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Autore: bulmasanzo    26/10/2017    0 recensioni
Alfred ha accantonato il suo sogno di diventare un musicista per aprire un negozio di ciambelle, ma fatica ancora a definirsi un fallito. Le cose si fanno particolarmente bizzarre quando crede di concludere un affare per l'ottenimento di un ingrediente segreto per rendere le sue ciambelle più dolci, che però causa un effetto completamente inaspettato.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alfred si sentiva di cattivo umore.

Strinse forte il braccio dolente, mentre correva più in fretta che poteva, doveva raggiungere il suo negozio che aveva incautamente lasciato incustodito.

Aveva volato per raggiungere Steve, ma adesso non poteva più farlo, doveva contare sulla semplice forza delle sue gambe.

Aveva percepito che fosse in pericolo e non si era reso conto della distanza che aveva percorso per arrivare da lui.

Aveva agito di istinto, non aveva neppure immaginato di essere in grado di lottare contro dei veri criminali e di metterli fuori combattimento in quel modo.

In verità, aveva già sventato qualche piccolo crimine, ma quelli erano stati semplici, nessuno fino a quel momento gli aveva sparato addosso.

Il proiettile che era esploso durante la lotta era indiscutibilmente entrato nel suo braccio sinistro, e se fosse stato in condizioni normali, avrebbe trapassato la pelle e sarebbe uscito dall'altra parte. Invece, era rimbalzato fuori, come avesse incontrato un muro di cemento, lasciandovi però un solco.

Alfred aveva accusato sicuramente un grande impatto, ma non aveva sentito nessun bruciore, era stato 'normale', finché non era svanito l'effetto della sostanza, il che era avvenuto molto più in fretta del solito.

Era stato a quel punto che il dolore si era manifestato, e se all'inizio non sembrava così insopportabile, poco dopo pareva essersi moltiplicato per dieci.

Per pochi secondi ne era rimasto paralizzato.

Era caduto in ginocchio, aveva l'impressione che gli fosse stata portata via l'intera spalla.

Si agitò, intrappolato nella sua stessa tuta arancione da supereroe. E poi se la tirò su, riguadagnò i suoi abiti civili e si mise a correre, aveva l'impressione che qualcuno lo stesse guardando.

Arrivò con un fiatone esagerato, con i polmoni che urlavano pietà e il braccio che voleva staccarsi e cadere.

"Cavolo" riuscì a soffiare tra i denti.

Aveva sperato di non trovare nessuno, e invece c'era una coppia che riconobbe subito, erano Jon e sua moglie.

Lei era una signora che vestiva elegante, ma non eccessivamente da risultare pacchiana, con la sua pelliccia di finto visone, i capelli boccolosi biondi e il sorriso gioviale, si volse verso di lui con un grande sorriso. Il suo nome era Barbara ed era sposata con Jon da almeno quindici anni, durante i quali avevano avuto tre bambini.

Adoravano parlare di loro, ne erano orgogliosi e cominciavano sempre tutte le loro conversazioni dicendo che il più grande andava al primo anno di liceo scientifico, l'altro alle medie e la più giovane ancora all'asilo... Come se andare a scuola fosse un merito e non qualcosa di normale.

Ma non erano una scocciatura, erano una di quelle coppie gentili e disinteressate, quelli che li vedi per strada e non puoi fare a meno di augurarti di trovare un giorno anche tu una persona con cui passare il resto della tua vecchiaia.

Erano sicuramente passati per ringraziarlo per averli riforniti durante la festa, avvenuta ormai dieci giorni prima.

Alfred era sempre contento di incontrarli, ma questa volta avrebbe preferito di no, non era dell'umore per delle chiacchiere.

"Al, dove sei stato? Siamo qui da quindici minuti, non dovresti lasciare il banco abbandonato, non è buona educazione ed è... rischioso." fece Jon, con quel tono a metà tra lo scherzo e il rimprovero.

Alfred cercò di rispondere, ma aveva ancora il fiato corto. Si portò una mano sul cuore.

"Woah, tesoro" fece Barbara, una delle sue tipiche espressioni che le toglieva di dosso dieci anni "Ti senti bene?" si preoccupò.

"Stavi mica saltarellando da qualche parte facendo il supereroe?" Jon si mise a ridere, lo aveva detto per scherzare, ma Alfred sentì i peli della nuca rizzarsi all'udire quella parola.

Lo guardò. Glielo aveva detto?

Jon colse la sua espressione terrificata e tacque. "Era una battuta" specificò.

"Una battuta idiota" disse sua moglie "Mio marito dice sempre cose senza senso, pensa di essere divertente, pensa un po'!"

Alfred sospirò piano, sollevato.

No, non glielo aveva detto. Poteva fidarsi di Jon.

Si trascinò al bancone "Cosa posso fare per voi?" riuscì a dire, e riuscì perfino a tirar fuori un sorriso.

Che però si tramutò in uno spasmo.

C'era un uomo che fissava dalla vetrina, appostato dietro le spalle dei due clienti.

Aveva un impermeabile addosso e il viso scoperto.

La mascella squadrata era contratta, lo sguardo era truce e sorpreso allo stesso tempo.

Al lo riconobbe, perché lo aveva visto poco prima, era lo stesso tizio che aveva minacciato Steve con la rivoltella e che poi aveva colpito lui di striscio alla spalla.

Cosa ci faceva lì? Credeva, con il suo attacco, di averlo fatto svenire, credeva che Steve lo avesse fatto mettere in manette.

Era sfuggito alla cattura?

Lo aveva seguito?

Aveva visto che Fatman e lui erano la stessa persona?

"Ehi, Al?" richiamò la sua attenzione Jon "Ci sei?"

Alfred battè le palpebre e l'uomo non c'era più.

Ma aveva la netta sensazione che fosse ancora nei paraggi.

"Presente" disse.

"Sei diventato bianco, come se avessi visto un fantasma" si allarmò Barbara.

Alfred nascose la sua angoscia, pensava fosse finita, ma si era sbagliato.

Non aveva fatto abbastanza attenzione e ciò significava che adesso il suo segreto era a rischio.

Non solo il suo segreto, ma tutte le persone che conosceva sarebbero potute essere a rischio, per colpa di sua quella evitabilissima mancanza di attenzione.

Aveva voglia di prendersi a schiaffi da solo.

Che cosa si era messo in testa, seriamente aveva voluto giocare a fare il paladino della città?

Quello era un errore da dilettante e doveva porvi rimedio.

Ma senza farlo capire a nessuno.

Indossò una faccia da poker, rassicurò i suoi clienti, ridiventò la persona spensierata che tutti pensavano che lui fosse.

Non avrebbe mai scommesso un centesimo sulle proprie capacità attoriali, prima di quella giornata disgraziata.

Quando i due se ne andarono, finalmente, con il loro ordine sottobraccio, Alfred attese che si rimettessero in auto e partissero, poi chiuse subito il negozio e uscì fuori.

Si mise a ispezionare i dintorni, non trovando nessuno.

Eppure era sicuro che quel tipo fosse ancora lì.

Sembrava che la via fosse deserta e un po' si sentiva contento, un po' spiazzato.

Cosa si aspettava? Di trovarlo, pronto ad accusarlo di essere Fatman e minacciarlo di divulgare il suo segreto?

Quello di sicuro era andato via, si era preoccupato per nulla, non...

"Insomma, che cosa sei tu? Un dannato mutaforma? Un alieno?"

Alfred si voltò e vide proprio lui, con la schiena contro un albero, lo stesso uomo di prima, che lo affrontava a viso aperto.

"Non capisco di cosa parli" finse, anche se da ciò che aveva detto, poteva aspettarsi cosa fosse successo.

"Ti ho visto, eri un obeso e ti sei sgonfiato come un palloncino!" gli confermò lui "Tu sei quella caricatura di eroe che pattuglia la città."

Alfred lo fissò.

Il dolore alla spalla si era attenuato, e c'era qualcosa che lo spingeva in avanti.

L'unico testimone pericoloso era di fronte ai suoi occhi.

Sentì le sue gambe muoversi da sole, lui non aveva comandato loro di farlo.

Stava andando incontro a quel criminale, e la cosa assurda era che non si spaventava minimamente.

"Che succederebbe se si spargesse la voce?" fece l'uomo, in tono quasi ozioso.

"Tu non dirai nulla" disse Al con una calma innaturale "Così come non te ne andrai in giro a rubare ancora e a terrorizzare la gente. Altrimenti ti restituirò il favore che mi hai fatto."

Indicò la spalla, aprì lievemente la camicia per mostrare il grosso livido che c'era sulla pelle.

"Con la differenza che, se stavolta fossi io a sparare a te, tu moriresti dissanguato"

"Allora è vero, ti ho colpito!" fece lui impressionato "E non è stata una mia impressione, tutto quello che ti ha lasciato è un misero segno... ma come hai fatto?"

Alfred fece una smorfia, non voleva dirgli che quel segno gli aveva fatto malissimo.

"Ne vuoi uno pure tu? Quel pugno che ti ho tirato in faccia poco fa magari non è stato abbastanza convincente?"

Per nulla intimidito, l'uomo lo stette a fissare per appena tre secondi. Poi gli saltò addosso.

Non era armato, aveva perso la pistola, lo attaccò con le sole mani, convinto di trovare una resistenza nella media, poiché ora il corpo di Alfred era di dimensioni normali, qualsiasi cosa avesse fatto, adesso non ne aveva più le tracce addosso.

Alfred infatti non aveva ingerito la sostanza, ma da quando in qua era in grado di parare i pugni, da quando in qua riusciva a combattere, non aveva mai seguito neppure un corso base di autodifesa, non andava in palestra, non aveva la tartaruga sul ventre, né i pettorali pompati... allora da dove aveva tirato fuori quella forza?

Assestò un pugno in pieno volto al suo avversario, che fece un volo di un metro e si andò a schiantare contro l'albero.

Alfred guardò la propria mano ancora tesa. Non aveva idea neppure lui di come avesse fatto.

Si accorse che era terrorizzato da se stesso.

Questo non era lui, non assomigliava a nessuna delle sfaccettature della sua identità, non era il pacato pasticcere che vendeva le sue ciambelle fatte a mano con un sorriso, non era il timido e romantico musicista che catalizzava le sue emozioni scrivendo canzoni, non era il curiosone che faceva esperimenti... e non era un supereroe. Era qualcosa d'altro. Qualcosa di nuovo. Qualcosa che lo spaventava, qualcosa di potenzialmente malvagio.

Ecco, forse si era sbagliato sin dal principio, forse Fatman non era davvero un supereroe, forse era un supercattivo, forse aveva un lato oscuro che stava prendendo il sopravvento. Forse quella sostanza non era salutare.

Alfred si avvicinò all'uomo che aveva mandato al tappeto.

Questi lo guardava con odio, ma Alfred sapeva che era anche spaventato.

"Bene, allora... fai davvero schifo" lo insultò fregandosi il lato del mento con il dorso della mano, asciugando un lieve rivoletto di sangue che gli era colato giù.

Alfred gli tese una mano, solidale "Non volevo farti del male" disse "Mi sono soltanto difeso"

Lui schiaffeggiò la mano, rifiutandola, e si mise in piedi da solo. Doveva essere orgoglioso, perché tremava e cercava di nascondere il dolore che provava alla schiena.

"Vai a costituirti" gli consigliò Alfred "È la cosa migliore per te."

"Se lo faccio, dovrò raccontare quello che hai fatto, dovrò dire chi è stato a stendermi" ghignò lui.

Alfred portò una mano alle labbra, non voleva arrivare a questo, non era pronto, non sapeva come risolvere la situazione.

"Sai com'è che dicono nei film? So troppe cose, penso proprio che dovrai uccidermi" lo provocò l'uomo.

Alfred sobbalzò con virulenza.

Ma certo, aveva ragione! Quelle parole avevano senso.

Doveva ucciderlo, era l'unico modo per mantenere il segreto.

Perché non ci aveva pensato prima?

Era la soluzione più facile e veloce.

E la più efficace.

E gliela aveva suggerita proprio lui.

Quando abbassò gli occhi, si accorse di qualcosa di nuovo.

La sua mano si era gonfiata. Solo la sua mano, non il resto del corpo.

Spuntava dalla manica come una chela di granchio, sproporzionata e grottesca.

La mano grassa di un obeso, la mano di Fatman che nasceva dall'estremità del braccio di Alfred.

Non aveva mangiato la ciambella, ma forse la sostanza era ancora dentro di lui e quello era un effetto residuo, un effetto collaterale. Gli veniva in aiuto.

Ed era come se quella magnotta fosse dotata di una sua volontà, si muoveva per conto suo, come quello pseudoscientifico arto fantasma di cui si sente nelle storie incredibili in TV.

Il criminale la guardava sconcertato, come se tale vista lo ripugnasse.

"Lo stai rifacendo! Ma che cosa sei?" ripetè sussurrando, sembrava però che non volesse saperlo realmente.

Ma Al si accorse che la sua mano stava già stringendo il collo del malfattore, che annaspava.

La bocca si apriva e si chiudeva, la saliva veniva spruzzata un po' ovunque e la carotide vibrava sotto le sue dita. Emetteva grida soffocate.

Tentava di graffiarlo con le dita, ma era bloccato e non aveva scampo.

Gli occhi erano fuori dalle orbite, le guance blu, lo stava strozzando.

Era ciò che si meritava, pensò Alfred.

Se l'era voluta lui, aveva perso la ragione, si era gettato da solo nelle fauci del mostro.

Se c'era qualcuno da biasimare, quello non sarebbe stato di certo lui.

Fu quando i suoi occhi si rivoltarono nelle orbite che Alfred si irrigidì.

Sembravano gli occhi morti del pesce che si vende al mercato, erano diventati vitrei e acquosi.

Quella vista fece molta impressione ad Alfred.

Con orrore, lasciò andare la gola dell'uomo, che cadde a terra e iniziò a tossire spasmodicamente.

Era carponi e sputava sangue per davvero, stavolta.

Alfred sentì il bisogno impellente di allontanarsi da lui.

Era forse impazzito?

Davvero aveva considerato che ucciderlo fosse la soluzione?

Che cosa stava diventando?

Si voltò e ricominciò a correre.

Lo lasciò lì, non gli interessava più di fermarlo, tutto ciò che riusciva a pensare era che era stato sul punto di uccidere qualcuno. Lui. Lui!

E la cosa peggiore era che farlo mi sarebbe andato più che bene!

Non sarebbe dovuta andare in quel modo, non avrebbe mai più toccato la sostanza, avrebbe preso tutte le bottigliette e le avrebbe svuotate scaricandole nel gabinetto, ecco che cosa avrebbe fatto.

Non gli importava più niente di niente, non aveva chiesto di diventare un supereroe e neppure voleva esserlo.

Aveva paura di se stesso.

Voleva soltanto andare a casa e mettersi a urlare.

Tornò al negozio, prese la sua auto parcheggiata sul retro e andò dritto a casa.

Ma quando mise la mano sulla maniglia, si era scordato di avere la mano di Fatman, e fece tanta pressione che riuscì a scardinare la porta.

La vide volare a terra e schiantarsi con un fracasso tremendo.

Era orripilato.

Harvey comparve dall'interno, spaventato.

"Hai distrutto la porta" constatò.

Alfred tentò di rimetterla a posto, ma si sentiva come se fosse sul punto di vomitare.

Si strinse la bocca dello stomaco. Forse stava proprio per farlo.

La lasciò a terra, corse in bagno e quasi infilò la testa dentro la tazza.

Risentimento e un incredibile odio per se stesso raggiunsero lo scarico.

Sudava, respirava male, si sentiva come in un incubo.

Si fissò la mano gonfia. "Va' via" urlò "Non ti voglio!"

La mano si restrinse a vista d'occhio tornando alle dimensioni reali, come se avesse obbedito al suo ordine.

Pianse come un isterico.

Se Emily lo avesse visto in quel momento sarebbe stata disgustata da lui, pensò senza nessun motivo.

 

***

Il giorno seguente, Steve spalancò la porta del negozio e corse incontro al suo amico.

"Al" urlò "Mi spiace che non sono più venuto a pranzo con te, ma non indovinerai mai cosa mi è capitato ieri mattina!"

Al lo guardò con una faccia corrucciata, il suo cattivo umore era peggiorato dopo quella giornata assurda.

Aveva vomitato e pianto per tutta la notte, in preda a una lunghissima e devastante crisi di panico.

Harvey aveva continuato a strusciarglisi addosso, come cercando di dargli un conforto che non era riuscito a ottenere.

Era stato sul punto di liberarsi della sostanza per davvero, ma poi non lo aveva fatto. Qualcosa lo aveva fermato.

Non si prendono decisioni quando si è troppo tristi, o quando si è troppo felici, gli aveva sempre detto Emily.

Quella mattina non aveva voglia di lavorare, ma ci era andato lo stesso, si era trascinato. Anche se aveva un mal di testa terribile, e quando Steve aveva fatto irruzione, avrebbe voluto sbattegli in faccia la porta.

"Dopo aver lasciato il tuo negozio, sono stato preso di mira da un mucchio di malviventi... la paura che ho avuto non ne hai idea!"

Steve raccontava ciò che Al già sapeva come se fosse successo anni prima, con il tono sollevato di chi ha già affrontato il peggio.

Ma non lo sapeva che il peggio lo aveva affrontato lui.

"...Fatman mi ha salvato. Avevi ragione tu, è un brav'uomo, non lo fa per la gloria..."

Alfred si mise una mano sulla faccia e se la stropicciò, gli faceva male. Per poco non fece cadere gli occhiali, se li era messo anche per pigrizia, perché quella mattina non gli era andato di stare attento a infilarsi le lentine. Non aveva neppure fatto colazione, non aveva nemmeno preso un caffè.

Il tono entusiasta di Steve gli dava fastidio.

"...Solo uno è riuscito a scappare, ma lo prenderanno, ne sono sicuro"

"Steve" lo interruppe Alfred, brusco "Che cos'è che vuoi?"

Steve si congelò.

"Come?"

"Perché sei venuto qui?"

"Ma... Niente, ero venuto a raccontarti..."

"Se non hai da dirmi che hai trovato un lavoro, non mi interessa"

Steve abbassò le braccia. Finalmente lo guardò in faccia, e se anche si accorse del suo aspetto orribile, non disse comunque nulla a riguardo. "Cosa ti prende?" chiese invece. Era come se gli rimproverasse che quello non era di certo il tono di voce che si utilizza con un amico.

Al si passò la mano tra i capelli e si incomiciò a tirare i ricci dalla base, uno per uno. Era una cosa che gli capitava di fare, a volte, quando era stressato.

"Steve, ti rendi conto che entri nel mio dannato negozio tutte le volte comportandoti come se fossi a casa tua?" disse in un tono amarissimo "Io qua ci lavoro, sai? E magari la mattina non mi interessa ascoltare le tue stupide peripezie!"

Steve era completamente stupefatto.

"Alfred!" esclamò "Cosa cavolo dici? Sei diventato pazzo?"

"E se fossi diventato pazzo?" sbottò "Che cosa faresti?"

Steve era sempre più senza parole.

"Allora... Ricominciamo da capo."

Uscì dal negozio. Poi riaprì la porta ed entrò di nuovo.

Ding! "Ciao. Sono un cliente normale, sono venuto a comprare delle ciambelle per fare colazione" disse sorridendo.

Alfred lo guardò, adesso era lui a essere senza parole.

Steve aveva fatto una faccia buffissima, Alfred capì che aveva cercato di buttarla sullo scherzo.

Ma il problema era che Alfred era serissimo.

Steve era un disastro ambulante, ma aveva sempre appiccicata addosso quell'aria da ommioddio-ho-fatto-un-errore-che-mi-rincorre-ma-sono-cambiato-e-lo-dimostrerò, aveva i suoi capelli biondi lisci tutti belli sistemati.

Alfred invece in quei momenti appariva come lo spettro di se stesso.

Si accorse di quanto gli volesse bene, ma gliene voleva così tanto che avrebbe potuto odiarlo per questo.

E se avesse finito con il fargli del male?

Si alzò, gli andò incontro mestamente e, senza dir nulla, gli prese le mani.

"Al..." fece Steve.

"Non possiamo più essere amici" disse Alfred a bruciapelo.

"Cosa?" saltò su Steve.

"Vorrei tanto poterti spiegare" gemette Al "Credo di aver avuto un esaurimento nervoso"

"Di cosa stai..."

"Ho quasi trent'anni, Steve, volevo fare tante cose nella mia vita e invece ho aperto questo stupido negozio"

Stava improvvisando.

Dai motivazioni confuse, si diceva, confondilo, penserà che sei pazzo, e farà meno male della verità, sia a te che a lui.

"Al, ma tu sei..."

"Sono? Cosa sono?" la faccia di Al era stravolta, non era affatto in sé "Io non lo so quello che sono adesso! So solo quello che ero una volta, ero..." aveva assunto uno sguardo assorto, era come se fosse concentrato su qualcosa di invisibile, frapposto tra lui e Steve, qualcosa di grosso e di ipnotico "Ero creativo, ero intelligente, ero pieno di speranza e ingenuità. Lo sai cosa pensavo, prima? Pensavo che a questa età sarei stato già sposato con Emily..."

Steve aveva aperto la bocca per dir qualcosa, ma si era fermato. Quella era la prima volta che Al nominava Emily di fronte a lui, dal giorno del funerale. Ma evidentemente non aveva mai smesso di pensarci.

"Ho abbandonato i miei sogni troppo presto, e ora ho voglia di mollare tutto..."

"AL, DI COSA DIAVOLO STAI PARLANDO?" Steve si spazientì, non capiva più nulla di ciò che stava dicendo. Ed era proprio ciò che Al voleva.

"Mi è capitato qualcosa di orribile, Steve, ancora più orribile di ciò che è capitato a te. Non so più chi sono, non ho una direzione..."

Stava dicendo cose che non aveva idea di pensare, ma assurdamente sapeva che non stava mentendo, era vero che aveva avuto una specie di idea fissa, che lo aveva tormentato fino a quell'istante.

"Stop! Fermo! Qualsiasi cosa tu abbia, io posso aiutarti" si offerse Steve, accorato "Io sono il tuo migliore amico, spiegami cos'è che ti turba. Devi dirmelo, devi farmi capire! Ne hai parlato con la terapista?"

Alfred sentì la propria voce avvelenarsi quando disse "Non ci andrò più da quella succhiasoldi che non mi ha mai risolto mezzo problema!" e sapeva benissimo che questa era una bugia, Vanna lo aveva aiutato moltissimo.

"Pensavo che ti stesse aiutando" obiettò infatti Steve.

"Non penso che qualcuno possa aiutarmi."

Alfred sentiva posarsi dietro il collo la fredda lama del panico, sentiva di star diventando pericoloso.

Era arrabbiato, e temeva di impazzire e di prendersela con Steve, che non c'entrava niente ed era così caro...

"Credo che dovrò allontanarmi da te, credo che non potremo più essere amici"

"No!" gridò Steve, cocciuto "Perché te ne esci con questi discorsi? Cosa ti ho fatto?"

"Non sei tu, sono io!" Alfred si sentiva sul punto delle lacrime "Tu non te ne sei accorto, ma io sono cambiato, sono diverso, sono strano..." prese fiato, ansimava e sentiva il sangue bollire nelle vene, faceva caldo, voleva mettersi a petto nudo...

Sospirò, in realtà più che a un sospiro assomigliava a un ansito.

"Non ti voglio fare del male, se devo fare del male a qualcuno lo farò solo a me stesso" dichiarò.

"Non mi stai spiegando niente!" gridò Steve.

Al credette di vedere materialmente il suo cuore che si spezzava.

"Non voglio più essere tuo amico" ripetè, per la terza volta.

Non voleva impazzire di nuovo come era successo il giorno prima, cosa avrebbe fatto se avesse perso il controllo, se quella nube oscura fosse nuovamente calata su di lui?

Se gli occhi di Steve non fossero diventati come quelli di un pesce morto, ma si fossero semplicemente chiusi sotto le sue dita soffocatrici?

Se mantenere il segreto fosse diventata una ossessione così importante da arrivare a dover far del male pur di difenderlo?

"Alfred, chiaramente sei sconvolto e non capisci quello che dici" ritentò cocciutamente Steve, dalla sua faccia si vedeva come cercasse disperatamente di venirne a capo.

"Voglio che tu te ne vada. Non rimettere mai più un piede dentro questo negozio" disse Al lentamente.

"Ti prego, dimmi che scherzi" implorò Steve.

"Non scherzo per niente"

"Ma io ti... Ti devo dei soldi"

"Non mi interessano, te li puoi tenere"

"Fino a ieri non avevamo nessun problema..."

"Vai via, Steve"

All'improvviso, Steve lasciò stare il tono lamentoso e divenne furioso.

"Non credere che mi arrenderò così" gli puntò addosso un dito con fare minaccioso "Tu stesso mi dirai cosa cavolo ti è successo, quando questa malattia momentanea del cervello ti sarà passata" profetizzò.

E se ne andò, sbattendo la porta, come succedeva tutte le volte che litigavano.

Ma stavolta era diverso, Al sapeva di doverlo allontanare.

Perché, durante tutta la conversazione, aveva avuto davanti agli occhi la faccia stravolta dell'uomo che aveva quasi ucciso e, nella sua testa, essa si era continuamente sovrapposta a quella di Steve.

Aveva avuto voglia di farlo a pezzi. E non lo voleva davvero.

Si mise una mano sugli occhi, facendo sollevare gli occhiali, li tolse e con tanta rabbia li scagliò per terra. Le lenti non si ruppero.

Cosa cavolo era venuto a fare al lavoro?

Si maledì, si vergognò, sarebbe dovuto restare a casa a dormire.

Incrociò le braccia al petto e si artigliò le spalle.

Alfred sapeva di stare male.

Ciò che ancora non sapeva era che si sarebbe pentito di tutto ciò che aveva detto quella mattina, nel giorno in cui si sarebbe ritrovato in ginocchio a piangere, abbracciato come una piovra alla bara del suo vecchio amico Steve.

  
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