Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: heliodor    23/10/2017    4 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chare

Viaggiarono sui cavalli che Chare si era procurata.
"Come faremo a entrare?" chiese Joyce.
"Essendo supervisore dei lavori all'esterno della montagna, ho una certa autorità" disse Chare. "Non puoi chiamarti Sibyl. Non è un nome comune da queste parti." Sembrò pensarci su. "Ti chiamerai Sesen."
"È bello, mi piace."
"Era il nome della mia cagnetta quando ancora vivevo nella casa de miei genitori."
Bene, ora ho il nome di un cane, pensò Joyce. "Preferivo Sibyl. O la strega rossa."
Chare rise. Era la prima volta che glielo vedeva fare. "Scusa, non ridevo di te. Hai un bel modo di fare, Sibyl di Valonde. Mi piace."
Il viaggio verso la montagna era lungo, perciò Joyce decise di impiegarlo per scoprire qualcosa di più sugli albini. "Posso farti una domanda?"
Chare annuì.
"Come mai solo voi albini nascete col dono? Da dove vengo io non esiste una cosa del genere."
"Nessuno lo sa. È uno dei grandi misteri della nostra terra."
"Ekow ha detto che la gente dalla pelle scura è stata maledetta."
Chare fece spallucce. "Anche questo è un mistero. Tuttavia, non è vero che nascono tutti senza il dono."
"Quindi qualche stregone non albino c'è."
"Probabilmente sì, ma vivono nascosti. Se non lo facessero, il consiglio del circolo li farebbe imprigionare ed esiliare."
"Perché?"
"Solo agli albini è concesso usare la magia."
"Ma il dono..."
"È complicato, Sesen. Più di quanto credi. Da noi si usa fare così da secoli."
Joyce comprese che non avrebbe appreso di più sulla questione  decise di cambiare argomento. "E così ti hanno costretta a sposare Obasi."
"Costretta non è il termine esatto. Per noi albini arriva un'età nella quale devi sposarti e iniziare a mettere al mondo dei figli. Questa regola vale per tutti, sia maschi che femmine. Nessuno escluso."
"Ma tu hai detto..."
"Io ho detto solo che l'ho sposato controvoglia, non che sono stata costretta. Obasi era il miglior partito disponibile e io ero perfetta per lui, così decidemmo di sposarci."
"Quindi è così che funziona?"
"Da voi è diverso?"
Joyce ripensò al matrimonio combinato con Tharry. In quel caso lei non aveva avuto molta scelta. Ma c'era altro che in quel momento le premeva sapere. "Prima di venire qui..." disse cercando le parole giuste. "Stavo per sposarmi."
Chare sollevò un sopracciglio. "Vi sposate così giovani?"
"Era per mia scelta" si affrettò ad aggiungere.
"Non ne dubito. E come mai sei andata via?"
"Io non ero più tanto convinta di volermi sposare."
"E allora prenditi il tempo che ti serve."
Joyce annuì. "Com'è?"
"Cosa?"
"Essere sposate. Vivere con un uomo... nella stessa casa."
"È un'esperienza che devi provare."
"Obasi è una persona cattiva?"
Chare scrollò le spalle. "Lui è come tutti gli albini. Gli è stato insegnato fin dalla nascita che il suo dono lo rende migliore degli altri. Della maggior parte, almeno. All'inizio credevo di poterlo cambiare o almeno ammorbidire, ma più passava il tempo più diventava peggio. Alla fine ho deciso di rinunciare."
"Mi spiace."
"A me no. Ero stanca di combattere contro la sua stupidità e arroganza. Prima o poi troverà uno più arrogante e forte di lui e io sarò libera di scegliermi un altro marito."
L'ingresso della montagna era una grotta sorretta da spesse colonne scavate nella pietra. Una dozzina di soldati in armatura sorvegliava l'ingresso.
C'erano anche due albini, uno uomo e una donna, che non appena li videro arrivare fecero loro segno di fermarsi.
"Non parlare" disse Chare. "E non guardarli negli occhi."
Si fermarono a una decina di passi e smontarono dai cavalli. Due guardie presero le briglie mentre si avvicinavano all'ingresso.
"Rhatida, Hamidi" disse Chare mostrando un sorriso accattivante.
"Soprintendente Chare" disse la donna albina. "A cosa dobbiamo la tua visita?"
"Devo parlare col direttore Kwame" disse Chare. "Alla torre mi hanno detto che era qui."
"Kwame è sceso nei livelli interni" disse l'albino. Joyce si accorse che la stava scrutando. "Lei chi è?"
"Sesen" disse Chare. "È la mia nuova assistente."
"Hai già scelto un compagno, Sesen?" le chiese l'uomo.
Sorpresa da quella domanda così diretta, Joyce non sapeva cosa rispondere.
Chare corse in suo aiuto. "Hamidi, noi non siamo qui per..."
L'albino le rivolse un'occhiata furente. "Non stavo parlando con te, ma con lei."
Joyce deglutì a vuoto. "Non ce l'ho un compagno" disse senza incrociare gli occhi dell'albino. "E tu hai una compagna, a parte la tua boria?"
Hamidi la fissò in silenzio, poi esplose in una risata. "Mi piace. Dobbiamo riparlarne."
"Levatevi di mezzo" disse l'albina.
Chare entrò nella grotta seguita da Joyce.
"Come sono andata?" le chiese quando furono lontani dall'ingresso.
"Non male" disse Chare.
Dall'entrata partivano diversi tunnel scavati nella roccia e sostenuti da travi di legno posti a intervalli regolari. Mentre scendevano nella viscere della montagna Chare disse: "La maggior parte delle gallerie esisteva già quando iniziammo a scavare."
"Che cosa state cercando?"
Chare le rivolse una lunga occhiata. "Chi ti dice che stiamo cercando qualcosa?"
Joyce non aveva idea di come funzionasse una miniera, ma sapeva che dei minerali dovevano essere estratti. E per farlo servivano macchinari come carrelli, rotaie e tutto il resto. "Non mi sembra una miniera, tutto qui."
"Nehanda Sela era la dimora di una potente creatura, migliaia di anni fa."
"La stessa che aveva sottomesso i nani?"
"Quella è solo una leggenda" disse Chare storcendo le labbra. "Io parlo di un mago."
"Anche i maghi sono una leggenda."
"Non questo. Zanihf era reale."
Joyce non aveva mai sentito quel nome. "Chi era?"
"Un mago supremo. Uno dei più forti. Uno degli ultimi ad arrendersi ai tempi della grande guerra. Stiamo cercando la sua arma suprema, sepolta sotto la montagna migliaia di anni fa."
Un'arma, dunque, pensò Joyce. "E cosa intendete fare con quell'arma?"
"Mettere fine alla guerra."
Joyce non sapeva se esultare o disperarsi. Mettere fine alla guerra era il desiderio di quasi tutti quelli che vi prendevano parte, se doveva credere ai loro discorsi.
Suo padre, Vyncent, Bryce e persino quel traditore di Persym. Tutti volevano far finire la guerra, in un modo o nell'altro.
Ora anche gli albini di Mar Qwara. "Mi sembra una buona cosa" disse.
Chare ghignò. "Se fossi in te non mi rallegrerei. Li ho sentiti fare certi discorsi che..."
Arrivati a una svolta si ritrovarono in una sala circolare scavata nella roccia. C'erano degli albini e delle guardie che presidiavano la zona. E una ventina di uomini e donne, quasi tutti in giovane età, che attendevano in fila. Erano vestiti di stracci e tenevano gli occhi bassi e le mani distese lungo i fianchi.
"Vi ho detto di portare questi inferiori nei livelli più bassi" stava dicendo a voce alta uno degli albini.
Joyce notò subito che vestiva con una tunica molto elaborata con disegni ricamati in oro e platino che raffiguravano triangoli e altre figure geometriche ripetute senza uno schema apparente.
A ogni sua parola guerrieri e lavoratori sussultavano e anche i tre albini che lo stavano ascoltando, due uomini e una donna, sembravano spaventati da quella sfuriata.
Vide che anche Chare si era irrigidita. "Kwame" disse con tono aspro. "Proprio te stavo cercando."
L'albino sollevò la testa di scatto e le rivolse un'occhiata furiosa. "Tu non dovresti essere qui."
"Invece è proprio il posto giusto" rispose la donna. "È esattamente qui che troverò quello che mi serve."
Kwame era più alto e massiccio di Chare, ma la donna lo fronteggiò senza mostrare alcun timore. "E allora che vuoi? Parla, ho da fare."
"Mi servono sei unità."
"Per cosa?"
"Un lavoro in superficie. Dobbiamo sgombrare un terreno che voi avete riempito di detriti."
Kwame la guardò con ostilità. "Di che parli? Non ne sapevo niente."
"Allora dovresti parlarne con i tuoi assistenti. È da una settimana che ho chiesto di far ripulire quel terreno. Alla fine ho deciso di farlo da sola."
Kwame gettò un'occhiata minacciosa a uno dei tre albini. "Iniko, perché non sono stato avvertito?"
L'albino si strinse nelle spalle. "Deve essermi sfuggito, vostra grazia."
Kwame tornò a rivolgersi a Chare. "Puoi prendere tre unità."
"Sei" insisté la donna.
"Quattro. Non una di più."
Chare digrignò i denti. "Vada per quattro."
Kwame sembrò soddisfatto da quella piccola vittoria. "Ora lasciami lavorare in pace."
"Non ti rubo altro tempo." Chare prese da parte Joyce. "Andiamo."
Si lasciarono alle spalle l'albino che aveva ripreso a sbraitare contro i lavoratori e i suoi compagni. Quando furono lontani, Chare disse: "Dobbiamo agire in fretta. Non ci metteranno molto a scoprire che ho detto una menzogna. La prima cosa che farà Kwame sarà chiamare Dume per sapere se..." Si interruppe a metà della frase, gli occhi sbarrati che guardavano verso la fine del corridoio.
Una figura umana accompagnata da quattro guerrieri stava avanzando verso di loro.
"Non lei..." mormorò Chare.
"Chi?" domandò Joyce.
"Non dire una sola parola o siamo morte."
Detta quella frase, l'albina sfoderò un largo sorriso. "Dafina, madre mia."
L'albina che procedeva in testa al gruppo era un'anziana donna dalla pelle raggrinzita e i capelli radi. I suoi occhi erano grigi ma vivaci. Indossava una veste scura con ricami in oro e argento. "Figlia" disse avvicinandosi. "Che piacere vederti" aggiunse senza entusiasmo.
"Il piacere è mio" rispose Chare. "Come mai sei scesa qui sotto?"
"Volevo sapere da Dume come procedevano i lavori. E tu invece?"
"Mi servono delle unità per un lavoro in superficie."
"Non ce ne sono abbastanza?"
"Purtroppo i lavoratori forti scarseggiano. I migliori li ha presi Kwame per scavare le gallerie."
"Per il momento questo progetto ha l'assoluta precedenza." La donna assunse un'espressione rattristata. "Ho saputo da Obasi quello che è successo l'altra notte. Sono costernata."
"Anche io, madre."
"Quando prenderemo quelle inferiori, le faremo punire come si deve" disse l'anziana albina. "Anche se ho saputo che tu ti eri affezionata a una di loro..."
"Era una povera sventurata che cercavo di aiutare" disse Chare.
"Sei sempre stata troppo buona con gli inferiori. Tuttavia, speravo che la tua bontà calmasse un po' il mio Obasi e lo mettesse sulla giusta strada, ma ho fallito."
"Tuo figlio è il tuo degno erede."
Dafina arricciò il naso. "Mio figlio è uno stupido. Non un debole come suo padre, ma ha ereditato la sua intelligenza. Vieni, dobbiamo parlare di alcune cose."
"Madre, io..."
"Lei chi è?" domandò Dafina indicando Joyce con l'indice ossuto.
"È la mia nuova assistente, Sesen" disse Chare.
"Molto onorata" disse Joyce con un leggero inchino.
"No l'ho mai vista alla torre."
"Infatti non è ancora consacrata" si affrettò a dire Chare. "È per questo che Fela e Kodwo l'hanno affidata a me per completare il suo addestramento."
"È la figlia di Kodwo?" fece l'anziana accigliandosi. "Mi sembrava di aver sentito dire che fosse morta a causa di una febbre."
"Tutti la davano per morta, ma come vedi è sopravvissuta" disse Chare.
Dafina annuì. "In ogni caso, manda lei a prelevare le unità che ti servono. Che impari a sbrigare qualche lavoretto visto che è ancora giovane."
Chare sospirò. "Sesen, vai al livello più basso e preleva quattro unità. Sai come fare, vero?"
"Sì, vostra grazia" disse Joyce. Salutò Dafina e si allontanò con passo svelto.
E ora?, si chiese mentre percorreva il corridoio scavato nella roccia. Da che parte devo andare?
 
Il corridoio curvava a destra e scendeva verso il basso. A Joyce bastò seguirlo per arrivare alle scale.
Le scese con cautela, aspettandosi da un momento all'altra di venire scoperta. Se fosse successo, non aveva idea di come sarebbe riuscita a fuggire da quel posto, a parte che con il richiamo. Ma quello avrebbe significato abbandonare Alil al suo destino.
Non lo poteva permettere.
Alla base delle scale trovò un altro corridoio che scendeva verso il basso. Torce a intervalli regolari garantivano un'illuminazione minima.
Era difficile orientarsi lì dentro senza una luce, ma non voleva evocare un globo luminoso per non attirare l'attenzione di qualche albino.
Procedette con cautela, superò un paio di sale vuote e arrivò a un incrocio.
Da quel punto i corridoi si diramavano in tre direzioni diverse.
"E ora da che parte vado?" si chiese ad alta voce.
Il problema si risolse da solo mentre cercava di scegliere.
Sentì delle voci provenire dal corridoio centrale. Spaventata, si nascose in uno dei corridoi laterali e attese.
Dal passaggio sbucarono una dozzina di lavoratori scortati da un albino e quattro guardie armate.
Nessuno parlò, ma Joyce comprese che provenivano dal livello dove si stava scavando dalla polvere che ricopriva i lavoratori e dai loro sguardi spenti ed esausti.
Quelle persone si reggevano in piedi a malapena.
Appena si furono allontanati uscì dal suo nascondiglio e si infilò nel corridoio centrale.
Scese per alcuni minuti camminando nella semioscurità e nel silenzio, rotto solo dal rumore dei suoi passi.
Si stava chiedendo quanto lunga fosse quella discesa quando arrivò in una nuova sala, la più ampia che avesse incontrato fino a quel momento.
C'erano numerose aperture scavate nella roccia, insieme a montagne di detriti ammonticchiati in giro.
Degli operai stavano sgombrando una delle gallerie spostando pesanti massi e rocce. C'erano un paio di albini che li sorvegliavano insieme a una dozzina di guardie.
"Tu" disse uno di loro. "Che ci fai qui?"
Joyce si avvicinò ai due albini. Erano un uomo e una donna, poco più che ragazzi. Potevano avere al massimo l'età di Bryce, anche se il loro aspetto li rendeva indecifrabili ai suoi occhi.
"Ti ho fatto una domanda" disse il ragazzo.
"Devo prendere quattro unità" disse Joyce cercando di parlare con la stessa sfrontatezza usata nei suoi riguardi.
"Non dalla mia squadra" disse la ragazza. "Sono appena sufficienti."
"Da dove posso prenderli allora?"
"Non chiederlo a me" disse il ragazzo. "Se vuoi un consiglio, vai alla galleria di nordovest. Lì hanno portato le nuove unità e sono in soprannumero."
Tra i nuovi lavoratori può esserci Alil, pensò Joyce. "Farò come dici" disse senza aggiungere altro.
Camminò con passo deciso senza voltarsi, anche se aveva la sensazione di avere gli occhi dei due albini puntati addosso.
Imboccò la galleria che gli avevano indicato e la percorse.
Anche questa scendeva dritta nelle viscere della terra, ma a differenza delle altre si notava che era stata scavata da poco. Le assi di legno che sostenevano lo scavo sembravano nuove e c'erano ancora molti detriti sparsi in giro, mentre le altre gallerie erano pulite.
Joyce superò una dozzina di lavoratori intenti a scavare una galleria laterale prima di raggiungere il fondo del passaggio.
Qui dovette fermarsi dinanzi alla parete di roccia che chiudeva il condotto. Non c'era un altro posto dove andare.
Fu allora che sentì le voci venire verso di lei.
D'istinto, non avendo un luogo dove fuggire o nascondersi, si rese invisibile e si nascose dietro un masso che era stato spezzato e gettato in un angolo.
Quindi attese che le voci si avvicinassero.
Stavolta non si trattava di lavoratori, ma di un albino e di una donna.
Sopra le loro teste brillavano dei globi luminosi che rischiaravano la caverna come se fosse pieno giorno.
Il viso dell'albino era quello di un uomo anziano, con rughe profonde e borse sotto gli occhi. Il ventre era pronunciato e la testa quasi calva. Solo pochi e sottili capelli bianchi erano visibili.
Il viso della donna, illuminato dalla luce del globo, era ben visibile. Il colore della pelle era ramato, come se fosse abbronzata. Gli zigomi alti e il naso dritto e triangolare incorniciavano un viso dai tratti regolari.
Joyce fu colta da un'improvvisa illuminazione.
Conosceva quella donna, l'aveva già vista a palazzo settimane prima.
Era Lindisa, la strega che aveva accompagnato Galef l'ultima volta che era tornato a Valonde. La donna che lui diceva di voler sposare. La donna della quale suo fratello e suo padre non si fidavano.
Che ci fa qui? Si chiese Joyce.
Lei e Galef erano spariti settimane dopo l'inizio della guerra e da allora erano stati dati per dispersi. Solo il rispetto di cui godeva suo padre aveva impedito al circolo di Valonde di dichiarare disertori Galef e la sua amata.
Ed ora eccola lì, che parlava con quell'albino, chissà quanti metri sottoterra, in un paese lontano e straniero.
Ora più che mai doveva fare attenzione. Se Lindisa l'avesse riconosciuta, l'avrebbe smascherata di fronte a tutti, denunciandola per aver utilizzato la magia impura.
Non aveva idea se gli albini punissero chi usava quel tipo di magia, ma tenendo conto di come trattavano le persone prive di poteri, non c'era da sperare nella loro comprensione.
Lindisa e l'albino si fermarono a una decina di passi da lei, di fronte alla parete di roccia che ostruiva la galleria.
"Potrebbe essere oltre questo punto" disse l'albino.
"Lo spero per te" disse Lindisa. "È quasi un mese che mi fai attendere."
"Ci vuole prudenza" disse l'albino. "Non possiamo semplicemente mandare le unità a scavare in questa zona."
"Perché no?"
"C'è il rischio di un crollo."
"E allora?"
L'albino rise. "Vedo che nemmeno tu hai molto a cuore il destino di quegli inferiori."
"Non sono io che li ho messi in questa posizione spiacevole" disse la donna.
"Neanche a me stanno molto a cuore" disse l'albino. "Ma dobbiamo essere prudenti lo stesso. Se ne perdiamo troppi i lavori rallenteranno. Non è così facile procurarsene di nuovi. I villaggi si stanno spopolando."
"Allora usate la magia."
Dume si accigliò. "Questa è una questione delicata. La magia non sembra funzionare come si deve in queste gallerie."
"Cosa vuoi dire?"
Dume si strinse nelle spalle. "Dico solo che è più prudente scavare e che non possiamo rischiare la vita di troppi lavoratori, o resteremo senza. Proprio oggi abbiamo in progetto di aprire una nuova galleria che..."
"Non mi interessano i dettagli. È un problema tuo" disse Lindisa. "Devi fare la tua parte."
"E tu la tua."
"Dubiti della mia parola, Dume?"
L'albino tossì. "Ho scommesso tutto su questo progetto. Se fallisse, sarei io a pagarne le conseguenze. Dafina è pronta a estromettermi dal consiglio e Kwame non vede l'ora che cada in disgrazia per prendere il mio posto."
"Quando avremo il compendio di Zanihf..."
I due si allontanarono e le voci divennero confuse.
Joyce attese qualche minuto, poi uscì allo scoperto. Attese ancora per essere sicura che non tornassero indietro, poi ripercorse a ritroso la strada che aveva fatto per arrivare fin lì.
Raggiunse un bivio dove i lavoratori stavano ancora sgomberando la massa dei detriti. Si aggirò tra di loro e quando fu certa che gli albini e le guardie non stessero badando a lei, si avvicinò a uno di essi.
Era un ragazzo dalla pelle scura che poteva avere l'età di Vyncent, forse uno o due anni in più. "Tu" disse rivolgendogli la parola con tono deciso.
Il ragazzo sollevò la testa di scatto e sgranò gli occhi. "Vostra grazia. Chiedo perdono."
"Dov'è che stanno scavano in questo momento?"
"Nella galleria di destra, vostra grazia."
Joyce annuì. "Dimentica di avermi vista."
"Sì, vostra grazia."
Joyce individuò la galleria indicatale dal ragazzo e vi si inoltrò. Per qualche motivo sentiva di dover fare in fretta.


Prossimo Capitolo Mercoledì 25 Ottobre
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: heliodor