclamò livida la ragazza – Dio del cielo, non lo sopporto più!
Kate stava onestamente cominciando ad averne abbastanza. Quella stufetta a pedali era sulla loro nave da soli tre giorni, e già era riuscito a combinarne di tutti i colori. Da quando si era svegliato aveva tentato di uccidere il babbo già cinque volte, fallendo sempre miseramente, ed ogni volta si era fatto sempre più male. Anzi sei, contando il botto di qualche secondo prima.
Certo, la questione in sé non era poi così fastidiosa, specie se si escludeva tutto l’insopportabile baccano che c’era a bordo da quando quel cerino era in circolazione; no, il vero problema era che poi era a lei che toccava a ricucirlo e bendarlo come una mummia ogni dannata volta! Almeno fosse stato assicurato…
- È davvero un tipo caparbio. – affermò ammirato Marco – Non ho mai visto una tale testardaggine in nessuno, prima d’ora.
- Non è testardo, è solo un idiota. Altro che medico, la baby-sitter gli servirebbe! – tagliò corto Kate, per poi crollare esasperata su una poltrona, in attesa che qualcuno glielo portasse affinché lei potesse prendersi cura di lui. Di nuovo.


La prima volta che aveva attentato alla vita di Barbabianca Ace si era mostrato per quello che era: un pirata nonostante tutto ancora giovane ed inesperto, che aveva commesso l’errore grossolano di sottovalutare il vecchio Newgate.
Aveva provato ad attaccarlo mentre dormiva nella sua cabina, nell'unico momento del giorno in cui per puro caso nessuno dei figli gli gironzolava intorno; si era intrufolato nella stanza, si era avvicinato, aveva sollevato un braccio, stringendo nel pugno un coltello che aveva rubato a tavola, calibrato la forza e affondato dritto nel petto del Capitano. O almeno, ci aveva provato, perché la forza dell'Haki di Barbabianca l'aveva respinto lontano da lui prima ancora che l'arma potesse sfiorargli la pelle, ed Ace si era ritrovato sbalzato contro la parete della cabina, che non aveva retto all'impatto e aveva ceduto sotto il suo peso, facendolo capitombolare sul letto della stanza accanto, dove per la cronaca si trovavano Marco e Izou impegnati a lucidare i pavimenti in maniera poco convenzionale. E chi ha orecchie per intendere, intenda.
Bilancio del disastro? Naso rotto, contusioni varie e una lieve commozione celebrale. Tutto sommato gli era andata bene, aveva constatato Kate mentre mezz’ora più tardi gli premeva senza alcuna gentilezza una borsa del ghiaccio sulla faccia. Si sarebbe anche potuto rompere qualche osso più importante, ma a quanto sembrava quello scaldino aveva parecchia fortuna dalla sua parte.


La seconda volta era stata a dir poco ridicola, così tanto che ogni volta che ripensava Kate non poteva impedirsi di sghignazzare sotto i baffi.
Il cerino aveva deciso di nuovo di colpire di notte, sperando che le tenebre potessero dargli una mano. Quella sera i pirati di Barbabianca avevano approfittato di una serata magnifica per apparecchiare sul ponte e cenare sotto il cielo stellato, e Newgate aveva bevuto parecchio, così tanto che aveva finito per crollare addormentato con la faccia sul tavolo, russando come un trattore.
Ace non si era lasciato scappare quell’occasione: un metro alla volta si era avvicinato al Capitano strisciando come un serpente, acquattandosi dietro ogni anfratto disponibile per coglierlo di sorpresa, e quando ormai gli era arrivato abbastanza vicino si era letteralmente lanciato su di lui da dietro una cassa nell'intento di spingerlo e farlo cadere in mare; purtroppo però era goffamente inciampato sul corpo inerte di Teach che se la dormiva di gusto - e che chiaramente non aveva visto -, e aveva preso il volo finendo dritto dritto in mare. Kate, che fino ad un momento prima era rannicchiata sulle ginocchia di Thatch a sonnecchiare, nel sentire quel baccano aveva fatto un salto e si era precipitata a guardare oltre la balaustra della nave per capire cosa diamine stesse succedendo. La dottoressa non ci aveva messo molto a tirare le somme dell’accaduto, e quando aveva capito era finita a rotolarsi sul ponte in preda alle più grasse delle risate. Solo quando due minuti dopo era riuscita a calmarsi abbastanza da riuscire a stare in piedi si era degnata di svegliare a calci il vecchio pirata sdentato e di mandarlo a recuperare Pugno di Fuoco, per poi svegliare il padre con un bacio sulla tempia e accompagnarlo in cabina con l’aiuto delle infermiere.
- Non ti punisco per stavolta solo perché sei terribilmente esilarante con i tuoi tentativi. – era stata la prima cosa che aveva detto Katherine ad Ace quando era riuscita a farlo riprendere – Ma sappi che la prossima volta non sarò così accomodante.
Bilancio del disastro? In realtà quella volta Ace non si fece sostanzialmente niente, ma a Kate toccò rianimarlo per più di cinque minuti, prendendolo a pugni sul petto per costringerlo a sputare tutta l’acqua che aveva ingoiato.
Sì, tutto sommato anche quella volta gli sarebbe potuta andare peggio.


La terza volta il ragazzo si era dimostrato piuttosto astuto, ma non abbastanza: il piano non era niente male, ma aveva fallito nell'attuarlo.
Ma d’altro canto non avrebbe dovuto restarne sorpreso: Ace aveva notato come il Capitano si fidasse ciecamente dei suoi uomini, e per questo aveva deciso di servirsi, anche se indirettamente, di uno di loro… e fin qui niente di strano. Il problema era stato che, tra tutte le persone che avrebbe potuto scegliere, il pirata aveva pensato di sfruttare proprio l’abilità medica di Kate… quindi non c’era stato da stupirsi se le cose fossero poi precipitate.
Durante la prima colazione aveva trovato il modo di far scivolare un farmaco decisamente letale, sgraffignato dall'infermeria della nave, nel bicchiere di Barbabianca. Un piano brillante, niente da dire… peccato che nella sua messa in pratica era sorto un intoppo.
Una volta avvelenato, infatti, il contenuto del bicchiere si era fatto biancastro, e sul fondo si era depositata una polverina alquanto inusuale, come quella che si forma quando sciogli l’aspirina nell’acqua. Newgate era vecchio ma non cieco, e aveva perciò immaginato che uno dei suoi gli avesse giocato un tiro mancino servendogli dell'acqua salata, e così con una risata tuonante se ne era sbarazzato gettando il bicchiere in mare aperto.
Ovviamente il vecchio non aveva affatto notato il cumulo di pesci morti che si era creato sotto la chiglia della nave, no no. E pensare che poi la gente aveva anche il coraggio di chiedersi perché tutti su quella nave si facevano in quattro per guardargli le spalle.
Realizzando l’ennesimo fallimento, Ace era andato dall'altra parte della nave a progettare il suicidio, ed era stato così assordato dal proprio continuo sproloquiare imbufalito da non aver sentito Kate avvicinarglisi di soppiatto alle spalle; il giovane capo della Divisione Medica dei pirati di Barbabianca l'aveva quindi afferrato rudemente per la collana di perle rosse, e se l'era strattonato contro con rabbia malcelata. 
- Vedi di farla finita. - gli aveva sibilato, le palpebre completamente scomparse dietro gli occhi verdi spalancati - Prima che io finisca te.
Le labbra di Kate si erano mosse ad un soffio dalle sue ed Ace era rabbrividito, e quando la collana era tornata al suo posto sul collo, gli era sembrato che stavolta fosse quella a bruciare sulla pelle.
Bilancio del disastro? Inizialmente inesistente, ma quando tre ore dopo Ace si era ritrovato a vomitare l’anima dal parapetto della nave, era stato a quel punto che il ragazzo aveva imparato quanto potesse essere pericoloso rubare qualcosa dall’infermiera della Moby Dick.
Però, in fondo in fondo, sarebbe potuta andare peggio, no?

 

La quarta volta il pirata era stato scoperto prima ancora di uscire dal suo nascondiglio: si era rintanato in un largo baule vuoto che aveva trovato di fronte all’entrata della cucina. Non poteva certo immaginare che Thatch l'avesse fatto portare lì per riempirlo proprio delle patate acquistate sulla terraferma che aveva intenzione di fargli pelare per punirlo di tutto il baccano che faceva da un po’ di giorni a quella parte! A trovarlo neanche dieci minuti dopo era stata Haruta, che si era premurata di trascinarlo immediatamente per le orecchie fino all’infermeria, dove lo aveva letteralmente scagliato tra le braccia della giovane O’Rourke.
- Be’? Sì può sapere cosa diavolo succede stavolta?! – aveva chiesto indispettita Kate, scrollandosi subito di dosso il ragazzo.
- L’ho beccato di nuovo. – aveva spiegato Haruta – Si era nascosto in una cassa vicino alle cucine.
- E perché lo porti qui da me? Non mi pare ferito.
- Papà ha detto che da oggi in poi questo teppista sarà sotto la tua responsabilità. – aveva risposto Haruta – Quindi ora è compito tuo decidere come punirlo.
- Stai scherzando?! Perché deve toccare proprio a me?!
- Perché sei stata tu a volerlo a tutti i costi con noi, stupida! – la apostrofò indispettita Haruta. A quelle parole Kate si era sentita avvampare fino alla radice dei capelli, ed Ace, che fino a quel momento era rimasto in un sdegnato silenzio, si era voltato a guardarla con gli spalancati, non riuscendo a credere a ciò che aveva appena sentito. Davvero era stata lei a volerlo su quella nave?!
– Io devo andare, sbrigatela da sola. – aveva ordinato intanto Haruta – Ah, dimenticavo: lo so che abbiamo a che fare con una notevole testa calda, ma se puoi fai in modo che queste stupidaggini non si ripetano più.
Detto questo si era voltata e si era diretta verso l’uscita senza dare a Kate il tempo di protestare, lasciando così soli i due ragazzi. Un silenzio imbarazzante era caduto nella stanza, e per spezzare la tensione Kate si era subito girata a fissarlo con lo sguardo più sulfureo del proprio repertorio.
- Sarai contento adesso! Come se non causassi già abbastanza rogne… ora mi toccherà anche farti da balia!
- Non guardare me, sai! Questa storia secca a me quanto a te! – replicò indignato Ace, recuperando il proprio atteggiamento ostile – Che credi!? Non ci tengo affatto ad avere a che fare con un’esaurita come te!
- A chi hai dato dell’esaurita?! – esclamò furibonda la ragazza – Faresti meglio a tenere a posto la lingua ragazzino, perché è solo per merito di mio padre se ancora respiri, non dimenticarlo. Fosse dipeso da me a quest’ora saresti già finito in pasto ai pescecani! – Kate si avviò verso la porta e la spalancò, facendo imperiosamente cenno al pirata di uscire – Ora togliti dai piedi! Stasera salterai la cena, e non andrai a letto fino a quando non avrai lucidato ogni angolo del ponte della nave. Vedremo se stavolta non imparerai la lezione!
Bilancio del disastro? Orgoglio a pezzi, mani e ginocchia ricoperte di calli, e stomaco desolatamente vuoto per più di dodici ore. Molto male, ma tutto sommato… sì, anche quella volta gli sarebbe potuta andare peggio.


La quinta volta che Ace aveva cercato di uccidere Edward Newgate era stato ancora più ridicolo dei precedenti, ma soprattutto era stata quella che aveva fatto incazzare Katherine di più.
Non c’erano stati piani, né strategie quella volta. Semplicemente Ace, dopo aver passato la nottata in bianco e a digiuno a pulire tutto il ponte della nave, per un breve momento aveva perso il lume della ragione e, senza neanche pensare a ciò che faceva, aveva recuperato una scure dall’armeria, fermamente deciso a piantarla nel cranio del vecchio imperatore.
Il ragazzo si era quindi diretto verso la mensa, sapendo che a quell’ora il vecchio era sempre lì a fare colazione con i propri uomini, e senza né cerimonie né convenevoli era piombato nella stanza urlando come un selvaggio, l’arma sollevata e gli occhi allucinati.
Nessuno si era minimamente scomposto davanti a quell’entrata in scena così teatrale, e tantomeno nessuno si era scomposto quando il ragazzo si era improvvisamente addormentato di colpo quand’era ancora in elevazione, e neanche quando il suo corpo inerte aveva disegnato una perfetta parabola nell’aria, respinto da una gioviale manata del vecchio Newgate. No, non era quella scena a farli scattare tutti sull’attenti, bensì quello che era accaduto immediatamente dopo.
Il colpo del vecchio capitano infatti era stato così forte che Ace non solo aveva sfondato il muro della mensa, ma anche quello della stanza accanto, e poi quello della stanza dopo ancora, ruzzolando infine proprio dentro l’infermeria, travolgendo un tavolo al quale proprio in quel momento Kate era seduta a far colazione, avendo infatti il turno di guardia in infermeria. Il ragazzo alla fine, anche se con qualcosa di rotto, era riuscito a riscuotersi dall’attacco narcolettico e a rimettersi in piedi, ma nel momento stesso in cui aveva incontrato lo sguardo della giovane dottoressa aveva immediatamente rimpianto di non essersi rotto il collo nella caduta. La ragazza infatti lo stava fissando con uno sguardo da folle, le narici dilatate come quelle dei tori e le dita delle mani piegate ad uncino, come se avesse voluto strappargli il cuore dal petto con il solo ausilio delle proprie unghie.
Il motivo? Quando aveva rovesciato il tavolo al quale Katherine era seduta, Ace aveva fatto cadere anche il piatto con la sua colazione, e ora la montagna di pancakes con lo zucchero sulla quale Kate stava per avventarsi giaceva tristemente a terra, con lo sciroppo d’acido che si spandeva sul pavimento come sangue.
Inutile dire che a quel punto Kate non ci aveva visto più: aveva quindi afferrato la prima siringa che le era capitata sottomano e, urlando come un’ossessa, aveva cominciato a rincorrere il povero Ace per tutta l’infermeria. Gli altri membri dell’equipaggio intanto si erano radunati quasi tutti vicino al buco nel muro che Ace aveva aperto, ed erano rimasti a spiare la scena, non osando intervenire per fermare quella furia della loro sorellina. Un paio di minuti dopo però le urla della ragazza si erano improvvisamente interrotte e, colti dalla paura che Ace le avesse fatto in qualche modo del male, i pirati si erano precipitati nella stanza, pronti ad intervenire per la salvare la giovane dottoressa.
Ma non avevano trovato un bel niente da salvare: una volta entrati infatti tutto ciò che i pirati avevano trovato era stata la ragazza accasciata su una sedia che tentava di riprendere fiato, e il povero Ace riverso a faccia in giù immobile sul pavimento, che non dava segni di vita.
- Mio Dio, Kate… non l’avrai mica ucciso, vero?!
- Certo che no! – aveva risposto ansimando la ragazza, per poi sventolare la siringa che aveva ancora in mano – Gli ho solo dato una lezione che per un po’ non dimenticherà. E speriamo che non ci riprovi mai più.
- M-ma… cosa c’è in quella siringa? – aveva chiesti Izou con voce tremante.
Kate aveva sollevato l’attrezzo e lo aveva guardato – Mmh… cicuta, a quanto sembra.
- CHE COSA?! - avevano strillato tutti insieme i pirati.
- Rilassatevi! Ha tre ore di tempo prima di morire. Ora vado in cucina a fare colazione, e quando avrò finito gli inietterò subito l’antidoto.
E andò proprio così. Per quanto i pirati avessero insistito per convincerla a curarlo subito, Kate non volle sentire ragioni fino a quando non ebbe finito di fare colazione. Thatch era stato addirittura costretto a prepararle un nuovo piatto di pancakes pur di farla sbrigare, ma alla fine era andato tutto bene, e Ace si era ripreso dopo qualche ora.
Bilancio del disastro? Aver visto la morte in faccia dovrebbe essere un risultato più che soddisfacente, ma in più quando si svegliò Ace si ritrovò con due costole rotte, un grosso bernoccolo, contusioni varie, e in più lo stomaco ancora vuoto. E a quel punto, permettetemi di dirlo, peggio di così non gli sarebbe mai potuta andare.


E invece, Ace non aveva affatto imparato la lezione, e gli sarebbe potuta andare peggio eccome! Due minuti dopo quel botto infatti la porta dell’infermeria si spalancò con un tonfo sordo, e Jaws e Vista entrarono nella stanza sostenendo Ace uno per le spalle e l’altro per le gambe.
- Che ha combinato stavolta? – sospirò Kate andando loro incontro.
- Ha provato a far saltare in aria la poltrona del babbo. – spiegò Vista – Solo che quando la nave ha rollato la bomba è rotolata vicino a lui, e gli è esplosa a meno di due metri di distanza.
- Fantastico… - sospirò di nuovo Kate, non avendo più neanche la forza di arrabbiarsi – Buon per lui che è a prova di fuoco. Dai, mettetelo su una branda, me ne occupo io.
- Subito, capo. – replicò Vista sistemando Ace su un letto, per poi dirigersi verso l’uscita salutandola con un cenno del capo. Kate ricambiò il salutò e si avvicinò al ragazzo esanime, cominciando a studiare le sue condizioni.
Le ci volle poco per capire che il ragazzo non era messo male come sembrava. Come aveva immaginato l’esplosione non l’aveva ustionato, ma si era limitata a lasciargli qualche lieve contusione da trauma sul petto e sulle braccia. Certo, era ancora privo di coscienza, ma se c’era una cosa che Kate aveva imparato di Portgas D. Ace negli ultimi tre giorni era che il ragazzo si riprendeva dai traumi molto più velocemente delle persone normali: quando si sarebbe svegliato avrebbe avuto un brutto mal di testa, ma non ci sarebbero state altre conseguenze. Per certi versi quel ragazzo era un vero prodigio, Kate era costretta ad ammetterlo.
Senza contare che, anche se si sparata un colpo in testa piuttosto che riconoscerlo, la sua determinazione, per quanto idiota e volta a perseguire gli scopi sbagliati, era davvero ammirevole, proprio come aveva detto Marco. Kate non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma forse quel ragazzo non era così pessimo come le era sembrato qualche giorno prima.
- Ehi scaldino, sveglia! Non è il momento di dormire questo! – lo chiamò Kate, scuotendolo ripetutamente per una spalla.
Niente. Ace non si svegliava. Kate non se ne preoccupò, probabilmente per la tensione era stato colpito dall’ennesimo attacco narcolettico. Sbuffando esasperata la ragazza si guardò intorno, e due secondi dopo individuò una brocca colma d’acqua lì vicino. La prese, la sollevò sul viso del pirata e, con estremo piacere, gliela svuotò interamente in faccia.
Ace, com’era prevedibile, non gradì affatto la sveglia. Saltò su urlando come un indemoniato, divincolandosi come se avesse avuto un ragno nelle mutande. Quando realizzò cosa l’aveva svegliato – complice anche il fatto che Kate si stava sbellicando dalle risate proprio davanti a lui – si incupì terribilmente, e la fissò con antipatia.
- Dannata ragazzina…ti diverti proprio ad infierire su di me, eh?
- Sì, devo ammettere che lo trovo molto divertente. – riuscì a pronunciare Kate tra un singhiozzo e l’altro – Ma mi fa piacere che tu stia bene. Se avessi tirato le cuoia dove l’avrei più trovato un altro bravo ad umiliarsi come te?
- Lieto di essere utile a qualcosa, allora. – replicò gelido Ace.
Kate smise di colpo di ridere, colpita dalla sua freddezza. L’aveva offeso? Ma stava soltanto scherzando…
- Ace, senti…
- Sai, mi chiedevo una cosa. – la interruppe Ace con tono sarcastico – Soffri per caso di uno di quei disturbi strani che di solito ti fanno finire in manicomio con addosso una camicia di forza, o sei semplicemente una sadica aguzzina che si diverte a vedere gli altri soffrire e dannarsi?!
Kate spalancò gli occhi – Ace, io…
- So quello che pensi di me. Pensi che io sia un ingenuo senza speranza che sta inseguendo un sogno impossibile. Non è così?! – la interruppe di nuovo Ace – Be’, ora lascia che ti dica cosa penso io di te: tu, mia cara, non sei altro che una ragazza maligna e psicopatica. Non mi sorprende il fatto che tu passi la maggior parte del tempo qui dentro da sola! Chi vorrebbe passare più dello stretto necessario con una mocciosa pestifera e insolente come te?!
Kate lo fissò incredula, incapace di spiccicare parola. Davvero Ace pensava quelle cose di lei? D’accordo che non aveva il carattere più amabile del mondo, però…
Le ultime parole del ragazzo le risuonarono nelle orecchie con un attimo di ritardo, e la dottoressa sentì una rabbia fredda oscura montarle nel petto. Gli insulti li poteva anche accettare, ma quell’ingrato piratuncolo da quattro soldi non l’aveva semplicemente insultata, l’aveva giudicata senza sapere un accidente di lei. E questo, perdio, non lo poteva accettare.
Raddrizzò perciò la schiena, afferrò un flacone che si trovava là vicino e glielo ficcò in mano senza alcuna gentilezza – Fuori di qui, stufetta. Fatti male un’altra volta, e giuro che l’unica cosa che potrà darti sollievo sarà il suicidio. Non voglio rivederti qui dentro per nessun motivo, mai più.
Non aspettò che il ragazzo se ne andasse, non era sicura di poter reggere oltre. Gli voltò le spalle e camminò pesantemente verso l’uscita, gli occhi umidi e lo stomaco contratto.


Ace era seduto sulla balaustra ad ammirare il tramonto con aria assorta, ripensando nel frattempo a quello che era successo in infermeria, il viso involontariamente contratto in una smorfia sofferente. Le contusioni su petto gli facevano un male cane, ma il ragazzo aveva il vago sospetto che a procurargli tutto quel dolore non fossero solo le ferite, ma anche quei fastidiosi sensi di colpa che gli stavano serrando lo stomaco.
Forse aveva esagerato. In fondo Katherine aveva tutte le ragioni per non essere gentile con lui… da qualunque punto la guardavi, la cruda e amara verità era che da tre giorni a quella parte Ace non aveva fatto altro che attentare alla vita del suo capitano. Chiunque si sarebbe come minimo risentito… e invece lei, per quanto i suoi modi fossero stati bruschi e impazienti, si era presa cura di lui ogni volta, pulendo e fasciando ferite, controllandolo continuamente e preoccupandosi per lui.
Forse l’aveva giudicata troppo in fretta. In fondo lui che sapeva di lei? Niente. L’aveva presa in antipatia fin dal primo momento, ma solo perché quel giorno gli aveva impedito di battersi con Barbabianca; obbiettivamente però, al di là della propria opinione riguardo a quella decisione, Ace non poteva ignorare il fatto la ragazza avesse agito in buona fede, salvandolo se non da una umiliante sconfitta, quantomeno da una morte lunga e dolorosa…senza contare che non aveva mai fatto nulla per danneggiarlo seriamente, nemmeno quando avrebbe avuto tutto il diritto di farlo.
Ace sospirò, e stringendo il pugno si accorse di avere ancora in mano il flacone che la ragazza gli aveva messo in mano prima di cacciarlo dall’infermeria. Lo aprì, incuriosito… e vi trovò all’interno una crema rosata molto profumata, e vide che sul lato interno del tappo c’erano delle istruzioni su come usarla. Un unguento.
Ma perché glielo aveva lasciato? Lui l’aveva appena insultata e denigrata, e lei gli dava un antidolorifico per le sue ferite?! Ace avvertì senso di colpa aumentare fino a schiacciargli il petto. Sì, doveva decisamente chiederle scusa.
Sentì delle voci parlottare lì vicino, e alzò lo sguardo. Vide Jaws e Vista chiedere qualcosa a Katherine, vide lei annuire in silenzio. La ragazza era pallida e seria, e il suo volto era così rigido da impassibile da non avere nulla da invidiare a quello di una statua.
Raccogliendo tutto il coraggio che aveva e prendendo un bel respiro, nel momento in cui Jaws e Vista si allontanavano, Ace le si avvicinò. La dottoressa non dette segno di averlo notato, e Ace dovette farsi violenza per non scappare a gambe levate ed evitare il suo sguardo accusatore.
- Ehm, Katherine?
Lei si voltò lentamente verso di lui, il volto scolpito nella pietra.
- Ehm, ecco, io… - balbettò Ace – Io volevo, uhm, scusarmi per prima…sì, insomma…
- Non hai niente di meglio da fare che stare qui a tartagliare come un beota? – lo freddò Katherine con una voce che sembrava importata dal Polo Nord – Quand’è così, vai in cucina a dare una mano agli altri. Qui non facciamo carità, finché resti su questa nave devi renderti utile.
E così com’era comparsa se ne andò, lasciandolo là come un palo.
Be’, immagino di essermelo meritato. Sospirò rassegnato Ace, avviandosi sottocoperta.

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- Lo sai, se avessi immaginato che averti a bordo avrebbe comportato per me una maternità precoce, ti avrei ucciso mandandoti in overdose di anfetamine finché eri ancora fuori combattimento. – affermò Kate con tono sarcastico. – Voglio dire, almeno fino a quando la pancreatite non ti avesse stroncato ti saresti sballato un po’, e ti saresti anche potuto illudere di essere finito in paradiso.
Ace chinò la testa con aria colpevole, non trovando parole per discolparsi. Kate diceva la verità, da quando era arrivato sulla Moby Dick – e cioè ormai da quasi due settimane – Ace aveva trascorso più tempo lì in infermeria con Kate che in qualsiasi altro posto, letto e mensa compresi. Non era stata una cosa voluta, si ripeteva, ma un semplice danno collaterale. A dispetto di tutti fallimenti che aveva collezionato da quando era arrivato lì, Ace infatti non si era ancora arreso, e aveva continuato con i suoi ridicoli tentativi di prendere la testa del vecchio Newgate.
Però le cose non era più come prima: nessuno infatti prendeva più sul serio quei tentativi ormai, neppure lo stesso Ace, che continuava a provarci per pura cocciutaggine, e per il puro e irrazionale desiderio di non contraddirsi da solo; perfino il suo approccio ormai era stanco, quasi svogliato, come quello di uno studente che fa i compiti a casa non per dedizione ma per semplice senso del dovere, e nemmeno tanto sincero. Ovviamente questo non gli impediva comunque di farsi male continuamente, anzi era proprio perché ormai un po’ alla volta stava perdendo interesse che si feriva nei modi più strani, perché non prestava più neanche attenzione a quello che faceva.
Erano state molte le motivazioni che, un centimetro alla volta, avevano demolito la determinazione di Ace: tanto per cominciare il ragazzo, dopo i primi, febbrili giorni trascorsi a progettare piani di omicidio, era rimasto sorpreso dalla libertà di cui continuava a godere sulla nave nonostante tutti quei tentativi di far fuori Barbabianca: dopo il primo invito ufficiale del vecchio ad unirsi alla ciurma non era più stato imprigionato, e i pirati gli lasciavano libero accesso a tutte le stanze; inoltre si comportavano con lui come se fossero amici di vecchia data, con quell'affetto cameratesco che da sempre unisce i compagni. A volte era stato punito, ma era stata quasi sempre Katherine a rimbeccarlo, e in ogni caso le sue punizioni non erano mai state né severe né tantomeno crudeli. Erano state le punizioni che di solito si danno a chi è già un tuo compagno, non ad un nevrotico ed ostile omicida che non aveva fatto altro che portare trambusto da quando era arrivato.
Poi c’era Barbabianca: all’inizio Ace lo aveva odiato solo perché aveva desiderato ucciderlo, prima semplicemente per ciò che questo avrebbe comportato, e poi per la rabbia che la consapevolezza della modestia della propria forza paragonata a quella di Barbabianca aveva scatenato in lui, ma ora doveva ammettere che il vecchio stava cominciando a piacergli. Edward Newgate, contro ogni previsione, si era dimostrato un uomo incredibilmente spensierato e gentile, e un capitano premuroso e affettuoso nei confronti dei suoi sottoposti. Ace non avrebbe mai potuto immaginare che un uomo tanto temuto potesse essere così, ma a quanto pareva era stato costretto a ricredersi.
E poi c’era lei, Katherine. Ace non poteva negare a sé stesso che quella ragazza fosse parecchio strana. Era scorbutica, impaziente e indisponente, ma era altresì innegabile che avesse una natura gentile, più di quella della maggior parte delle persone. Dopo quel litigio la ragazza lo aveva accuratamente evitato per una settimana, ma alla fine, anche grazie all’insistenza di Barbabianca, il ragazzo era stato riammesso nell’infermeria. La scusa ufficiale era stata che, se non avesse ricevuto cure opportune, ben presto l’unico modo che sarebbe rimasto per tenerlo insieme sarebbe stato usare una sparapunti, ma Ace sospettava che, a dispetto del suo pessimo carattere, la ragazza fosse semplicemente troppo buona per mantenere il broncio troppo a lungo.
Ace ne era stato contento. Si era sentito davvero molto in colpa per il proprio comportamento, senza contare che quella ragazza a conti fatti ormai non gli dispiaceva più così tanto.
- Si può sapere cosa hai combinato, stavolta? – gli chiese Kate, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Aveva appena finito di estrargli le schegge di vetro dalla spalla, e ora gli stava disinfettando i tagli. – Hai forse litigato di nuovo con Jaws per decidere a chi toccava l’ultima bottiglia di sakè?
Ace ridacchiò imbarazzato – No, ho tentato di nuovo di uccidere Newgate. Ma ho fallito ancora.
- Ma va’! – sogghignò beffarda Kate – E cosa ti sei inventato stavolta?
Ace distolse lo sguardo, e rispose in fretta arrossendo impercettibilmente – Volevo rompergli una bottiglia in testa, ma sono inciampato e ci sono caduto sopra.
Kate scoppiò a ridere gettando la testa all’indietro – Non so se sia più giusto considerarti uno sfigato perché non te ne va mai bene una, o un tipo fortunato perché in un modo o nell’altro ne esci sempre vivo. – dichiarò terminando di fasciarlo – Se non sapessi che è una cosa scientificamente impossibile, potrei giurare sul fatto che sei immortale.
- Ammettilo che la cosa ti rende felice! – finse di lamentarsi Ace – Finché sei sicura che non sono immortale, hai ancora una speranza di poterti liberare di me. Ragazza crudele…
- Accidenti, sono davvero così prevedibile? – chiese la ragazza con finto tono deluso, per poi porgergli un bicchiere colmo di un liquido marroncino. – Antisettico. Butta giù tutto d’un fiato.
Ace obbedì e ingoiò. Kate annuì soddisfatta e gli tolse il bicchiere di mano – Bene. A questo punto non sarebbe male una buona notte di sonno...  sempre che tu riesca ad arrivare in camera tua senza farti saltare le dita dei piedi o cavarti qualche occhio, è chiaro. – la ragazza recuperò il capello arancione del ragazzo e glielo calcò in testa. - Va’ a letto, su. E, se possibile, cerca di non venire a rompere le scatole prima delle nove di domani mattina.
- Non prometto nulla, ma ci proverò – sospirò Ace, dirigendosi verso l’uscita. – ‘Notte, Kate.
- ‘Notte.
La porta si chiuse alle spalle del pirata, e Kate prese un panno pulito imbevuto di disinfettante e gli attrezzi che aveva appena usato, e con un sospiro gratificato si lasciò cadere su una sedia, accingendosi a dare una ripulita a tutto.
Quel ragazzino… a Kate sembrava impossibile che, a dispetto di tutto ciò che aveva passato, fosse ancora lì. Doveva aver fatto un patto col diavolo o qualcosa di simile per poter essere ancora vivo… o magari erano stati i kami a mandarlo, per fargliela pagare di tutti gli scherzi che aveva combinato su quella nave negli ultimi sei anni. Gli altri membri dell’equipaggio lo pensavano di sicuro… forse era proprio per quello che l’avevano preso tanto in simpatia sin da subito, constatò la ragazza con divertito senso ironico.
- Ehi, Kate!
Kate lanciò un urletto di sorpresa e mollò d’istinto le pinzette che aveva in mano, che caddero a terra con un tintinnio. Marco attraversò la stanza a grandi passi e le raccolse, porgendogliele poi con un sorriso – Cosa c’è che non va, sorellina? Ero venuto a cercarti per darti la buonanotte… è successo qualcosa?
- Eh? Ma no, no, figurati! Mi hai solo colta alla sprovvista, tutto qui! – balbettò Kate, afferrando le pinze con mano tremante.
Marco strinse le labbra e assottigliò lo sguardo, studiandola con aria scettica. Kate cercò di sfuggire al suo esame, ma gli occhi del pirata le stavano praticamente aprendo un buco in fronte.
- Che cos’era quel sorriso che avevi quando sono entrato?
Kate alzò di scatto il viso, guardandolo confusa – Eh? Quale sorriso?
- Quello che avevi prima! Stavi sorridendo con aria sognante, e ti brillavano anche gli occhi…
- Eh? M-ma che dici?! – inorridì Kate, sentendo le guance in fiamme – T-te lo sarai immaginato di sicuro! Dai, andiamo a letto, che è mezzanotte passata!
E senza attendere la risposta del ragazzo saltò dalla sedia come una molla e si avviò a passo spedito verso l’uscita trascinandosi dietro anche Marco, che iniziò a protestare per il suo malgarbo.
Kate lo ignorò, agitata. Improvvisamente sentiva un gran bisogno di una doccia fredda, di una tonnellata di biscotti con lo zucchero, e magari anche di una bella camomilla che l’aiutasse a lasciarsi andare alle braccia di Morfeo, così da farle dimenticare il più in fretta possibile quell’improvviso e inspiegabile sfarfallio che le aveva invaso lo stomaco.

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- Insomma stufetta, hai intenzione di dirmi che problemi hai, o devo spedirti in fondo al mare a fare da cena a qualche pesce?!
Solo quando si sentì rivolgere quella domanda seccata Ace si decise ad alzare lo sguardo, degnando finalmente della propria attenzione la ragazza che era lì accanto a lui da più di cinque minuti, e che prima di allora l’aveva chiamato inutilmente già tre volte. Katherine lo stava fissando dall’alto con aria decisamente bellicosa e indagatrice, un specie di fascio di nervi formato sedicenne pronto ad esplodere, mentre lui fino ad un attimo prima se ne stava defilato sul ponte, seduto per terra a testa china a riflettere in perfetto silenzio. Sì, ho detto fino ad un attimo prima, perché ora Katherine era andato a disturbarlo, costringendolo ad abbandonare il corso dei propri pensieri e a sollevare la testa, causando così in lui un inevitabile moto di stizza.

Se combino guai e faccio chiasso non è contenta, se rimango tranquillo e me ne sto per conto mio senza infastidire nessuno non è contenta comunque! Mi piacerebbe sapere cosa dovrei fare per non incorrere continuamente nei suoi attacchi isterici!

- Be’?! Io aspetto una risposta, fiammifero!
- Non ho nessun problema, Katherine. – mentì con aria cupa Ace – Voglio solo starmene un po’ per conto mio a riflettere in santa pace. È forse chiedere troppo, Comandante?
Una vena iniziò a pulsare sulla fronte della ragazza, che gli fece un sorriso irritato – No, certo che non è chiedere troppo…ma non credo che sia chiedere troppo neanche rispettare gli appuntamenti! Ti avevo detto di farti trovare in infermeria per un controllo almeno due ore fa, e dopo averti aspettato per tutto questo tempo che cosa scopro?! Che tu sei sempre stato qui a fissare il vuoto come se niente fosse, lasciandomi in infermeria ad aspettare e a perdere tempo come una stupida! – la ragazza strinse i pugni – Scaldino, sappi che se vuoi morire non serve provocare, basta chiedere.
Ace ascoltò quello sfogo isterico con una pazienza che mai fino ad un mese prima avrebbe sospettato di possedere. Fino ad un paio di settimane prima se la ragazza gli si fosse rivoltata contro in quel modo Ace non ci avrebbe pensato due volte a voltarle le spalle e ad andarsene - anche non prima di averla spedita a farsi un giro, ovviamente -, irritante com’era il suo modo di fare. Ora però un po’ alla volta cominciava a conoscerla meglio, e soprattutto ad imparare a cancellare e rielaborare le parole che le uscivano dalla bocca, eliminando sistematicamente il suo tono perennemente seccato o sarcastico, come si fa quando si toglie l’uvetta dal panettone. Ad esempio aveva imparato che se Kate ti minacciava di morte, non significava che era arrabbiata con te; al contrario, voleva dire che era in pensiero per te per un qualche motivo, solo che era troppo imbarazzata o turbata per manifestarlo come le persone normali. Ormai Ace questo lo aveva capito, ecco perché quando Kate gli parlava così non si offendeva più… tuttavia più passava il tempo, e più il pirata si convinceva che l’unico uomo che potesse avere la pazienza di starle accanto sarebbe stato una sua copia al maschile. O magari un santo martire, anche se non ne era completamente sicuro.
Era davvero strano, ma in qualche modo negli ultimi tempi i due ragazzi avevano cominciato ad essere amici. Amici forse un po’ strani, ma tant’è…
Non volle risponderle però, non era sicuro di avere la forza d’animo per sostenere una conversazione con quella strana ragazza, in quel momento. A quel punto Ace si sarebbe aspettato che Kate gli mollasse un pugno in testa o qualcosa del genere, e invece la ragazza si limitò a sedersi accanto a lui, addolcendo visibilmente la sua espressione e forzando addirittura un sorriso rassicurante. Ace la fissò sconcertato con gli occhi spalancati, e lei si sistemò una ciocca dietro l’orecchio, chiaramente a disagio.
- Scusa se sono scattata così, è solo che sono preoccupata, e visto che non ti conosco bene, non so da che verso prenderti. – ammise la dottoressa evitando il suo sguardo, ed Ace sgranò ancora di più gli occhi. Doveva essere per forza un miracolo, gli pareva quasi di vedere gli angeli che le volavano intorno e intonavano un Gloria a Dio. - Non vuoi dirmi cos’è che non va? Magari ti posso aiutare…
Ace sospirò. Lei la faceva facile. Tra le altre cose, Ace aveva notato che la ragazza aveva un modo davvero strano di affrontare le difficoltà, di qualunque natura fossero… sembrava incredibile anche solo pensarlo, ma la ragazza sembrava considerare i problemi alla stregua di quesiti matematici. Per Katherine ogni problema aveva una soluzione, il che poteva essere anche condivisibile, ma a mente fredda, e di certo non quando nei problemi c’eri dentro fino al collo. Lei invece non si scomponeva mai davanti a niente, e tantomeno faceva mai storie di nessun tipo se c’era qualcosa che non andava. Prendeva provvedimenti e basta.
Ace la invidiava. Avrebbe voluto essere capace anche lui di un tale autocontrollo… come fai a prendere provvedimenti su due piedi, se ti senti un fallito e un incapace per non essere riuscito a scalfire neanche l’avversario che avevi intenzione di uccidere? D’accordo che Ace ormai non provava più alcun desiderio di danneggiare Barbabianca, ma lo smacco della sconfitta restava comunque. Senza contare che questo aveva riportato alla mente pensieri ancora meno piacevoli, e che avevano come protagonista l’ex Re dei Pirati…
- Allora? – insistette Kate.
Ace sospirò di nuovo. Gli sarebbe piaciuto tanto potersi confidarsi con qualcuno… detestava l’oppressione al petto che gli causava il doversi tenere tutto dentro. Ma lui aveva parlato della storia del padre solo Rufy e Sabo fino ad allora, e anche se negli ultimi tempi lui e Katherine avevano cominciato ad andare d’accordo, a tutti gli effetti la ragazza era ancora un’estranea per lui. Come l’avrebbe presa se avesse saputo? No, Ace non poteva rischiare. Aprì la bocca per dirle che non c’era nulla che non andava, ma lei non gli permise di parlare.
- Se non vuoi dirmi qual è il problema va bene, ma non farti neanche passare per la mente l’idea di mentirmi. – lo freddò – È una cosa che non sopporto. Potrà sembrarti un’ovvietà, ma preferisco sempre una scomoda verità ad una bella bugia.
Ace sentì qualcosa di oscuro agitarsi in lui – Ah, davvero? – chiese con tono provocatorio – Preferisci la verità, hai detto? E se la mia verità fosse orribile, la peggiore di tutte, la preferiresti comunque ad una bugia?
- Certo che sì! – replicò convinta Kate, guardandolo poi perplessa– Scusa, ma tu non sei un pirata?
- Sì, ma che c’entra…
- C’entra, perché io credevo che i pirati inseguissero la libertà…
- E infatti è così!
- E quale libertà insegui, se non puoi sopportare nemmeno la verità?
Ace la fissò allibito. Non poteva uscirsene così, non era valido! Tentò disperatamente di trovare una replica decente, ma non gli venne in mente nulla.
- Sei una pessima ascoltatrice, sappilo. – disse alla fine, più che altro per non lasciarle l’ultima parola.
- E tu un pessimo pirata, allora. – replicò pronta lei, le labbra piegate in un sorriso pestifero. – Ma d’altro canto questo era di dominio pubblico…
- Ma come sei spiritosa! – esclamò Ace seccato, tirandole un pizzico sul braccio. A quel gesto Kate però si raggelò, e gli puntò in faccia uno sguardo omicida.
- Ok, dì le tue ultime preghiere.
- Ma cosa...? – fece Ace confuso, per poi lanciare un gridolino di stupore quando Kate gli dette una spinta e lo fece cadere all’indietro, per poi saligli sopra a cavalcioni e affondagli le unghie in una spalla.
- Ahi! – esclamò Ace, più per la sorpresa che per il dolore – Ma che…?
- Faresti bene a difenderti, perché ho appena cominciato! – decretò Kate, sollevando di nuovo una mano per graffiarlo. Ace stavolta però non si fece cogliere impreparato, e rotolò via per sfuggire agli artigli della ragazza. Non aveva considerato però che Kate gli stava ancora sopra e soprattutto quanto fosse minuta e leggera, e quindi finì per trascinarsela appresso. Ben presto i due ragazzi finirono a rotolarsi sul ponte in una lotta per la supremazia, ridendo e picchiandosi come bambini dell’asilo, fino a quando Ace non riuscì a bloccarla sotto di sé con tutto il proprio peso, fermandole i polsi ai lati del corpo.
- Ah! Presa! – esultò Ace trionfante.
- Sicuro? – sogghignò Kate, per poi cominciare a muovere le dita delle mani sulla pelle del pirata. Ace la guardò senza capire, ma quando il suo corpo cominciò a reagire al tocco della giovane ormai era troppo tardi.
- AH! No, ti prego, no! Tutto, ma il solletico no! – esclamò agitato il pirata, tentando di sfuggirle, ma lei lo trattenne imprigionandolo tra le sue gambe.
- Dove scappi?! Ti meriti una lezione!
- Non vale, non vale! – rantolò Ace tra uno spasmo e l’altro – Giochi sporco!
- Solo perché a te piace essere giocato!
- Dai, smettila! – rise Ace disperato. Quella serpe ci stava davvero prendendo gusto! – Ti prego! – implorò.
- Solo se ti arrendi!
- Mi arrendo, mi arrendo! Basta, per favore! – supplicò Ace, e solo allora Kate si decise a lasciarlo in pace, liberandolo anche dalla sua presa senza smettere di ridere.
- Chi l’avrebbe mai detto… - riuscì a dire tra una risata e l’altra – Il grande Ace Pugno di Fuoco… sconfitto dal solletico! Che dici, ora me la merito anch’io una taglia e un manifesto da ricercato?
Ace non le rispose, si limitò a grugnire qualcosa di indefinito, e lei rise ancora più forte.

Devo ammettere che quando ride è davvero bellissima… Pensò ammaliato Ace, ammirandola mentre la luce del tramonto le illuminava il volto e le incendiava i capelli. Il rosa sulle guance le dona moltissimo… e gli occhi le brillano così tanto che sembrano quasi smeraldi veri…

Il ragazzo trasalì e smise del tutto di pensare quando Kate gli si avvicinò ancora di più e gli infilò una mano tra i capelli sparati in mille direzioni per sistemarglieli, il volto addolcito da un sorriso divertito.
– Guarda che disastro… sembra quasi che tu abbia lottato con una tigre!
- Perché, con chi ho lottato invece?
- Divertente! – rise Kate – Dai, scendiamo in sottocoperta, vediamo se possiamo dare una mano per la cena.
- Ma… e il controllo? – chiese Ace deluso. All’improvviso non voleva per nessun motivo al mondo interrompere quel momento, anzi, avrebbe voluto che durasse per sempre.
- Credo di aver avuto ragione del fatto che sei in perfetta salute, stufetta. – rispose Kate con un altro sorriso – Su andiamo, razza di lavativo!
- Ma… non volevi sapere a tutti i costi cosa sto nascondendo? – insistette Ace, trattenendola per un braccio. Forse era solo la foga del momento, ma se prima non avrebbe confessato quella verità per nessun motivo al mondo, ora voleva dirglielo, voleva che lei sapesse, che lo conoscesse. E in più era pronto a fare qualunque cosa pur di restarle vicino ancora per un po’, anche solo per qualche minuto.
Ma Kate questo non sembrò capirlo. Gli fece un sorrisetto furbo e gli dette un leggero pugno giocoso su una spalla – Me lo racconti un’altra volta. Ora andiamo.
E si allontanò, lanciandogli di tanto in tanto un’occhiata per invitarlo a sbrigarsi. A quel punto Ace non poté fare altro che rassegnarsi, e trascinando leggermente i piedi si diresse verso la porta, dove Kate lo aspettava, e per la prima volta da quando era arrivato su quella nave, si interrogò sul proprio futuro.

Cosa farò adesso?

 
🔥

- Marco? – chiamò Kate con tono perplesso – Ehi Marco, ce l’ho con te! Ma mi ascolti?!
Marcò trasalì, beccato con le mani nel sacco a pensare ad altro. Erano nella mensa per il pranzo, e ormai era da dieci minuti che stava rimestando la sua zuppa di pesce senza accorgersene - Scusami, no. Cosa dicevi?
Kate gli lanciò un’occhiata esasperata, mettendosi seduta più comoda sulla panca e posando la forchetta che aveva in mano. Si passò con nonchalance una mano tra i capelli, e senza farsi notare fece un cenno nella direzione dove fino ad un momento prima stava guardando Marco – Ti ho chiesto se non pensassi anche tu che Ace negli ultimi giorni è davvero strano. E da come lo stavi fissando, credo proprio che la risposta sia sì.
Marco sospirò, lasciando cadere le spalle. Certo che lo pensava, e non era il solo. L’avevano notato praticamente tutti sulla nave, perfino quel babbeo di Teach. E avevano notato anche il perché Ace fosse così strano, ed era proprio per questo che Marco era così preoccupato. Per questo, e anche perché Kate invece era l’unica che non l’aveva capito affatto, cosa che non era per niente da lei… a meno che non stesse facendo la finta tonta nel tentativo di girare intorno al problema, eventualità di certo plausibile.
Ace in quei giorni era sempre con la testa tra le nuvole: parlava poco, si distraeva spesso, pareva tormentato da chissà quali dubbi, e aveva smesso ormai del tutto con i suoi tentativi di ammazzare Barbabianca. Era chiaro che ormai quella storia non gli interessava più… eppure non sembrava per niente intenzionato ad andarsene.
All’inizio Marco aveva ipotizzato che il ragazzo avesse iniziato a valutare l’idea di accettare l’offerta di Barbabianca di unirsi alla ciurma… e probabilmente in parte Ace ci stava pure pensando, ma non era questo che lo tratteneva lì, e il Comandante della Prima Divisione l’aveva capito quando aveva visto come Ace guardava il Comandante della Divisione Medica.

Il mitico Pugno di Fuoco s’è preso una bella cotta per la Mocciosa Malefica.

Quando quel pensiero l’aveva colpito, Marco aveva riso di sé per quella teoria pazzesca. Kate era ancora una bambina! Non avrebbe mai potuto suscitare l’interesse di nessuno…
E poi aveva realizzato che ad essere pazzesca era quell’assurda convinzione. Ormai Katherine aveva sedici anni, e non era più la bambina sempre arruffata e gracilina che era stata. Al contrario, era diventata molto bella anche se ancora un po’ acerba, ed in più era intelligente, sicura di sé, e il suo senso dell’ironia affascinava perfino lui che era un uomo maturo e suo fratello maggiore, figuriamoci che effetto avrebbe potuto avere su un giovane diciassettenne. Senza contare che ormai era più di un mese che gli faceva da crocerossina… forse era un po’ strano il fatto che Ace riuscisse ad ignorare il fatto che quell’adolescente fosse Satana in persona però più pestifera, ma in fondo è risaputo che quando ti prendi una sbandata per qualcuno la tua razionalità prende le ferie e ti abbandona, lasciandoti in balia dei sentimenti e degli ormoni.
Chissà cos’era successo tra quei due… Marco era pronto a giurare sul fatto che dal punto di vista fisico non c’era stato assolutamente nulla tra loro, eppure in qualche modo, volontario o involontario che fosse stato, Kate doveva aver fatto breccia nel cuore del pirata, a giudicare dall’aria imbambolata che aveva sempre il ragazzo quando la giovane dottoressa era nei paraggi. Quello che non era chiaro però era se Katherine ricambiava l’interesse o no, visto che come al solito i suoi pensieri erano più impenetrabili di una cassaforte.
- Sto iniziando seriamente a preoccuparmi. – gli stava dicendo intanto Katherine. – Ormai è da un pezzo che non attenta alla vita di papà, eppure continua lo stesso a farsi male in continuazione, e in modi sempre più strani. Te l’ho detto che ieri è piombato in infermeria perché l’aveva punto una medusa? Ma come cavolo fa a farsi pungere da una medusa uno che non sa nemmeno nuotare?

Lo so io perché si fa male in continuazione… Pensò Marco, fissando Kate quasi intenerito. Beata ingenuità.

- Ho capito. Non mi stai ascoltando. – decretò seccata Katherine, prendendo il proprio vassoio e alzandosi – Prima Ace, adesso tu… mi chiedo cosa stia prendendo a tutti quanti nell’ultimo periodo.
Marco si riscosse e allungò una mano per fermarla, ma Kate si era già allontanata. Marco si accasciò con un sospiro, e allontanò il vassoio da sé. Non capiva perché, ma quella faccenda lo impensieriva parecchio, molto più di quanto avrebbe dovuto. Forse era semplicemente il suo istinto da fratello maggiore… ma allora perché era per Ace che era in pensiero, e non per Kate?
- Vorrei tanto sapere cosa si è messo in testa quel ragazzino. – sibilò una voce furibonda alle spalle di Marco – Spero per lui che non stia facendo pensieri strani sulla mia piccola, perché se così fosse potreste ritrovarvelo nel piatto sotto forma di spezzatino all’ora di cena, dico sul serio.
- Oh andiamo Thatch, non ti sembra di esagerare un po’? – chiese Marco voltandosi verso il fratello – Kate ha sedici anni, ormai. Non è più una bambina!
- Potrebbe averne anche trenta, per me non farebbe alcuna differenza. Resta sempre la mia bambina! – dichiarò convinto Thatch – E poi ha solo sedici anni, è ancora piccola! E se a quel bamboccio venisse in mente di approfittarsi di lei?!
- Credevo ti piacesse Ace. – constatò tranquillamente Marco.
- E continuerà a piacermi, ma solo fino a quando terrà le mani in tasca e gli occhi a terra. Kate sta diventando un tale bocconcino… come vuoi che faccia a non preoccuparmi?! Non sono mica tutti dei gentlemen come me…
- Ma figurati. Anzi, a dir la verità io sono più preoccupato per Ace che per Kate. Se Ace non impara in fretta come funziona con lei, la nostra sorellina se lo mangerà crudo in due minuti.
- Tu non conosci Kate come la conosco io. – protestò testardo Thatch – La nostra sorellina potrà anche essere sveglia come la fame quando si tratta di imbrogliare la gente o di diagnosticare una malattia, ma quando si parla di sentimenti o cose simili è più ingenua di una bambina dell’asilo. L’hai visto anche tu, è l’unica a non aver capito nulla di quello che sta succedendo!
Malgrado tutto Marco dovette convenire con lui – E quindi cosa vorresti fare? Minacciare di morte Ace se si azzarda ad avvicinarsi a più di tre metri da lei? Questo non è giusto. Anche ammesso che Ace stia davvero pensando a cose strane, che colpa possiamo fargliene? Prima o poi Kate dovrà innamorarsi di qualcuno, e Ace è un bravo ragazzo…
- No, no e ancora no! Kate è ancora troppo giovane, e…
- Davvero? Prova a dirle che non deve innamorarsi di lui, allora. Voglio proprio vedere come farai a convincere un’adolescente ribelle come nostra sorella del fatto che è possibile reprimere i sentimenti con l’ausilio della ragione.
Thatch impallidì – Vuoi dire che… secondo te siamo già a questo punto?!
- Non lo so. – ammise Marco – Ma credo che dovremmo cercare di scoprirlo.
- E come?
- Forse lo so io. – disse Marco alzandosi – Ci vediamo tra mezz’ora nella cabina di papà. Di’ anche a Kate di venire.
- Che hai in mente?
Marco sorrise enigmatico – Vedrai.


I tre comandanti erano seduti l’uno affianco all’altro su un divanetto di fronte al letto del padre; anzi, a dir la verità Kate era seduta praticamente sulle ginocchia di Thatch, poiché il divano era piuttosto stretto, e in tre non ci stavano. Thatch sembrava piuttosto nervoso, e stringeva una mano intorno alla vita di Kate con aria innaturalmente apprensiva, e la ragazza lo fissava con confusione mista a sospetto, mentre Marco era calmo e pacato come sempre.
- Ebbene ragazzi? – chiese un Barbabianca stravaccato sul un gigantesco divano davanti a loro – Sono tutto orecchie. Di cosa volevate parlarmi?
- Sì, vorrei saperlo anch’io. – intervenne Kate, che aveva percepito la tensione nell’aria e stava iniziando a preoccuparsi.
- È presto detto. – rispose Marco, prendendo in mano la situazione – Si tratta di Ace.
Al pirata non sfuggì la reazione della sorella: la ragazza sì voltò di scatto verso di lui, e con gli occhi leggermente spalancati aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito serrando le labbra, come se si stesse imponendo il silenzio.

Interessante.

- Perché, cos’ha combinato stavolta? – chiese divertito Barbabianca, che ormai si era abituato ai guai che combinava il ragazzo.
- Niente. Ed è proprio questo il punto. – spiegò Marco con calma – È chiaro che ormai non è più intenzionato a tentare di ucciderti, ma non ha ancora detto nulla sul fatto di andarsene, e tantomeno ha ancora accettato la tua proposta. Non pensi che sarebbe il caso di risolvere la questione una volta per tutte? – chiese la Fenice. Kate impallidì leggermente, e si morse le labbra, sulle spine.
- E tu come suggeriresti di risolverla? – chiese Barbabianca dopo un attimo. Marco notò subito la luce di malizia che ora brillava negli occhi del padre, e capì che il vecchio aveva intuito il suo piano. Un sorriso furbo curvò allora le labbra del pirata mentre diceva:
- Be’, io direi che quel moccioso ha abusato abbastanza della nostra ospitalità. E visto che non ha ancora mostrato di volersi unire alla ciurma, forse sarebbe il caso di non trattenerlo oltre e di riaccompagnarlo a terra…
- NO! – lo interruppe Kate quasi urlando. Tutti si voltarono di scatto a guardarla – due compiaciuti, e uno scioccato -, e la ragazza si morse di nuovo le labbra nel tentativo di riprendere il controllo, così forte che quasi si ferì – Voglio dire, io… insomma, papà ci tiene molto al fatto che Ace si unisca alla ciurma! Non possiamo di certo cacciarlo così! –. Tutti la guardarono poco convinti e la ragazza, rendendosi conto di non aver fatto molti progressi, raddrizzò la schiena in un tardivo moto di orgoglio – Non che mi interessi, è chiaro. Sostengo semplicemente mio padre, nient’altro.
Ah, quindi sarebbe solo papà a tenerci tanto? Pensò Marco compiaciuto. Proprio come aveva ipotizzato Thatch, la piccola Kate si portava i propri sentimenti scritti in faccia.
- Giusto, Kate ha ragione! – dichiarò Barbabianca, ignorando l’ultima affermazione della ragazza – Il ragazzo mi piace, e anche tanto. Sarebbe un vero peccato perderlo… sono certo che possiamo ancora convincerlo a rimanere!
Kate annuì con convinzione – anche troppa, in effetti – e Marco chiese al padre – Allora come pensi di giocartela?
Barbabianca non sembrava aspettare altro – Be’, pensavo di schierare in campo il nostro giocatore migliore… anche se lancia come una ragazza.
Kate all’inizio non capì la battuta, il che era davvero strano per lei. Lo guardò perplessa senza parlare, e Marco contò ben dieci secondi prima che il suo viso cambiasse espressione, e una smorfia agitata le deformasse i tratti del volto – Oh, no… non starai pensando a me, spero!
- Ma certo, e a chi altri sennò?
- Oh, no no no… - farfugliò Kate, saltando giù dalle ginocchia di Thatch e indietreggiando verso la porta, come se si fosse trovata davanti un animale feroce – Non io, assolutamente no!
- Scusa, perché no? Sono sicuro che potresti convincerlo…

Oh, senza dubbio. Sogghignò Marco nella propria testa.

- Non voglio avere niente a che fare con questa storia!
- Ma come no? Prima eri così terrorizzata al pensiero che Ace se ne andasse… - le fece notare Marco. Kate non gli rispose, ma gli lanciò un’occhiata così sulfurea che Thacht le mise una mano sulla spalla per trattenerla, come se avesse paura che la ragazza potesse davvero compiere un fratricidio. D’altro canto Kate poteva anche non essere in grado di combattere, ma era nota a tutti su quella nave la sua abilità con i veleni…non era il caso di scherzare troppo con quella ragazza.
- Credevo avessi detto che volevi sostenermi, tesoro. – disse Barbabianca.
- Be’ sì, ma…
- Ma cosa? – la interruppe implacabile Barbabianca.
- Oh insomma, perché deve toccare proprio a me?! Mi sono presa cura di lui, mi sono assunta la responsabilità di ogni guaio che ha combinato, gli ho fatto da balia… non pensi che abbia fatto già abbastanza?! Perché devo beccarmi anche questa rogna?!
- Be’, lui è qui per merito tuo, no? – le chiese Barbabianca – È qui perché ti sei messa in mezzo quando mi sarei dovuto battere con lui, perché mi hai disobbedito pur di aiutarlo, perché in fondo sei stata tu a volerlo qui, sin dall’inizio. O te lo sei dimenticato?
Kate imprecò sottovoce. Purtroppo la sua condizione di figlia non le permetteva di uccidere Barbabianca con lo sguardo come poteva fare con Marco. - N-no, ma…
- E ora vorresti lavartene le mani, come se tutto questo non ti riguardasse più. – concluse Barbabianca – Non è molto onesto da parte tua, e neanche molto maturo.
- Ok, non ti sembra di stare esagerando…?
- No, per niente. – la interruppe Barbabianca con tono severo – Ormai non sei più una bambina, Katherine. Sei una adulta, e se come tale vuoi essere trattata come tale devi comportarti. Mi sono spiegato?
Il volto di Kate si contorse, ma la ragazza dovette annuire – Sì. Quindi? Che vuoi che faccia?
- È semplice: convincilo a restare. Agisci come meglio credi, ma sistema questa storia una volta per tutte, per favore.
- Suvvia, non credo che sarà troppo difficile per te, sorellina. – sghignazzò Marco, incapace di trattenersi – A nessuno è sfuggito il debole che questo ragazzo ha per te, e in ogni caso, se proprio si rendesse necessario, sono certo che la tua innata abilità nel manipolare le persone verrà in tuo soccorso ancora una volta.
Kate si voltò a guardarlo con un sorriso radioso più falso dei soldi del Monopoli – Oh, quindi significa che ho il permesso di rincorrere alle male arti e alle astuzie femminili? Fantastico! Non vedevo l’ora di sperimentare anche questo metodo! – Kate si avviò con baldanza verso la porta, ma si voltò a guardarli con una mano sulla maniglia, ammiccando spudoratamente – Di norma preferisco usare i trucchi della retorica per arrivare a meta... ma sì, in fondo immagino che dove non arriva la mia parlantina possa arrivare una bella scollatura abbinata ad un push-up, non credete anche voi? Avrei valutato anche i profumi ai feromoni, ma le ultime ricerche di laboratorio li hanno dichiarati inefficaci…
A quelle parole Thatch divenne più bianco di un lenzuolo – Non dirai sul serio, spero…
- Bye bye, fratelli!
- KATE, TORNA IMMEDIATAMENTE QUI!
- Non agitarti, Thatch. – sospirò Marco rassegnato, dando una pacca sulla spalla del fratello – Tanto non dice sul serio. Ha troppa stima di sé stessa per includere certe pratiche nel suo repertorio.
A quelle parole Thatch sembrò tranquillizzarsi un po’, e Marco ne approfittò per inseguire la sorella, preparandosi alla battaglia. La trovò che l’aspettava fuori dalla porta con le braccia incrociate e la mandibola serrata, e il suo sguardo era fosco e pieno di promesse di vendetta proprio come quello che aveva Izou quando qualcuno gli rovinava per sbaglio l’abito o il trucco. In una parola, era irritata a morte.
- Non era mia intenzione fare insinuazioni sgradevoli su di te. – sospirò Marco. – Se ti sei offesa…
- Non mi sono offesa. Non per questo, almeno. – lo interruppe tranquillamente la ragazza – Lo so che non volevi insinuare niente di strano.
- Allora cos’è che ti ha offeso?
- Scusa, ma pensi che sia nata ieri? – gli chiese Katherine contrariata – Sarò anche la più giovane della famiglia, ma ho occhi e orecchie come ogni persona normale, e grazie ai kami sono provvista anche di una discreta intelligenza. Pensavi davvero di potermi raggirare in un modo così grossolano?! Francamente credevo che cadere vittima in continuazione dei miei scherzi e dei miei sotterfugi negli ultimi sei anni ti avesse insegnato qualcosa di più.
- È il fatto che io abbia cercato di metterti in difficoltà per ottenere delle risposte che ti ha offesa. – constatò Marco rassegnato – Hai capito che tentavo di sfruttare la situazione per metterti alla prova, e capire cosa c’è esattamente tra te ed Ace, e se tu avessi intuito il fatto che di sicuro tu gli piaci.
- Già, infatti. – confermò Kate con voce dura.
Marco alzò un sopracciglio - Ti rendi conto di quanto questo sia incoerente da parte tua, visto che negli ultimi sei anni hai fatto esattamente la stessa cosa con tutti noi?
- Ovviamente sì. Ma dato che tu sei una persona di gran lunga migliore di me, quando vuoi delle risposte dovresti prima chiedere, e solo dopo, qualora si rendesse necessario, tentare di manipolarmi! Tanto più che non sei nemmeno in grado di farlo come si deve…
- Perché, se avessi semplicemente chiesto mi avresti risposto sinceramente?!
- Ma certo che sì! Ma per chi mi prendi?!
- Allora fallo ora. Sei consapevole del fatto che Ace prova interesse per te?
Kate alzò esasperata gli occhi al cielo, ma rispose – Sì.
- Quindi questo significa che prima stavi facendo davvero la finta tonta. Lo immaginavo. - annuì Marco - Tu lo ricambi?
Kate alzò le spalle, gli occhi improvvisamente tristi - Che ne so? Io non so niente di come funzionano queste cose… potrebbe essere, ma forse non tanto quanto lui ne prova per me.
- Cosa intendi quando dici “Non so niente di come funzionano queste cose”?
Lei fece un sorriso amaro – Lo sai, no? Io sono difettosa dal quel punto di vista. La mia emotività… non so mai come gestirla. Riconosco solo le emozioni facili come la rabbia, il resto per me è come un grande buco nero.
- Be’, hai solo sedici anni. E puoi imparare. Ace potrebbe essere un modo…
- No. – lo interruppe decisa Kate – Questo è escluso. Non voglio fare di quel ragazzo una cavia per imparare a riordinare il casino che ho nella testa.
Marco si rianimò. Forse stavano arrivando da qualche parte. – Perché?
- Perché non sarebbe giusto!
- E perché?! – incalzò Marco.
- Perché lui mi piace! – esplose la ragazza – È un ragazzo leale, è onesto, affettuoso, in gamba… e non merita un trattamento simile. Non da una come me, almeno.
Marcò sospirò. Così alla fine lo ammetteva. Non era una vera dichiarazione d’amore, anche perché per quella sarebbe stato comunque troppo presto, sia per lei che per lui, però… in un certo senso era anche meglio. Perché quella era la prima volta in sedici anni di vita che Kate si rifiutava di imbrogliare qualcuno, nemmeno a fin di bene, nemmeno per il proprio bene.

Accidenti…allora è anche peggio di quanto pensassi.

- Non fare quella faccia, adesso. – cercò di riscuoterlo Kate – Troverò un altro modo per imparare le regole del gioco. Qualcun altro…
- Si vede proprio che non conosci le “regole del gioco”, sorellina. – la interruppe Marco, scuotendo la testa con disappunto.
Kate aggrottò le sopracciglia – Perché dici così?
- Oh, andiamo. Credi davvero di poter trovare “un altro modo”? – chiese Marco – Non esiste un altro modo, e nemmeno si può scegliere di restare in panchina. È una cosa al di là di ogni possibilità di scelta, rassegnati.
- Già, è così, non è vero? – chiese Kate con tono pensieroso, quasi sconfitto. Sembrava essersi di colpo sgonfiata, come un palloncino bucato da un minuscolo ago. – Senti, visto che contro ogni aspettativa sono stata onesta con te e ti ho permesso di psicanalizzarmi, saresti disposto a ricambiare il favore?
- Be’, dipende. Cosa vuoi che faccia?
Kate non sembrava aspettare altro – Ti prego, va’ tu a parlare con Ace al posto mio. Sinceramente io… non credo di potercela fare in questo momento.
Marco spalancò gli occhi, fissando incredulo la sorella minore che lo stava guardando a propria volta con occhi imploranti. Kate che si tirava indietro e si nascondeva dietro di lui, pregandolo di fare il lavoro sporco al posto suo? Marco non riusciva quasi a crederci. Che effetto stava avendo quel ragazzino sulla giovane dottoressa?
- Non preoccuparti. – si sentì dire Marco con voce gentile – Me ne occuperò io, e terrò anche il segreto con papà.
Kate buttò fuori l’aria che aveva trattenuto con aria sollevata e andò ad abbracciarlo, rannicchiandosi contro il suo petto come faceva quando era bambina – Grazie, Marco. Sei un vero amico.
Marco ricambiò l’abbraccio circondandola con le braccia, affondando il viso nei suoi capelli. Non le disse niente però, non serviva.
La Fenice non seppe dire quanto tempo rimasero così, se per secondi, minuti o ore. Sta di fatto che ad un certo punto fu Kate a staccarsi con delicatezza da lui, camminando all’indietro senza interrompere il contatto fra i loro sguardi, con un sorriso mesto a curvarle le labbra. Solo quando fu a metà corridoio la ragazza si decise a voltarsi, allontanandosi a testa china, come se il mondo stesse improvvisamente pesando tutto sulle sue spalle.
Marco però non volle lasciarla andare. Quello era il vero momento della verità, e Marco non poteva permettere che lei fuggisse prima del tempo.
 - Tu vuoi che rimanga o che vada via?
La domanda era arrivata inaspettata, come un fulmine a ciel sereno. La ragazza si voltò sorpresa a guardarlo, e Marco le si avvicinò ancora, le mani sollevate come per evitare di spaventarla.
– Perché lo chiedi? Lo sai che papà…
- Dimentica nostro padre. Voglio sapere cosa pensi tu.
Kate sfuggì al suo sguardo, turbata - Perché ci tieni così tanto a saperlo?
- Perché una tua parola può cambiare tutto. – rispose Marco, serio come non era mai stato. Kate lo guardò senza capire, e Marco spiegò – Mi hai chiesto di aiutarti, e io non mi tiro indietro. So che nostro padre vorrebbe che quel ragazzo rimanesse…e so anche che tu eri sincera prima nella sua stanza, quando dicevi che saresti stata dalla sua parte. Ma tutto questo non conta nulla, se tu non lo vuoi qui. Posso occuparmene io, ti assicuro che non ne subiresti le conseguenze.
- Che cosa vorresti dire? Che saresti disposto a cacciare Ace dalla nave, disubbidendo a nostro padre e ingannandolo, se solo io ti chiedessi di farlo? – chiese scettica Kate.
- Sì, lo farei.
- Perché?
- Perché sono tuo fratello maggiore, e in quanto tale è mio compito sostenerti…
- Lo so, ma volevo dire… perché farlo? Insomma, a che servirebbe?
- Be’, questo devi dirmelo tu. – rispose Marco – So che in questo momento sei confusa, e che le sensazioni che stai provando ti fanno sentire disorientata. Tu non sai cosa ti aspetta se le cose si evolvono… però sono certo che lo puoi immaginare. E se la cosa ti spaventa… insomma, nessuno ti biasimerebbe se tu volessi “allontanare” il problema.
- Quindi mi stai dicendo che, se Ace se ne andasse, io potrei stare meglio?
- Io non sto dicendo niente. Ma se tu ora analizzassi te stessa nel modo più obbiettivo possibile, e decidessi che effettivamente la partenza di Ace sarebbe la cosa migliore per te, allora sì, ti aiuterei andando contro l’opinione di papà. Ma è una conclusione a cui devi arrivare da sola, in questo non posso proprio aiutarti.
Kate si appoggiò esausta al muro, come se le fossero mancate improvvisamente le forze. Marco avrebbe voluto toccarla, ma non osò avvicinarsi, capendo che ora stava guardando dentro di sé nel tentativo di trovare una risposta alle sue stesse domande.
- In realtà non è così facile, vero? – chiese improvvisamente la ragazza dopo diversi istanti di silenzio, facendo trasalire la Fenice – Non starò meglio solo perché non l’avrò più davanti agli occhi… non è come estrarre il veleno da una ferita.
Marco scosse la testa, toccandole leggermente i capelli – No, non lo è. Ma il punto non è questo, e lo sai.
- Sì, lo so…
- Allora dimmi che devo fare.
Kate lo guardò in perfetto silenzio per quella che a Marco parve un’eternità. Poi alla fine si decise a dire – Ho paura…
- Sì, lo so…
-  … ma non voglio che se ne vada.
Marco annuì, non ne mai avrebbe dubitato – Va bene. Allora lo convincerò a rimanere. – un sorriso curvò le labbra del pirata – Parlavo sul serio prima, sai? Non credo che sarà troppo difficile. Ha un buon motivo per restare, no?
Kate forzò un sorriso, e senza rispondergli gli stampò un bacio sulla guancia, e Marco, dopo averle accarezzato la testa con un sorriso d’incoraggiamento, si allontanò, lasciandola da sola.
Kate sospirò e si appoggiò di nuovo alla parete, intontita dalle emozioni. Si sentiva strana, quasi ubriaca, e una strana sensazione, quasi di gelo, le serrava lo stomaco, come se il suo inconscio volesse avvertirla di un pericolo incombente.

Mi chiedo se non abbia commesso un errore.



Angolo Autrice:
Ciao ragazzi! Eccomi finalmente, dopo mesi di silenzio! 
Lo so, sono in ritardo. Vi chiederete cosa io abbia combinato finora, e la risposta è sempre la stessa: studio, studio, studio matto e disperatissimo, che mi ha privata del mio tempo e dell'ispirazione per tutto questo tempo. Ma ora sono finalmente tornata, più carica di prima!
Eccolo qui, il capitolo speciale che vi avevo promesso! Be', in realtà è solo metà, perchè se l'avessi pubblicato per intero sarebbe venuto fuori lungo una cosa come sessanta pagine... per cui ho scelto di dividerlo in due, ma vi prometto che la seconda parte uscirà molto presto!
Ecco, queste pagine raccontano com'è iniziato tutto. Spero che vi siano piaciute... ma vi avverto, questo è solo l'inizio! Aspettate di vedere il seguito....
A presto, miei cari amici!
Baci e abbracci!
Tessie
   
 
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