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Autore: Miss_Moonlight    30/10/2017    1 recensioni
Con questo racconto, ho voluto proseguire il manga di Ryioko Ikeda, "Oniisama e" ("Caro Fratello"), dunque segue gli avvenimenti del fumetto, non quelli dell'anime (cartone animato).
Rei Asaka (Saint Just) pare essersi suicidata, mentre Kaoru Orihara è morta di cancro, due anni dopo il matrimonio con Takehiko Henmi e la loro partenza per la Germania.
La storia del manga era ambientata verso la fine degli anni Settanta, dunque, nel mio racconto, siamo negli anni Ottanta.
La pubblicherò a capitoli ma non farò attendere molto; ho finito il racconto, lo sto solo ricopiando a pc (dato che a me piace scrivere su carta :) )
Se qualcuno leggerà e ed avesse voglia di scrivermi un commento, mi farebbe piacere!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Fukiko Ichinomiya, Mariko Shinobu, Nanako Misonoo, Rei Asaka, Takehiko Henmi
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Threesome
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*Saint Just era seduta su un divano foderato di ciniglia color senape. Indossava un completo pantalone-giacca nero ed una camicia bianca, con le rouches sul bavero, in mezzo a cui spiccava un fiocchetto corvino.
Quell'abbigliamento sarebbe apparso severo su chiunque ma, su di lei, per me, era qualcosa di caro e rassicurante. Lei stessa, in tutta la sua complicata, altera e tenera, ruvida e fragile persona, era stata, per me, una figura rassicurante, fin dalla prima volta che le sbattei addosso.
Ho amato i suoi spigoli, tanto quanto il suo sorriso ironico, dal primo istante.
La mia testa poggiava sull'arco che creavano le sue gambe accavallate.
Mi coprivo il volto con una mano e singhiozzavo.
Il poter piangere su di lei, dava diritto alle mie lacrime di esistere.
Lei aveva compreso molto prima di me cosa fossero il dolore, la perdita, la solitudine e quella strana, perniciosa sensazione di inadeguatezza che provo, da anni, oramai, senza saperla ben spiegare.

Così, l'orrenda morte si mostra sopra un drago,
passando tra gli umani come un tuono,
rovesciando, folgorando ogni cosa che incontri,
impugnando una falce tra le livide mani.
[…]
Ma, pur sdegnando la morte e i suoi allarmi
[…] tu sai appenarti per i poveri vinti;
tu sai, quando bisogna qualche lacrima spargere,
qualche lacrima d'amore per chi non vive più.*

(Verlaine P., La morte!)

Le parole di Verlaine, sussurrate alla memoria di Nana dalla voce di Saint Just, le ronzavano nella mente confusa.
*Qualche lacrima… qualche lacrima...* Si ripeteva.

Un tonfo, seguito da un urlo, provenienti dalla camera dei suoi genitori, destarono Nana da quella strana condizione di sonno-fantasia-riflessione, in cui, talvolta, le capitava di cadere.
Corse nella camera dei suoi, dove trovò la madre, a terra, stesa sul lato destro.
Sul parquet giacevano molte fotografie, sparse confusionariamente, ovunque.
La scala, colpevole, era l'unica rimasta in piedi, a ridosso del grande armadio scorrevole.

Quando Nana e la madre rientrarono a casa, era quasi sera.
“Cielo!” Esclamò Takehiko, non appena le vide varcare lasoglia, il braccio destro della signora Misonoo ingessato fino alla spalla.
“Frattura del gomito.” Commentò Nana, mentre la mamma guardava verso il basso, avvilita.
“Come..?” Chiese, stupito, Henmi.
“Volevo guardare delle vecchie fotografie, che erano in cima all'armadio, nelle scatole colorate...” Rispose la signora Misonoo.
“Sono giorni che ti gira la tesa, perché non hai chiesto a Nana, anziché salire tu?”
“Non volevo disturbare.” Sussurrò la mamma.
Nana restò di stucco, nonostante, razionalmente, potesse comprendere la reticenza di sua madre nel chiederle qualcosa.
Era diventata proprio un'estranea, lì.

Quello stesso pomeriggio, Takehiko Henmi era andato in città ad acquistare il biglietto aereo per tornare a Berlino. Il lavoro lo chiamava. Il suo corso sarebbe dovuto iniziare proprio nei giorni in cui era dovuto accorrere al capezzale del padre.
La madre di Nana necessitava assistenza e la situazione fu evidente: Nana si sarebbe dovuta fermare per il tempo necessario. Lo trovò ovvio ella stessa.
“Non c'è problema, rimango io.” Disse.
La mamma non oppose resistenza.

Quando, quella sera, la signora Misonoo crollò in un sonno sfinito, Nana scese in cucina, alla ricerca di un bicchiere di vino che la aiutasse ad addormentarsi.
“Forse, ci vorrebbe anche a me...”Esordì Takehiko, alle sue spalle, mentre Nana si riempiva un bicchiere.
Lei sobbalzò, assorta nei propri pensieri, non l'aveva sentito arrivare.
“Prego, favorisci, basta che poi non ti faccia prendere la mano, prima della partenza.” Rispose lei.
“Sei arrabbiata perché parto?”
“No, che dici?!” Fece Nana, sinceramente sorpresa.
“Ti lascio qui, a doverla assistere da sola...”
“È giusto così e lo sai anche tu.”
Takehiko fissava il proprio bicchiere, con espressione crucciata.
“Hai già fatto molto, ho capito che sei stato molto presente per il papà e la mamma – riprese Nana – e sono… e trovo molto bello che tu e lei vi siate avvicinati.”
“È così! – rispose lui, con slancio – Anche per questo mi dispiace dovermene andare in un momento così difficile ma… il corso...”
“Lo capisce anche lei, di certo. Io posso restare, non ho niente di importante...”
Takehiko colse la palla al balzo per riuscire, finalmente, a parlare con Nana. “E la tua laurea?” Osò chiedere.
“Oh, per quella… un altro po' di rinvio non cambierà nulla.”
“Quando sarebbe?”
“Oh, Takehiko! Lo sai di certo che non ci sono vicina. Mi mancano ancora diversi esami.” Nana cominciava a sentirsi un po' stizzita. Non avrebbe voluto affrontare l'argomento che era stato uno dei motivi di discussione telefonica con i suoi genitori, nell'ultimo anno.
“Ma… Nana… quanti esami ti mancano? Dovresti essere in dirittura d'arrivo.”
“Eh… lavorando ho fatto fatica...” Cominciò a vacillare ed a giustificarsi, lei, pur non volendolo.
“Potresti fare solo un part time e, per il resto, ti aiuterei un po' io. Gli stipendi, in Germania, sono buoni ed io me la cavo abbastanza bene...”
“Ce la faccio da sola. Non ho più voluto neanche l'aiuto di papà e mamma.”
“Ma sei sempre stata così brava a studiare, è un peccato...”
“A me va bene così.”
“Stai sprecando tempo, in questo modo e...”
“Sprecando tempo?! – Nana lo interruppe, con un tono di voce che si era fatto più alto – Tempo per fare cosa?”
Takehiko fu quasi spiazzato ma cercò di non farsi cogliere impreparato al discorso. “Per l'andare avanti, con la tua vita.”
“Come hai fatto tu?”
“Sì, io ci sto provando.”
“Dimenticando… tutto?”
“Ci sto provando senza rinunciare al mio passato, alla mia famiglia...”
“Oooh, com'è bravo il professor Henmi! Lode a te che sai vivere, fregandotene di tutto quello che è stato!”
“Cosa?! Di cosa stai parlando, Nana?”
“...Come se lei… non ci fosse stata...”
“Pensi..? Come puoi pensare questo? Tu mi conosci… Non c'è giorno che non mi manchi, che non pensi a come sarebbe la mia vita, se Kaoru fosse ancora qui.”
A Nana si velarono gli occhi di lacrime.
“Spesso le parlo, le racconto la mia giornata e la immagino sorridere di me, prendermi in giro, darmi dei buffetti sulla testa… E penso anche a te, a quanto mi manca la mia sorellina...”
“La tua sorellina non esiste più.”
“Perché fai così, Nana? Perché hai tagliato fuori tutti e tutto? Ti guardo e… sei l'ombra di Rei.”
Nana trasalì, nel sentir pronunciare quel nome. Erano anni che nessuno glielo faceva udire.
“Nana… – Riprese Takehiko – È passato tanto tempo… Kaoru e Rei sono state due grosse perdite ma noi siamo qui, noi siamo ancora vivi...”
A Nana cominciarono a tremare le gambe.
Takehiko fece un passo nella sua direzione.
“Io non ce la faccio. Non ce la faccio, Takehiko.” Sussurrò lei, scoppiando a piangere.
“Oh Nana, Nanako, sorellina mia!” Lui la strinse tra le braccia e scoppiò, a sua volta, in un amaro pianto, dolente.
Nana si lasciò abbracciare.
Per la prima volta, da molto tempo, si sentiva vicina a qualcuno.
Per la prima volta, da molto tempo, c'era qualcosa che la univa a qualcuno.
Ed era, ancora una volta, la morte.

Il mattino seguente, Takehiko fece i saluti di rito, prima di uscire di casa e partire. Salutò la mamma, dicendole che sarebbe tornato presto, quindi guardò Nana e tese le braccia verso di lei, richiedendo un abbraccio.
Lei, però, appoggiata ad una parete, incrociò le braccia sul petto, tenendosi le maniche del maglione. “Fa' buon viaggio.” Disse, cercando di sorridere.
Anche Takehiko sorrise, ma un po' amaramente. “A presto – disse – abbi cura di voi e… scrivi, se ti va.” Uscì dalla porta e si avviò verso il taxi che lo stava attendendo davanti a casa.
All'ultimo, Nana gli corse dietro. “Non so se riuscirò a scriverti ma… a presto!” Disse.
Takehiko sorrise con calore e, nella sua espressione accogliente e rassicurante, Nana rivide suo padre.
“C'è una cosa che ti voglio dire – parlò Henmi – ma non ero certo se farlo. Comunque… c'è un'altra persona che, all'epoca, ha sofferto molto per gli accaduti e per la tua partenza. Si tratta di Mariko. È stata molto male… Ora sta bene, lavora alla galleria d'arte.”
“Quale galleria?” Chiese Nana.
“La galleria… I...Ichinomiya.” Balbettò Takehiko.
Quell'ultima parola fu una stilettata al cuore di Nana. “La...galleria… Ichinomiya?” Ripetè, sconcertata.
Al contempo, nella sua mente, una serie di pensieri si accavallavano. Aveva pensato a Mariko, sapeva di averla ferita ma, nella sua egoistica chiusura, aveva cercato di escludere dai propri pensieri tutti quelli che si era lasciata alle spalle.
“Sì. È stato Takashi a convincerla a lavorare là.” Rispose Takehiko – Le è sempre stato vicino. Ora… stanno bene. Mariko si trova bene là.”
“La galleria è di…?”
“Sì, è di Fukiko.”
Il solo sentire quel nome fece tremare Nana di rabbia e di frustrazione.
“Nana, non pensi che Mariko e quella che è stata la vostra amicizia, meritino di venire prima di quel che provi nei confronti di Fukiko Ichinomiya?”
Nana strinse i pugni e si morse il labbro inferiore.Rabbia e frustrazione. 

   
 
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