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Autore: NPC_Stories    24/10/2017    0 recensioni
Sono un ranger elfo dei boschi della foresta di Sarenestar, o foresta di Mir come la chiamano gli umani. Il mio nome è Johlariel, per gli amici Johel.
Sì, ho degli amici.
Sì, per davvero, anche se sono un elfo, quelle voci che girano sul nostro conto sono solo calunnie. In realtà sono un tipo simpatico e alla mano.
Questa storia è una raccolta di racconti, alcuni brevi altri lunghi e divisi in più parti, che narrano dei periodi in cui ho viaggiato per il mondo insieme a un mio amico un po' particolare. Per proteggere la sua privacy lo chiamerò Spirito Agrifoglio (in lingua comune Holly Ghost, per comodità solo Holly). Abbiamo vissuto molte splendide avventure che ci hanno portato a crescere nel carattere e nelle abilità, e che a volte hanno perfino messo alla prova il nostro legame.
...
Ehi, siamo solo amici. Sul serio. Già mi immagino stuoli di ammiratrici che immaginano cose, ma siamo solo amici. In realtà io punto a sua sorella, ma che resti fra noi.
.
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Nota: OC. A volte compariranno personaggi esistenti nei libri o nella wiki, ma non famosi.
Luglio 2018 *edit* di stile nel primo capitolo, ho notato che era troppo impersonale.
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1316 DR: Epilogo (Parte 4), ovvero Trattato sulla diplomazia e sul perché Can Che Abbaia Non Morde


Holly e la conturbante sacerdotessa erano spariti da un po’. Ne approfittai per approfondire la conoscenza con gli altri fedeli del “tempio”. Avevo già conosciuto le due sacerdotesse la notte prima, ma non si può dire che avessimo passato molto tempo a parlare.
Erano tutti molto incuriositi da me. La maggior parte di loro non aveva mai visto un elfo dei boschi. Nel corso di quelle ore, molti si fermarono a chiacchierare con me chiedendomi come fosse la mia vita, che cosa significasse vivere in una foresta con un clan di elfi. Tutti quanti parlavano il Comune più che discretamente, quindi riuscii a farmi capire. In cambio mi raccontarono storie sulla loro vita lì, ma erano quasi tutte storie di combattimenti contro i mostri o conto i loro molteplici nemici, o di missioni rocambolesche per liberare schiavi.
Ammiravo quelle persone per la loro dedizione totale, avevano scelto di vivere in modo molto precario per assecondare i loro princìpi. Conoscendoli arrivai a capire un po’ meglio la dedizione di Holly, che a volte reputavo un po’ estrema; non era affatto estrema se paragonata alla loro.
Credo di essere rimasto un paio d’ore in attesa di notizie, cercando di schiacciare la sottile preoccupazione che provavo, quella voce nella mia testa che diceva E se qualcosa andasse storto? La possibilità di scambiare racconti di vita mi diede modo di distrarmi un po’, ma sotto sotto ero sempre in tensione.
Alla fine, la Gran Sacerdotessa tornò da me.
“Il tuo amico è vivo. Fra poco si sveglierà. Desideri essere presente?”
Naturalmente desideravo esserci. La seguii di buon grado nel luogo in cui aveva svolto il rituale, ed ero così in pensiero che non le guardai neanche il fondoschiena.

Holly era steso su un blocco di pietra che immagino facesse la funzione di altare. All’inizio mi sembrò morto, ma guardandolo bene alla fioca luce dei fuochi fatui mi accorsi che respirava lentamente. Era come addormentato, avvolto nel suo mantello. Probabilmente quel singolo strato di tessuto, per quanto pesante, non poteva tenere lontano il freddo della pietra, perché Holly cominciò presto a rabbrividire nel sonno.
“Sta riprendendo la sensibilità. È importante che in questi primi momenti prenda confidenza con il suo nuovo corpo, bisogna stimolare il senso del tatto perché all’inizio sarà un po’ insensibile.”
Lui è sempre insensibile, pensai con un sorriso. Ma non avevo abbastanza confidenza con la signora per fare una battuta, soprattutto sul mio amico morto. O ex morto.
Alla fine Holly aprì gli occhi. Li spalancò di colpo, come se si svegliasse da un brutto sogno.
“Dove sono stato?” Domandò subito, parlando con voce roca. Deglutì una volta, provò a schiarirsi la gola e parlò di nuovo. “Non ricordo… i ricordi mi sfuggono come acqua… dove sono stato?”
La sacerdotessa scosse la testa, incapace di dargli una risposta. “Quello che succede a un’anima nell’Aldilà è fuori dal mio controllo.” Rispose pacatamente. “Cosa ricordi?”
“Ricordo una voce, chiaramente, era… non era la dea, era una voce maschile. Aveva un tono… come di rimprovero, ma il ricordo non ha il sapore del disagio. No, ero molto contento. Ma non ricordo… ero convinto che le cose stessero per cambiare in meglio ma non ricordo perché.”
Parlò di getto, come se temesse che da un secondo all’altro avrebbe dimenticato tutto. Forse sarebbe successo proprio quello. Si alzò a sedere, cautamente, appoggiandosi sulle mani. Sbatté le palpebre una o due volte, confuso. Si portò una mano al viso, come per stropicciarsi gli occhi, ma quando si toccò una palpebra sussultò.
“Ho qualcosa negli occhi?” Tastò la palpebra chiusa con la punta delle dita, poi passò all’altro occhio. “Ho qualcosa negli occhi! Sembrano delle lenti molto sottili. È opera dell’incantesimo…?” Domandò, rivolgendosi alla sacerdotessa. Lei però era confusa quanto lui.
“No, decisamente no. L’incantesimo avrebbe dovuto creare solo una copia del tuo corpo.”
Si guardarono l’un l’altra, come se entrambi sperassero che l’altro trovasse una spiegazione. “Oh, be’.” Decise alla fine Holly. “Se hai ricreato il mio corpo con un incantesimo clericale e sono comparse anche queste, sarà la volontà divina… credo.”
“Potresti chiederlo direttamente alla Signora.” Suggerì la sacerdotessa, con un sorriso birichino. “Potrebbe essere l’occasione giusta per vedere se le tue capacità sono sopravvissute alla tua morte.”
Holly sembrò sul punto di obiettare, ma poi evidentemente cambiò idea. Si strinse meglio nel mantello, chiuse gli occhi e sembrò raccogliersi in una grande concentrazione. Rimase così per un tempo che mi parve infinito, ma forse erano solo alcuni minuti.
“Non si tratta di un suo dono.” Ci spiegò infine, quando aprì nuovamente gli occhi. “È stata la volontà di Corellon Larethian. Le lenti sono uno strumento per svolgere meglio i miei compiti, qualunque cosa voglia dire. Mi serviranno a servire, o qualche altra frase a effetto del genere.”
“Ma non ti ha detto esattamente che effetto abbiano?” Domandai.
Holly e la sacerdotessa mi guardarono con una punta di compassione.
“Non funziona in questo modo.” Spiegò lei dolcemente.
“Proprio no.” Rincarò Holly. “È già tanto avere una risposta più lunga di un Sì o un No. Ma per me è sufficiente sapere che questi oggetti mi siano stati dati per essere più utile. È un grande sollievo, significa che il Padre degli Elfi considera favorevolmente il mio desiderio di redimermi per ciò che è successo a Shilmista.”
“Penso sia ora che mi racconti tutto.” Intervenne la sacerdotessa. “A partire dalla tua missione nel Cormyr, sempre che tu l’abbia portata a termine.”
Holly raddrizzò leggermente la schiena. “Ebbene sì, dopo la mia morte ho proseguito il mio cammino verso il Cormyr e ho effettivamente svolto la mia missione.” Raccontò. “Ho trovato il Portale misterioso di cui avevamo sentito parlare, e da esso emana davvero una strana malvagità.”
“Una strana malvagità?” Ripeté la donna, chiaramente incuriosita da quella scelta di parole. “Da quando la malvagità è qualcosa più che banale e prevedibile?”
Holly si strinse nelle spalle, rabbrividendo leggermente per il freddo. “Non lo so, era strana. Non mi è sembrato che fosse un Portale che dava sull’Abisso, ricordo la sensazione che lascia sulla pelle la presenza dei demoni ed è diversa da quella. Potrebbe aprirsi su un diverso Piano immondo, ma non so quale. Forse un chierico saprebbe indagare meglio.”
Ci rifletté ancora un momento, corrugando la fronte. “Oh, un altro dettaglio, non so se possa servire: si apre solo con la luna piena, per pochi minuti, e quando si apre ne esce un fitto banco di nebbia.”
“Nebbia? Ti ha fatto qualcosa?”
Holly scosse la testa. “Ero già un fantasma, Signora. Non so se la nebbia sia velenosa o se provochi confusione nelle menti deboli… ero al di là di simili problemi. Per me è stata solo nebbia.”

Holly poi le raccontò anche quello che era successo a Shilmista, la sua morte, la mia missione “diplomatica” e la spedizione di Saelas nelle gallerie. Parlammo a lungo, tutti i tre, delle nostre azioni, di responsabilità e colpe. La sacerdotessa però non si espresse, né per assolvere né per condannare, lasciò che fosse Holly ad aprire il suo cuore.
Non so se lui si sia sentito meglio alla fine di tutto questo, ma sapevo che aveva bisogno di raccontarle tutto.
Poi le facemmo anche un resoconto preciso della missione alla ricerca della città perduta di Atorrnash. Questa storia suscitò tutto il suo interesse e ci fermammo a parlarne per ore, forse per tutto il giorno.

Ripartimmo quella stessa sera (o almeno credo che fosse sera). Confesso che mi voltai indietro parecchie volte e che la mia mente era persa in pensieri molto più piacevoli che all’andata. Ero nuovamente mascherato da umano e ricordavo la delusione con cui le belle sacerdotesse avevano accolto il mio camuffamento.
“Come fai ad andartene ogni volta da questo posto?” Domandai a Holly, dimentico del fatto che mi avesse detto di fare silenzio lungo la strada.
“Ssssht!” Fu l’unica risposta.
Sospirai, con la testa fra le nuvole. Se io fossi stato legato a un tempio in cui le sacerdotesse erano così belle e così mezze nude, avrei passato tutto il mio tempo a pregare devotamente. Altro che svolgere missioni in giro per il mondo.

Riuscimmo a tornare alla nave senza grossi incidenti, appena in tempo perché il capitano stava iniziando a diventare nervosetto. Forse aveva affari loschi in ballo, chi lo sa... ma accolse con sollievo il ritorno della sua preziosa scialuppa.
La nave compì una brusca virata per allinearsi con il Portale (ricordandomi perché avessi deciso di non salire più sulle barche) e un attimo dopo stavamo navigando nelle acque leggermente mosse della cava marina nascosta sotto Monte Waterdeep.
Era da tempo passato il tramonto, ma in inverno questo vuol dire poco. Il cielo era troppo nuvolo per stabilire in che frangente della notte fossimo. Troppo tardi per trovare una buona locanda, di sicuro.
Holly stava riscoprendo le necessità di un essere vivente e ora aveva fame. Cercammo una taverna, ma a quell’ora erano aperte solo le peggiori bettole dove si trovava più facilmente alcol che cibo.
Ci accontentammo di un pub vicino al porto fluviale, dove si serviva una birra d’orzo così densa che era praticamente polenta.
“Hm. Mi ero dimenticato quanto facesse schifo la birra da poco.” Si lamentò Holly, ma ne prese comunque un altro sorso.
“È una normalissima birra da umani.” Ribattei, a bassa voce. Il commento strappò una risata a entrambi. Nessuno di noi due è particolarmente razzista, ma a volte la battuta ci scappa. Tirammo mattina, in attesa che qualche locanda vera aprisse i battenti.
La nostra scelta cadde su una modesta struttura che offriva pasti senza pretese e letti puliti. Era nostra intenzione fare una colazione sostanziosa, dormire fino al pomeriggio, e poi… Holly sembrava risoluto a cercare nuovamente Lólindir.
Quella sera andammo direttamente a trovarlo dentro il sanatorio. Questa volta non era intento a occuparsi dei feriti, ma dei malati non contagiosi.
Come ci vide, Lólindir impallidì leggermente e smise di controllare le condizioni dei malati. Ad ogni modo, erano tutti profondamente addormentati, come se fossero stati sedati con la magia o con qualche droga.
“Che cosa volete ancora?”
Dal fatto che non avesse parlato a bassa voce, intuii che dovevo avere indovinato circa le condizioni dei suoi pazienti.
Holly si fece avanti con passo sicuro, afferrò la borsa conservante che gli avevo tenuto da parte e ne rovesciò il macabro contenuto sul pavimento. La testa del drago d’ombra cadde con un tonfo sul lindo pavimento del sanatorio. Holly la spinse con un calcio verso il giovane drago d’argento.
“Mi era sembrato che la nostra conversazione si stesse basando su presupposti errati.” Annunciò, in tono amabile. “Nella speranza di aver corretto le tue ingenue illusioni, sono qui per ripeterti che non ti farei mai del male.”
Lólindir fissò la testa mozzata, con gli occhi fuori dalle orbite. Il suo labbro inferiore cominciò a tremare. Per qualche motivo, non sembrava rassicurato dalla mossa di Holly.
“Perché hai fatto questo? Perché con te ogni conversazione deve basarsi sull’intimidazione?” Cercò di sopprimere un brivido, senza molto successo.
“Non riesco a comprendere la tua reazione.” Rispose Holly senza scomporsi. “Perché voialtri scambiate ogni dimostrazione di forza per un tentativo di intimidazione? Il solo fatto che potrei farti del male non significa che io voglia farlo. Oppure quello che ti destabilizza così tanto è l’idea stessa che esista qualcuno in grado di ferirti? Perché ho una notizia per te, fanciullo: ci sarà sempre qualcuno più potente di te. E di me. C’è un dracolich arcimago da qualche parte vicino a questa bella città, e ogni giorno in cui la tua cara Waterdeep resta in piedi è solo perché a lui non interessa distruggerla. É un pensiero così spaventoso?” Lólindir lo guardava con quegli occhi sgranati, sconvolti. Holly continuò senza alcuna pietà. “Sono cresciuto con la consapevolezza che l’unico motivo per cui andavo a dormire ogni sera ancora vivo era che, quel giorno, a nessuno erano girati i cinque minuti mentre io mi trovavo nei paraggi. E l’unico motivo per cui mi svegliavo ancora vivo era che nessuno aveva interesse a uccidermi nel sonno. Nessuno è intoccabile, principino d’argento. L’idea che la nostra vita ci appartenga e che la nostra sopravvivenza dipenda solo da noi è una sciocca illusione, e tu che da bambino sei stato quasi ridotto in schiavitù dovresti aver capito che la sopravvivenza non è un diritto e nemmeno la libertà. Se il mondo fosse buono non ci sarebbe bisogno di eroi o di leggi, non ci sarebbe bisogno di persone con dei princìpi che lottano perché la sopravvivenza e la libertà diventino un diritto. Per cui dimmi, Lólindir: hai così tanta paura di me? Infesto i tuoi incubi come uno spaventoso Uomo Nero che vive sotto il tuo letto e che tornerà per ucciderti?” Lólindir aveva un’espressione che lasciava immaginare proprio questo. Holly gli rivolse un sorriso amaro. “Senza offesa ma credo che ci siano anche altre persone in grado di farlo, almeno finché non crescerai un altro po’. Con me almeno hai la certezza che non ne ho intenzione.”
“Come so che non ne hai intenzione?” Gracchiò Lólindir, trovando a fatica la voce. “Se credi in questa sorta di legge del più forte, come so che non mi ucciderai se, per esempio, ti negassi le spade corte?”
Holly chinò la testa da un lato, studiando con attenzione il giovane.
“Ebbene, tanto per cominciare lo sai perché quelle sono due spade sacre e se facessi qualcosa di così meschino non sarei più in grado di maneggiarle. Ma al di là di queste considerazioni tecniche, io credo nella legge del più forte nel senso che mi limito a osservare che le cose funzionano in questo modo. Non ritengo che sia giusta. Ritengo che sia una realtà, spiacevole, crudele, ma che non si può assolutamente ignorare. Chiudere gli occhi davanti alla brutalità del mondo significa morire, nessuno di noi è speciale e a nessuno di noi è garantito qualcosa solo per il fatto di esistere. Ma lascia che ti dia qualche consiglio di arte bellica, visto che come guaritore ovviamente non ne capisci nulla: non ha senso intimidire qualcuno con una prova di forza se poi lo vuoi ammazzare. Se volessi ucciderti non ti farei mai sapere che ne sono in grado, ti ucciderei e basta. Il fatto di averti dimostrato che posso uccidere un drago molto più grande di te significa aver rinunciato a un grosso vantaggio strategico, nel caso in cui io e te fossimo in guerra. Essere sottovalutati, avere il vantaggio della sorpresa, queste sono tattiche vincenti. Tutto il resto è diplomazia. Anche l’intimidazione.”
“L’intimidazione è diplomazia?” Pigolò il ragazzo, confuso.
“L’intimidazione è una manovra per risolvere un potenziale conflitto in modo non violento, o almeno non letale. È l’espediente di chi vuole mostrarsi più forte di quello che è per scongiurare una battaglia, oppure di chi vuole bluffare facendo credere di avere il fegato o il cuore di uccidere qualcuno quando invece non ce l’ha.” Spiegò Holly, con pazienza. “Risolvere un conflitto senza versare sangue non è l’anima della diplomazia?”
Lólindir rimase in silenzio per quasi un minuto, riflettendo su questo concetto apparentemente paradossale.
“Perché mi dici tutto questo? Perché neghi che la tua dimostrazione di forza sia stata un gesto di intimidazione, se l’intimidazione è solo diplomazia?”
Holly si lasciò scappare un sospiro triste.
“Ti dico tutto questo perché voglio che tu capisca, come ho detto fin dall’inizio, che non ti farei mai del male. Tu sei una brava persona che sta dedicando la sua vita a curare i malati, e hai tutto il mio rispetto per questo. La mia dimostrazione di forza era tesa a correggere la tua assurda convinzione di essere intoccabile, una dose di buonsenso che non può farti che bene; ma non era un tentativo di intimidazione. Primo, perché tu avevi già paura di me.” Lólindir cercò di replicare, ma non trovò le parole. “E secondo, perché io non voglio che tu abbia paura di me. Io e te non siamo in guerra, non abbiamo bisogno di diplomazia.”
Holly lo guardò negli occhi e questa volta Lólindir sostenne il suo sguardo. Alla fine annuì.
“Vado a prendere le spade corte. Non sono un guerriero, è meglio che le tenga tu.” Annunciò alla fine. “Vorrei che in cambio mi lasciassi la testa del drago, si distilla un ottimo e raro antidoto universale dalle cervella di un drago d’ombra.”

Quando Lólindir tornò, Holly prese le spade e le soppesò tenendole in mano qualche momento, come se ne avesse sentito la mancanza.
“Le hai fatte incantare,” osservò il giovane “percepisco che sono sacre e che possono colpire senza uccidere, una strana combinazione. Ma gli hai anche dato un nome?”
“Certo. Tutte le armi magiche dovrebbero avere un nome.” Holly sorrise con malizia. “Hai indovinato, possono colpire senza uccidere. Si chiamano Gentilezza e Diplomazia.”

           

   
 
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