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Autore: Himenoshirotsuki    28/10/2017    4 recensioni
Le Jinian, un popolo, una leggenda. Dimenticate dagli umani e anche da tutte le altre razze, questa tribù di quasi solamente donne viaggia da una parte all'altra del mondo. Nascoste agli occhi di ogni mortale, sono le uniche ancora in grado di usare la magia elementale, senza che essa, a lungo andare, le corrompa. Nemeria è solo una delle tante bambine della tribù e non ha niente di speciale. Adora sua sorella Etheram e il suo dolce fratellino Rakhsaan, ama combinare guai e, come tutte le sue compagne, si è sempre esercitata nell'arte della magia e della manipolazione degli elementali che vivono in lei per poter un giorno diventare una Jinian. Ma tutto cambia all'improvviso quando la sua tribù viene attaccata da una banda di briganti, vestiti con un'armatura completamente nera e una maschera bianca a coprir loro il viso. Il destino mette Nemeria davanti a una scelta: diventare un vero guerriero e combattere per sopravvivere oppure vivere all'ombra di ciò che il fato ha scritto per lei.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Fuoco 2

13

Punizione

"Poiché la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si chinò su quanto era rimasto della sua vita, e riiniziò a prendersene cura, con l’incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale."
Alessandro Baricco

La trascinarono in una cella buia a fredda e ce la gettarono dentro come un sacco di patate avariate. Non era sporca né umida, ma la polvere aleggiava nell'aria e le catene tintinnavano, minacciose, sopra la sua testa.
Nemeria si rannicchiò in un angolo, le gambe strette al petto e gli occhi sbarrati. Col collare di nuovo addosso, tutte le comunicazioni con l'elementale del fuoco erano state tagliate. Era di nuovo sola. Trasse un profondo respiro e incassò la testa nelle spalle, appoggiando il viso contro le ginocchia. Cos'era successo? Era stata davvero lei a far volare Roshanai contro la colonna?
“Sì, sei stata tu.”
Chiuse gli occhi e ripercorse mentalmente gli eventi. Rpshanai aveva tentato di entrare nella sua mente imponendole la propria volontà. Era un altro modo di usare la Condivisione: Etheram aveva fatto la stessa cosa quando le Anziane le avevano chiesto di controllare se anche Rakhsaan era un Dominatore. La differenza era che suo fratello era un neonato all'epoca, una vita appena venuta al mondo, senza un'identità o dei ricordi. Con lui, le aveva poi detto sua sorella, era stato come buttarsi in mare da una scogliera: l'acqua si era aperta e l'aveva avvolta, quasi non stesse attendendo altro che svelare i segreti delle sue profondità.
Un brivido le corse lunga la schiena quando la lama incandescente riprese forma davanti ai suoi occhi. Non aveva mai subito una Condivisione, almeno non consciamente, eppure, ne era certa, sapeva che non doveva essere così. Tutto quel dolore, la sensazione di venire violata nel profondo, non poteva davvero esser parte di un rito così intimo e delicato. Se non fosse stato per l'intervento dell'elementale, cosa ne sarebbe stato di lei?
“L'ho respinta, però.”
Sorrise e la tensione abbandonò appena il suo corpo. Se stringeva la mano, le pareva ancora di sentire una corda attorno all'avambraccio e le venature scabre del cuoio. Era strano pensare che uno scudo fatto di pure fiamme potesse trasmetterle delle percezioni tattili così realistiche.
“Non l'ho uccisa.”
Se lo ripeté per rinfrancarsi, anche se in cuor suo era più una speranza che una sicurezza. Roshanai aveva battuto forte la testa, il sangue che si era lasciata dietro ne era la prova, eppure Nemeria voleva credere, aveva bisogno di credere, che fosse sopravvissuta, che il desiderio di morte che l'aveva assalita quando aveva troncato il legame con Roshanai appartenesse all'elementale. Non poteva aver davvero voluto bruciarli. Rifiutava che quella volontà di distruzione facesse parte di lei. Tuttavia, per quanto negasse, quella voglia era ancora lì, appena sopita sotto la cenere, e avrebbe divorato la Dominatrice e tutto ciò che la attorniava e confinava con lei, anche la scuola intera.
L'ansia le aveva smembrato il cuore e banchettava seduta tra le sue costole. Di tanto in tanto udiva lo scalpiccio delle guardie avvicinarsi e allontanarsi, ma non riuscì a trovare mai il coraggio di alzarsi e chiedere notizie. Preferiva rimanere nell'ignoranza, ma allo stesso tempo il suo istinto di autoconservazione esigeva risposte, per poi rintanarsi in un angolo quando si prospettava l'eventualità che Roshanai fosse morta e che l'avesse uccisa lei. E, se ben ricordava le leggi dei mortali, quel poco che Arsalan si era lasciato sfuggire, il prezzo dell'omicidio era la vita dell'assassino.
Intrappolata nella cella della paura e dello sconforto, con solo il sollievo offerto dalla pietra di luna, anche le lacrime non rimasero altro che un velo umido dietro le palpebre.
“Madre... cosa sono diventata?”
La porta cigolò sui cardini non oliati e sulla soglia apparve Reza, assieme ad altri tre soldati. Nella penombra, a Nemeria sembravano tutti uguali, ognuno il gemello dell'altro.
- Alzati. -
Nemeria obbedì. I piedi le formicolavano e la gamba destra si era addormentata, ma non aveva intenzione di testare la loro pazienza.
Senza dire altro, Reza le fece cenno di seguirlo. Non appena ebbe oltrepassato la soglia, i soldati si chiusero dietro di lei, circondandola. Dritti e rigidi come pronti alla battaglia, le mani erano strette sull'impugnatura delle shamshir. La lama curva rifulgeva minacciosa e pareva che l'oricalco avesse assorbito il sangue e che questo si fosse raggrumato sotto la sua superficie.
La scortarono attraverso lo stretto corridoio dell'andata in assoluto silenzio. I pochi prigionieri nelle altre celle la guardarono appena, come se fosse più insignificante di una formica. Nemeria incrociò giusto gli occhi glauchi di una donna con una vistosa cicatrice sul viso, prima di tornare a fissarsi la punta dei piedi.
Salirono una rampa di scale e uscirono all'aperto. Nemeria riconobbe le colonne colorate del quadriportico e l'odore intenso di sudore e terriccio. Nessuno parve far caso a loro, tutto era come lo aveva lasciato: il clangore del metallo, i respiri spezzati, il cozzare delle armi quando incontravano la resistenza dell'armatura.
- Dove stiamo andando? - si azzardò a chiedere.
- Al campo di allenamento dell'aria. -
La voce incolore di Reza proveniva da davanti, oltre le teste dei soldati. Nemeria desiderava qualche altra informazione, ma l'occhiata grifagna dell'uomo alla sinistra le ricordò la pessima situazione in cui si era cacciata.
Quando arrivarono, la colonna si aprì e i soldati si misero in formazione attorno a una donna con gli occhi pesantemente truccati e un besajaun con la barba liscia tutta inanellata. Tyrron era in mezzo a loro, una smorfia indispettita sul volto. Non appena incrociò il suo sguardo, un brivido la fece tremare fino ai lombi.
- Tutto ciò è ridicolo, Mina. - disse Tyrron.
La donna schiuse le labbra in un sorriso affettato: i denti erano come le ossa insanguinate di uno squarcio appena aperto.
- Se non erro, giusto un annetto fa hai preteso che la mia Arakne fosse punita per aver distrutto un manichino d'allenamento. - rispose Mina, fissandolo intensamente, - Non possiamo certo soprassedere in un caso di tentato omicidio. -
Il besajaun annuì in silenzio e gli anelli alla barba tintinnarono: - Non posso che concordare. -
- Non lo ha fatto apposta, Roshanai ha esagerato, lo sapete. - replicò Tyrron.
Mina scosse la testa e tutti i suoi pendagli d'oro rifulsero, catturando la luce obliqua del sole. Il peplo bianco le ricadeva languido sulle forme abbondanti, fermato in vita da una cintura e sulla spalla da una fibula con l'effigie di un falco ad ali spiegate. Tutta quell'ostentazione la faceva sembrare ancora più grassa, rifletté Nemeria.
Qualsiasi senso d'ilarità morì quando un servo ingobbito si avvicinò portando una frusta.
- Adel è d'accordo con me, non credo che ci sia molto altro da dire. - prese l'arma e la accarezzò con la punta delle dita, - Dieci frustrate. Non una di più, non una di meno. - decretò.
Un'ombra sfrecciò nello sguardo di Tyrron.
- È solo una bambina. -
- No, è una Dominatrice e ha quasi ammazzato una delle Syad. - la voce del besajaun era dura, con una leggera nota nasale, - Siamo già stati abbastanza magnanimi da toglierne più della metà. Fosse uno dei miei, quaranta frustate sarebbero state il minimo. -
Nemeria strinse i pugni per fermare il tremito incontrollato delle spalle quando Mina srotolò la frusta e la consegnò a Tyrron.
- Nessuna pietà, Tyrron. Solo perché è una tua proprietà, non significa che debba ricevere un ulteriore sconto. -
L'uomo serrò la presa sull'arma e fece un paio di passi in avanti.
- Vieni, Nemeria. -
A quelle parole, Nemeria si sentì morire. Mina la osservò compiaciuta mentre avanzava e il sorriso sulle sue labbra si allargò quando Tyrron le ingiunse di togliersi la kandys.
“Sono solo dieci, posso resistere.”
Tentò di rassicurarsi, ma non riusciva a smettere di tremare. Cercò negli occhi del suo padrone la pietà, ma si scontrò contro due iridi d'acciaio.
- Inginocchiati e dammi le spalle. -
Il pavimento lastricato di pietra bianca le strappò crudelmente il calore dal corpo. Così nuda, con gli occhi di tutti quegli estranei puntati addosso, la vergogna era ben lontana. Si strinse il seno inesistente tra le braccia per proteggersi dai loro sguardi. Aveva lo stomaco stretto in una morsa convulsa, dolorosa, e il sudore le imperlava la pelle.
La frusta sibilò e si infranse sulla schiena in uno schiocco sordo. Il dolore si accese e si irradiò in tutto il corpo, assalì il cervello e le artigliò gli occhi. Nemeria si rannicchiò ancora di più e abbassò la testa, mentre le lacrime le rigavano le guance.
- Uno. -
Gelo, nella voce di Tyrron non c'era altro che gelo.
“Madre, per favore...”
Il colpo si abbatté sulla scapola destra e la fibbia di cuoio scattò all'indietro con la pelle attaccata all'estremità.
“Sorella, ti preg-”
Il terzo colpo le tolse il respiro e la buttò a terra distesa. La schiena bruciava, era un incendio di dolore che si propagava fino alla punta delle dita.
- Alzati. -
Nemeria appoggiò la fronte contro il lastricato e si costrinse a carponi e poi di nuovo in ginocchio. Non aveva fatto in tempo a raddrizzarsi che Tyrron l'aveva colpita per la quarta volta. Tremava ancora di più, come accesa dalla febbre, e non riusciva a controllare il battito dei denti. Quando si morse la lingua, la frusta si abbatté di nuovo su di lei e l'incendio ridusse in cenere qualsiasi altra sensazione.
Noriko era lì, osservava da dietro uno dei soldati.
Si era formato un capannello di curiosi, tutti che erano accorsi a vedere la punizione della nuova arrivata. Nemeria strizzò le palpebre e distolse lo sguardo quando scorse i pugni di Noriko serrarsi.
Cinque, sei, sette, otto. La mano di Tyrron si abbassava in fretta, calava veloce sul collo, sulle costole e nel mezzo della spina dorsale. Si portava via tutta la sua determinazione a non cedere.
Nemeria non si rese conto di star singhiozzando finché non si accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime. Persino i suoi pensieri erano sbiaditi. Muovere le dita era impossibile, non erano sue, erano un'appendice che era stata cucita alle sue mani da un estraneo. Non seppe dove trovò la forza necessaria per non rannicchiarsi a terra e pregare di venire uccisa, perché faceva troppo male e lei non riusciva a sopportare tutta quella sofferenza.
- Nove. - contò Tyrron.
Il sangue le imbrattò le mutande, penetrò attraverso il tessuto e le si appiccicò addosso come una seconda veste. Sul bianco delle pietre, le gocce rosse spiccavano come rubini rotti.
- Dieci. -
Il suo corpo si tese un'ultima volta quando la frusta lo colpì. Seguì un silenzio ovattato, dove l'unica cosa che sussisteva era la sua schiena gonfia e la pelle infiammata che pulsava più velocemente del battito del suo cuore. Il peso degli sguardi si alleggerì fino a svanire e lo scalpiccio dei passi che si allontanavano le sfiorò le orecchie.
- Soddisfatta, Mina? -
La risata argentina della donna infranse il silenzio.
- Quando si danneggia un bene pubblico è bene che il colpevole paghi. Le ultime frustate non gliele hai date a dovere, ma posso soprassedere, per questa volta. Vedi di tenere al guinzaglio la tua schiava. Se dovesse ricapitare, non saremo così misericordiosi. -
- Lo terrò a mente. -
Mina si allontanò con il besajaun senza aggiungere una parola. Se soltanto fosse riuscita ad aprire gli occhi, Nemeria l'avrebbe volentieri fulminata con un'occhiata. La odiava e quel sentimento denso e vischioso ravvivava il dolore, lo acutizzava assieme alla rabbia e all'umiliazione. Ma era solo un fuoco di paglia e non bastava a donarle la forza per alzarsi.
- Me ne occupo io. - mormorò qualcuno alla sua sinistra.
Schiuse le palpebre. Aveva il ginocchio di Noriko a un palmo dal naso e il mento della ragazza era alzato, gli occhi incantenati su qualcuno che non era lei.
- Non posso lasciarla riposare. -
C'era forse apprensione nella voce di Tyrron? Era stato lui a coprirla con la kandys?
- Posso occuparmene io. - ribadì Noriko, - La porto in infermeria e poi la lascerò nelle mani di Sayuri. -
- La Syad dell'aria è l'unica scelta che abbiamo finché Roshanai non si riprende. - sospirò.
Una spostamento d'aria avvertì Nemeria che si era rimesso in piedi.
- La affido a te. -
Quando Tyrron si allontanò, Noriko l'afferrò sotto l'ascella e la costrinse in piedi. La sorreggeva con la forza di un solo braccio come se non pesasse nulla.
- Appoggiati. -
Anche volendo, Nemeria non avrebbe potuto fare altrimenti. Il respiro incespicò in un rantolo dolorante quando tentò di raddrizzarsi e la spina dorsale la incurvò in avanti, nell'unica posizione in cui il suo corpo sembrava sopportare il dolore. Si lasciò trascinare da Noriko, lasciò che fosse lei a guidarla attraverso i corridoi, le scale e le stanze, in un lungo ed estenuante supplizio. Perse più volte conoscenza e quando riaprì gli occhi vide uno scorcio diverso, sfumato nei contorni e tenue nei colori. Poi le fitte lancinanti divennero di nuovo insopportabili e l'oblio la riaccolse prontamente.
- Stendila lì. - disse una donna a Noriko, non appena entrarono in infermeria.
- Non c'è Serafim? -
L'altra esitò. L'incarnato scuro, quasi nero, era l'unica cosa che Nemeria riuscì a distinguere.
- Ayhè, Mina... -
Noriko si irrigidì, strinse così forte la spalla da strapparle un gemito acuto. Quando se ne rese conto, la sua mano si appoggiò delicatamente poco sotto il seno, dove la frusta le aveva disegnato un taglio meno profondo degli altri.
La spinsero a distendersi su una branda dal materasso duro e bitorzoluto e il cuscino poco morbido. Noriko avvicinò uno sgabello e si sedette, mentre la donna andava avanti e indietro portando creme, unguenti e bende. Nemeria la spiò da dietro le ciglia, sospesa in un limbo ovattato dove il dolore faceva da cornice e da soggetto ad ogni suo pensiero.
- Tienila ferma. -
Non capì il perché di quella frase finché non le versarono l'alcol sulla schiena. Urlò forte, ancora di più di quando l'avevano frustata, e scalciò come un animale impazzito. Noriko dovette immobilizzarle la testa e le braccia. Le mutande erano intrise di sangue, sudore e, Nemeria se ne rese conto quando l'odore le pizzicò le narici, urina.
- Mi... mi dispiace... -
La presa sul collo si trasformò in una carezza. Le fasciature rendevano il tocco di Noriko ruvido e goffo, ma il calore che trasmettevano, così familiare, quasi nostalgico, stemperò le lacrime e il bruciore.
- Dovresti andarle a prendere qualcosa di pulito. -
Noriko non rispose. La mano indugiò sul profilo delle orecchie e poi si spostò pigramente sulla nuca, seguendo uno dei tanti rami in boccio che scendeva lungo il collo. Le frustate avevano calpestato i fiori e deturpato la radice. Il giardino che Arsalan le aveva disegnato era stato profanato.
- Vado. - rispose Noriko.
Si alzò di scatto e uscì dall'infermeria. I suoi passi erano così leggeri da non produrre alcun rumore, se non il lieve strusciare della suola di cuoio sul pavimento di pietra. Senza che nemmeno la toccasse, una bava di vento accostò la porta.
“Come ho fatto a non accorgermene prima?”
Tornò dopo una decina di minuti, in mano recava una tunica grigia stinta e una cintura di corda.
- Tyrron ha fatto portare le tue cose nella mia stanza. - la precedette, riprendendo posto sullo sgabello.
La donna si sedette sul bordo del letto e le spalmò un impacco a base di echinacea e aloe. Nemeria trattenne un mugolio tra i denti.
- Ce la fai a metterti seduta? -
- Sì... -
Anche solo mettere le mani ai lati della faccia per issarsi fu doloroso. La pelle lacerata tirava, sembrava aprirsi ancor di più ogni volta che respirava troppo forte.
- Aiutala ad alzare le braccia. -
Noriko scattò senza che aggiungesse altro. La sostenne da sotto i gomiti, mentre la donna le passava la garza attorno al petto.
- Nande, hai delle bacche tanu? -
- Non mi sembra il caso. Dovrebbe riposare. -
- Tyrron ha detto che l'allenamento deve cominciare oggi. -
Nande aprì e chiuse la bocca senza ribattere. Ora che i colori avevano riassunto la loro tonalità naturale, Nemeria si sbalordì di quanto fosse scura la sua pelle. Era nera come quella di Reza e le ciglia erano rade, quasi assenti. Frugò nella tasca della tunica e ne trasse un sacchetto gonfio. Le bacche erano non più grosse di una biglia, nere e lucide.
- Stasera ti sentirai a pezzi, ma ti daranno la forza di superare questo pomeriggio. - le disse semplicemente.
Nemeria le annusò. Avevano un profumo zuccherino molto invitante che le solleticava le narici e il palato. Le avrebbe ingoiate subito se non fosse stato per l'espressione funerea di Nande.
- Se stanotte starai male, ti darò qualcosa. - provò a rassicurarla.
Noriko taceva, in attesa. Forse, se le avesse chiesto spiegazioni, avrebbe ricevuto risposta, ma Nemeria non era sicura di voler sapere quale fosse l'effetto collaterale di quelle bacche. Aveva l'impressione che così avrebbe perso il poco coraggio che era riuscita a raggranellare, polvere frammista a brace spenta.
“Non ho altra scelta.”
Si mise entrambe le bacche in bocca e quasi senza masticarle le ingoiò. Un'energia folle si espanse dentro di lei. Il velo che le copriva gli occhi fu squarciato, spazzato via da un'improvvisa euforia e voglia di alzarsi. Si rimise in piedi in un balzo. Le prudevano le mani per quanto si sentiva eccitata, il dolore era ridotto al semplice fastidio di una puntura.
- Seguimi. -
Scattò dietro Noriko come un cucciolo. Trotterellò al suo fianco, di nuovo in forze, come se non fosse accaduto nulla. Era stata investita da quell'inspiegabile ebbrezza che aveva trasformato tutta la realtà – muri, volte, tende, finestre – in un affresco nitido con i colori più densi e corposi, i contorni più netti. Anche se sapeva che non era normale, doveva ammettere che era da tempo che non si sentiva così bene. Ogni volta che intercettava uno sguardo di Noriko, non riusciva a trattenersi dal sorridere.
Tornarono nel giardino centrale, quello col quadriportico, e si diressero verso il corridoio da cui era arrivata Roshanai. Vennero accolte in un campo a pianta quadrangolare, con le pareti di pietra rossa con un triangolo bianco dipinto sulla parete sul fondo.
Una donna meditava nel centro esatto, con i capelli neri legati in una crocchia sulla nuca. Aprì gli occhi quando arrivarono a un paio di passi da lei e si alzò, facendo frusciare la gonna a pieghe. Alta e dritta come un giunco, una fascia le avvolgeva il seno affusolandone la figura ancora di più.
- Noriko. -
La ragazza si profuse in un profondo inchino, le mani rigide lungo i fianchi: - Sayuri-nüshi. -
- Lei sarebbe la nuova allieva? -
- Sì, laoshi. -
La donna appuntò lo sguardo su Nemeria. I capelli erano solcati da strie bionde, raggi di sole che screziavano le sopracciglia e le ciglia, lunghe e setose. Si inginocchiò e le afferrò il viso, scrutandola negli occhi mentre le voltava il viso a destra e a sinistra.
- Hai mangiato le bacche di tanu. -
- Non... -
Sayuri la fulminò con lo sguardo e Noriko lasciò cadere l'obiezione a metà.
- Rispondi. -
Nemeria si riscosse: - Sì. -
La donna la scrutò in silenzio. Negli occhi neri passò una nuvola di rammarico, prima che lasciasse la presa.
- La prossima volta non prendere nulla e vieni da me. - le disse e le fece cenno si sedersi vicino a lei, - Cominciamo dalle basi. Rilassati e fai dei respiri profondi: devi raccogliere i pensieri e spingerli fuori, in modo che la tua mente sia vuota. -
Nemeria obbedì, aveva troppo paura di contrariarla per dirle che ci aveva già provato un milione di volte senza riuscirci.
- Concentrati solo sulle mie parole, escludi il resto dei suoni. Se ti viene difficile, immagina di avere un fiore di loto sulla pancia, pronto ad aprire i petali a ogni tuo respiro. -
Il calore di Noriko si protese in una fluttuante carezza sulla sua spalla. Saperla lì, vicino a lei, attutì i battiti del suo cuore. Nemeria appoggiò le mani sulle ginocchia e inspirò piano, rilassando le spalle.
- Ripeti nella tua mente: “Sat, Chit, Ananda.”-
- Sat, Chit, Ananda. - scandì a bassa voce, - Sat, Chit, Ananda. -
Il mantra era lo stesso che ripeteva Etheram. Glielo aveva insegnato Fakhri e aveva provato a fare lo stesso con lei, ottenendo come unico risultato di farla addormentare.
“Esistenza, coscienza, beatitudine.”
Le aveva regalato un sorriso bellissimo quando le aveva chiesto cosa significasse. All'epoca, Nemeria aveva otto anni ed Etheram ne aveva appena compiuti tredici. Era cambiata molto da quando era stata iniziata al Primo sentiero, quello dell'aria; era diventata più malinconica, parlava poco e non perdeva occasione per accompagnare Arsalan quando dovevano commerciare, il suo blocco da disegno sempre sottobraccio e un carboncino infilato tra orecchio e testa. Non aveva tempo per nessuno, a parte che per sua sorella, per lei era sempre presente.
“Sat, Chit, Ananda.”
Si erano appena fermate in un'oasi sperduta in mezzo al nulla, un lago cristallino circondato da cespugli che brillava come uno zaffiro nell'aria densa che frizzava nei polmoni. In quella parte della Chin settentrionale faceva molto freddo e nel deserto non era raro trovare la brina o, come aveva potuto vedere Nemeria, la neve. La magia dell'Alta Sacerdotessa le celava alla vista delle carovane che percorrevano la Râh-e Abrisham e quella delle Anziane era sufficiente ad allontanare i venti gelidi e umidi quando si accampavano.
Fuori una tempesta di sabbia aveva coperto la luna e sferzava le tende, tenendola sveglia. Rakshaan dormiva nella culla, abbracciato al suo pupazzo, vicino alla stuoia di Hediye. Etheram aveva chiuso il suo blocco e lo aveva adagiato sotto il cuscino.
- Sat, Chit, Ananda. Cosa significano? - aveva insisto Nemeria.
- Ci sono tante risposte a questa domanda. Quale vuoi sentire? -
- Vorrei sapere quella giusta. -
- Pensi che ce ne sia una sola? -
Etheram le aveva fatto posto vicino a lei, come sempre accadeva quando Nemeria si svegliava. Aveva ancora i capelli castani, con qualche punta grigia stinta che sbucava in una chioma atrimenti liscia e uniforme.
- Non lo so... penso di sì. Fakhri dice che esiste una sola verità e lei non sbaglia mai. -
Etheram le aveva passato un braccio sulle spalle e l'aveva stretta a sé. Aveva un'espressione molto seria, Nemeria non l'aveva mai vista così.
- L'esistenza è lo stato d'essere delle cose. Quando dico “io sono”, sto affermando che io esisto, che sono qui, ora, nel presente. Questa conoscenza mi è data dal mondo che confina con me, da come reagisce e interagisce. La beatitudine è... difficile da spiegare. È la tranquillità interiore, accompagnata dalla conoscenza più profonda della nostra anima e di quella del mondo. -
- Quella che si raggiunge alla fine dell'Ultimo sentiero, quando si è in comunione anche con l'elementale più diverso da noi?-
Etheram aveva annuito e il suo sguardo si era improvvisamente rabbuiato. La tempesta fuori si era appena placata, come se la tristezza di sua sorella ne avesse fiaccato la forza.
- Sai, Nemeria, a volte è meglio non sapere. - aveva sussurrato e l'aveva abbracciata come Rakshaan il suo pupazzo, - La beatitudine che nasce dalla conoscenza può generare molte più domande delle risposte che elargisce. -
- Allora non significa che qualcosa non è andato storto? -
Etheram aveva sospirato, afflitta.
- Non credevo che sarebbe stato così. -
- Così come? -
- Doloroso... -
All'improvviso qualcuno pronunciò il suo nome e Nemeria aprì gli occhi. Sayuri e Noriko la stavano fissando, entrambe con un'espressione accigliata.
- Ti sei addormentata? - la interrogò la syad.
- No... -
Sbatté le palpebre per scacciare lo sciame di puntini colorati che le punteggiava la vista. Il sentore dell'umidità, il calore avvolgente di sua sorella, il basso russare di Hediye le accarezzavano ancora le orecchie, chiari e vividi come eventi accaduti il giorno prima.
- Un'allucinazione, allora. Sono uno degli effetti sgradevoli delle bacche tanu. - spiegò Sayuri mentre si alzava, imitata da Noriko e Nemeria, - In questo stato provare a continuare a meditare sarebbe inutile. Sfruttiamo l'energia in eccesso per imparare qualche tecnica. -
- Io sono una Dominatrice del Fuoco. - obiettò Nemeria.
Si rese conto un istante dopo di aver parlato a sproposito.
- Il tuo e il mio elemento sono simili: entrambi leggeri, entrambi imprevedibili, il caldo e il freddo, opposti e complementari. - Sayuri scandì le parole lentamente, ma con durezza, - Mettiti vicino a Noriko e seguila nei movimenti. -
Nemeria non se lo fece ripetere due volte. Noriko si inchinò, poi chiuse la sinistra sulla destra chiusa a pugno, all'altezza del mento. Divaricò le gambe, portò le braccia all'altezza dell'inguine e risalì sopra la testa, le dita sempre intrecciate e i palmi verso l'alto.
Nemeria non staccò gli occhi da lei. L'amica eseguiva tutti i movimenti a occhi chiusi, con una fluidità e una sicurezza disarmanti. Cercò di ripetere tutto, più di una volta, sentendosi però sempre impacciata. La pelle sulla schiena pizzicava appena, un prurito che le faceva venire voglia di buttarsi a terra e rotolarsi come un orso.
- Respira col naso, punte dei piedi dritte, spalle rilassate. - la riprese Sayuri.
Nemeria annuì e si sforzò di applicare le correzioni, di ignorare quella voglia di mandare tutto all'aria che le scorreva nelle vene. Avrebbe voluto avere a portata di mano un tirapugni, o qualsiasi cosa per sfogare l'energia che le ribolliva dentro.
Noriko aprì le gambe e piegò le ginocchia come se fosse in sella. L'indice e il medio, uniti, erano distesi mentre disegnava la forma di un arco con le braccia, dapprima a destra e poi a sinistra.
- Giù il baricentro, mantieni la posizione. -
Sayuri le diede un colpo sul piede sufficiente a farle capire che doveva divaricare di più le gambe. I muscoli sulle cosce tiravano così tanto da farla tremare. Quando poi le raddrizzò le spalle, Nemeria era già quasi al limite. Come se lo avesse capito, Noriko cambiò tecnica: rimase in equilibrio sulla gamba sinistra, ruotando i polsi della braccia aperte.
Andarono avanti così per tutto il pomeriggio. Sayuri le guardava tenendosi a debita distanza, riprendendole quando sbagliavano qualcosa, come quando Noriko non aveva ruotato abbastanza il torso. Per il resto le controllava in silenzio, senza tradire alcuna emozione. Quando finalmente fece loro segno di smettere, Nemeria si piegò sulle ginocchia: il sudore le aveva attaccato i vestiti addosso e i muscoli, tutti, sembravano non essere più capaci di sostenerla.
- Domani mattina, solita ora. - annunciò Sayuri.
Noriko annuì, poi prese Nemeria sottobraccio e la trascinò fuori dal campo. Passarono per il quadriportico, salirono al primo piano attraverso una rampa di scale strette e ripide fino a un corridoio di pietra con le pareti dipinte di bianco e passarono diverse porte. Noriko ne aprì una, rivelando una camera piccola e spoglia, con due letti di paglia addossati alle pareti rivestiti da un lenzuolo che aveva visto tempi migliori, ma quantomeno molto più integro di quello che Nemeria si immaginava. Individuò subito le calige, la clamide e la fibula adagiati ordinatamente su uno sgabello ai piedi del letto.
- Ce la fai? - le domandò Noriko.
Nemeria annuì, anche se quei pochi passi erano un abisso per lei. In un moto d'orgoglio, si impose di non chiederle aiuto. Zoppicò fino al materasso, strascicando i piedi. Era umiliante essere di nuovo debole, senza più un grammo d'energia se non quella residua delle bacche.
- Ti porto la cena. - disse la ragazza e si voltò per uscire, ma Nemeria la fermò.
Aveva la vertigini, il cuore nello stomaco e il sudore delineava le cicatrici sui palmi.
- Mi dispiace per... per averti trascinato qui. Tyrron mi ha raccontato che hai fatto di tutto per salvarmi, quindi è colpa mia se sei diventata una schiava. Mi dispiace davvero tanto. - sussurrò con voce rotta.
Il fiume di parole si arrestò quando Noriko l'abbracciò di slancio, senza alcun preavviso. La strinse così forte da toglierle il fiato, la mano dietro la nuca e l'altra che le circondava la vita.
- Noriko...? -
Il calore e il suo respiro colmarono il silenzio più di qualsiasi parola.
- Ti avevo promesso che ti avrei protetta. Ed è ciò che ho fatto. - soffiò Noriko, senza ritrarre la mano che aveva appoggiato sulla guancia di Nemeria.
- Ma ora sei intrappolata qui... -
- Lì fuori prima o poi saremmo morte. Qui almeno abbiamo un tetto sulla testa e del cibo ogni giorno. Quando c'è stata la retata, i Kalb non erano gli unici che volevano catturarti. -
Nemeria deglutì.
- Lo hai visto anche tu, vero? -
- Non quella sera, ma oggi... mi ha seguita fino alla scuola. - pigolò spaventata.
Noriko si sedette vicino a lei e si sciolse la treccia. I capelli rossi ricaddero spettinati sulla spalla, così lunghi da sfiorare i ciuffi di paglia.
- Qui sei al sicuro. La scuola è sorvegliata giorno e notte sia dai syad che dalle guardie scelte. Se mai dovesse provare a entrare, non ne uscirebbe vivo. -
Quelle parole ebbero la capacità di tranquillizzarla. Era paradossale che la sua nuova casa, una prigione dove valeva meno di nulla, fosse l'unico posto dove poteva dirsi realmente al sicuro.
- Gli altri? Sai che fine hanno fatto? -
Noriko scosse la testa: - No. Eravamo andati lì tutti per recuperarti, poi al termine dell'incontro non abbiamo fatto in tempo ad avvicinare Abayomi che sono entrati. Perché ti sei fatta ridurre in quello stato da Zahra? Non potevi farcela, eppure hai continuato. -
- Non volevo che facessero del male a Kimiya. - Nemeria si sentì colpita nel profondo da quell'ultima affermazione, ma inghiottì il groppo in gola e proseguì, - Non sapevo quando sareste arrivati, né se Dariush vi avrebbe permesso di venirmi a dare una mano. Volevo solo prendere tempo. -
- Potevi morire. -
Un brivido le fece accapponare la pelle: - Lo so, ma non avevo scelta. -
Noriko soppesò il suo sguardo su di lei e Nemeria si sentì risucchiata da quegli occhi. Era come specchiarsi in un pozzo profondo, così lontano dal sole da rimandare appena il suo riflesso.
- Devi stare molto attenta adesso che siamo qui. Lì, nell'arena, nessuno ci ha fatto caso, ma persone come Sayuri lo noterebbero subito. -
- Che cosa? -
- Che sai dominare anche l'aria. - a quel punto abbassò la voce, - Nel colpo che hai sferrato a Zahra non c'era solo il fuoco, non sarebbe bastato a far esplodere la sua armatura di roccia. -
Nemeria si allontanò come scottata, ma Noriko la tirò di nuovo a sé.
- Non lo dirò a nessuno, ma, te ne prego, controllati. Sei sulla bocca di tutti dopo quello che hai fatto a Roshanai, se poi scoprissero anche questo... - il labbro tremò e le spalle si irrigidirono, - Non abbassare mai la guardia, neppure con Tyrron. È stato gentile con te, ma è pur sempre un mercante, non esisterebbe a venderti se gli proponessero il giusto prezzo. -
Nemeria annuì. Non aveva mai visto Noriko così spaventata, anzi, non aveva mai manifestato nessuna emozione in modo così evidente da quando la conosceva.
- Tu... tu però promettimi che mi aiuterai a scoprire cos'è successo agli altri. -
Impresse nella voce tutta la sua risolutezza. Kimiya, Chalipa, Afareen, Hami, Altea... aveva bisogno di sapere dov'erano e se stavano bene. Hirad, soprattutto Hirad. Era di lui che, più di tutti, voleva avere notizie. Desiderava sapere se era tornato a blaterare e a sorridere come un tempo. Altea gli avrebbe dovuto consegnare le pergamene nuove e i carboncini colorati.
Altea, che la chiamava “Scoiattolo”, la sua prima amica e la prima che aveva ferito con le sue bugie. L'ultimo sguardo che le aveva rivolto quando era andata con i Cani le bruciava ancora come una ferita infetta.
Noriko fece spallucce. Qualsiasi traccia di emozione era sparita dal suo viso, seppellita sotto una perfetta maschera d'indifferenza.
- Conquistati il diritto di uscire fuori di qui e vedremo di reperire le informazioni che vuoi. -
- Tu lo hai già? -
- No, ma a me non interessa tanto quanto interessa a te. -
Nemeria lo sapeva eccome, ma la schiettezza con cui lo ammise la lasciò comunque sconcertata. Era difficile conciliare l'immagine di qualche minuto prima con la solita imperturbabile Noriko.
- Affare fatto, allora? - domandò dopo un momento.
- Affare fatto. - si alzò e andò alla porta, - Ora stenditi, ti porto la cena. Sarà una lunga notte per te. -
Nemeria si abbandonò sul suo giaciglio non appena rimase da sola. Il prurito si stava intensificando e si diffondeva come il calore di una candela sotto le bende. Non si poteva dire che le facesse male, non ancora almeno, eppure Nemeria non temeva quella trasformazione inevitabile: era sopravvissuta al primo giorno, a una Condivisione forzata e alle frustate, qualsiasi cosa sarebbe accaduta quella notte era pronta ad affrontarla.

  
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