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Autore: Diana LaFenice    30/10/2017    0 recensioni
Al tempo in cui il Medioevo si scambia di posto col Rinascimento, Agostino è soltanto un bambino quando la sua vita cambia per sempre e, con la sua famiglia, si trasferisce a Sirmione per sfuggire alle malelingue sul suo aspetto: a causa di un forte shock parte dei suoi capelli sono diventati bianchi.
Il suo peregrinare finirà quando lo zio lo accoglierà presso di sè a Castel Toblino, ove troverà impiego come giardiniere. Il suo intento, infatti, è quello di ricreare il Giardino dell'Eden proprio lì, nel parco del castello. Ma non sarà facile.
L'amore per i fiori e la natura, che condividerà con molte persone, intrighi, superstizioni, maledizioni, una creatura misteriosa la cui voce angelica che risuona nelle notti della bella stagione, e pericoli di varia natura, fanno da cornice alla vita del giovane giardiniere, all'incredibile storia che vivrà e a una leggenda quasi dimenticata il cui unico ricordo è ormai la spilla su cui aleggia: quella di un giovane amore sbocciato sulle sponde di un lago minacciato dai pericoli del suo tempo e l'espiazione di un cavaliere.
Questa è la Leggenda delle Stelle d'Acqua.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 3: Il Lago di Garda

In quel primo anno i denti di Agostino erano ricresciuti, così aveva potuto smettere di cibarsi di brodini e pozioni soporifere. Le sue ferite erano guarite completamente e le costole si erano riaggiustate a modo, per cui non aveva dovuto subire ulteriori torture per rimetterle in sesto o la morte.
Il dottore lo visitò sempre più sporadicamente: buon segno, significava che la sua convalescenza stava procedendo bene. Anche se sarebbe significato un bel po’dal punto di vista monetario: il suo aiuto era molto costoso.
Non aveva mai parlato ai suoi genitori di quell’incontro di quella mattina. I due quando erano tornati verso l’una del pomeriggio. Vedendo il piattino ancora intatto, ormai freddo e coperto per impedire che i ratti se ne cibassero, si erano preoccupati. Ma poi l’avevano visto ancora sotto le coperte che digrignava i denti in preda a un incubo e l’avevano svegliato preoccupati. Il bambino a quel punto si era gettato tra le loro braccia e aveva raccontato di quel sogno coi tre cavalieri che lo condannavano al rogo. E i genitori l’avevano calmato anche se il padre aveva borbottato di recarsi in città e fare due chiacchiere coi genitori dei suoi amichetti, che gli ficcavano nella testa certe idee idiote. Soprattutto quando Agostino raccontò loro di quello che facevano ai bambini con i capelli bianchi. E aveva detto: «E’vero che ho i capelli bianchi?»
«No.» Aveva detto il padre. «Chi ti ha detto questa stupidata?»
«Me lo gridavano nel sogno. Era per questo che mi condannavano.» Aveva piagnucolato il piccolo.
«Ora basta, era solo un sogno, non ci pensare più».
‹‹Ma ce li ho davvero?›› Domandò ansioso. A quel punto il padre lo guardò dritto negli occhi per un tempo che parve interminabile e alla fine sospirò: ‹‹Sì.›› Agostino trasalì. La moglie lanciò un’occhiataccia al marito. Ma l’uomo non si scompose, tese una mano verso di lui e gliela pose sulla testa e disse: ‹‹So cosa stai pensando. Ma non sei maledetto. Qualunque cosa tu abbia visto quel giorno, ti ha solo spaventato a tal punto che ti sono venuti i capelli bianchi. Una volta accadde lo stesso a una mia vecchia conoscenza. Solo che a lei divennero completamente bianchi. Succede quando la paura è talmente forte che il corpo reagisce così››.
Il bimbo lo guardò stupito: ‹‹Davvero?››
‹‹Sì. Certo.›› Garantì il genitore.
‹‹Ma se...Se mi...Se il prete mi giudicasse per questi capelli?››
‹‹Parlerò io con padre Giuliano, e vedrai che non lo farà e anzi, farà in modo che nessuno possa farti del male››.
‹‹Sul serio?›› Fece il piccolo sgranando gli occhi, che adesso brillavano di una nuova luce.
La domenica che si recarono in paese per la messa Agostino ebbe la prova che suo padre aveva detto la verità e, rilassato cantò assieme a tutti i fedeli in chiesa, con una nuova gioia. Da allora però le cose cambiarono, quei nuovi capelli, che adesso portava tagliati corti erano fonte di curiosità per il popolo e i suoi amici. I quali accolsero quei capelli chiamandolo ‹‹macchietta bianca›› o ‹‹fiocco di neve››, ma nel complesso continuarono a trattarlo come sempre. Però il parroco disse che era stato effettivamente avvistato un mostro, un piccolo demone simile a una bambina che infestava le acque dei fiumi e dei canali vicini ma se ne erano già occupati gli inquisitori.
Perciò non fu quella la causa per cui si trasferirono presso il Lago di Garda, a Sirmione. Bensì lo sfratto che subirono dal signorotto locale a causa dei debiti della famiglia. La madre di Agostino provò a mandare una lettera ai genitori, supplicandola di aiutarla come ultimo disperato tentativo. Ma non seppe mai se la ricevettero o meno.
Passarono i giorni, le settimane e le tasse li costrinsero a vendere quasi tutto quello che c’era in casa, fino a vendere l’intera fattoria.
Il piccolo Agostino dovette dire addio ai suoi amici e i luoghi della sua infanzia.
‹‹Dove andremo, papà?›› Domandò al padre, che guidava il carro. Unico avere, assieme alla vecchia Giuditta, l’asinella, che era loro rimasto, assieme ai vestiti, i balocchi di Agostino e le provviste per il viaggio. ‹‹A Sirmione.›› Rispose egli con sicurezza mentre, seduto a cassetta, guidava l’asinella. ‹‹Ho un amico laggiù, che tempo fa mi disse che avrei potuto fare fortuna se fossi venuto a lavorare per lui››.
La moglie lo guardò incuriosita: ‹‹Non mi avevi mai parlato di costui. Chi sarebbe?››
‹‹E’ un fioraio che si è arricchito commerciando fiori che coltiva la sua famiglia. Si chiama Montino da Tripoli. Buona parte dei fiori che si vedono su al Nord sono suoi››.
‹‹Non sapevo esistessero commerci di questo tipo.›› Disse la donna. Anche Agostino si girò a guardarlo.
‹‹E’una cosa piuttosto recente. Mi ha sempre detto che in caso avessi deciso di tornare al Nord mi avrebbe accolto a braccia aperte. Perché non esiste miglior giardiniere del sottoscritto.›› Disse con candore. Guido da Monselice era una persona che non si vantava mai e se per caso succedeva, non faceva mai pesare la propria vanteria sul suo interlocutore, e il candore che metteva nelle sue parole aiutava molto. ‹‹Ho anche un fratello maggiore che vive non lontano da lì. Chissà se si ricorderà di me.›› Disse poi, pensieroso abbassando il tono di voce. Non fu un viaggio molto facile. Non solo perché la famigliola sbagliò strada almeno una decina di volte; i sentieri e le strade erano molto cambiate rispetto a vent’anni prima. E non tutti vedevano di buon occhio gli stranieri come loro. Durante il viaggio si fermarono in molte città e trovarono posto in qualche locanda ove passare la notte. Il padre di Agostino cedette a moglie e figlio il letto, accontentandosi di dormire sulla scomoda seggiola. Una mano alla cintura dove teneva il fidato coltello col quale si sbucciava le mele. Le locande non erano luoghi molto confortevoli allora, e il rischio di finire assaliti nel sonno non era raro. Inoltre il locandiere aveva una faccia poco raccomandabile che non era piaciuta fin da subito a Guido. Agostino lo capì quando il locandiere si sporse oltre il bancone e gli domandò, tutto sorridente, mettendo in mostra una fila di denti marci e gialli: ‹‹Ma chi è questo bel bambino?›› E suo padre pose le proprie mani ruvide e grandi sulle sue spallucce e, fulminando l’uomo con gli occhi, rispose perentorio: ‹‹Mio figlio››.
L’uomo si ritrasse spaventato e alzò le mani dicendo: ‹‹Scusate, messere››.
Alla moglie era andata meglio perché ancora coperta dalla cappa. Per cui per ora si era soltanto beccata qualche sguardo curioso dagli avventori, ma nessuno, anche grazie alla presenza delle prostitute presenti, l’aveva importunata. La stanza non era poi così differente dalla loro vecchia casetta. Il bambino non s’immaginava che potessero esistere abitazioni capaci di contenere la sua. E osservava spaventato tutto ciò con i suoi occhioni grandi mentre la madre dormiva al suo fianco.
‹‹Non dormi?›› Domandò suo padre con voce stanca e impastata, facendolo trasalire. E poi si immobilizzò perché credette di aver svegliato la mamma. Si rilassò quando si accorse che stava ancora dormendo profondamente. Persa in chissà quale sogno.
‹‹No.›› Disse poi, in un roco bisbiglio. ‹‹Tu perché non dormi con noi?›› Domandò poi.
‹‹Perché devo farvi la guardia.›› Rispose il genitore in tono benevolo. ‹‹Non vorrei che qualche mostro venga a disturbarvi. È compito di ogni uomo proteggere la propria famiglia››.
‹‹Perché ora sì e prima no?›› Chiese incuriosito.
‹‹Perché non siamo più a casa››.
‹‹Ma ci torneremo, un giorno?›› L’uomo ci mise un po’prima di rispondere. Nonostante il buio Agostino poté sentire lo sguardo di suo padre su di sé come se fosse una carezza. ‹‹Sì. Un giorno forse ritorneremo.›› Promise e il figlioletto sorrise. «Ora dormi. È tardi, domani riprenderemo il viaggio».
«D’accordo. Buonanotte, papà».
«Buonanotte.» Poi si rannicchiò nell’abbraccio della mamma e provò a dormire dopo quelli che gli parvero giorni d’insonnia.
Quella notte sognò per la prima volta il motivo per cui erano scappati e poi il sogno sfumò sull’immagine della bambina demone che lo ringraziava e gli cantava una canzone. Ma una volta sveglio, si ricordava solo pochissime parole della medesima: Scappa o il serpente nero ti prenderà. E alla fine si scordò pure di quelle.
Il mattino dopo vennero svegliati dalle campane del mattutino. Fecero colazione con un po’di pane e latte e poi ripresero il viaggio. Agostino era preoccupato per il genitore, esibiva delle profonde borse sotto gli occhi arrossati. «Papà, forse è meglio se oggi un po’.» Gli disse. Ma il genitore l’ignorò. Non poteva concedersi il meritato riposo perché era l’unico a conoscere la strada per la loro destinazione.
«Agostino ha ragione.» Gli dette manforte la mamma. «Riposati un po’, tesoro. Abbiamo tutto il tempo del mondo per riprendere il viaggio. Che sarà mai se per un po’di tempo starò io a cassetta? So guidare il carretto bene quanto te. Chiederò indicazioni e vedrai che non mi perderò. Per favore, riposati.» Fece lei posandogli con delicatezza una mano sul braccio. L’uomo reagì stizzito e sbraitò: «Io non mi riposo e tu stai al tuo posto, donna! Non puoi guidare. E’compito mio! Oggi guido io! Io so la strada, si fa come dico io e nessuno discute! È chiaro? E tu smettila di piangere, ormai hai dieci anni, sei grande, smettila. Comportati da uomo.» In effetti quel giorno, il piccolo Agostino compiva effettivamente dieci anni. E si era svegliato con un gran mal di capo, senza capire bene dove si trovasse, lì per lì, e poi era persino inciampato dalle scale mentre scendevano.
Ma non smise di piangere e il padre allungò una mano e gli tirò uno schiaffo che lo fece ammutolire. La guanciotta piena cominciò ad arrossarsi rivelando il segno del colpo. «E ce ne è anche per te se non stai buona, donna.» Esclamò l’uomo. Agostino ebbe sinceramente paura per la mamma, e per un attimo la stessa donna ci credette. Ma solo per un attimo. Perché si ricordava che Guido non era una persona violenta. Neanche nei momenti d’ira avrebbe mai alzato un dito su di lei e dubitava sinceramente che avrebbe cominciato ad alzare le mani su di lei proprio ora. La donna tenne fermo il figlioletto, che sembrava sul punto di alzarsi e correre via. Poi si rimise a sedere incurante degli sguardi degli avventori e del silenzio che a causa della sua sfuriata si era venuto a generare. Persino il locandiere parve indeciso se intervenire o meno, ma poi scelse di restarsene dietro il bancone e tornò a occuparsi delle sue faccende quotidiane. Mentre dalla cucina uscivano i pochi piatti destinati agli avventori come colazione.
L'argomento non venne più sollevato. Poi ripresero il viaggio, e, come i due avevano temuto, più volte Guido si addormentò alla guida. Perciò alla fine, con moine e una tazza di brodo caldo, madre e figlio lo convinsero a spostarsi dietro, nella calda paglia e coi bagagli e i pochi averi che gli restavano, e da allora fu la donna a stare a cassetta, col figlioletto seduto davanti. E proseguirono in viaggio accompagnati dal dolce sottofondo del russare di Guido. Dopo un po’i due cominciarono a soffrire di fastidio per quel fastidioso russare. ‹‹Non lo sopporto.›› Borbottò Agostino a un certo punto, stizzito.
‹‹Nemmeno io.›› Gli confessò la madre. ‹‹Ma non possiamo farci niente; è il suo modo di dormire››.
‹‹Prima non lo faceva››.
‹‹Capita a tutti superata una certa età.›› Gli spiegò dolcemente lei, poi aggiunse, soprappensiero: ‹‹Si chiama vecchiaia››.
Il piccolo sbuffò e incrociò le braccia, ancora infastidito: ‹‹Se è così spero di non invecchiare mai››.
E stavolta la donna volse il viso sconvolto verso di lui. Aveva lo stesso sguardo irato del padre quando l’aveva schiaffeggiato poche ore prima. Ma lei si limitò a fissarlo con rabbia e a sibilare, minacciosa: ‹‹Non dire mai più una cosa del genere. Hai capito? Mai più. Non sia mai che qualcuno Lassù decida di ascoltarti e strapparti via da me. A quel punto nemmeno io potrei fare qualcosa per salvarti. Lo capisci? Bene, allora non lo dire mai più.›› E quel sibilo fu mille volte più spaventoso dello schiaffo e dello sfogo del genitore. Il piccolo annuì con gli occhi pieni di lacrime di paura. Si fermarono solo per far riposare la povera asinella e per svolgere qualche funzione corporale. A un certo punto cucinarono qualcosa e solo allora Guido si svegliò e pranzò con loro. Poi, durante il pomeriggio i due coniugi si allontanarono per un po’dal carro intimando ad Agostino di fare la guardia e avvisarli con un grido caso mai fosse successo qualcosa. Quando tornarono qualche ora dopo erano un po’più scarmigliati, sudati e gli abiti erano più stropicciati. E una luce brillava negli occhi di entrambi. Ma alle domande del figlioletto non risposero per niente e alla fine accantonò la questione, tornando a concentrasi su altro.
Il resto del viaggio trascorse in pace finché non arrivarono a destinazione. Alla fine anche Guido dovette ammettere che la moglie non era così sprovveduta come pensava, per la maggior parte del tragitto, infatti, aveva dimostrato di possedere un ottimo senso dell’orientamento. Cosa della quale, era stupita lei stessa. Era come se conoscesse quei luoghi a memoria, anche se non li aveva mai visti prima. Il paesaggio era molto diverso da quello cui si erano abituati fino a quel momento. Si sentiva anche il clima mite dato dal lago. Pur essendo già autunno inoltrato sembrava di essere sul mare. O almeno la sensazione che provarono Agostino e la madre fu quella, perché, a parte Guido, né lei né il figlio avevano mai visto il mare. ‹‹Com’è il mare, papà?›› Chiese Agostino, incuriosito.
‹‹Il mare, è...eh...Come te lo posso spiegare?›› Ci provò, ma tutto quel che gli riuscì di dire fu una descrizione sconnessa, qualche dettaglio buttato lì a casaccio e due o tre farfuglii inudibili e parecchi tentativi infruttuosi di aprire bocca. Alla fine ci rinunciò, lasciandoli senza risposta. Agostino alla fine decise che non sapeva di sicuro cosa era il mare, ma un temporale lo sapeva distinguere benissimo, perché proprio in quel momento un violento acquazzone si rovesciò sulle loro teste. E continuò a martoriarli a quel modo per tutto il resto del viaggio, abbassando non solo la temperatura, ma rischiando pure di farli ammalare.
Era mattina presto quando videro per la prima volta il paesaggio del Lago. La sorpresa che si palesò sul volto di Agostino fu una delle più grandi emozioni che provò. Il Lago era grandissimo e l’acqua risplendeva della luce del sole di miriadi di riflessi. Tutto attorno alle sue sponde si potevano notare vigneti, frutteti e paesini arroccati attorno ai campanili e le chiesette. Le barche dei pescatori che scivolavano come cigni leggiadri sull’acqua lucente. Da quell’altura dove erano potevano vedere la sua grandezza. Non per niente era uno dei laghi più grandi del territorio. La parte settentrionale scompariva in una depressione che si intravedeva appena tra le Alpi e la parte meridionale, anch’essa visibile fino a un certo punto, occupava un’area dell’alta Pianura Padana ed era più semi circolare rispetto alla parte a nord. Il genitore poi indicò alla famigliola la cima Presanella, il Monte Adamello e il Monte Baldo. Quest’ultimo era visibile il succedersi di diversi tipi di vegetazione dalle sponde del lago, come Agostino poté vedere poche ore dopo nel pomeriggio. Anche se non riuscì a riconoscerli per via della distanza, gli bastò fermare qualche passante per farsi spiegare la sua storia. Storia tramandata da generazione in generazione che però riassumeremo così: in seguito ad un'alluvione avvenuta nel VII secolo, il limite della foresta si alzò e la vegetazione lacustre cominciò a caratterizzarsi in modo diverso: aumentarono le specie coltivate, in particolare il castagno, il noce, l’olivo, la vite e i cereali, ma aumentò anche la varietà delle specie selvatiche. Risalendo il Monte, celebrato fin dall'antichità e noto come hortus Europae, ovvero "giardino d'Europa", a causa del vasto patrimonio floristico e degli endemismi, cioè alcune piante e animali erano tipicamente esclusivi del territorio, c’erano le fasce vegetali. Alle altitudini inferiori si trovavano piante come le artemisie, gli astragali, i lauri, i lecci, i tassi e i terebinti. Tra i 400 e gli 800 metri, si trovava il tipico bosco di fascia media, composto da carpini neri, frassini ornielli, roverelle, e in misura minore bagolari, noccioli e peri. A questi ultimi due Agostino si illuminò perché li riconobbe.
Poi, continuò, c’erano gli aceri, altri carpini, frassini, noccioli e sorbi. Tra i 1000 e i 1200 metri la vegetazione era composta principalmente da faggi, e ad altezze poco superiori si trovavano gli abeti rossi e, più rari, gli abeti bianchi; a partire dai 1700 metri iniziava il clima alpino, con mughi, basse aghifoglie, rododendri e fiori di montagna. Anche da parte bresciana vi è una simile successione di vegetazione, anche se condizionata dalla significativa presenza di scogliere e dalla minore altezza, che vedeva il suo punto massimo nei 1975 metri del monte Tremalzo, contro i 2218 metri della cima Valdritta della catena del Baldo.
Si fermarono giusto per mangiare qualcosa e Agostino ne aveva approfittato per porre qualche domanda alle persone del posto che passavano. Il tutto sotto lo sguardo dei genitori, che si trovavano poco distanti.
E aveva trovato molte risposte in un’anziana signora di passaggio con un canestro di ricci di castagni appeso al braccio. L’anziana donna che gli stava spiegando tutto ciò s’interruppe, notando il visetto smarrito del bimbo. Si sciolse in una risata di fronte alla sua faccia buffa, e gli scompigliò i capelli con una mano, prima di salutarlo e riprendere il cammino. Tanto, come aveva detto suo padre quando erano scesi dal carro per riposarsi, avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per esplorare la loro nuova casa.
Loro avrebbero alloggiato a Sirmione.
A pranzo continuò la sua storia. A sud del lago di Garda, continuò a spiegare l’uomo, sciorinando tutto il suo bagaglio culturale, si sviluppava un grande anfiteatro morenico, ovvero un susseguirsi di cerchie collinari con interposte piccole aree pianeggianti, in alcuni casi palustri, originatisi grazie all'azione di trasporto e di deposito del grande ghiacciaio del Garda. Purtroppo però dovette spiegare ai due di cosa stesse parlando perché da come lo guardavano sembrava che avesse parlato aramaico. Poi, una volta spiegata la faccenda in termini più comprensibili aggiunse che le colline erano dolci e dalle linee delicate; dai punti più alti era possibile avere la percezione dei rapporti che legavano le colline con le montagne oltre che della forma circolare ad anfiteatro degli andamenti collinari, i quali sembravano abbracciare la parte meridionale del lago. Inoltre, come aveva già capito Agostino, la vegetazione sarebbe stata quella tipica del Mediterraneo: ‹‹Non so quanto ti potrà aiutare a farti capire come è il mare, perché un conto e il mare e un altro saranno le sue rive, che un giorno spero tu potrai vedere. Ma almeno ti aiuterà a farti un’idea.›› Anche il clima sembrò diventare più dolce e caldo mano a mano che si inoltravano in quei territori. E rispose a tutte le domande del bambino che, ogni tre per due, si spenzolava dal carretto, attirando gli sguardi incuriositi dei passanti, per indicare alberi come olivi, viti, agavi, e altre piante che non aveva mai visto e altre che non credeva di rivedere. Oppure le case costruite in quello stile particolare e così diverso dalla loro cittadina.
Poi Guido lo mandò in estasi perché gli raccontò di aver lavorato per i monaci dell’abbazia sull’isola del Garda. Una delle cinque isole del lago, tutte di dimensioni piuttosto ridotte. La più grande, appunto, era l'isola del Garda, su cui nel 1220 San Francesco d’Assisi fondò un monastero. ‹‹Solo due secoli fa.›› Specificò il cicerone improvvisato. Ma né la moglie né il figlioletto erano capaci di considerare e concepire un lasso di tempo così lungo.
Non troppo distante da lì c’era la seconda isola per dimensioni, l’isola di San Biagio, detta anche “dei Conigli”per via delle lepri e conigli che offrivano cacce abbondanti.
Invece lungo la riva orientale si trovavano le altre tre del gruppo. Tutte di dimensioni modeste e site nei dintorni di Malcesine. La più settentrionale era l’isola degli Olivi, poi vi era l’Isola del Sogno e infine l’isola del Trimelone o Tremellone. Ma ad Agostino, che non l’aveva ancora vista, restò impressa la quarta isola per il nome e cominciò a sparare domande a raffica sulla medesima. Ma dove sarebbero andati loro ci sarebbero state le sorgenti termali. Anche se non erano molto frequentate a causa dell’odore di zolfo, e la buona gente del posto si teneva alla larga da quel posto, considerandolo una sorta di porta dell’inferno per il demonio. E molti lo pensarono davvero quando l’anno seguente, nel 1457 un monte sopra Salò si abbassò. Ma di questo parleremo dopo.
Una volta che anche costoro si furono riposati si rimisero in marcia. Dato che il sole stava calando, quella notte riposarono in una locanda di Sirmione e il giorno dopo, di primo mattino, andarono alla ricerca dell’amico del padre. Ma Sirmione in quei vent’anni era cambiata molto e dovettero faticare non poco per riuscirci.
Finché poi non riuscirono a trovarlo, dopo il mattutino. Fermarono un ricco borghese che usciva dalla chiesa.
Altre persone riccamente vestite che sfilavano dietro di lui scambiando quattro chiacchiere.
Costui aveva i capelli lunghi e scuri che gli cingevano il collo, un lungo pastrano nero che fasciava il corpo panciuto in tinta con le gambette secche che spuntavano da lì come tronchi d’albero e un capello in testa. Un bel monile d’oro gli cingeva il collo. Aveva il viso porcino e gli occhietti scuri e furbeschi. Guido si fece avanti e gli disse: ‹‹Scusate, buon uomo, sapete per caso dove posso trovare Montino da Tripoli?›› L’uomo lo guardò dall’alto in basso e rispose: ‹‹E voi chi sareste per cercarlo?››
‹‹Sono un suo vecchio amico e questi sono mia moglie e mio figlio››, disse indicandoli, ‹‹Montino tempo fa mi disse che se avessi avuto bisogno di un lavoro sarei potuto venire a cercarlo››.
‹‹E voi chi sareste, di grazia?››
‹‹Guido da Monselice››.
‹‹Mi dispiace, non lo conosco››.
Il giardiniere nascose a malapena il dispiacere: ‹‹Grazie comunque per il vostro tempo, messere››.
L’uomo fece un cenno del capo. E se ne andò. Guido tornò alla sua famiglia. La moglie gli aveva appena chiesto che cosa si fossero detti quando l’uomo li richiamò: ‹‹Avete detto Montino da Tripoli? Il fioraio?›› Fece accigliato come se non avesse capito bene. Le guance rubizze per l’insicurezza. O forse era semplicemente dovuto all’accento di Guido. Non tutti, infatti, avevano il coraggio di chiedergli se fosse francese o meno. ‹‹Sì.›› Fece Guido voltandosi verso di lui.
‹‹Ora che ci penso, provate a...›› Gli dette le indicazioni per raggiungere la sua casa. L’amico di Guido viveva in una delle zone più belle di Sirmione. Fu lo stesso Guido a bussare al pesante portone. E gli aprì una domestica: ‹‹Sì?›› ‹‹Buongiorno, signora, sono Guido da Monselice, sto cercando Montino da Tripoli, un mio vecchio amico. E’ in casa?›› La donna lo guardò un po’stranita per via dell’accento della sua parlata. Una voce maschile baritonale si fece sentire dall’interno dell’abitazione. ‹‹Siete fortunato, messere, il padrone stava uscendo proprio ora.›› Ma non ebbe il tempo di aggiungere altro che venne spinta di lato e un uomo grasso e corpulento col la barba brizzolata e gli occhi grigi comparve sulla soglia. Doveva avere all’incirca una ventina d’anni più di Guido. Era vestito con una tradizionale veste lunga fino a terra. Realizzata con un tessuto di cui Agostino ignorava l’origine e il nome, ma che pareva essere molto costosa. La giornea rivestiva la veste. Era aperta ai lati ma stretta in vita da una cintura che avrebbe formato fitte pieghe regolari, se non fosse stato per il ventre prominente. Il mantello dava l’idea di vedere uno strano appendiabiti con la berretta, un tipo di capello cilindrico, che camminava. A dare un po’di luce alla sua figura una catena ad anelli da collo su cui era ancorato un medaglione e anelli alle dita grassocce. Decisamente molto più elegante di quello di Guido: che portava solo il mantello e una camicia su una calza slacciata. I due uomini rimasero a fissarsi per un po’ prima che Montino da Tripoli aprisse bocca e gli occhi si inumidissero per la gioia: ‹‹Guido.›› Balbettò infine, sorpreso.
‹‹Montino.›› I due si abbracciarono. Montino fu il primo a staccarsi e a inondare il vecchio amico di domande su domande e commenti e rimproveri per non avergli mai scritto per tutti quegli anni. Guido balbettò qualche scusa, rosso come un peperone. Ma forse l’amico non lo udì nemmeno: spesso non gli lasciava neanche il tempo di parlare. L’ex giardiniere ce la fece appena a presentare moglie e figlio che l’uomo li condusse dentro la sua ricca magione. Non che fosse così diversa dalla loro vecchia casa, aveva solo i pavimenti puliti, niente paglia in terra, molti mobili e opere d’arte, e non dormivano con gli animali.
Agostino si calcò bene il berretto sulla testa. Non voleva far vedere anche a lui la macchia bianca dei suoi capelli. Montino fece portare alla famigliola qualcosa da mangiare e Guido gli spiegò che cosa erano venuti a fare lì. ‹‹Speravo che la tua offerta fosse sempre valida.›› Concluse alla fine, guardandolo come quando si sperava di aver detto la cosa giusta. Aveva immaginato che l’amico gli dicesse un sonoro no, e invece lo accolse a braccia aperte. ‹‹Mio caro ragazzo, ormai avevo perso le speranze da tempo che tu mi dicessi di sì. Ma certo che ti prendo a lavorare nei miei campi e tra i miei giardinieri! C’è sempre bisogno di una mano, non ti nascondo che stiamo allargando i nostri possedimenti e mi serviva proprio un giardiniere. Tu che hai tutta quella fantasia e quel pollice verde eccezionali mi sarai di grandissimo aiuto.›› Si sporse verso di lui e gli sussurrò, come se fosse un cospiratore: ‹‹Ho dovuto licenziare quello che si occupava dei gigli perché me li ha fatti appassire tutti e non è riuscito a curarli da una delle malattie delle piante. Quello aveva il pollice nero in confronto a te››.
‹‹Ma è fantastico, Montino. Cioè, che tu mi offra un posto così su due piedi, non per i tuoi gigli.›› Disse Guido.
‹‹E farò di più; tu e la tua famiglia sarete ospiti nella mia magione finché non avrai guadagnato a sufficienza per comprarti una casa tutta tua, Ester, mostra ai miei ospiti la loro stanza.›› Fece poi rivolto alla domestica, la quale si inchinò e obbedì con un: "subito, vostra eccellenza" appena mormorato.
Mentre salivano le scale la madre di Agostino prese il marito per il braccio e bisbigliò: ‹‹Ho paura››.
‹‹Di cosa, amore?››
‹‹Che voglia in cambio servigio di qualche tipo da me. Non mi è sfuggito il modo in cui mi guardava.›› Fece lei guardandolo negli occhi. Agostino che era qualche metro davanti a loro volse la testolina per cercare di capire cosa si dicessero. Il marito le cinse le spalle con un braccio e ridacchiò, prima di baciarle la tempia e fugare ogni suo dubbio: ‹‹Nah, non ti preoccupare, Montino ha altri gusti. Lo sanno tutti.›› La donna trasalì e lo guardò, spaventata, portandosi le mani al petto. Nei suoi occhi scorsero l'immagine di mille peccatori e quella di padre Giuliano che condannava la sodomia: ‹‹Qualche volta ti ha...››
‹‹Ma no, che cosa hai capito? Non hai visto come mi ha stropicciato tutto il tempo? Di te ha calcolato giusto gli abiti e la moda che seguiamo. Ma niente di più. A lui piacciono i fiori, i ragazzi giovani, ma ha un codice d’onore: non si permetterebbe mai di sfiorare un bambino. E neanche una persona adulta. E con le donne tende ad avere rapporti di semplice conoscenza. Rilassati, tra me e lui c’è sempre stata una splendida amicizia. Niente di più di questo, stai tranquilla. E poi se per caso mi sbagliassi non avere mai paura di venirmelo a dire, qualunque cosa possa minacciarti, che lo sistemo io.›› Promise cavallerescamente.
Lo sguardo di lei si addolcì. Quando tirava fuori quelle frasi sembrava davvero un vero cavaliere delle favole: ‹‹Sul serio?››
‹‹Certo, magari di duelli di cappa e spada non so niente, ma mi ricordo benissimo come si usa un randello.›› Scherzò lui. La moglie soffocò una risata e scosse il capo. Effettivamente la scena di Guido tutto arrabbiato che inseguiva Montino con un randello, assestandogli qualche colpo era troppo comica. ‹‹Vedrai.›› Promise lui mentre entravano nella loro stanza: ‹‹Ci troveremo bene››. Poi ringraziarono la serva, che si raccomandò di chiamarla se avessero avuto bisogno, e la mandarono via.

*Nota dell’autrice: non fustigatemi, la matematica non è il mio forte e non ne so quasi niente di misure medievali o rinascimentali. Che poi è proprio questo il periodo in cui è ambientata la storia. Ma penso che si sia capito. Tutto quello che so è che le unità di misura erano varie e che si utilizzavano i piedi, le braccia e le iarde. Per comodità uso il sistema metrico corrente, nell’attesa di eseguire un calcolo più preciso. Continuate a leggere la mia storia. A breve posterò anche i disegni.
   
 
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