13
Punizione
La trascinarono in una
cella buia a fredda e ce la gettarono dentro come un sacco di patate
avariate. Non era sporca né umida, ma la polvere aleggiava
nell'aria e le catene tintinnavano, minacciose, sopra la sua testa.
Nemeria si rannicchiò in un angolo, le gambe strette al
petto e gli occhi sbarrati. Col collare di nuovo addosso, tutte le
comunicazioni con l'elementale del fuoco erano state tagliate. Era di
nuovo sola. Trasse un profondo respiro e incassò la testa
nelle spalle, appoggiando il viso contro le ginocchia. Cos'era
successo? Era stata davvero lei a far volare Roshanai contro la colonna?
“Sì, sei stata tu.”
Chiuse gli occhi e ripercorse mentalmente gli eventi. Rpshanai aveva
tentato di entrare nella sua mente imponendole la propria
volontà. Era un altro modo di usare la Condivisione: Etheram
aveva fatto la stessa cosa quando le Anziane le avevano chiesto di
controllare se anche Rakhsaan era un Dominatore. La differenza era che
suo fratello era un neonato all'epoca, una vita appena venuta al mondo,
senza un'identità o dei ricordi. Con lui, le aveva poi detto
sua sorella, era stato come buttarsi in mare da una scogliera: l'acqua
si era aperta e l'aveva avvolta, quasi non stesse attendendo altro che
svelare i segreti delle sue profondità.
Un brivido le corse lunga la schiena quando la lama incandescente
riprese forma davanti ai suoi occhi. Non aveva mai subito una
Condivisione, almeno non consciamente, eppure, ne era certa, sapeva che
non doveva essere così. Tutto quel dolore, la sensazione di
venire violata nel profondo, non poteva davvero esser parte di un rito
così intimo e delicato. Se non fosse stato per l'intervento
dell'elementale, cosa ne sarebbe stato di lei?
“L'ho respinta, però.”
Sorrise e la tensione abbandonò appena il suo corpo. Se
stringeva la mano, le pareva ancora di sentire una corda attorno
all'avambraccio e le venature scabre del cuoio. Era strano pensare che
uno scudo fatto di pure fiamme potesse trasmetterle delle percezioni
tattili così realistiche.
“Non l'ho uccisa.”
Se lo ripeté per rinfrancarsi, anche se in cuor suo era
più una speranza che una sicurezza. Roshanai aveva battuto
forte la testa, il sangue che si era lasciata dietro ne era la prova,
eppure Nemeria voleva credere, aveva bisogno di credere, che fosse
sopravvissuta, che il desiderio di morte che l'aveva assalita quando
aveva troncato il legame con Roshanai appartenesse all'elementale. Non
poteva aver davvero voluto bruciarli. Rifiutava che quella
volontà di distruzione facesse parte di lei. Tuttavia, per
quanto negasse, quella voglia era ancora lì, appena sopita
sotto la cenere, e avrebbe divorato la Dominatrice e tutto
ciò che la attorniava e confinava con lei, anche la scuola
intera.
L'ansia le aveva smembrato il cuore e banchettava seduta tra le sue
costole. Di tanto in tanto udiva lo scalpiccio delle guardie
avvicinarsi e allontanarsi, ma non riuscì a trovare mai il
coraggio di alzarsi e chiedere notizie. Preferiva rimanere
nell'ignoranza, ma allo stesso tempo il suo istinto di
autoconservazione esigeva risposte, per poi rintanarsi in un angolo
quando si prospettava l'eventualità che Roshanai fosse morta
e che l'avesse uccisa lei. E, se ben ricordava le leggi dei mortali,
quel poco che Arsalan si era lasciato sfuggire, il prezzo dell'omicidio
era la vita dell'assassino.
Intrappolata nella cella della paura e dello sconforto, con solo il
sollievo offerto dalla pietra di luna, anche le lacrime non rimasero
altro che un velo umido dietro le palpebre.
“Madre... cosa sono diventata?”
La porta cigolò sui cardini non oliati e sulla soglia
apparve Reza, assieme ad altri tre soldati. Nella penombra, a Nemeria
sembravano tutti uguali, ognuno il gemello dell'altro.
- Alzati. -
Nemeria obbedì. I piedi le formicolavano e la gamba destra
si era addormentata, ma non aveva intenzione di testare la loro
pazienza.
Senza dire altro, Reza le fece cenno di seguirlo. Non appena ebbe
oltrepassato la soglia, i soldati si chiusero dietro di lei,
circondandola. Dritti e rigidi come pronti alla battaglia, le mani
erano strette sull'impugnatura delle shamshir. La lama curva rifulgeva
minacciosa e pareva che l'oricalco avesse assorbito il sangue e che
questo si fosse raggrumato sotto la sua superficie.
La scortarono attraverso lo stretto corridoio dell'andata in assoluto
silenzio. I pochi prigionieri nelle altre celle la guardarono appena,
come se fosse più insignificante di una formica. Nemeria
incrociò giusto gli occhi glauchi di una donna con una
vistosa cicatrice sul viso, prima di tornare a fissarsi la punta dei
piedi.
Salirono una rampa di scale e uscirono all'aperto. Nemeria riconobbe le
colonne colorate del quadriportico e l'odore intenso di sudore e
terriccio. Nessuno parve far caso a loro, tutto era come lo aveva
lasciato: il clangore del metallo, i respiri spezzati, il cozzare delle
armi quando incontravano la resistenza dell'armatura.
- Dove stiamo andando? - si azzardò a chiedere.
- Al campo di allenamento dell'aria. -
La voce incolore di Reza proveniva da davanti, oltre le teste dei
soldati. Nemeria desiderava qualche altra informazione, ma l'occhiata
grifagna dell'uomo alla sinistra le ricordò la pessima
situazione in cui si era cacciata.
Quando arrivarono, la colonna si aprì e i soldati si misero
in formazione attorno a una donna con gli occhi pesantemente truccati e
un besajaun con la barba liscia tutta inanellata. Tyrron era in mezzo a
loro, una smorfia indispettita sul volto. Non appena
incrociò il suo sguardo, un brivido la fece tremare fino ai
lombi.
- Tutto ciò è ridicolo, Mina. - disse Tyrron.
La donna schiuse le labbra in un sorriso affettato: i denti erano come
le ossa insanguinate di uno squarcio appena aperto.
- Se non erro, giusto un annetto fa hai preteso che la mia Arakne fosse
punita per aver distrutto un manichino d'allenamento. - rispose Mina,
fissandolo intensamente, - Non possiamo certo soprassedere in un caso
di tentato omicidio. -
Il besajaun annuì in silenzio e gli anelli alla barba
tintinnarono: - Non posso che concordare. -
- Non lo ha fatto apposta, Roshanai ha esagerato, lo sapete. -
replicò Tyrron.
Mina scosse la testa e tutti i suoi pendagli d'oro rifulsero,
catturando la luce obliqua del sole. Il peplo bianco le ricadeva
languido sulle forme abbondanti, fermato in vita da una cintura e sulla
spalla da una fibula con l'effigie di un falco ad ali spiegate. Tutta
quell'ostentazione la faceva sembrare ancora più grassa,
rifletté Nemeria.
Qualsiasi senso d'ilarità morì quando un servo
ingobbito si avvicinò portando una frusta.
- Adel è d'accordo con me, non credo che ci sia molto altro
da dire. - prese l'arma e la accarezzò con la punta delle
dita, - Dieci frustrate. Non una di più, non una di meno. -
decretò.
Un'ombra sfrecciò nello sguardo di Tyrron.
- È solo una bambina. -
- No, è una Dominatrice e ha quasi ammazzato una delle Syad.
- la voce del besajaun era dura, con una leggera nota nasale, - Siamo
già stati abbastanza magnanimi da toglierne più
della metà. Fosse uno dei miei, quaranta frustate sarebbero
state il minimo. -
Nemeria strinse i pugni per fermare il tremito incontrollato delle
spalle quando Mina srotolò la frusta e la
consegnò a Tyrron.
- Nessuna pietà, Tyrron. Solo perché è
una tua proprietà, non significa che debba ricevere un
ulteriore sconto. -
L'uomo serrò la presa sull'arma e fece un paio di passi in
avanti.
- Vieni, Nemeria. -
A quelle parole, Nemeria si sentì morire. Mina la
osservò compiaciuta mentre avanzava e il sorriso sulle sue
labbra si allargò quando Tyrron le ingiunse di togliersi la
kandys.
“Sono solo dieci, posso resistere.”
Tentò di rassicurarsi, ma non riusciva a smettere di
tremare. Cercò negli occhi del suo padrone la
pietà, ma si scontrò contro due iridi d'acciaio.
- Inginocchiati e dammi le spalle. -
Il pavimento lastricato di pietra bianca le strappò
crudelmente il calore dal corpo. Così nuda, con gli occhi di
tutti quegli estranei puntati addosso, la vergogna era ben lontana. Si
strinse il seno inesistente tra le braccia per proteggersi dai loro
sguardi. Aveva lo stomaco stretto in una morsa convulsa, dolorosa, e il
sudore le imperlava la pelle.
La frusta sibilò e si infranse sulla schiena in uno schiocco
sordo. Il dolore si accese e si irradiò in tutto il corpo,
assalì il cervello e le artigliò gli occhi.
Nemeria si rannicchiò ancora di più e
abbassò la testa, mentre le lacrime le rigavano le guance.
- Uno. -
Gelo, nella voce di Tyrron non c'era altro che gelo.
“Madre, per favore...”
Il colpo si abbatté sulla scapola destra e la fibbia di
cuoio scattò all'indietro con la pelle attaccata
all'estremità.
“Sorella, ti preg-”
Il terzo colpo le tolse il respiro e la buttò a terra
distesa. La schiena bruciava, era un incendio di dolore che si
propagava fino alla punta delle dita.
- Alzati. -
Nemeria appoggiò la fronte contro il lastricato e si
costrinse a carponi e poi di nuovo in ginocchio. Non aveva fatto in
tempo a raddrizzarsi che Tyrron l'aveva colpita per la quarta volta.
Tremava ancora di più, come accesa dalla febbre, e non
riusciva a controllare il battito dei denti. Quando si morse la lingua,
la frusta si abbatté di nuovo su di lei e l'incendio ridusse
in cenere qualsiasi altra sensazione.
Noriko era lì, osservava da dietro uno dei soldati.
Si era formato un capannello di curiosi, tutti che erano accorsi a
vedere la punizione della nuova arrivata. Nemeria strizzò le
palpebre e distolse lo sguardo quando scorse i pugni di Noriko serrarsi.
Cinque, sei, sette, otto. La mano di Tyrron si abbassava in fretta,
calava veloce sul collo, sulle costole e nel mezzo della spina dorsale.
Si portava via tutta la sua determinazione a non cedere.
Nemeria non si rese conto di star singhiozzando finché non
si accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime. Persino i suoi
pensieri erano sbiaditi. Muovere le dita era impossibile, non erano
sue, erano un'appendice che era stata cucita alle sue mani da un
estraneo. Non seppe dove trovò la forza necessaria per non
rannicchiarsi a terra e pregare di venire uccisa, perché
faceva troppo male e lei non riusciva a sopportare tutta quella
sofferenza.
- Nove. - contò Tyrron.
Il sangue le imbrattò le mutande, penetrò
attraverso il tessuto e le si appiccicò addosso come una
seconda veste. Sul bianco delle pietre, le gocce rosse spiccavano come
rubini rotti.
- Dieci. -
Il suo corpo si tese un'ultima volta quando la frusta lo
colpì. Seguì un silenzio ovattato, dove l'unica
cosa che sussisteva era la sua schiena gonfia e la pelle infiammata che
pulsava più velocemente del battito del suo cuore. Il peso
degli sguardi si alleggerì fino a svanire e lo scalpiccio
dei passi che si allontanavano le sfiorò le orecchie.
- Soddisfatta, Mina? -
La risata argentina della donna infranse il silenzio.
- Quando si danneggia un bene pubblico è bene che il
colpevole paghi. Le ultime frustate non gliele hai date a dovere, ma
posso soprassedere, per questa volta. Vedi di tenere al guinzaglio la
tua schiava. Se dovesse ricapitare, non saremo così
misericordiosi. -
- Lo terrò a mente. -
Mina si allontanò con il besajaun senza aggiungere una
parola. Se soltanto fosse riuscita ad aprire gli occhi, Nemeria
l'avrebbe volentieri fulminata con un'occhiata. La odiava e quel
sentimento denso e vischioso ravvivava il dolore, lo acutizzava assieme
alla rabbia e all'umiliazione. Ma era solo un fuoco di paglia e non
bastava a donarle la forza per alzarsi.
- Me ne occupo io. - mormorò qualcuno alla sua sinistra.
Schiuse le palpebre. Aveva il ginocchio di Noriko a un palmo dal naso e
il mento della ragazza era alzato, gli occhi incantenati su qualcuno
che non era lei.
- Non posso lasciarla riposare. -
C'era forse apprensione nella voce di Tyrron? Era stato lui a coprirla
con la kandys?
- Posso occuparmene io. - ribadì Noriko, - La porto in
infermeria e poi la lascerò nelle mani di Sayuri. -
- La Syad dell'aria è l'unica scelta che abbiamo
finché Roshanai non si riprende. - sospirò.
Una spostamento d'aria avvertì Nemeria che si era rimesso in
piedi.
- La affido a te. -
Quando Tyrron si allontanò, Noriko l'afferrò
sotto l'ascella e la costrinse in piedi. La sorreggeva con la forza di
un solo braccio come se non pesasse nulla.
- Appoggiati. -
Anche volendo, Nemeria non avrebbe potuto fare altrimenti. Il respiro
incespicò in un rantolo dolorante quando tentò di
raddrizzarsi e la spina dorsale la incurvò in avanti,
nell'unica posizione in cui il suo corpo sembrava sopportare il dolore.
Si lasciò trascinare da Noriko, lasciò che fosse
lei a guidarla attraverso i corridoi, le scale e le stanze, in un lungo
ed estenuante supplizio. Perse più volte conoscenza e quando
riaprì gli occhi vide uno scorcio diverso, sfumato nei
contorni e tenue nei colori. Poi le fitte lancinanti divennero di nuovo
insopportabili e l'oblio la riaccolse prontamente.
- Stendila lì. - disse una donna a Noriko, non appena
entrarono in infermeria.
- Non c'è Serafim? -
L'altra esitò. L'incarnato scuro, quasi nero, era l'unica
cosa che Nemeria riuscì a distinguere.
- Ayhè, Mina... -
Noriko si irrigidì, strinse così forte la spalla
da strapparle un gemito acuto. Quando se ne rese conto, la sua mano si
appoggiò delicatamente poco sotto il seno, dove la frusta le
aveva disegnato un taglio meno profondo degli altri.
La spinsero a distendersi su una branda dal materasso duro e
bitorzoluto e il cuscino poco morbido. Noriko avvicinò uno
sgabello e si sedette, mentre la donna andava avanti e indietro
portando creme, unguenti e bende. Nemeria la spiò da dietro
le ciglia, sospesa in un limbo ovattato dove il dolore faceva da
cornice e da soggetto ad ogni suo pensiero.
- Tienila ferma. -
Non capì il perché di quella frase
finché non le versarono l'alcol sulla schiena.
Urlò forte, ancora di più di quando l'avevano
frustata, e scalciò come un animale impazzito. Noriko
dovette immobilizzarle la testa e le braccia. Le mutande erano intrise
di sangue, sudore e, Nemeria se ne rese conto quando l'odore le
pizzicò le narici, urina.
- Mi... mi dispiace... -
La presa sul collo si trasformò in una carezza. Le
fasciature rendevano il tocco di Noriko ruvido e goffo, ma il calore
che trasmettevano, così familiare, quasi nostalgico,
stemperò le lacrime e il bruciore.
- Dovresti andarle a prendere qualcosa di pulito. -
Noriko non rispose. La mano indugiò sul profilo delle
orecchie e poi si spostò pigramente sulla nuca, seguendo uno
dei tanti rami in boccio che scendeva lungo il collo. Le frustate
avevano calpestato i fiori e deturpato la radice. Il giardino che
Arsalan le aveva disegnato era stato profanato.
- Vado. - rispose Noriko.
Si alzò di scatto e uscì dall'infermeria. I suoi
passi erano così leggeri da non produrre alcun rumore, se
non il lieve strusciare della suola di cuoio sul pavimento di pietra.
Senza che nemmeno la toccasse, una bava di vento accostò la
porta.
“Come ho fatto a non accorgermene prima?”
Tornò dopo una decina di minuti, in mano recava una tunica
grigia stinta e una cintura di corda.
- Tyrron ha fatto portare le tue cose nella mia stanza. - la
precedette, riprendendo posto sullo sgabello.
La donna si sedette sul bordo del letto e le spalmò un
impacco a base di echinacea e aloe. Nemeria trattenne un mugolio tra i
denti.
- Ce la fai a metterti seduta? -
- Sì... -
Anche solo mettere le mani ai lati della faccia per issarsi fu
doloroso. La pelle lacerata tirava, sembrava aprirsi ancor di
più ogni volta che respirava troppo forte.
- Aiutala ad alzare le braccia. -
Noriko scattò senza che aggiungesse altro. La sostenne da
sotto i gomiti, mentre la donna le passava la garza attorno al petto.
- Nande, hai delle bacche tanu? -
- Non mi sembra il caso. Dovrebbe riposare. -
- Tyrron ha detto che l'allenamento deve cominciare oggi. -
Nande aprì e chiuse la bocca senza ribattere. Ora che i
colori avevano riassunto la loro tonalità naturale, Nemeria
si sbalordì di quanto fosse scura la sua pelle. Era nera
come quella di Reza e le ciglia erano rade, quasi assenti.
Frugò nella tasca della tunica e ne trasse un sacchetto
gonfio. Le bacche erano non più grosse di una biglia, nere e
lucide.
- Stasera ti sentirai a pezzi, ma ti daranno la forza di superare
questo pomeriggio. - le disse semplicemente.
Nemeria le annusò. Avevano un profumo zuccherino molto
invitante che le solleticava le narici e il palato. Le avrebbe ingoiate
subito se non fosse stato per l'espressione funerea di Nande.
- Se stanotte starai male, ti darò qualcosa. -
provò a rassicurarla.
Noriko taceva, in attesa. Forse, se le avesse chiesto spiegazioni,
avrebbe ricevuto risposta, ma Nemeria non era sicura di voler sapere
quale fosse l'effetto collaterale di quelle bacche. Aveva l'impressione
che così avrebbe perso il poco coraggio che era riuscita a
raggranellare, polvere frammista a brace spenta.
“Non ho altra scelta.”
Si mise entrambe le bacche in bocca e quasi senza masticarle le
ingoiò. Un'energia folle si espanse dentro di lei. Il velo
che le copriva gli occhi fu squarciato, spazzato via da un'improvvisa
euforia e voglia di alzarsi. Si rimise in piedi in un balzo. Le
prudevano le mani per quanto si sentiva eccitata, il dolore era ridotto
al semplice fastidio di una puntura.
- Seguimi. -
Scattò dietro Noriko come un cucciolo.
Trotterellò al suo fianco, di nuovo in forze, come se non
fosse accaduto nulla. Era stata investita da quell'inspiegabile
ebbrezza che aveva trasformato tutta la realtà –
muri, volte, tende, finestre – in un affresco nitido con i
colori più densi e corposi, i contorni più netti.
Anche se sapeva che non era normale, doveva ammettere che era da tempo
che non si sentiva così bene. Ogni volta che intercettava
uno sguardo di Noriko, non riusciva a trattenersi dal sorridere.
Tornarono nel giardino centrale, quello col quadriportico, e si
diressero verso il corridoio da cui era arrivata Roshanai. Vennero
accolte in un campo a pianta quadrangolare, con le pareti di pietra
rossa con un triangolo bianco dipinto sulla parete sul fondo.
Una donna meditava nel centro esatto, con i capelli neri legati in una
crocchia sulla nuca. Aprì gli occhi quando arrivarono a un
paio di passi da lei e si alzò, facendo frusciare la gonna a
pieghe. Alta e dritta come un giunco, una fascia le avvolgeva il seno
affusolandone la figura ancora di più.
- Noriko. -
La ragazza si profuse in un profondo inchino, le mani rigide lungo i
fianchi: - Sayuri-nüshi. -
- Lei sarebbe la nuova allieva? -
- Sì, laoshi. -
La donna appuntò lo sguardo su Nemeria. I capelli erano
solcati da strie bionde, raggi di sole che screziavano le sopracciglia
e le ciglia, lunghe e setose. Si inginocchiò e le
afferrò il viso, scrutandola negli occhi mentre le voltava
il viso a destra e a sinistra.
- Hai mangiato le bacche di tanu. -
- Non... -
Sayuri la fulminò con lo sguardo e Noriko lasciò
cadere l'obiezione a metà.
- Rispondi. -
Nemeria si riscosse: - Sì. -
La donna la scrutò in silenzio. Negli occhi neri
passò una nuvola di rammarico, prima che lasciasse la presa.
- La prossima volta non prendere nulla e vieni da me. - le disse e le
fece cenno si sedersi vicino a lei, - Cominciamo dalle basi. Rilassati
e fai dei respiri profondi: devi raccogliere i pensieri e spingerli
fuori, in modo che la tua mente sia vuota. -
Nemeria obbedì, aveva troppo paura di contrariarla per dirle
che ci aveva già provato un milione di volte senza riuscirci.
- Concentrati solo sulle mie parole, escludi il resto dei suoni. Se ti
viene difficile, immagina di avere un fiore di loto sulla pancia,
pronto ad aprire i petali a ogni tuo respiro. -
Il calore di Noriko si protese in una fluttuante carezza sulla sua
spalla. Saperla lì, vicino a lei, attutì i
battiti del suo cuore. Nemeria appoggiò le mani sulle
ginocchia e inspirò piano, rilassando le spalle.
- Ripeti nella tua mente: “Sat, Chit, Ananda.”-
- Sat, Chit, Ananda. - scandì a bassa voce, - Sat, Chit,
Ananda. -
Il mantra era lo stesso che ripeteva Etheram. Glielo aveva insegnato
Fakhri e aveva provato a fare lo stesso con lei, ottenendo come unico
risultato di farla addormentare.
“Esistenza, coscienza, beatitudine.”
Le aveva regalato un sorriso bellissimo quando le aveva chiesto cosa
significasse. All'epoca, Nemeria aveva otto anni ed Etheram ne aveva
appena compiuti tredici. Era cambiata molto da quando era stata
iniziata al Primo sentiero, quello dell'aria; era diventata
più malinconica, parlava poco e non perdeva occasione per
accompagnare Arsalan quando dovevano commerciare, il suo blocco da
disegno sempre sottobraccio e un carboncino infilato tra orecchio e
testa. Non aveva tempo per nessuno, a parte che per sua sorella, per
lei era sempre presente.
“Sat, Chit, Ananda.”
Si erano appena fermate in un'oasi sperduta in mezzo al nulla, un lago
cristallino circondato da cespugli che brillava come uno zaffiro
nell'aria densa che frizzava nei polmoni. In quella parte della Chin
settentrionale faceva molto freddo e nel deserto non era raro trovare
la brina o, come aveva potuto vedere Nemeria, la neve. La magia
dell'Alta Sacerdotessa le celava alla vista delle carovane che
percorrevano la Râh-e Abrisham e quella delle Anziane era
sufficiente ad allontanare i venti gelidi e umidi quando si accampavano.
Fuori una tempesta di sabbia aveva coperto la luna e sferzava le tende,
tenendola sveglia. Rakshaan dormiva nella culla, abbracciato al suo
pupazzo, vicino alla stuoia di Hediye. Etheram aveva chiuso il suo
blocco e lo aveva adagiato sotto il cuscino.
- Sat, Chit, Ananda. Cosa significano? - aveva insisto Nemeria.
- Ci sono tante risposte a questa domanda. Quale vuoi sentire? -
- Vorrei sapere quella giusta. -
- Pensi che ce ne sia una sola? -
Etheram le aveva fatto posto vicino a lei, come sempre accadeva quando
Nemeria si svegliava. Aveva ancora i capelli castani, con qualche punta
grigia stinta che sbucava in una chioma atrimenti liscia e uniforme.
- Non lo so... penso di sì. Fakhri dice che esiste una sola
verità e lei non sbaglia mai. -
Etheram le aveva passato un braccio sulle spalle e l'aveva stretta a
sé. Aveva un'espressione molto seria, Nemeria non l'aveva
mai vista così.
- L'esistenza è lo stato d'essere delle cose. Quando dico
“io sono”, sto affermando che io esisto, che sono
qui, ora, nel presente. Questa conoscenza mi è data dal
mondo che confina con me, da come reagisce e interagisce. La
beatitudine è... difficile da spiegare. È la
tranquillità interiore, accompagnata dalla conoscenza
più profonda della nostra anima e di quella del mondo. -
- Quella che si raggiunge alla fine dell'Ultimo sentiero, quando si
è in comunione anche con l'elementale più diverso
da noi?-
Etheram aveva annuito e il suo sguardo si era improvvisamente
rabbuiato. La tempesta fuori si era appena placata, come se la
tristezza di sua sorella ne avesse fiaccato la forza.
- Sai, Nemeria, a volte è meglio non sapere. - aveva
sussurrato e l'aveva abbracciata come Rakshaan il suo pupazzo, - La
beatitudine che nasce dalla conoscenza può generare molte
più domande delle risposte che elargisce. -
- Allora non significa che qualcosa non è andato storto? -
Etheram aveva sospirato, afflitta.
- Non credevo che sarebbe stato così. -
- Così come? -
- Doloroso... -
All'improvviso qualcuno pronunciò il suo nome e Nemeria
aprì gli occhi. Sayuri e Noriko la stavano fissando,
entrambe con un'espressione accigliata.
- Ti sei addormentata? - la interrogò la syad.
- No... -
Sbatté le palpebre per scacciare lo sciame di puntini
colorati che le punteggiava la vista. Il sentore
dell'umidità, il calore avvolgente di sua sorella, il basso
russare di Hediye le accarezzavano ancora le orecchie, chiari e vividi
come eventi accaduti il giorno prima.
- Un'allucinazione, allora. Sono uno degli effetti sgradevoli delle
bacche tanu. - spiegò Sayuri mentre si alzava, imitata da
Noriko e Nemeria, - In questo stato provare a continuare a meditare
sarebbe inutile. Sfruttiamo l'energia in eccesso per imparare qualche
tecnica. -
- Io sono una Dominatrice del Fuoco. - obiettò Nemeria.
Si rese conto un istante dopo di aver parlato a sproposito.
- Il tuo e il mio elemento sono simili: entrambi leggeri, entrambi
imprevedibili, il caldo e il freddo, opposti e complementari. - Sayuri
scandì le parole lentamente, ma con durezza, - Mettiti
vicino a Noriko e seguila nei movimenti. -
Nemeria non se lo fece ripetere due volte. Noriko si
inchinò, poi chiuse la sinistra sulla destra chiusa a pugno,
all'altezza del mento. Divaricò le gambe, portò
le braccia all'altezza dell'inguine e risalì sopra la testa,
le dita sempre intrecciate e i palmi verso l'alto.
Nemeria non staccò gli occhi da lei. L'amica eseguiva tutti
i movimenti a occhi chiusi, con una fluidità e una sicurezza
disarmanti. Cercò di ripetere tutto, più di una
volta, sentendosi però sempre impacciata. La pelle sulla
schiena pizzicava appena, un prurito che le faceva venire voglia di
buttarsi a terra e rotolarsi come un orso.
- Respira col naso, punte dei piedi dritte, spalle rilassate. - la
riprese Sayuri.
Nemeria annuì e si sforzò di applicare le
correzioni, di ignorare quella voglia di mandare tutto all'aria che le
scorreva nelle vene. Avrebbe voluto avere a portata di mano un
tirapugni, o qualsiasi cosa per sfogare l'energia che le ribolliva
dentro.
Noriko aprì le gambe e piegò le ginocchia come se
fosse in sella. L'indice e il medio, uniti, erano distesi mentre
disegnava la forma di un arco con le braccia, dapprima a destra e poi a
sinistra.
- Giù il baricentro, mantieni la posizione. -
Sayuri le diede un colpo sul piede sufficiente a farle capire che
doveva divaricare di più le gambe. I muscoli sulle cosce
tiravano così tanto da farla tremare. Quando poi le
raddrizzò le spalle, Nemeria era già quasi al
limite. Come se lo avesse capito, Noriko cambiò tecnica:
rimase in equilibrio sulla gamba sinistra, ruotando i polsi della
braccia aperte.
Andarono avanti così per tutto il pomeriggio. Sayuri le
guardava tenendosi a debita distanza, riprendendole quando sbagliavano
qualcosa, come quando Noriko non aveva ruotato abbastanza il torso. Per
il resto le controllava in silenzio, senza tradire alcuna emozione.
Quando finalmente fece loro segno di smettere, Nemeria si
piegò sulle ginocchia: il sudore le aveva attaccato i
vestiti addosso e i muscoli, tutti, sembravano non essere
più capaci di sostenerla.
- Domani mattina, solita ora. - annunciò Sayuri.
Noriko annuì, poi prese Nemeria sottobraccio e la
trascinò fuori dal campo. Passarono per il quadriportico,
salirono al primo piano attraverso una rampa di scale strette e ripide
fino a un corridoio di pietra con le pareti dipinte di bianco e
passarono diverse porte. Noriko ne aprì una, rivelando una
camera piccola e spoglia, con due letti di paglia addossati alle pareti
rivestiti da un lenzuolo che aveva visto tempi migliori, ma quantomeno
molto più integro di quello che Nemeria si immaginava.
Individuò subito le calige, la clamide e la fibula adagiati
ordinatamente su uno sgabello ai piedi del letto.
- Ce la fai? - le domandò Noriko.
Nemeria annuì, anche se quei pochi passi erano un abisso per
lei. In un moto d'orgoglio, si impose di non chiederle aiuto.
Zoppicò fino al materasso, strascicando i piedi. Era
umiliante essere di nuovo debole, senza più un grammo
d'energia se non quella residua delle bacche.
- Ti porto la cena. - disse la ragazza e si voltò per
uscire, ma Nemeria la fermò.
Aveva la vertigini, il cuore nello stomaco e il sudore delineava le
cicatrici sui palmi.
- Mi dispiace per... per averti trascinato qui. Tyrron mi ha raccontato
che hai fatto di tutto per salvarmi, quindi è colpa mia se
sei diventata una schiava. Mi dispiace davvero tanto. -
sussurrò con voce rotta.
Il fiume di parole si arrestò quando Noriko
l'abbracciò di slancio, senza alcun preavviso. La strinse
così forte da toglierle il fiato, la mano dietro la nuca e
l'altra che le circondava la vita.
- Noriko...? -
Il calore e il suo respiro colmarono il silenzio più di
qualsiasi parola.
- Ti avevo promesso che ti avrei protetta. Ed è
ciò che ho fatto. - soffiò Noriko, senza ritrarre
la mano che aveva appoggiato sulla guancia di Nemeria.
- Ma ora sei intrappolata qui... -
- Lì fuori prima o poi saremmo morte. Qui almeno abbiamo un
tetto sulla testa e del cibo ogni giorno. Quando c'è stata
la retata, i Kalb non erano gli unici che volevano catturarti. -
Nemeria deglutì.
- Lo hai visto anche tu, vero? -
- Non quella sera, ma oggi... mi ha seguita fino alla scuola. -
pigolò spaventata.
Noriko si sedette vicino a lei e si sciolse la treccia. I capelli rossi
ricaddero spettinati sulla spalla, così lunghi da sfiorare i
ciuffi di paglia.
- Qui sei al sicuro. La scuola è sorvegliata giorno e notte
sia dai syad che dalle guardie scelte. Se mai dovesse provare a
entrare, non ne uscirebbe vivo. -
Quelle parole ebbero la capacità di tranquillizzarla. Era
paradossale che la sua nuova casa, una prigione dove valeva meno di
nulla, fosse l'unico posto dove poteva dirsi realmente al sicuro.
- Gli altri? Sai che fine hanno fatto? -
Noriko scosse la testa: - No. Eravamo andati lì tutti per
recuperarti, poi al termine dell'incontro non abbiamo fatto in tempo ad
avvicinare Abayomi che sono entrati. Perché ti sei fatta
ridurre in quello stato da Zahra? Non potevi farcela, eppure hai
continuato. -
- Non volevo che facessero del male a Kimiya. - Nemeria si
sentì colpita nel profondo da quell'ultima affermazione, ma
inghiottì il groppo in gola e proseguì, - Non
sapevo quando sareste arrivati, né se Dariush vi avrebbe
permesso di venirmi a dare una mano. Volevo solo prendere tempo. -
- Potevi morire. -
Un brivido le fece accapponare la pelle: - Lo so, ma non avevo scelta. -
Noriko soppesò il suo sguardo su di lei e Nemeria si
sentì risucchiata da quegli occhi. Era come specchiarsi in
un pozzo profondo, così lontano dal sole da rimandare appena
il suo riflesso.
- Devi stare molto attenta adesso che siamo qui. Lì,
nell'arena, nessuno ci ha fatto caso, ma persone come Sayuri lo
noterebbero subito. -
- Che cosa? -
- Che sai dominare anche l'aria. - a quel punto abbassò la
voce, - Nel colpo che hai sferrato a Zahra non c'era solo il fuoco, non
sarebbe bastato a far esplodere la sua armatura di roccia. -
Nemeria si allontanò come scottata, ma Noriko la
tirò di nuovo a sé.
- Non lo dirò a nessuno, ma, te ne prego, controllati. Sei
sulla bocca di tutti dopo quello che hai fatto a Roshanai, se poi
scoprissero anche questo... - il labbro tremò e le spalle si
irrigidirono, - Non abbassare mai la guardia, neppure con Tyrron.
È stato gentile con te, ma è pur sempre un
mercante, non esisterebbe a venderti se gli proponessero il giusto
prezzo. -
Nemeria annuì. Non aveva mai visto Noriko così
spaventata, anzi, non aveva mai manifestato nessuna emozione in modo
così evidente da quando la conosceva.
- Tu... tu però promettimi che mi aiuterai a scoprire
cos'è successo agli altri. -
Impresse nella voce tutta la sua risolutezza. Kimiya, Chalipa, Afareen,
Hami, Altea... aveva bisogno di sapere dov'erano e se stavano bene.
Hirad, soprattutto Hirad. Era di lui che, più di tutti,
voleva avere notizie. Desiderava sapere se era tornato a blaterare e a
sorridere come un tempo. Altea gli avrebbe dovuto consegnare le
pergamene nuove e i carboncini colorati.
Altea, che la chiamava “Scoiattolo”, la sua prima
amica e la prima che aveva ferito con le sue bugie. L'ultimo sguardo
che le aveva rivolto quando era andata con i Cani le bruciava ancora
come una ferita infetta.
Noriko fece spallucce. Qualsiasi traccia di emozione era sparita dal
suo viso, seppellita sotto una perfetta maschera d'indifferenza.
- Conquistati il diritto di uscire fuori di qui e vedremo di reperire
le informazioni che vuoi. -
- Tu lo hai già? -
- No, ma a me non interessa tanto quanto interessa a te. -
Nemeria lo sapeva eccome, ma la schiettezza con cui lo ammise la
lasciò comunque sconcertata. Era difficile conciliare
l'immagine di qualche minuto prima con la solita imperturbabile Noriko.
- Affare fatto, allora? - domandò dopo un momento.
- Affare fatto. - si alzò e andò alla porta, -
Ora stenditi, ti porto la cena. Sarà una lunga notte per te.
-
Nemeria si abbandonò sul suo giaciglio non appena rimase da
sola. Il prurito si stava intensificando e si diffondeva come il calore
di una candela sotto le bende. Non si poteva dire che le facesse male,
non ancora almeno, eppure Nemeria non temeva quella trasformazione
inevitabile: era sopravvissuta al primo giorno, a una Condivisione
forzata e alle frustate, qualsiasi cosa sarebbe accaduta quella notte
era pronta ad affrontarla.