Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: JanineRyan    27/10/2017    1 recensioni
Non sono tanto brava nelle intro, ma proverò comunque...
E se il viaggio verso il Monte Fato fosse stato differente? E se la compagnia fosse stata di undici membri e non nove?
Insieme agli originari membri della Compagnia dell'Anello ne faranno parte anche due guerriere elfiche: Estryd e Alhena, figlie di Elrond di Gran Burrone.
Genere: Avventura, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Boromir, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Il corpo di Sverker giaceva immobile sul pavimento di roccia, lo sguardo perso nel vuoto. Estryd si impose di non guardarlo, temeva di incrociare quello sguardo privo di luce, di vita. Strinse i pugni e, come faceva sempre dopo aver scoperto la gravidanza, si sfiorò il ventre con dolcezza. Lo considerava un modo per sentirsi più vicina a Boromir, il suo ricordo le dava forza.
“Elrohir…” sussurrò la bruna, avvicinandosi al fratello con passo tremante.
Ma non ottenne risposta; l’elfo osservava incantato il Monte Fato da una finestra i cui vetri erano sporchi da diversi strati di polvere. Anche Estryd osservò nella stessa direzione del fratello. Quella montagna metteva soggezione a chiunque: era alta, cupa, priva di qualsiasi forma di vita e il fumo… essa al suo interno celava un vulcano ancora attivo. Dalle sue fiamme era stato forgiato l’Unico Anello e solo restituendolo alla montagna poteva essere distrutto. Perfino il cielo sopra essa era rosso, il fumo creava una tetra nebbiolina che rifletteva il colore della lava.
La principessa si voltò udendo dei passi alle sue spalle avvicinarsi velocemente; Frodo e Sam svoltarono l’angolo del corridoio che portava alla sala dove si era consumato il combattimento e, vedendola, la raggiunsero sorridenti. Ma, arrivati al suo fianco, si fermarono;  Frodo sussultò, guardando oltre la giovane elfa e vedendo Sverker immerso nel suo stesso sangue. Lo hobbit rimase senza fianto quando incrociò i suoi occhi, erano ancora spalancati e un ghigno maligno era dipinto sul suo volto.
“Estryd... andiamo…” disse Frodo, ma l’elfa lo interruppe, posando una mano sulla sua spalla e scuotendo il capo.
“Un secondo, Frodo. Per favore, aspettate qui… voglio parlare a mio fratello.”
I due hobbit annuirono e, indietreggiando, si lasciarono cadere per terra contro la parete, stremati.
Facendosi coraggio, Estryd avanzò verso Elrohir e, raggiunto, posò il volto sulla sua schiena, abbracciandolo con forza.
“Non preoccuparti… andrà tutto bene.” sussurrò lei con amore. “Ne sono certa! Hai me al tuo fianco. Puoi contare su di me!”
“Eravamo amici… un tempo… eravamo amici… com’è potuto succedere? Com’è potuto cambiare così tanto? Non mi sono accorto di nulla quando era una guardia di Gran Burrone. Eppure... non so... un segnale... avrei potuto capirlo?”
“Non avevi altra scelta. Hai fatto la cosa giusta.” disse la principessa, cercando di infondergli parte del suo coraggio. “Hai salvato me e mio figlio…” conclude sfiorandosi il ventre pieno.
Spostandosi davanti ad Elrohir, Estryd lo guardò negli occhi: “Saremmo morti senza te… senza il tuo aiuto.”
Ricambiando il sorriso della sorella, le sfiorò il volto, asciugandole le lacrime. Estryd era così dolce e sensibile... annuì debolmente.
“Non possiamo attardarci oltre.” convenne Elrohir, posando la fronte contro quella della sorella e abbracciandola forte.
Le scostò i capelli dal volto e la baciò sulla fronte, dove poco prima s’era posato: “Manca poco, davvero poco. Guarda… nessuno è mai stato così vicino al Monte Fato dai tempi di Isildur. Dovremmo proseguire ora che siamo forti, ora che nessuno sa della nostra presenza. Un giorno, forse due di cammino e arriveremo ai piedi della montagna...”
“Aspetta…” disse Estryd, prendendo il fratello per mano e conducendolo accanto al caminetto. Afferrò una brocca d’acqua e tingendo un fazzoletto, lo porse all’elfo: “Pulisciti il volto, sei sporco in volto. Tieni… usa pure questo.” concluse.
Notando l’esitazione del fratello, Estryd sorrise con dolcezza e alzando il braccio, posò il candido fazzoletto sul volto di Elrohir, cercando di togliere il sangue che lo macchiava.
“Grazie…” esclamò lui, sorridendo. “Sono davvero felice che stai bene… davvero felice… non oso immaginare… se… se solo non fossi giunto in tempo…”
“Non dirlo nemmeno. Sono qui e sono viva. Entrambi siamo vivi, grazie a te. Ti devo tutto. Ti devo ogni cosa.”
Mentre riponeva il fazzoletto nella tasca, Estryd notò che il fratello era molto pallido in volto e sotto gli occhi aveva profondi segni scuri.
“Stai bene?” chiese preoccupata, posando il palmo con fare materno sulla fronte del fratello. Era accaldato.
“Bene.” rispose, sorridendole e scostando la sua mano. Poi, con passo lento, attraversò la sala e, fermandosi accanto al corpo di Sverker, si chinò chiudendo gli occhi dell’elfo: “Trova la tua pace.”
 
Raggiunsero Frodo e Sam nel corridoio e, percorrendolo attenti a non far rumore, raggiunsero l’uscita dalla fortezza senza incontrare nessuno. L’aria della notte colpì i loro volti con violenza, era calda… insopportabile da respirare.
Frodo si posò alla roccia della fortezza e tossì forte, gli girava la testa e boccheggiava. Sam afferrò l’amico, impedendogli di cadere a terra.
Estryd si fermò e guardò lo hobbit in volto; il peso dell’anello si stava facendo sentire.
“Ce la faccio.” esclamò Frodo, sostenendo lo sguardo della bruna.
L’elfa guardò Sam che, annuendo, strinse il portatore con forza, sorreggendo anche il suo peso. e proseguirono, uno accanto all’altro, seguendo Estryd che era pochi passi davanti loro.
“Si sono mossi tutti poche ore fa.” disse Estryd, giustificando l’assenza di guardie. “Sverker avrebbe raggiunto le armate di Sauron l’indomani sera. È stato l’unico ad attardarsi.”
“Siamo stato fortunati…” esclamò Sam, serio.
Con un gemito, Frodo strinse l’anello che teneva legato ad una catena attorno al collo. Il peso dell’Anello lo stremava, faticava a respirare, a parlare, a mangiare… ogni cosa, anche la più semplice, era diventata faticosa per il portatore.
“Vero, padron Frodo? La prima dopo giorni!” continuò  Sam, sorreggendo l’amico e sorridendogli con dolcezza. Poi, guardando Estryd, chiese preoccupato: “Dista ancora molto? Quanti giorni?”
“Non saprei… uno, forse due…” rispose subito Estryd.
Entrambi guardarono Frodo; era pallido, peggio di un fantasma. Lo stesso pensiero percorse le loro menti; non avrebbe retto. Non per così tanti giorni: era troppo, troppo debole.
“Credo sia opportuno riposare. Almeno un giorno.” propose Estryd, chianandosi davanti al Portatore e studiandolo attentamente.
“Elrohir sei d’accordo?” chiese, alzando lo sguardo oltre lo hobbit in cerca del famigliare volto del fratello. Non vedendolo, si alzò in piedi: “Elrohir?” chiamò nuovamente il suo nome. Una nota di terrore nella voce.
Anche Sam e Frodo si voltarono.
“Dov’è?” chiese Sam, preoccupato.
“Era… era dietro di noi…” rispose Estryd, avanzando verso la fortezza e guardandosi intorno.
Frodo si lasciò cadere per terra privo di forza, mentre i due ripercorsero il piazzale cercando l’elfo.
Percorse pochi passi quando Sam intravide, celato da alcuni sacchi ammassati, la figura del giovane principe di Gran Burrone stesa per terra.
“Estryd! È qui!” urlò Sam precipitandosi verso Elrohir. “Estryd!”
Gettandosi accanto a Sam, Estryd guardò il fratello steso per terra. Era sveglio, ma tremante. Allungò le mani, sfiorandolo in volto.
“Elrohir?” sussurrò l’elfa spaventata, chinandosi su di lui. Poi, alzando lo sguardo ed incrociando quello di Sam, chiese: “Non capisco… stava bene…”
Sam non seppe che rispondere; scosse il capo e guardò l’elfo. Era sudato e la carnagione stava diventando grigia, anche gli occhi erano spenti e vagavano da un lato all’altro persi.
“Veleno…” sussurrò il principe.
“Veleno?” ripeté Estryd. Non era certa d’aver capito bene. “Sverker avrà usato armi intrinse di veleno…” rifletté a voce bassa, spostando lo sguardo da Sam al fratello.
Alzandosi in piedi, Estryd si girò su se stessa. Non sapeva cosa fare: erano così vicini… non potevano attardarsi ancora per molto. Non potevano permetterselo. Guardò Frodo, accovacciato per terra con lo sguardo smarrito nel vuoto; ciondolava avanti e indietro, perso nel suo mondo, nei suoi pensieri. No. Non potevano fermarsi.
“Resto io con lui.”
La voce di Sam interruppe i pensieri della giovane che, voltandosi, disse: “Dovrei restare io… è mio fratello.”
“Non dire sciocchezze. Entrambi sappiamo che Frodo ha più probabilità di arrivare al Monte Fato con te, piuttosto che con me.” sorrise con dolcezza alla ragazza, posando una mano sul suo braccio nel tentativo di infonderle coraggio. “Mi è già capitato in passato di dover curare una ferita infetta da veleno. So che erbe cercare e come trattarle affinché abbiano effetto.”
Colta da gratitudine, Estryd strinse con forza Sam, sussurrandogli, tra le lacrime: “Grazie! Grazie davvero!”


Ci impiegarono altri tre giorni di cammino prima di riuscire a vedere la fine della galleria sotto la montagna, che sbucava a Morthond. Tre giorni durante i quali Alhena aveva cercato, con successo, di evitare Legolas; tutto pur di non dover rispondere alle sue domande, pur di non dover interrogarsi sul futuro che l’avrebbe attesa una volta che la loro missione fosse volta al termine.
Le parole del principe di Bosco Atro l’avevano disorientata. Possibile che i sentimenti di Thranduil fossero veri? Possibile che fosse davvero innamorato di lei? A volte, le capitava di perdersi nei ricordi dei giorni vissuti nel palazzo di Bosco Atro… erano stati giorni intensi, non tutti felici, ma ogni giorno era stato intenso.
Ad ogni modo, Alhena continuava a ripetersi che era scappata da Bosco Atro per una ragione e non poteva pentirsi della decisione presa.
Legolas aveva notato che Alhena era diventata pensierosa. Aveva cercato più di una volta di avvicinarsi a lei ma, in ogni occasione, la principessa aumentava il passo, facendo finta di non vederlo o udirlo chiamare il suo nome e, noncurante, raggiungeva il fratello o Boromir o Aragorn. Era seccato da questo suo comportamento, voleva solo delle risposte. Anzi, le esigeva!
“Morthond…” sussurrò Aragorn con voce tremante dall’emozione, quando uscirono dalle gallerie.
Per il ramingo era la prima volta, dopo quasi sessant’anni, che varcava i confini di Gondor; la casa dei suoi avi.
Boromir raggiunse l’amico e, posando una mano sulla sua spalla, strinse poco la presa, sorridendogli.
“Lascia senza parole… Gondor ha mantenuto molto della sua antica bellezza.”
Il panorama era davvero incantevole; anche i tre elfi, nonostante erano abituati alla bellezza della natura e dei loro palazzi, rimasero incantati. Alhena si voltò, incrociando lo sguardo di Legolas, e, vedendolo avvicinarsi a lei, si spostò con naturalezza verso il fratello, continuando a studiare i dettagli del paesaggio.
La vallata, attraversata dal fiume Morthond, si estendeva come una macchia verde fino a perdita d’occhio; pini millenari si ergevano fieri e il loro profumo si diffondeva nell’aria. Ettari di boschi incontaminati che si diradavano dov’erano stati edificati i pochi villaggi, ormai disabitati.
“Se siamo fortunati, troveremo delle imbarcazioni nei villaggi e raggiungeremo il mare entro domani mattina. Prenderemo poi il fiume, risalendo fino ad Osgiliath…” meditò Boromir, senza troppo entusiasmo. Erano anni che suo padre, il Sovrintendente, aveva chiesto a lui e suo fratello di evacuare ogni paese per condurre gli abitanti al sicuro dentro le mura di Minas Tirith; dubitava ci fosse qualunque cosa di utile.
“Prima però dovremo superare i corsari di Umbar....” si intromise Alhena, avvicinandosi a Boromir.
Il comandante di Gondor annuì debolmente: “Pensate che i morti... pensate che ci aiuteranno?”
Aragorn vide i compagni rivolgergli lo sguardo, non voleva dar loro false speranze. Senza proferire parola iniziò la discesa lungo il versante della montagna, facendo smuovere diversi sassi al suo passaggio che rotolavano rumorosamente fino a raggiungere la valle. In silenzio anche gli altri lo seguirono.
Il viaggio procedette tranquillo fino al calar del sole, avevano raggiungo un piccolo villaggio costruito accanto al fiume. Le case,  di legno e roccia, erano vecchie, logorate dal tempo e dall’assenza di abitanti.
“Abbiamo evacuato questa zona tre anni fa.” spiegò Boromir, avanzando con sicurezza tra le vie del villaggio. “Mi sono occupato io di questa missione. Troveremo, con un po’ di fortuna, delle imbarcazioni. Il porto è a pochi minuti da dove ci troviamo, oltre quella locanda.”
Percorsero le vie in silenzio, la desolazione che regnava nel villaggio, dopo giorni nella montagna, era pesante da sopportare. Avevano bisogno di riposo; non dormivano una notte intera da mesi e i segni della stanchezza iniziavano a farsi evidenti sui loro volti e nei loro animi.
Il molo era costruito con legno scuro, sporco di melma e, in vari punti, aveva caduto. Una leggera nebbiolina si stava alzando, dando a quel luogo un aspetto spettrale.
“Una nave.” sussurrò Boromir, commosso nel vedere la loro via di fuga. Correndo raggiunse l’imbarcazione e sfiorandone la superficie, studiò la resistenza. “È qui da diversi anni... ma pare aver resistito bene allo scorrere del tempo.” Poi, volandosi verso i compagni, sorrise: “Si, sono certo che può navigare!”
 
La barca era abbastanza capiente per ospitare dieci persone; non possedeva un riparo sottocoperta, doveva essere stata una nave commerciale. C’erano ancora delle grandi casse sparpagliate sul ponte e, ogni cosa, era coperta da polvere e ragnatele. Ogni movimento della compagnia era accompagnato da uno scricchiolio sinistro, il legno era vecchio ma pareva sorreggere il loro peso.
Lentamente spostarono le casse, gettandole nell’acqua; di sicuro il ponte non avrebbe retto il loro peso. La prima galleggiò alcuni minuti e poi scomparve nell’oscurità del fiume. Alcuni minuti dopo, quando ormai il sole era morto all’orizzonte, il lavoro fu terminato.
Muovendosi con disinvoltura, Boromir raggiunse l’albero maestro e, controllando le corde, dispiegò le vele che, seppur logore, si gonfiarono, l’imbarcazione si mosse, tirata dal vento.
“Boromir, nessuno meglio di te conosce questo fiume... possiamo contare su di te per portarci fino al mare?” domandò Aragorn, avvicinandosi all’amico che nel frattempo aveva preso posto dietro il timone.
“Non preoccuparti... attendevo da giorni questo momento.” rispose. “Avrò bisogno però di un aiuto... ma non preoccupatevi. Raggiungeremo il mare, senza intoppi, entro l’alba!”
Elladan, esperto di navigazione, avanzò raggiungendo l’uomo e, insieme, iniziarono la discesa lungo il fiume, lasciando ai compagni tempo per riposare.
Senza farsi ripetere l’occasione di un riposo, Legolas e Aragorn si stesero sul ponte, accanto all’albero maestro e subito il sonno sopraggiunse per l’elfo.
Stesa supina sul ponte, Alhena era persa nei suoi pensieri; aveva cercato di addormentarsi, ma la sua mente lavorava frenetica. Si era fatta notte e le stelle brillavano illuminando il cielo. Sorrise ammirando la volta celeste; ogni cosa, attorno a loro, era silenzio. Si riusciva a distinguere solo il rumore dell’acqua che picchiava con forza contro l’imbarcazione. La giovane si era dimenticata di quanto fosse bello osservare un cielo stellato... non lo faceva da tempo e solo allora ricordò l’ultima volta che si era persa mirando le stelle. Era a Gran Burrone e la sua famiglia poteva essere ancora chiamata tale, prima che ogni cosa andasse persa. 
“Alhena…” Aragorn, accomodandosi accanto all’elfa, le sorrise. “Dovresti riposare....”
La giovane si sedette, sistemandosi i capelli dietro le spalle e annuì: “Sono agitata per domani... domani inizieremo la battaglia; ogni cosa avrà inizio.”
Aragorn sorrise: “Penso sia normale... domani...” sospirò il ramingo. “Fatico anche io a prendere sonno.”
Restarono in silenzio alcuni minuti, Alhena era certa che c’era una ragione precisa se l’uomo era venuto da lei;  forse voleva parlarle di qualcosa. Attese poco e, come previsto, Aragorn prese nuovamente parola: “Ricordi il nostro incontro, anni fa?”
L’elfa annuì con un lieve cenno del capo.
“Scappavi da qualcosa… non parlasti, non mi dicesti nulla, ma lo sapevo.”
Alhena guardò il ramingo, sospettosa.
“Avevi quello sguardo spaventato ma allo stesso tempo attento… come ora. Capisco quando un pensiero ti sta assillando… so che non ci conosciamo a fondo, ma durante questi mesi ho imparato a volerti bene, come ad una sorella.”
“Aragorn io…” iniziò a dire lei, ma il ramingo la interruppe.
“Avevo chiesto a tua sorella di lasciarmi andare…” iniziò a parlare, guardando l’orizzonte. Il vento scompigliava i capelli dell’uomo; era davvero bello. I suoi occhi erano dell’azzurro più profondo, ci si poteva perdere al loro interno. “Le avevo chiesto di dimenticare il nostro amore… ero convinto che fosse la cosa migliore per lei; l’amavo troppo per imporle una vita di dolore e morte al mio fianco. Ma lei ha lottato per me. Per noi. Per avere un futuro insieme... lei ha deciso di aspettarmi e questa prospettiva mi da coraggio, mi da la forza di continuare, di andare avanti.”
“Non capisco...”
Sorridendole, Aragorn continuò: “Capirai.”
Respirò a fondo.
“La cosa principale è che noi ci amiamo, ci siamo amati dal primo momento che i nostri sguardi s’incrociarono. La cosa difficile è stata ammettere i miei sentimenti. Anche se sembravano sbagliati e inopportuni... anche se pareva che ogni cosa era contro di noi... io stesso ero il primo che non ci credevo abbastanza, forse perché non lo ammettevo... mi nascondevo dietro le bugie che mi raccontavo... ma abbiamo tentato e ora non posso, e non voglio, vivere la mia vita senza Arwen.”
L’uomo volse lo sguardo verso Legolas che stava riposando poco lontano loro.
“Non amerai lui, ma il tuo cuore è legato a qualcuno che anche lui ama... devi affrontare la verità dei tuoi sentimenti. Sta soffrendo e penso la meriti. Tutti meritano la verità. Io ho ammesso a me stesso la verità dei miei sentimenti verso tua sorella e ora non potrei esser più felice. A ogni sentimento vale la pena dare un’opportunità.”
Alhena studiò l’uomo cercando di capire cosa sapesse, ma era stanca e senza cercare troppi giri di parole, chiese:
“Cosa ti ha raccontato?”
“Legolas ed io siamo amici da lunghi anni. Mi ha confidato il bacio che vi siete scambiati a Rohan... e della freddezza che gli hai riservato da allora.”
“Ho sbagliato a baciarlo…”
“Hai commesso un errore, sei giovane e tutti commettono degli sbagli.” fece una pausa e poi continuò “Non volevi baciare lui.”
“No.” ammise Alhena più a se stessa.
“Allora parla con Legolas. Merita la verità. Anche se soffrirà all’inizio, è la cosa giusta da fare…”
“E se ammettere ciò mi portasse solo altro dolore? Se venissi…” si morsicò il labbro inferiore, quell’eventualità la stava ferendo più di quello che si aspettava. “Se mi rifiuta?”


Aragorn era nato nella terra di nessuno. Aveva iniziato a vagare per le terre fin dalla più giovane età e, quando i suoi genitori erano morti, era cresciuto sotto la guida di Messer Elrond a Gran Burrone. Gli era stato insegnato non solo l’arte del combattimento, ma anche le lingue antiche, la storia, la bellezza delle cose che lo circondavano e, soprattutto, la saggezza. Era stato cresciuto per diventare Re.
Elrond aveva preso a cuore il giovane Dunadain e, col tempo, si era affezionato a lui. Quando, appena trent’enne, Aragorn decise di lasciare Gran Burrone per dirigersi a nord in cerca della sua stirpe, Elrond non poté che approvare la sua decisione. Era giusto che incontrasse quello che sarebbe diventato il suo popolo.
Per Aragorn, lasciare Gran Burrone, era stato un vero dolore. Da poco si era accorto dei sentimenti che iniziava a nutrire per la figlia più grande di Elrond, Arwen, e dopo il loro incontro nel palazzo aveva perso la ragione per lei.

Prima di varcare i confini, in sella al suo cavallo, la guardò negli occhi, leggendo in essi le stesse emozioni che lui provava.
Trascorse poco più di un mese prima che il giovane raggiungesse, prima Lothlorien e poi Rohan. Era deciso a raggiungere Gondor ma, più la strada tra lui e la sua terra si accorciava, più era terrorizzato. I suoi antenati avevano rinunciato al dominio su quelle terre dopo la sconfitta di Isildur, lasciando la regione sotto la guida di un Sovrintendente che avrebbe regnato fino al ritorno del Re.

Era ormai estate e Aragorn vagava da alcune settimane lungo i confini delle Montagne Nebbiose, indeciso sul da farsi. Le praterie che si estendevano per miglia lasciavano il ragazzo senza fiato; cavalcare libero era un passatempo che adorava. Sentiva che il peso del suo ruolo era meno opprimente.
Una sera, mentre stava cercando degli arbusti per accendere un fuoco, Aragorn sentì le falcate di un cavallo avvicinarsi alla sua posizione. Un singolo esemplare e, dalla pesantezza dell’impatto sul terreno, intuì che portava una persona con un carico.
Si nascose dietro un albero e osservò l’esemplare avvicinarsi; proveniva da Est e, al suo passaggio, alzava della polvere.
Udì la voce di una donna fermare la falcata del cavallo, sussurrando parole in elfico. Aragorn, ormai padrone di quell’idioma a molti sconosciuto, si mostrò e, avanzando, guardò il cavallo fermo a pochi metri da lui.
Cercò di capire chi cavalcasse l’animale, ma il mantello calato sul volto impediva al ramingo di distinguere le fattezze dell’elfo.
“Salve.” esclamò la stessa voce femminile.
Aragorn rispose al saluto con un cenno di capo. Notò che la fanciulla; lo stava osservando sospettosa e la mano era posata sull’impugnatura della spada che portava legata all’imbrago del cavallo.
“Salve.” le fece eco e, cercando di non sembrare minaccioso, alzò le mani al cielo. “Non temete. Non ho intenzione di farle del male. Sono amico degli elfi.”
“Chi siete?” domandò lei, incuriosita restando comunque in sella al cavallo.
“Il mio nome è Aragorn…”
“…figlio di Aratorh… ed erede al trono.” concluse lei, interrompendolo.
“Dunque conoscete il mio nome.” disse. “Ma io non conosco ancora il vostro.”
Con un movimento elegante, l’elfa smontò da cavallo e calando il cappuccio mostrò il suo volto.
Aragorn notò subito che era molto giovane e doveva essere in viaggio da alcuni giorni. Il suo viso era sporco di polvere ed i capelli erano stati legati in uno stretto chignon.
“Io sono Alhena.”
Appena sentì la voce dell’elfa pronunciare il nome che le apparteneva, Aragorn rimase senza fiato. Conosceva Alhena e mai si sarebbe aspettato di incontrarla. Arwen le aveva raccontato la triste storia che riguardava la sorella e l’ingiustizia che aveva subito. Udire quelle parole aveva spiazzato l’uomo; durante la sua infanzia trascorsa a Gran Burrone, credeva di aver imparato a conoscere Messer Elrond ma, questa sua decisione, era stata inaccettabile. La figlia aveva solo commesso un’imprudenza e la sfortuna aveva giocato un ruolo importante nel corso degli eventi.
“Ti ho lasciato senza parole…” sorrise la giovane elfa, guardando attentamente l’uomo.
Anche Alhena conosceva Aragorn e sapeva del legame che lo univa alla sorella.
“Oso solo immaginare cosa pensi di me… hai vissuto per anni sotto la guida di mio padre. Non ha gran stima di me…” continuò lei, con amarezza.
“Ciò che tuo padre pensa non è condiviso da tutti.”
“E tu? Condividi la sua decisione?”
“No.” rispose Aragorn con semplicità, guardando la ragazza negli occhi.
Prese le briglie dalle mani di Alhena e legò il cavallo all’albero dietro il quale si era nascosto, accanto al suo. Voltandosi studiò la giovane elfa; aveva uno sguardo stanco e l’esilio aveva reso senz’altro il suo spirito più duro.
“Puoi restare con me tutto il tempo che vuoi. Non sono luoghi sicuri…”
La giovane principessa sorrise: “Sono solo di passaggio.”
“Per dove?” domandò Aragorn, curioso.
Alhena fece spallucce, non aveva ancora una meta precisa. Ma di certo non sarebbe rimasta più troppo a lungo in un posto.

Mentre il sole all’orizzonte si celava dietro le montagne e il cielo imbruniva tingendosi dei toni più intensi di rosso, Alhena si era coricata sul terreno.
Aragorn aveva acceso un piccolo fuoco e, seduto per terra, ora osservava la bionda dormire illuminata dalle fiamme. Doveva essere provata, appena si era stesa, i suoi occhi si erano chiusi.
Ricordò le parole di Arwen, era molto in pena per lei… sarebbe stata felice nel saperla viva.
Le prime stelle iniziavano a illuminare il cielo quando Alhena, sussultando, si svegliò. L’elfa scattò in piedi, spaventando Aragorn che, a sua volta, si alzò guardandosi intorno.
La bionda respirava con affanno e si voltava su se stessa scrutando l’oscurità.
“Alhena…?” la chiamò il ramingo, avvicinandosi a lei.
Con uno scatto si voltò e i loro sguardi s’incrociarono; gli occhi dell’elfa erano gonfi di lacrime. Cercando di nascondere la sua debolezza, Alhena si stropicciò gli occhi, voltandosi e dando le spalle al ramingo.
“Perdonami…” disse lei. “Ti devo aver spaventato.”
“Stai bene?” chiese, preoccupato.
L’elfa non rispose, non era semplice per Alhena ammettere che nulla andava bene… la testa le doleva per i molti pensieri che l’assillavano, ma non si sentiva pronta per parlare. Era fuggita da Bosco Atro per una ragione e, quella ragione, sarebbe posseduta solo a lei.
Debolmente, l’elfa annuì.
“Perdonami…” ripeté lei.
“Non te l’ho chiesto prima perchè non ne ero sicuro… ma sembra che tu stia scappando da qualcosa…”
Alhena scosse il capo, abbassandolo: “Possiamo non parlarne?”
“Certo… quando vorrai…”

Da quella notte, trascorsero un paio di giorni, ma Alhena continuava a tacere e questo silenzio preoccupava Aragorn. Poteva solo immaginare quello che aveva vissuto negli anni lontana da casa; si sentiva impotente. Non poteva aiutarla, come invece avrebbe tanto voluto. Si erano mossi di parecchie miglia, cavalcando lungo le Montagne Nebbiose; Aragorn era intenzionato a condurre la fanciulla, a sua insaputa, fino a Lothlorien. Cercava di non insospettire la ragazza, era certo che i suoi parenti l’avrebbero accolta.
Spense il fuoco, per evitare che degli orchi individuassero la loro posizione e, stendendosi, si addormentò, cercando di tracciare mentalmente la via più breve verso Lorien.
Lo sbattere degli zoccoli sul terreno di un cavallo, fece sussultare Aragorn che si svegliò, scattando in piedi. Si guardò attorno, ma non vide minacce incombere, probabilmente si era spaventato senza una ragione.
Il sole era già alto nel cielo, si rimproverò di non essersi svegliato prima.
“Bene… procediamo!” disse, voltandosi certo di vedere Alhena al suo fianco.
Ma era solo. Dell’elfa nessuna traccia.
“Alhena?” la chiamò.
Notò subito che non c’era il suo cavallo e le sue cose… doveva essere fuggita durante la notte. Dispiaciuto, raggiunse il suo fido compagno di viaggio. L’avrebbe cercata, anche se sarebbe stato tempo sprecato; a quell’ora poteva essere ovunque. Solo allora, notò un biglietto, incastrato sotto la sella.

Non sono ancora pronta. Perdonami. Ci rivedremo.

 

Le sorrise, solo una volta aveva visto questo lato fragile della bionda.
“Restare nel dubbio è forse meglio? Per certe cose vale la pena tentare…”
Aragorn si alzò per raggiungere Boromir ed Elladan.
“Aragorn?” lo richiamò Alhena.
Si voltò guardandola stendersi nuovamente.
“Grazie.”

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: JanineRyan