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Autore: bittersweet Mel    29/10/2017    1 recensioni
The World è una grande città spezzata a metà, da una parte le ville e il lusso, dall'altra le palazzine malfamate e la povertà.
Roxas vive nella sua splendida casa, il giardino perfetto e una famiglia all'apparenza perfetta; Axel convive con due amici e fatica a pagare l'affitto, ma continua a coltivare il sogno di diventare un attore.
Il giorno in cui si incontreranno tutte le problematiche della grande città si fonderanno e inizieranno a farsi pian piano sempre più pressanti.
[ Axel/Roxas ]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Demyx, Roxas, Ventus
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco, Altro contesto
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V


 
 
bip bip bip
 
Con un grugnito Axel sollevò la mano e cercò a tentoni la vecchia sveglia sopra al comodino.
Si era ripromesso più volte di usare il cellulare, di mettere una suoneria decente e di svegliarsi felicemente con qualche canzone, ma ogni volta se ne dimenticava.
Forse la pigrizia, oppure l’abitudine, lo portavano puntualmente a impostare l’ora sopra la vecchia sveglia mezza distrutta.
Il fulvo si mosse appena nel letto, sbattendo un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza.
Gli occhi bruciavano ogni volta che tentava di tenerli aperti per più di qualche secondo, e il corpo – leggero come se fosse ancora nel mondo dei sogni- si rifiutava di dargli ascolto.
Allora rimase immobile per un intero minuto, gli occhi chiusi e il respiro stanco ancora prima di iniziare la giornata.
Il ventilatore ronzava nella stanza da una parte all’altra, ma per tutta la notte l’aria calda era girata nella camera come una coltre afosa.
Axel era riuscito a dormire sì e no qualche ora, lì tra le lenzuola leggere e la finestra aperta.
Gli piaceva l’estate, il sole e le vacanze, ma aveva iniziato ad odiare il caldo appiccicoso della città, così differente da quello secco del suo paese natale.
Lì a Radiant Garden l’estate era piacevole, un concerto di fringuelli tra gli alberi, i profumi dei fiori e della frutta matura, ma a The World tutto era asettico, anonimo, un susseguirsi di rumori meccanici e ripetitivi.
Il suono delle macchine per le vie, le aziende che già di prima mattina aprivano e battevano i loro macchinari con una persistenza da fargli mancare il fiato.
“ E’ il rumore della città”, si continuava a ripetere, le palpebre chiuse e le labbra serrate, “ avanti Axel, su, svegliati e risplendi.”
Era perfino inutile incoraggiarsi, nelle giornate come quella.
La voglia di alzarsi era inesistente, il coraggio di alzarsi dal letto e andare al lavoro ancora meno.
Ma quella era la sua vita, e come in un tunnel infinito lui doveva continuare a muoversi, a fare, a vivere.
Axel si passò svogliatamente la mano sopra al volto, massaggiandosi lentamente la pelle accaldata, prima di grugnire un'altra volta e sollevarsi dal materasso.
Osservò la chiazza umida sopra al copriletto e sospirò, trattenendo uno sbadiglio.
Così era la vita, se l’era scelta lui.
Aveva deciso di abbandonare la sua piccola casetta tra i boschi e andare a vivere quella che un tempo aveva definito “ la vita vera.”
Non era stato affatto piacevole come si era aspettato.
C’erano giorni in cui si rammaricava di non aver ascoltato i consigli di suo fratello; Reno, scapestrato ma al tempo stesso coscienzioso, gli aveva subito detto che andarsene da casa sarebbe stato un grosso errore.
Axel, invece, tronfio della sua giovane età e dei suoi sogni, non gli aveva dato retto nemmeno una volta, prendendo in giro quel suo comportamento abitudinario, fatto di casa, lavoro e famiglia.
Ora gli dava ragione, e si pentiva di non aver ascoltato le sue parole con un po’ più di attenzione.
Il giovane si alzò dal letto e si diresse in bagno, osservando la porta chiusa della camera da letto opposta alla sua.
Demyx e Zexion stavano dormendo, e ancora una volta sentì una fitta di tristezza penetrargli nelle vene.
Voleva bene ai suoi coinquilini, col tempo erano diventati grandi amici, ma non riusciva a capire il loro stile di vita.
Scosse la testa ed entrò nel piccolo bagno, una stanzetta minuscola dove si faticava a stare in due.
Aprì il getto d’acqua fredda e ci ficcò sotto la testa, chiudendo gli occhi e beandosi per qualche secondo dei brividi lungo la schiena.
Sì, Demyx aveva una vita decisamente strana. Indifferente ai problemi di soldi, viveva bene anche con pochi spiccioli a settimana e sembrava felice anche nel tugurio in cui vivevano.
Zexion, invece, disprezzava la vita in povertà, ma non si impegnava ugualmente per guadagnare qualche soldo. Non aveva ancora cercato un lavoro, nonostante fosse passato già un mese da quando aveva chiuso i rapporti con i suoi genitori.
Axel interruppe il getto d’acqua e si tirò su, tamponandosi il volto con l’asciugamano appoggiato sopra la lavatrice.
Inspirò lentamente e si disse:” sì, sei pronto, avanti, andiamo al lavoro.”
Non c’era troppa convinzione neppure nei suoi pensieri.
In verità non desiderava altro che qualche giorno di pausa, magari una settimana, dove poter fare quello che più gli piaceva.
Passeggiare per la città, andare a teatro, scattare qualche foto, viaggiare, stare con Roxas.
Axel schioccò le labbra in un suono smorzato e si guardò allo specchio, osservando le occhiaie scure sotto gli occhi e il volto stanco.
Roxas.
Gli sarebbe piaciuto passare l’intera giornata con lui, parlando per le strade, sorseggiando un Cappuccino, comportandosi come una delle tante coppie da serie tv.
Sorrisi, risate, le mani che lentamente si avvicinano e le dita che si intrecciano.
Sarebbe stato bello camminare fianco a fianco, mano nella mano, senza dover preoccuparsi di nulla al mondo.
Forse sognava troppo, Axel, andava avanti con la mente, fantasticava su un futuro che non sembrava poi così probabile.
Eppure Roxas non gli aveva mai parlato di una ragazza a cui fosse interessato, non aveva mai accennato nemmeno minimamente al suo interesse verso le donne; semplicemente, la prima volta che si erano visti, aveva detto di non  essere gay.
“ Magari scherzava. Anche se non sembra il tipo che scherza troppo.”
Si scrollò di dosso il pensiero, oltre che qualche ciuffo bagnato, e tornò in camera da letto.
Afferrò i vestiti del lavoro – quella squallida tuta rossa e bianca- e se li infilò con così poca voglia che ci impiegò più del dovuto ad abbottonarsi i pantaloni e la maglia.
Alla fine, con un sospiro, abbandonò l’appartamento per andare incontro alla sua splendida giornata.
Attraversò la strada, camminò accanto al Jolie – salutando Xaldin con un cenno del capo- e percorse quel mezzo chilometro che lo separava dal Jimbo’s.

« Guarda un po’, oggi Axel è addirittura in anticipo. Non sono neanche le 8 e già devo vedere la tua brutta faccia? »
Larxene, una ragazza tutta d’un pezzo. Un pezzo marcio, cattivo e guasto, ma alcune volte tirava fuori una vena di allegria che sorprendeva tutto lo staff.
Axel aveva faticato a dividere  i turni assieme a lei durante la sua prima settimana. Larxene parlava tanto, ma non diceva mai nulla di importante.
Principalmente criticava il lavoro, i clienti, i colleghi, usciva a farsi lunghe pause per fumare sigarette, e poi tornava dentro al fast-food ancora più arrabbiata di prima. Col passare del tempo, alla fine, si era ritrovato ad apprezzare il tempo con lei a scambiarsi battute acide e sarcastiche.

«  Non stressarlo troppo, non lo vedi in faccia? Il mio cane ha un aspetto migliore. »
Axel sospirò, osservando il giovane dietro la cassa, «  Non hai un cane, Marluxia. »
L’altro scrollò le spalle, tamburellando le dita sopra il bancone, «  Se ce l’avessi avrebbe un aspetto migliore del tuo, amico. »
Axel ruotò gli occhi al soffitto e lasciò gli altri due a ridacchiare alle sue spalle. Lei, i capelli biondi tirati su in una coda da cavallo, e Marluxia, i denti sempre scoperti in un sorriso ironico e i lunghi capelli colorati di rosa.
Axel odiava quella tinta, ma Marluxia era il supervisore di quella scadente catena di fast-food e di certo poteva permettersi di venire al lavoro come meglio pensava.
Con un grugnito stanco sorpassò il bancone e si diresse nel retro, passando svogliatamente il tesserino delle presenze sopra la macchinetta.
Osservò con occhi vacui il proprio nome comparire sopra al computer, dando inizio alla sua giornata lavorativa.

«  Hey Axel, Axel!! »
Passandosi una mano tra i capelli il giovane voltò solamente il capo, osservando il volto di Marluxia comparire dietro lo stipite della porta.
Un sorrisetto soddisfatto gli faceva sollevare le labbra e già Axel sapeva che qualunque cosa gli stesse per dire non sarebbe stato affatto piacevole.
Come volevasi dimostrare l’uomo sorrise ancora di più e ammiccò nella sua direzione.

« Oggi ti sposto a pulire i tavoli, buon lavoro. »
Axel ricambiò con un sorriso a trentadue denti, talmente falso che si rammaricò di non essere un attore poi così bravo come pensava.
«  Perfetto », gli disse, osservandolo sparire nuovamente dalla porta di servizio, « Adoro pulire i tavoli. E anche i bagni. E’ il sogno della mia vita. »
Con le labbra serrate e un fastidioso dolore alla tempia destra, il fulvo afferrò uno strofinaccio usurato e il disinfettante, pronto per la sua fantastica giornata lavorativa.
Dirigendosi verso i tavoli sporchi dalla sera precedente – di tanto in tanto si chiedeva come mai non li pulissero prima di chiudere, piuttosto che poco prima di aprire-, riusciva a sentire il chiacchiericcio di sottofondo degli altri due e la musica leggera trasmessa dalla radio.
Gli sarebbe piaciuto trovarsi dovunque, tranne che lì.
Magari al Jolie, di fronte a Roxas; solo loro due, senza nessun altro.
Sarebbe stato bello se il biondo fosse stato lì anche in quel momento, lui sì che avrebbe saputo come confortarlo in un momento del genere, quando si sentiva come uno degli uomini più insignificanti del mondo, con addosso un completo imbarazzante e uno strofinaccio maleodorante tra le mani.
Roxas riusciva a farlo sentire in capo al mondo, non sul fondo dove si trovava.
 
 
I raggi del sole non lasciavano scampo a nessuno, nemmeno ad Axel, che aveva il volto coperto dalla visiera del cappello e il corpo completamente all’ombra del Jimbo’s.
Nonostante l’ora di pausa, il ragazzo non riusciva a gustarsi appieno quel poco tempo di libertà che gli era concesso durante il suo orario lavorativo.
Il caldo appiccicoso lo faceva respirare a fatica e ad ogni movimento sentiva una goccia di sudore percorrergli il retro del collo.
La sigaretta che teneva tra le dita non aiutava a combattere il caldo di fine luglio.
Il fumo sembrava ardergli in gola ogni volta che lo aspirava, e tra le dita sembrava stringere un bastoncino infuocato invece che una cartina.
Eppure era la sua unica pausa, quella sigaretta, il suo stacco personale dove poteva permettersi di rimanere a fissare il vuoto davanti a sé senza apparire un idiota.
Axel se ne stava con la schiena appoggiata al muro grigio del fast-food, le braccia incrociate e il volto sfinito nonostante fosse solo l’una di pomeriggio.
Sentiva gli occhi bruciare ogni volta che sbatteva le palpebre e quasi una volta al minuto doveva reprimere uno sbadiglio.
L’unica consolazione erano i messaggi di Roxas. Brevi, veloci, scritti frettolosamente.
Se chiudeva gli occhi, Axel riusciva quasi ad immaginarselo; vedeva il biondo sopra al letto, sdraiato a pancia in giù, lì a digitare con foga sopra al cellulare per rispondergli il prima possibile.
Quel pensiero riusciva sempre a strappargli un sorriso.

Nuovo Messaggio da “Rox”, ricevuto alle ore 13:07
“A che ora finisci?”
Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle ore 13:07
“ Tra troppo, troppo tempo.”
Nuovo Messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:08
“ Voglio vederti con quella divisa, mandami una foto, ti prego.”
Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:09
“ Nemmeno se mi paghi.”

Si fermò per qualche secondo, inspirando una boccata di fumo e aggrottando appena la fronte.
Poi riprese a scrivere velocemente, fissando la schermata del cellulare con un sorriso impossibile da trattenere.

Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:09
“ … Ok, scherzavo, se mi paghi ti mando un set completo.”
Nuovo Messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:10
“ TI PREGO, fallo. Un selfie con lo scopettone.”
Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:10
“ Mi dispiace, baby, sono a pulire i tavoli, niente bagni oggi. Però se vuoi ho uno splendido strofinaccio da mostrarti, sei interessato?”
Nuovo Messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:11
“ Molto sexy, è così che rimorchi solitamente?”
Axel ridacchiò appena, gettando a terra la sigaretta. La calpestò con il tacco della scarpa e osservò il mozzicone spiaccicato a terra.
Nuovo messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:12
“ Solitamente offro qualcosa da bere, sai?”
Nuovo messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:12
“ Oddio, davvero? Quindi ci stavi provando con me l’altra volta, non l’avevo capito!”
Nuovo messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:12
“ Ora che lo sai puoi anche smetterla di fingere, lo so che ti ho stregato con il mio charme.”
Nuovo messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:13
“ Solo se mi mandi il selfie.”

Axel schioccò la lingua contro al palato e alla fine, per quanto stessero scherzando – era piacevole ridere su certe cose, senza troppo imbarazzo-, sollevò il cellulare e si scattò una foto.
Il rosso risaltava incredibilmente.
Cappellino, la tuta e perfino i capelli.
La inviò a Roxas con un semplice: “ ora mi devi la prossima colazione” e uno smile ficcato a caso a fine della frase.
Axel sospirò appena, soddisfatto, strofinando il capo contro al muro del Jimbo’s.
Socchiuse gli occhi in attesa della risposta di Roxas, finché non sentì il cellulare vibrare.
Chiamata in arrivo da “ Bro”
Sollevò un sopracciglio e rimase imbambolato per qualche secondo a fissare lo schermo del cellulare, dove la faccia sorridente di Reno lo fissava con quella solita espressione bonaria.
Poi rispose alla chiamata, portandosi il cellulare all’orecchio

«  Guarda un po’ chi ha tempo per il suo fratellone! Se dovessi aspettare una tua chiamata per poterti parlare a quest’ora sarei già un cadavere, yo.»
«  Che diavolo è quel yo? Non hai più l’età per usare certi slogan », borbottò solamente Axel, cercando di figurarsi il volto del fratello maggiore mentre si comportava come un ragazzino.
Scosse il capo, cercando di levarsi quell’immagine dalla testa.

«  Parlo come voglio, ricordati chi ha sempre ragione. Io, il maggiore, capito? »
«  Certo, certo », continuò Axel, allungando la gamba destra in avanti, dondolandola appena, «  io ricordo solo che davi sempre la colpa a me, a prescindere da chi avesse ragione. »
«  Non ringraziarmi, tranquillo, ti ho forgiato il carattere.»
« Ti prego, dimmi che non mi hai chiamato solo per questo. »
Intercorse un intero minuto di silenzio, dove Axel riusciva solamente a sentire il respiro di Reno e qualche suo “ mmh” leggero, soffocato.
Il fulvo si passò una mano sul retro del collo, inorridendo nel trovarlo completamente umido.
Se solo non ci fossero stati Larxene e Marluxia dentro al fast-food sarebbe rientrato al fresco a parlare, ma l’idea di vederli confabulare alle sue spalle gli faceva di gran lunga preferire il sole cocente.
Alla fine sentì la voce di Reno farsi viva.

«  D’accordo, sarò sincero. Ti chiamo perché siamo tutti un po’ preoccupati. Come va lì? Con i soldi tutto bene? »
Ah, ecco!, pensò Axel.
Il vero problema della sua famiglia era quello: nessuno si fidava di lui.
Il figlio minore, il povero e piccolo Axel che da piccolo non riusciva a dormire senza la luce accesa sopra al comodino. Axel che a sette anni aveva paura del topolino dei denti e piangeva quando la mamma andava al lavoro.
Nessuno di loro, né suo padre, né sua madre, e quanto meno suo fratello, riuscivano a credere che Axel riuscisse a cavarsela senza il loro aiuto.
Leggermente accigliato si allontanò dal muro, stringendo maggiormente il cellulare tra le dita.

«  Va tutto splendidamente, non c’è nessun problema. Mi pagano bene, qui al lavoro, e la scuola va a gonfie vele. Sto bene. E sono felice. »
«  Mangi abbastanza? La mamma vuole sapere se fai tre pasti al giorno e se porti i vestiti in lavanderia. »
«  Sì, sì, mangio bene, mi lavo i vestiti e quando mi ricordo mi faccio anche la doccia, immagina un po’. »
Dall’altro capo del telefono arrivò uno sbuffo sonoro, prima di un:” che idiota.”
«  Smettila di scherzare, siamo seri. Se mai vorrai tornare ricordati che la casa è sempre qui per te, bro. Anche se pensavo di usare la tua stanza come ripostiglio. »
«  Piuttosto non è arrivata per te l’ora di spiccare il volo e allontanarti dal nido, bro », lo rimbeccò Axel, digrignando appena i denti. Poi preferì lasciar perdere quell’argomento e sbuffò, troncando la conversazione, «  Comunque ora devo andare, è finita la pausa, d’accordo? Ciao, ti chiamerò io. Salutami tutti. »
«  Aspetta Axel, noi- »
Troppo tardi.
Con un sospiro stanco il fulvo chiuse la chiamata e rimase qualche secondo a fissare lo schermo, indeciso perfino su cosa pensare.
Ogni volta che ripensava alla propria famiglia, alle  cure amorevoli di sua madre, alla salda educazione del padre, e all’affetto del fratello, non poteva che sentire la mancanza di Radiant Garden; eppure altre volte si sentiva fiero di sé, orgoglioso del buco schifoso dove viveva, della sua vita così diversa da prima, arrivando perfino a ripensare alla sua vecchia casa con rabbia.
Eppure nessuno, nella sua famiglia, sembrava avere una sola parola di merito per lui.
Serrò le labbra e osservò i messaggi in arrivo.
Roxas gli aveva risposto mandandogli una foto del suo computer, un telefilm stoppato sopra lo schermo, e un piccolo ventilatore bianco lì vicino.
Una breve panoramica sulla stanza di Roxas, dai colori azzurri e leggeri, sapeva di freschezza.
Automaticamente Axel si sentì più tranquillo.

Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle 13.42
“ Scusa, ero al telefono con mio fratello. Ora devo tornare al lavoro, ma hey, bel computer, me lo regali in cambio di un altro selfie?”

Schioccando le labbra il fulvo si ficcò il cellulare in tasca e osservò la strada.
Sollevò il capo verso il sole, schermandosi il volto con il palmo della mano; faceva caldo, le macchine sfrecciavano lungo la strada principale dell’east side, dietro di sé sentiva l’odore di patine fritte e hamburger, eppure qualcosa lo faceva sorridere.
Era una vita strana, difficile, ma Axel pensava, nel suo ottimismo, che se qualcuno riusciva a rendere una vita dura come la sua così bella, beh, allora doveva essere un ragazzo davvero speciale.
 

 
***
 

 

« Xion ti sta cercando. »
Era la seconda volta che Ventus bussava alla porta del gemello, senza ottenere nessuna risposta, quindi passò direttamente all’attacco.
Urlò quella frase ancora una volta, dando un colpo col pugno alla porta chiusa a chiave.
Nessuna risposta.
Il biondo tese l’orecchio, cercando di captare anche un solo rumore dalla camera di Roxas, ma lì tutto taceva.
Con un sospiro appoggiò la mano alla porta, tamburellando le dita un paio di volte prima di schiarirsi la voce.

«  Roxas », iniziò, la voce lamentosa, «  Rooooxas », ancora niente. Si accigliò leggermente, sbuffando, arricciando le labbra in un broncio leggermente infantile. «  D’accordo, va bene, ignora tuo fratello e ignora anche la tua ragazza, sono affari tuoi. »
«  Non è la mia ragazza. »
Finalmente giunse la voce di Roxas dalla camera, soffocata dalla porta di legno e dalla distanza che li separava.
Ventus ruotò gli occhi al soffitto – straordinario come suo fratello rispondesse solo a quello che voleva lui!- e fece un passo indietro, allontanandosi dalla porta della camera.

«  Come vuoi te, comunque ha chiamato due volte, dice che non rispondi da qualche giorno e si sta preoccupando. »
E non era l’unica.
Anche Ventus sentiva una leggera stretta allo stomaco ogni volta che vedeva il volto del gemello.
Crescendo erano cambianti entrambi, i volti tondi e infantili si erano allungati, i corpi erano cresciuti, l’età adulta si stava affacciando sempre più veloce, eppure fino a qualche settimana prima in Roxas quei cambiamenti apparivano poco visibili.
Aveva mantenuto, con gli anni, un atteggiamento infantile, ancora fanciullesco, che ora stava scemando via giorno dopo giorno.
Ventus aveva capito immediatamente che qualcosa era cambiato, solo che non riusciva a capire cosa.
Vedeva Roxas uscire di casa, e quasi lo spaventava.
Era abituato a immaginare suo fratello sempre chiuso in casa, al sicuro tra le mura domestiche, eppure ultimamente si svegliava presto, usciva di casa, di tanto in tanto afferrava il cellulare e spariva per un’ora intera, per poi ritornare in sala con un leggero sorriso sulle labbra.
La cosa che davvero preoccupava Ventus, però, erano le risposte vaghe di Roxas.
Il giovane serrò le labbra, osservando la porta chiusa del gemello, e sospirò leggermente, cercando di soffiare via la preoccupazione che gli albergava nei polmoni.

«  Ti va di parlare un po’? », gli chiese alla fine, attendendo una risposta.
Per qualche secondo non sentì nulla, ma alla fine il leggero tock dei passi sopra al parquet lo fece sorridere.
La porta si aprì l’attimo dopo e spuntò fuori il volto di Roxas, leggermente assonnato, i capelli scompigliati.

«  Di che vuoi parlare, Ven? »
Il fratello scosse le spalle, sorridendo appena. Non diede nemmeno il tempo a Roxas di dire altro che lo spinse indietro, entrando nella sua camera.
Si guardò attorno e storse il naso: le tapparelle abbassate, qualche cartaccia in giro, i vestiti sparsi a terra e un sacco di disordine.

«  Wow, sembra la stanza della mamma. »
Roxas, con le braccia incrociate al petto, se ne stava ancora vicino alla porta aperta; con uno sguardo leggermente accusatorio osservò Ventus al centro della stanza e poi sbuffò.
Richiuse la porta e raggiunse il letto, lasciandosi cadere sul bordo con un sospiro.

«  La sua fa schifo, la mia è vissuta. »
«  Sembra più il rifugio di un senzatetto », esclamò Ventus, osservando dei piatti sporchi impilati sopra la scrivania.
Poi si voltò verso Roxas, guardando il letto sfatto e il computer che ronzava sopra al copriletto.
Gli si avvicinò e si sedette accanto al gemello, schiarendosi la voce.

«  Che guardavi?», gli domandò, sporgendosi a destra per osservare lo schermo del pc.
Roxas sollevò la mano e occupò la visuale del gemello, mormorando un: “ un telefilm splatter”, per poi incrociare nuovamente le braccia.

«  Ven, che vuoi? Se è per Xion dille che non ho voglia di uscire, sono stanco. »
Ventus schioccò le labbra e dedicò un’occhiata acida al gemello, leggermente offeso dalle sue parole.
Roxas non parlava mai con lui. Non usciva mai con lui. Non facevano più nulla assieme.
Il ragazzo ricordava con invidia i vecchi tempi, quando erano piccoli e passavano tutte le ore del giorno insieme, sia quando dormivano che quando erano svegli.
Ventus aveva sempre amato Roxas. Da piccolo si vantava con i suoi amici di quanto fosse bello avere un gemello, di come condividevano quasi misticamente i pensieri e le emozioni, come se fossero due anime spezzate a metà, in due corpi separati ma ugualmente legati.
Ora, mentre guardava Roxas seduto accanto a lui, non c’era più nulla del genere.
Entrambi avevano due vite diverse, distanti, a malapena si incontravano per i corridoi di casa.
Una leggera sensazione di disagio pervase il corpo di Ventus, che si ritrovò a stropicciare le mani l’una contro l’altra, un leggero sudore che scivolava sopra i palmi.

«  Uhm …», cominciò a parlare, dimenticandosi perfino di cosa volesse dire fino a poco prima, «  non lo so, volevo solo passare un po’ di tempo con te.»
Roxas accanto a lui serrò appena le labbra, dondolando il piede sollevato nell’aria, senza aprire ancora bocca.
Ventus lo guardò per qualche secondo, prima di riprendere a parlare.

«  Se hai altro da fare non importa, insomma … tra poco uscirò comunque con Terra e Aqua, quindi … »
«  Quindi? », gli domandò Roxas, sollevando un sopracciglio.
Ventus serrò le labbra, esalando un: “ quindi niente”, prima di rimanere in silenzio.
Rimasero zitti per un po’, Roxas che si guardava la punta del piede e Ventus che intrecciava le dita delle mani.
Alla fine Roxas spezzò il silenzio, voltando il capo verso il fratello e sospirando appena, stanco.

«  Forse chiamerò Xion, per sentire cosa vuole, quindi … ora puoi anche andare. »
Ventus deglutì, umettandosi le labbra con la punta della lingua, prima di sollevarsi dal letto con il leggero cigolio delle doghe.
Il biondo osservò il gemello sopra al letto, prima di sorridere un po’ tristemente.
Scosse la testa, leggermente, e deglutì ancora una volta, cercando di buttare giù quel leggero groppo alla gola che gli impediva di respirare decentemente.

«  Mi dispiace di non essere come vuoi te, Roxas. Ora ti lascio stare. »
Roxas sollevò il capo e corrugò la fronte, stupito dalle parole del fratello. Sembrava genuinamente perplesso dal volto triste di Ventus, dalle sue parole, allora aprì la bocca per rispondere qualcosa, qualunque cosa, ma non uscì una sola parola.
Ventus allora si schiarì ancora la voce, cercando di ridere, di sembrare felice come sempre.
Gli diede una pacca sopra la spalla, chinandosi in avanti, avvicinandosi al volto del gemello.
Arrivò a toccare la fronte di Roxas con la propria, talmente vicino a lui che se teneva gli occhi aperti non riusciva nemmeno a mettere a fuoco il volto dell’altro.
Le mani di Ventus risalirono sopra le guance di Roxas, stringendole leggermente, impedendo all’altro di allontanarsi come già stava cercando di fare.

«  Mi manchi, Roxas, ti voglio bene. »
Subito dopo si allontanò da lui, talmente veloce da lasciare Roxas sbigottito, l’espressione interdetta e le labbra socchiuse.
Ventus lo abbandonò così, praticamente correndo via dalla stanza, ignorando il leggero bruciore agli occhi che presagivano lacrime.
Non sentì affatto la voce di Roxas, leggera e flebile come un soffio di vento, che gli diceva: " ovvio che ti voglio bene anche io."












***

Ed eccomi qui con il quinto capitolo, wow, era da una vita che non portavo avanti una long.
Vabbé, non siamo qui per questo, parliamo un po' del capitolo: Axel e Roxas non si sono visti - ahimé-, ma continuano a sentirsi tutti i giorni, queste tue patate ghei.
Come potete vedere -  oh, voi due uniche lettrici presenti- ho introdotto dei nuovi personaggi che di tanto in tanto appariranno, quindi parliamone un attimo: chi vi piace di più? Reno ( il fratellone apprensivo), Marluxia ( il finto gay ) oppure Larxene ( l'amica scorbutica )?
E Ventus, è o non è un amore di fratello?
Alla prossima, dove Axel e Roxas torneranno a passare del tempo assieme, urrà!
   
 
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