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Autore: ciabysan    21/06/2009    1 recensioni
Giappone. Urumi ha 17 anni e si è appena trasferita con la sua famiglia in una nuova casa. Quasi per caso, trova in soffitta una fotografia che ritrae una donna, sul cui retro c'è scritto che lo scatto risale a dieci anni prima. Con l'amica Yumi, Urumi tenterà di scoprire l'identità della donna, che si rivela essere la vittima di un assassinio, di cui non si è ancora trovato il colpevole. Le due ragazze sospettano dei due precedenti padroni di casa, ma la verità è un'altra
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Aiutai la signora a rimettere il vassoio, i bicchieri e le ciotoline dei biscotti nel lavandino e chiesi gentilmente se avessi potuto utilizzare il bagno

Aiutai la signora a rimettere il vassoio, i bicchieri e le ciotoline dei biscotti nel lavandino e chiesi gentilmente se avessi potuto utilizzare il bagno.

“Ma certo, ragazza” mi sorrise, aprendo il rubinetto, la donna. La ringraziai con un inchino e salii le scale che mi portavano alla stanza da me tanto bramata, quando lo squillo del mio cellulare squarciò il silenzio. Era mia madre. “Pronto?” risposi io

“Pronto Urumi”
“Sì?”
“Com’è la gita?”
“Uhm…abbastanza tranquilla, abbiamo appena fatto la pausa pranzo e ne ho approfittato per andare in bagno
“Capisco…volevo avvertirti che per stasera non ci troverai a casa
“Assì? E perché?”

“Hai presente Sayaka?” Sayaka era un’amica di mamma, anche lei si era trasferita da Kobe a Tokyo ed era incinta

Annuii.

“Ebbene…le si sono rotte le acque e mi ha chiamata improvvisamente chiedendomi se avessi potuto farle compagnia con suo marito in ospedale finchè il bambino non sarà nato. Finito di lavorare mi raggiungerà anche tuo padre, quindi la casa sarà vuota
“Ah…ho capito” ero felice, libera di poter andare nella mansarda alla ricerca di Kayako, senza bisogno di inventarmi scuse o quant’altro.
“Comunque, non devi preoccuparti: prima di uscire ho messo un trancio di pizza nel microonde. Se vuoi invita pure quel simpatico ragazzo che è venuto ieri
“Shuya…”

“Esatto…ora scusa, ti lascio prima che qualcuno si accorga che sto usando il cellulare in ospedale
“Okay” scoppiai in una risatina
“Buon proseguimento di gita”
“Grazie…Ciao”
“Ciao”

 

Mi chiusi nel candido bagno piastrellato e alzai la tavoletta, dopo aver intravisto l’orto della signora attraverso le bianche tende. Nonostante Kobe fosse una città enorme, una metropoli apparentemente senza cuore, era bello vedere che lontano dal centro c’erano diversi campi e che alcune famiglie avessero il proprio orto personale. Era bello che qualcuno, in questo paese così tecnologicamente avanzato, ci fosse qualcuno che non fosse ancora impaurito della natura e della sua poesia. Sopra il piccolo orticello di insalatine, ondeggiavano le ombre delle lenzuola e degli abiti bianchi stesi ad asciugare, che danzavano, secondo il ritmo del vento. Seduta al gabinetto, i miei occhi sornioni osservavano quello spettacolo, quando il mio sguardo si posò su una cosa alquanto strana. Una ragazza era nascosta, di spalle, dietro uno dei lenzuoli che volteggiavano. Appariva e scompariva dietro il tessuto che danzava nell’aere. Mi alzai di scatto, con una strana sensazione nel corpo: la paura.

Quella ragazza aveva dei capelli lunghi e neri, indossava uno strano abito da sera, di raso rosa e viola, ma anche infantile e a maniche corte. Era un abito macchiato di sangue che arrivava sin poco giù le ginocchia. Anche le braccia e le gambe nude presentavano schizzi di sangue, i piedi erano nudi e tinti di rosso morte. Lo si vedeva benissimo anche a grande distanza poiché il sangue di quel rosso vivo, scarlatto, spiccava con destrezza su quella pelle così fredda e bianca, quasi cadaverica. Stentavo a credere ai miei occhi, cominciavo ad avere la malsana idea che fosse il fantasma di Kayako Fukamoto.

Aprii la finestra e quell’immagine era sempre lì fissa, fin quando quella strana donna cominciò a muovere lentamente la testa, voltandosi verso di me. Un movimento che implicò altro sangue cadere a fiotti sul terreno e contro il vestito a balze.

Il sangue mi si congelò nelle vene, ero come in sospensione, quando all’improvviso la maniglia della porta comincio a sbattere con frenesia. Dallo spavento mi gettai a terra, appiccicandomi contro la parete del bagno.
Iniziai a tremare di terrore. La maniglia non smetteva di sbattere, sbatteva sempre più.

Il panico mi catturò e cominciai a gridare, sempre più forte, temendo che le mie corde vocali potessero esplodere nella paura. Mi rialzai le mutande e i pantaloni di impulso, quando la maniglia tornò normale. Forse era tutto frutto della mia immaginazione.

Ancora un po’ sconvolta mi rialzai, ansimando e annaspando, cercando aria con cui cibarmi, quando all’improvviso sentii dei passi salire le scale.


Tunc. Tunc. Tunc.

 

Ritornò la paura. La maniglia riprese a sbattere, cercando di aprire quella dannata porta che mi separava dalla morte. Il respiro usciva a fatica. Ero così terrorizzata da non riuscire a tranquillizzarmi. Inquietudine, angoscia e paura mi pervadevano, tutte insieme, senza pietà.

Finchè una voce al di là dell’uscio non mi tranquillizzò “Urumi! Urumi! Stai bene?” era la signora che aveva ospitato me e Shuya, il quale si unì al coro con un “Urumi! Urumi! Apri!”.

Mi avvicinai alla maniglia e la aprii, dopo averla fatta scattare con un giro di chiave. La porta si aprì e Shuya mi saltò addosso con un abbraccio.

“Santo cielo” esclamai “Non sono morta”
“Ti abbiamo sentita urlare, stai bene?” mi disse dandomi svariate carezze in testa, passandomi la mano tra i capelli.

Annuii. Avvolgendolo con le mie braccia, sotto la giacca nera e a contatto con la camicia, fradicia del suo sudore

“Sei tutto sudato” lo rimproverai con un sorriso.

“Si può sapere cos’è successo?”
“Niente… niente davvero”
“Un’altra visione?”
“Esatto”
“Visione?” intervenne la vecchia, sorpresa “Hai delle visioni?”
Ormai non era più il tempo di menzogne. Raccontai alla signora che ero collegata, in qualche modo, mentalmente a Kayako e che continuavo a vederla ed era per questo che mi ero messa ad indagare con Shuya.

Mi aspettai una reazione sconcertata e invece lei mi fece una pacca sulla spalla e, dopo avermi regalato altri cioccolatini, accompagnò me e Shuya sino alla casa di Kayako.

“Spero che troverai qualcosa” mi disse sorridendo “Scopri l’assassino di Kayako. Solo tu puoi farlo”.

Il cuore cominciò a battere. La vidi andarsene, tornarsene nel suo paradiso quotidiano, mentre di fronte a me si ergeva l’incubo di mattoni.

  
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