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Autore: Selena Leroy    25/10/2017    1 recensioni
Il progetto "Les Enfant Terrible" aveva uno scopo: dare alla luce una nuova generazione più consapevole, più capace e più ambiziosa della precedente. Non era rimasto molto, d'altronde, agli ultimi superstiti di un pianeta arso vivo dalla Peste, un nuovo morbo che infesta il pianeta uccidendo qualunque creatura esistente si trovi sul suo cammino.
Yuya Sakaki è una di queste speranze, cresciuta assieme al padre e alla medicina. Ha solo sedici anni, ma il suo quoziente intellettivo supera di gran lunga quello delle sue normali coetanee; con il suo amico di sempre, quel ragazzo di nome Yuto segretamente innamorato di lei, continua una battaglia che però sembra persa in partenza.
E la situazione, per lei, volgerà inaspettatamente verso il peggio; alla morte improvvisa del padre, le decisioni di un uomo mai visto né sentito e che risponde al nome di Leo Akaba, la porteranno via dal suo luogo natio, dai suoi affetti e dai suoi amici, e in quella solitudine imposta da estranei, nelle cui menti si cela un segreto dalle cupe ombre, tutto ciò che le rimane da fare è lottare, e continuare quella ricerca ora così preziosa. Se farlo o meno da sola, dipenderà solo da Reiji Akaba...
[Pendulumshipping]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akaba Reiji/ Declan Akaba, Yuto, Yuya Sakaki
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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A

nnaspava nell’incertezza di un corpo in procinto di crollare, eppure non ebbe alcun modo di contraddire quel sorriso spontaneo che nacque sulle sue labbra quando, al crollare sgraziato sul divanetto di uno studio adesso fin troppo frequentato, pervenne nelle sue mani la convinzione di poter davvero affermarsi come utile - ad una causa che non fosse l’eterno poltrire in coltri che straziavano la sua vitalità impigrendone gli accesi desideri di libertà. Un simile impegno si era miseramente saldato con il rarefarsi dell’immagine di un piccolo - a lei prezioso  - per la bontà che irradiava gli angoli bui del suo cuore, una luce che adesso colmava il dolore di rosso nei frangenti in cui quel povero Reira, ormai solo con la sola compagnia della madre, tentava i suoi timidi approcci per cercare anche le scuse meno plausibili, pur di scrutare ancora una volta il suo sguardo ora felice – e Himika stessa veniva più volte dabbasso, con la scusa di non aver abbastanza coraggio per lasciare al piccolo la libertà di muovere i suoi passi in un mondo tanto insicuro come in quel laboratorio, dove la vita umana era una merce pregiata purtroppo ancora incapace di avere una valuta decifrabile. Certo, il dover ammettere una simile contentezza anche su siffatto torpore amicale, tratteggiava di lei un’aura tetra che avrebbe volentieri cancellato stropicciando il cucciolo in coccole degne della più affettuosa delle sorelle – e perché lei aveva davvero iniziato ad amalgamarsi ad un ruolo che altri nemmeno avrebbero ascritto sul suo copione – ma era un lato di lei che le era stato inculcato fin dall’infanzia, e che in una tortura dalle basi psicologiche imponeva un suo impegno attivo lì dove la matematica, la chimica e la fisica la facevano da padrone. Era ormai una radice che comandava alla sua mente la prevaricazione del cuore, e che imponeva una gioia artificiale allorquando il divario dalla verità sembrava colmarsi con nuovo lavoro e imposizioni a cui altri avrebbero volentieri sbuffato, gridando pietà per orari più flessibili ed umani. A detta di molti – di tutti coloro, cioè, che sostavano all’esterno delle quattro mura candide adibite ad alcova di Reiji, che mai avrebbero potuto vantare un’interazione con lui maggiore di quella che lui stesso riservava ai muri, e che vivevano in una terra di mezzo che li chiamava al dovere pur non sapendo nemmeno quale verità aliena conservasse il loro capo nell’essere onnipresente, onnisciente e onnisapiente  - simile dedizione alla causa era solo il patetico tentativo di attrarre a se un’attenzione non dovuta e non desiderate, una moda spocchiosa che i privilegiati riservavano allo sguardo dell’invidioso, il cui compito era solo quello di osservare in silenzio ciò che probabilmente non avrebbero mai avuto il potere di raggiungere. A Yuya non interessava, né aveva timore delle chiacchiere infondate che giravano incontrollate intorno alla sua persona e lontane dalle sue orecchie; aggirava con grazia le loro parole come fossero ostacoli ingombranti e quindi prevedibili nelle loro traiettorie, e di quelle presenze evitava lo sguardo, per il semplice motivo che ogni grammo della sua pazienza e della sua forza aveva giurato eterna fedeltà ad un solo obiettivo, quel semplice eppur invalicabile obiettivo che supplicava ad ogni neurone  lo sforzo supremo di una soluzione che connettesse i vari insuccessi ottenuti. Che le risposte fossero ancora al di fuori dalla loro portata era un fatto di innegabile dolore, e questa era un’ammissione che costava dolorosamente al suo orgoglio, ma d’altro canto erano innegabili i passi conseguiti nella direzione corretta e nelle scelte alternative che erano state scartate, e per quegli innegabili traguardi ella quasi si commuoveva al pensiero di aver affiancato tutto il lavoro e di esservi stata presente.

“Sei ancora qui?”

La voce di Reiji Akaba ebbe il dono di strapparla all’atipico torpore che, invasole le membra, aveva iniziato a strisciare subdolo anche nei suoi pensieri, sommergendola con sottile maestria al fine di soffocarla senza nemmeno renderla consapevole. Le iridi vermiglie furono dunque esposte nuovamente al mondo, senza un grammo di delicatezza a segnare il passo dal nero delle palpebre alla luce accecante che il neon della stanza aveva da offrire. Al centro di quel passaggio drastico, la figura di colui che – con diverse reticenze – doveva riconoscere come suo capo si stagliava con rigidità, quasi fosse una presenza scomposta il cui divenire non era stato adeguatamente ammesso.

Erano passate diversi giorni, dall’inizio di quella strana avventura che l’aveva trascinata sull’attenti, senza la dovuta preparazione mentale, alla mole di lavoro ricadutale brutalmente tra le braccia, ma la corretta percezione di un tempo regolare aveva lasciato già da tempo i corretti binari mentali per trascinarsi in un tunnel di elucubrazioni in cui il semplice contrapporsi ad un secondo, trascorso tra i mille altri collocati sistematicamente nell’infinito scorrere, significava il rimorso sempiterno per aver davvero permesso a quel suddetto secondo di vivere con la consapevolezza di non aver rappresentato con l’adeguata correttezza l’impegno profusosi e presosi nella serietà che i suoi sedici anni non avrebbero dovuto conoscere. Yuya si era vista quindi proiettata nel giorno come un proiettile in corsa, il cui impatto avveniva solo al tramontare della luna, quando alla mente nel suo incessante lavorio seguiva il supplicare contorto del suo fisico prostrato, che attivava meccanismi di difesa per garantirle almeno le pochissime ore di sonno necessarie a non crollare definitivamente senza l’accortezza a metterla in guardia sul pericolo da lei stessa corso nel condurre una vita così frenetica.

Tutto questo, lei, lo aveva accettato quasi un obbligo imposto da altri, eppure era anche vero che nessuno avrebbe davvero desiderato la sua totale liofilizzazione in nome di una risposta che sarebbe anche potuta non arrivare, e tra questi spiccava – anche se il mondo non ci avrebbe creduto nemmeno se l’avvento di un oracolo senziente avesse davvero avuto la capacità di farlo – proprio il nome di colui che un tempo, più che vederla consumarsi nel lento sciorinarsi delle sue forze, avrebbe volentieri reso partecipe se stesso di una cancellazione definitiva – di sicuro non letale, perché era comunque di Reiji Akaba che si stava parlando  - in grado di depurare la villa e lo studio della sua presenza.

Lo stesso individuo che adesso le si era avvicinato con fare solerte, le mani a stringere la ceramica voluminosa dal cui interno proveniva un caldo aroma di cioccolato.

La parola amici era senza alcun dubbio fuoriposto se, nella frase in cui la si desiderava utilizzare, i soggetti a comparire erano proprio loro due, ma quell’atavica faida che li aveva visti contrapposti e decisi a battersi per il predominio di lui e il diritto all’esistere di lei aveva ormai concluso la sua epopea con la resa congiunta delle armi e il tacito accordo di lasciar correre una lunga e proficua tregua, al fine di congiungere le forze per un fine superiore. Erano... non avrebbe mai saputo individuare, Yuya, il termine corretto che servisse a definirli, ma la semplice constatazione che ella non fosse più indesiderata le rendeva in qualche modo più facile approcciarsi al suo indirizzo, senza la bile ad ucciderle il fegato. Lo screzio iniziale, le frecciate lanciate con giusto interesse di infierire sul passato rancoroso che li segnava, adesso si colmava con giusto quella dose di sarcasmo che colorava le giornate di un sorriso in più e di una risatina sotto i baffi, una concessione che – nelle loro circostanze – tanto diveniva utile quanto necessaria era la forza per andare avanti accanto alla signora morte lì poco distante.

Poteva anche non avere un nome, il loro legame, ma la sua esistenza era stata forgiata in un terreno che di sterile prometteva solo l’uccisione di tutto ciò che vi era presente, e come tale aveva ormai immesso radici così profonde da risultare diradicabili.

“Volevo controllare gli ultimi dati della giornata, sperando in qualcosa di nuovo... ma non è saltato fuori nulla di rilevante.”

Il sapore del cioccolato infondeva dolcezza lì dove l’amaro delle parole pronunciate incrinava i pensieri in considerazioni che martoriavano il suo buon umore. Parlava di soddisfazioni perché davvero ella aveva a cuore la possibilità di poter stare in prima linea lì dove la battaglia imperversava, ma nemmeno simile constatazione avrebbe reso la pillola meno indolore,e quella maschera che era solita indossare per nascondere simile verità, quella del sorriso smagliante e dello sguardo acceso alle nuove speranze, in quel momento era riversa al suolo priva della benché minima utilità. Cercava l’imperfezione del marmo glaciale che rivestiva il pavimento per non incorrere in una qualche forma di ira che avrebbe potuto risiedere all’interno delle ametiste solitamente dure e irreprensibili ad ogni abbattimento, e forse, per la prima volta dal loro conoscersi, era proprio lei ad evitare il confronto – perché non se ne riteneva in grado – ricercando un pallido pretesto per lasciare il guanto a rigirarsi tra le sue dita.

“Abbiamo collezionato molti insuccessi, in questi giorni... vero?”

La domanda, uscitale dalle labbra senza la ragione a chiederne le dovute spiegazioni, divenne colpa nel medesimo istante in cui la sua voce fu udita dalle sue stesse orecchie. Se le mani non fossero state artigliate alla tazza colma di cioccolato fumante, avrebbe volentieri imposto alle sue dita di sigillare quelle linee morbide che, nella libertà solitamente riservategli, avevano travalicato i limiti del possibile per gettarsi di peso nell’imbarazzo più compiuto. Aveva già formalmente firmato la resa, aveva concesso a se stessa il pensiero che nuovi diverbi dovevano essere evitati... e invece aveva appena concesso al suo passato aguzzino di accanirsi di nuovo su debolezze che invece avrebbe dovuto nascondere nel modo più coerente avverabile. La stupidità era il solo termine corretto che veniva a indicare il suo atteggiamento incontrollato.

Il leggero movimento che avvertì al suo fianco fu l’unico sollecitamento del mondo esterno capace di sommuovere tutte le pareti erette dalle sue elucubrazioni. Riflesso nel suo sguardo attonito, la figura slanciata ed elegante di Reiji - silenziosa contro ogni aspettativa – declinava dolcemente su quello stesso divanetto nel quale lei tentava assurdamente di scomparire, accaparrandosi la restante metà lasciata vuota e continuando a sorseggiare la bevanda energetica, quasi non avesse colto la benché minima parola provenire dalla sua avversaria.

Aveva appena lasciato ad un sospiro di sollievo il lasciapassare per esprimere la sua gratitudine - ad una gentilezza così inaspettata -, quando, all’improvviso, quel lui che avrebbe pregato di non infierire ulteriormente intervenne con l’insolita flemma che lo contraddistingueva.

“Io credo che tu non riconosca la preziosità dei piccoli passi... Yuya

Ciò che non conobbe come bizzarro in quella frase si disvelò fugacemente nel pensiero inconscio che, per la prima volta, e in un contesto del tutto inaspettato, quell’uomo - sempre molto rigido e fiero delle distanze poste a limite delle loro esistenze - avesse interloquito con lei chiamandola per nome. Quattro lettere, stupidaggini fonetici che tutti – lei per prima – avrebbero ignorato per la banale constatazione di un lavoro che ormai li stava portando a condividere un certo numero di tempo e spazi tali da non far apparire simile libertà come una qualche stranezza improvvisa nel loro rapportarsi, ma era vero che per lei cotale novità si irrobustiva per aver avvertito – forse per la prima volta, forse nel magico istante in cui aveva intravisto l’ombra di quel sorriso dall’unicità preziosa su un viso solitamente atono verso le proprie emozioni – un lui diverso, meno avverso, meno cinico e più umano, un qualcuno che mai avrebbe riconosciuto in quel sadico maledetto che, nel suo primo giorno da straniera in patria, aveva osato sfidarla solo perché gli appariva inconcepibile il loro respirare dalla stessa aria. Era un mondo ribaltatosi all’improvviso, i cui poli avevano inavvertitamente lasciato il loro ruolo egemone di asse portante della terra e l’avevano ceduto all’equatore, sconvolgendo tutto l’ecosistema e gli abitanti ivi compresi. Potevano esserci altre spiegazioni, per concedere la dovuta spiegazione a quanto stava accadendo?

“Abbiamo passato interi anni, decenni interi a cercare come ciechi che brancolano nel buio più totale. La tua stessa vita è stata condizionata dalla ricerca, sei parte del progetto Les Enfant Terrible... e io non sono da meno, dato che ho condiviso il tuo stesso destino, solo in maniera meno ufficiosa. Mio padre volle che il genio della sua stella passasse nelle mie mani, e fin da quando posso ricordare, al posto dei normali libri che vengono comprati ai ragazzi, ho solo consultato testi scientifici”

Comprensione, il primo sentimento natole dal cuore e riversatosi nella sua anima ora trasparente come le lacrime compresse nei suoi occhi di rubino; tristezza, per aver inutilmente sperato che la sua triste vicenda non fosse altro che una parabola riguardante il suo mondo e la sua personale prigione, mentre in verità aveva da scrutare più dimensioni di cui ella non era a conoscenza; consapevolezza, creatasi dalle ceneri di una passata valutazione entratale in testa con l’arroganza di chi detta nuove imposizioni anche laddove non sono ben accette.

‘Io... non l’ho mai capito. Perché l’ho giudicato?’ fu la constatazione del suo errore, e l’ammissione della sua colpa, della sua stupidità e del suo inizio per la redenzione.

“Molti scienziati si mostrarono contrari al progetto Les Enfant Terrible, chiamandolo inumano e ingiusto... non ricordo bene quanti furono i più fieri oppositori, ma ricordavo bene che il nome di tuo padre compariva nella lista. Mi sembra ridicolo, adesso, dopo quello che mi hai detto...”
“Comincio a chiedermi se davvero posso affermare di averlo conosciuto” commentò, dopo aver lasciato ad alcuni secondi la capacità di mettere – in lei – il dubbio di aver detto o meno la cosa giusta “Forse avrei risposto affermativamente, prima della morte di Ray. Ma adesso...”

Di Ray, Yuya sapeva poco e nulla. Le poche informazioni sbocconcellate e custodite nella sua memoria erano merito di un bambino che, palesemente, soffriva per la scomparsa di lei. Lei non la conosceva, eppure poteva affermare che il suo spirito aleggiasse nella sua stanza in ogni particella avesse condiviso un secondo dei proprietari della dimora. Era nei loro pensieri, nelle parole non dette, nei gesti mancati e nei suoi stessi riguardi, nella scelta di parole che dovevano, per qualche assurda convinzione, differire da quelle usate per comunicare con la stessa giovane spirata due anni addietro. Chiunque avesse avuto il dono dell’onniscienza, avrebbe scorto il mondo prima della prematura morte di lei nel tepore sottratto ad una figura che, per il dolore che sapeva suscitare, nemmeno aveva il permesso di essere commemorata con una foto degna della sua persona, ma per quella ragazza - così insolita in un contesto così palesemente non suo – tutto ciò che le era rimasto scoprire si riduceva al vuoto cosmico che risucchiava i loro cuori. Non chiedeva per rispetto del loro dolore, ma per quel dolore che loro vivevano, il suo rapportarsi appariva sempre inadeguato nella ricerca di parole che non sapeva se essere corrette.

“Anche Ray lavorava qui, sai?”

Il lieve sussulto della tazza sulla cattedra poco distante – un sibilo breve che Reiji aveva lasciato echeggiare nel silenzio - risuonò quasi a scandire il tempo di una nuova discussione, il riferirsi ad altre sfere di coscienza, il cui valore ella non avrebbe mai saputo giudicare. Osservava attonita un cambiamento di cui non concepiva le giuste proporzioni e, nel suo essere calma, si nascondevano i mille dilemmi di chi non comprende davvero quale evoluzione il proprio io avesse dovuto fare per adeguarsi con la dovuta precisione.

“Ho appreso molto da lei, e mi ha guidato per i primi tempi... ho iniziato a lavorare qui quando avevo sedici anni, come te. O forse erano quindici, francamente non ricordo. Rimase con me solo sei mesi, ma quello fu un periodo davvero... bello, nonostante tutto. Mi sentivo davvero a casa solo tra queste quattro mura, solo quando io, lei e papà lavoravamo insieme, senza alcuna remora e senza alcuno ostacolo a impedirci di comunicare... ma poi è morta, e da lì le cose sono cambiate. Cambiate troppo, per i miei gusti”
Aveva lasciato al suo sguardo la libertà di divagare per anfratti dello studio che forse altro valore non avevano da comunicare se non la lucentezza che egli stesso aveva da pretendere in un regno che affermava suo, perché aveva ormai ogni diritto di residenza e comando, ma nel concludere con simile sentenza, con un tono lugubre e fosco in quel sussurro che rendeva roca la voce, Yuya ebbe nuovamente su di sé quelle iridi ametista che tanto sapevano incantarla, che rimirava con ossessione per l’incapacità di saperle comprendere e di intravedere le giuste cromature in grado di disvelare il cuore di una persona ai suoi occhi, ormai, tanto diversa.

“Ray mi ha insegnato molto. Forse non esagero se dico che le devo tutto; in lei vi era quella determinazione che ammiro in tutti coloro che non vogliono arrendersi, che continuano a combattere nonostante le sconfitte. Era il mio idolo, perché nella sua fermezza vedevo la ferma volontà di non bloccarsi nemmeno per un istante, quasi il semplice pensiero di aver lasciato correre un secondo senza avergli reso giustizia con un qualche tipo di nuovo dato fosse inammissibile. Era quella volontà luminosa che la rendeva il centro di questo laboratorio, tutti avrebbero venduto l’anima al diavolo, per seguirla”

“Io credo che sarebbe davvero fiera di te, adesso”

Yuya non si rese nemmeno contò di aver parlato, e in quella stessa sera registrò mentalmente il controllo perduto sulle sue corde vocali, per un numero di volte che iniziava a preoccuparla non indifferentemente. I pensieri accumulavano decisioni e riflessioni che, certamente, tentavano il lento divincolarsi dalla matassa della gnoseologia per coordinarsi nel cammino delle parole, ma simile processo ella voleva rimasse silenzioso, caduco e neutrale, perché il nuovo che lei assorbiva potesse successivamente amalgamarsi con cura al vecchio già presente. E invece, contro la sua stessa volontà, fu sommariamente costretta a dire – con voce udibile – tutto ciò che di quel momento aveva rappreso nella sua mente. E, in simile sostrato di pensieri, comprese anche di dover rendere giustizia ad una sincerità candida nel suo essere disarmante, aprendogli il suo cuore pur col timore che esso venisse offeso un’ulteriore volta.

“Insomma... io sono qui solo da poco tempo, però ho notato il rispetto che gli altri provano per te. Non è semplice stima per il figlio del capo, è qualcosa di più... profondo. Loro riconoscono il tuo genio, e accettano la tua guida perché sanno di essersi affidati alla persona migliore. Non posso sbagliarmi su queste cose, sai? Loro... loro non sono obbligati ad avere fiducia in te, ma rispettano le tue decisioni già sapendo che sono le migliori. Anche quelle che hai preso per me...”

Il contatto visivo divenne insostenibile, una tangibilità quasi dolorosa. Lo sguardo del cremisi vivo fuggì lontano, assieme alla figura di lei che, con grazia, si sollevava dal divano – la tazza ancora colma poggiata a terra - per lasciare ai suoi passi la libertà di condurla in quello stretto angusto, al solo semplice conseguimento di una distanza oggettiva che la proteggesse al meglio.

“Ho conosciuto la disperazione, nella mia vita, e gli episodi in cui l’ho quasi abbracciata non posso più nemmeno contarli sulla punta delle dita. Mi dicevo di essere forte, che avrei superato tutto e che, se nel passato avevo già resistito ad una batosta da parte della vita, sarei rimasta in piedi anche con un terremoto a sconvolgermi l’esistenza. Semplicemente... sbagliavo” un singhiozzo, un lieve singulto sfuggito alle labbra, ma nascosto abilmente dalle ombre della camera in cui erano rinchiusi, ombre che degradavano su un viso da Reiji imperscrutabile, per quella cascata di rubini che adesso si interponeva nella sua filamentosità aggraziata come obiettivo del suo sguardo “Non mi rendevo conto delle ferite che ricevevo, di quelle che non cicatrizzavano, e alla fine mi sono ritrovata riversa al suolo senza sapere che fare. È stato... quando ho compreso che tuo padre mi aveva tolto tutto solo per un qualche beneficio personale”

L’istinto, un desiderio comandato dal cuore senza valide spiegazioni, portò Reiji a compiere i passi decisivi ad annullare le distanze tra le loro persone. Fu un incedere rapido, e in quanto tale silenzioso al punto da avvertire l’aroma di lei – quell’aura che ricordava le selve dei boschi ricolme di fiori – inebriarlo con inaudita dolcezza.

“In quel momento” ignara di lui e del suo sguardo così possente, ella continuava a parlare, grata della libertà di quei suoi occhi ormai ricolme di lacrime salate “Compresi che la disperazione mi avrebbe pervasa per sempre, e che non me ne sarei mai liberata, anche continuando costantemente a lottare per liberarmi del dolore che mi portavo dietro. Era come dicevi tu, volevo solo lasciarmi andare, sacrificarmi... uccidermi usando i miei pazienti come scusa. Ma poi... tu mi hai dato la speranza, e io...”

Ogni altro suono morì soffocato dal timore che la mano di lui suscitò al posarsi con decisione sulla sua spalla, una presa decisa che la indusse a voltarsi, a regalare a lui quei cristalli senza forma nel quale era riflesso tutto ciò che il suo cuore era in grado di custodire. Il lilla carpì a se il carminio dei suoi occhi, quegli occhi di lei che un attimo prima avevano supplicato la solitudine e che ora, per qualche misteriosa ragione, non comprendevano un mondo dove l’essere scrutati in maniera tanto intensa non fosse concepibile. Era un tripudio di sentimenti, un ammassarsi talmente caotico da chiamarsi indecifrabile, così come gli occhi di lui che comunicavano qualcosa, un qualcosa che Yuya non riusciva a cogliere. Il suo mondo, in quel momento, era fermo al battito del suo cuore, il cui agitarsi convulso lasciò interdetto ogni pensiero razionale, e ogni sguardo deciso rivolto a lui e alle pieghe magenta che nei suoi occhi spazzavano la monotonia dei primi giorni. Era un piacevole tepore, il sentirsi così osservata, un calore che l’avvolgeva al pari di una calda coperta, ma che nel suo stesso proteggerla nascondeva l’insidia di un ignoto. Era, l’ignoto, la natura, l’origine, la primigenia causa che la rese così suscettibile. Che l’aveva portata a rivalutare quell’uomo nel quale, un tempo aveva lasciato alla sua effige di ricordarle il significato dell’odio, al punto da non conoscere più se stessa e i suoi stessi giudizi.

Aveva un valore quel suo discorrere con lei? Quel suo aprirsi involontario, quel suo affacciarla ad una storia che forse escludeva dal novero delle domande da lei fattibili? Yuya, che dei rapporti umani non aveva altra esperienza ad eccezione dei suoi cari amici e dei suoi familiari, ebbe da chiedersi, in quel momento, se davvero le parole avevano in se un potere tanto disarmante.

E ne ebbe paura. Paura che in lei vi fosse un qualcosa di inspiegabile, un ragionare che chiedeva tempo per il suo essere analizzato in maniera completa e coraggio per affogare in una coscienza che, prima di allora, non gli era mai sembrata così fosca e dalle acque così agitate. Ebbe paura di lui, del potere che Reiji iniziava a suscitare in lei, di quello sguardo che sembrava abbracciarla nel candore di una carezza e in un’enigmaticità che ancor di più rendeva al caos un lavoro più semplice.

Fu lì che avvenne l’accozzarsi di due desideri contrapposti; l’istinto che le suggeriva una fuga subitanea veniva trattenuto dal bisogno del suo sguardo, un pensiero irrazionale che chiedeva però uguale attenzione e non le permetteva di distogliersi dall’origine del suo caos. Suggerimenti impazziti allarmavano una mente affollata di pensieri, etichettandola come sensibile e fragile nell’essersi esposta a tali intime confidenze, ma se anche da un lato certezze di simile livello – e a suo dire erano comunque inferiori al grado di esattezza che avevano nei confronti del reale – potevano nascondere un nucleo di verità certamente da non lasciar nell’indifferenza, pure essi non sortivano l’effetto sperato, e nel suo sostare non vi fu nulla che suggerì ai suoi piedi un deambulare veloce verso qualunque sorta di nascondiglio sicuro, una zona d’ombra qualsiasi che la nascondesse dai suoi occhi... e da quello che sembravano voler comunicare.

Li sguardi non comunicano; era uno dei pensieri che turbinava in lei, assieme alla marasma di mille altre parole in quel momento sfuggiti al controllo delle frasi. Era certezza, forse l’unica afferrabile, l’unica su cui il dubbio non avrebbe in alcun modo potuto infierire. Non c’era alternativa, altrimenti, al tumulto che la sconquassava al pari di un terremoto.

Ella avrebbe voluto davvero conoscere, cosa si celava nelle nuove cromie dell’ametista. Ma i colori non sapevano parlare... e lei non ne conosceva i significati.

 

Il mondo ritornò, e lo fece con un suono intermittente proveniente dalla porta. Crollò la magia, l’incanto dello sguardo, l’ipnosi dei loro respiri sincronizzati. La figura scompigliata di Crow, maggiormente degradata dal sonno mancato e dal turno che non aveva deciso di terminare, apparve rumorosamente, l’ordine di prestargli attenzione di tale portata da lasciare in sospeso ciò che forse avrebbe finalmente chiarito, in Yuya, i mille ansiti che avevano appena cessato di torturarle l’animo.

“Capo, per fortuna è ancora qui. Potrebbe venire con me, per favore? Credo di avere qualcosa di interessante da mostrarle. Yuya, ovviamente devi venire anche...”
“Yuya ha lavorato per tutto il giorno, ormai sarà stanca” fu l’algido commento che pose fine al fiume in piena delle parole. Lei, sgomenta da simile freddezza, ricercò allora i suoi occhi, ancora una volta, un’ennesima anche se dettata dall’ignoranza attribuibile al suo ricercare... ma non vi vide assolutamente nulla. La frangia argentea copriva ciò che il rosso della montatura non riusciva a nascondere, e il dubbio che – nuovamente – fosse tornato quel luccichio sinistro che tanto l’aveva inquietata al loro primo incontro rimase senza risposta.

“Posso ancora lavorare...” tentò dunque, un qualunque approccio, anche sciocco, ma pur sempre un tentativo per riportarlo verso di lei.

“No, preferisco che domani tu sia ben riposata. Dobbiamo lavorare sodo, e sarebbe ingiusto chiederti di lavorare oltre il tuo orario di lavoro. Ne andrebbe della tua salute”

Non vi era minaccia, né una qualche forma di velato insulto... eppure ogni sua parola risultò fredda, perché calcolata al fine di risultare imparziale. Gelida come il Reiji Akaba che era stato un tempo. Impersonale come il Reiji Akaba che non desiderava averla in simpatia

Distante come il Reiji Akaba che aveva abbandonato il suo studio, lasciandola sola.

 

 

   
 
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