Anime & Manga > Caro fratello
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Autore: Miss_Moonlight    30/10/2017    1 recensioni
Con questo racconto, ho voluto proseguire il manga di Ryioko Ikeda, "Oniisama e" ("Caro Fratello"), dunque segue gli avvenimenti del fumetto, non quelli dell'anime (cartone animato).
Rei Asaka (Saint Just) pare essersi suicidata, mentre Kaoru Orihara è morta di cancro, due anni dopo il matrimonio con Takehiko Henmi e la loro partenza per la Germania.
La storia del manga era ambientata verso la fine degli anni Settanta, dunque, nel mio racconto, siamo negli anni Ottanta.
La pubblicherò a capitoli ma non farò attendere molto; ho finito il racconto, lo sto solo ricopiando a pc (dato che a me piace scrivere su carta :) )
Se qualcuno leggerà e ed avesse voglia di scrivermi un commento, mi farebbe piacere!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Fukiko Ichinomiya, Mariko Shinobu, Nanako Misonoo, Rei Asaka, Takehiko Henmi
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Threesome
Capitoli:
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Erano ormai diversi giorni che Nana e la mamma erano rimaste sole a casa.
Spesso, tra loro, calava il silenzio, creando imbarazzo ma nessuna delle due era il tipo di persona che parla per riempire i buchi sonori o emotivi.
Sapevano convivere con la spiacevole sensazione dell'incomunicabilità.
La mamma non era mai stata invadente nel mondo emotivo di Nana, nemmeno quando lei era un'adolescente in subbuglio e, di questo, la giovane Misonoo, gliene era molto grata.
In quei giorni, Nana cercò di aiutare la madre in tutti i modi possibili: cucinando, riordinando la casa e cominciando ad inscatolare tutte le cose del padre.
La signora Misonoo spesso piangeva, silenziosamente, mestamente.
Nana non lo faceva mai, davanti a lei. Se già da ragazzina si sforzava di evitare di farsi vedere triste o fragile dai suoi genitori, ora provava la scomoda sensazione di volersi nascondere sottoterra ogni volta che sentiva un sentimento affiorare.
In quei giorni, in casa Misonoo, si andava a letto presto ma Nana non era abituata a quegli orari, lavorando spesso di notte, a Parigi.
*A quest'ora, di solito, inizio il lavoro al bar…* Pensò, tra sé e sé.
Quella sera, inquieta, si mise a letto, con il diario in mano e provò a scrivere.

Cara” me,
stridono così tanto queste parole, vicine...
Il confronto con Takehiko è stato strano. Pensavo mi avrebbe rinfacciato tutto… O, forse, era quello che volevo. Forse, speravo di essere punita per quello che io considero tremendo ma nessuno lo fa. Nessuno mi dice quanto sono abbietta.
Takehiko pensa a tutti: alla mamma, a me, a Mariko, al principe Kaoru… Oh, cara principe Kaoro! Ti avranno già mangiata i vermi!
Orridiresti alla sola idea.
Lui, invece, è qui, forte, bello, buono, sano… vivo. Ma tu lo sapevi, lo hai sempre saputo che Takehiko ti sarebbe sopravvissuto.
Tu, che amavi tanto la vita… Tu, che eri la più forte, la più vigorosa… Tu sapevi sempre cosa dire. Quando le altre erano… eravamo in crisi… Tu mettevi in riga tutte, consolavi tutte.
Che diresti ora di Takehiko, di Mariko, di...me?

Nana mise giù la penna e chiuse il diario. Era stufa di scrivere.
Le 22.43.
La notte era ancora così lunga…
Si alzò.
La mamma dormiva profondamente.
Andò in bagno e si preparò.

Sono uscita un po'; se hai bisogno, ricordati che la signora Kioko ha detto di chiamarla in qualsiasi momento, tanto soffre di insonnia.”
Lasciò il biglietto sul comodino della mamma, chiamò un taxi ed uscì.

Non aveva idea di cosa offrisse la città, di venerdì notte.
Prima di andarsene, non era mai stata in un locale.
A Parigi, l'offerta era davvero ampia. Erano gli anni del post punk e della nascente new wave. Giovani variopinti e giovani dark, ballavano tutta la notte, in oscuri e poco accoglienti locali che, però, per loro, rappresentavano un rifugio.
In uno di questi, Nana svolgeva il suo secondo lavoro, quello di barista, tre sere a settimana.
In altre parti, la Ville Lumière scintillava ancora di strasse e paillettes, al ritmo della musica dance, della nuova elettronica o delle sostanze psicotrope.
Non appena fu salita sul taxi, Nana chiese all'autista di portarla nel locale notturno più in voga della città.
Quando vi arrivò, trovò una specie di pagoda, grande, forse, quanto uno dei tanti centri commerciali che affollavano le metropoli e, con grande stupore, notò una moltitudine di persone talmente similmente conciate, da crearle confusione a primo sguardo.
Molti giovani – che, forse, non erano nemmeno poi tanto giovani – erano vestiti con abiti fluo, strutturati e dalla spalline larghe tanto da sembrare architetture.
Anche le loro pettinature sembravano geometriche: caschetti, frange, ciuffi…
*Quant'è cambiato il mondo, qui, da quando sono partita! Ed in che modo kitch!* Pensò.
Si fece avanti, in modo circospetto.
Indossava stretti jeans neri, strappati qua e là, infilati in anfibi al polpaccio, una lunga camicia, del medesimo colore, completamente abbottonata sul collo, sulla quale pendeva un crocifisso argenteo e un chiodo, il più classico giubbotto in pelle che aveva comprato in un negozio di seconda mano, nel quartiere parigino Montmartre.
I capelli, chiarissimi, erano pettinati verso destra, a coprirle metà volto.
Subito, ordinò del Martini bianco, in bicchiere da gin tonic, senza ghiacciò ma dovette ripete la richiesta due volte prima di essere compresa.
“Vuoi tre dosi di Martini bianco, nel bicchiere in cui, di solito, facciamo il gin tonic?” Chiese il barista.
“Esatto!” Rispose Nana, sentendosi già stufa di quel luogo.
Sorseggiando il drink, si guardò attorno.
“Scusa – si rivolse, quindi, al barman – Ci sono locali gay nei dintorni?”
Questo la guardò da capo a piedi poi, con tono distaccato, rispose: “Il Flashlight. Ci arrivi in dieci minuti a piedi.”
E Nana partì.
Per strada, c'erano diverse persone che si spostavano, per lo più in gruppo.
Nana non aveva paura di muoversi da sola. Si era abituata presto; a Parigi, era una sua consuetudine.
Al Flashlight, la fauna sembrava un po' più variegata e c'era un gruppo che suonava dal vivo.
Nana ordinò un altro “triplo Martini bianco in bicchiere da cocktail” e si fermò ad ascoltare il gruppo che stava suonando una ballata malinconica che Nana trovò niente male.
Erano gli “X”, come diceva il poster all'ingresso del locale.
C'era molta gente e Nana, dalla sua non propriamente pronunciata altezza, non riusciva a vedere il palcoscenico, dunque chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dal sound.
Due braccia la avvolsero da dietro, attorno alla vita, sfiorandole la pancia.

*Inspirai profondamente, cercando disperatamente di sentire il suo odore virile.
La sua guancia scivolò tra i miei capelli, per appoggiarsi contro la mia.
Sentii il suo respiro sul mio collo e le mani fredde contro il mio addome mi provocarono una sensazione di bruciore, come fa il ghiaccio.
Mi voltai ed intrecciai le mani attorno al suo collo.
I suoi capelli, così morbidi, mi solleticavano le dita e risplendevano, nel buio del locale.
Lei risplendeva, unica tra cento, tra mille, seriali.
Provai una sensazione di immensa gratitudine ad essere lì, con lei.
Sapevo di essere la persona più invidiata del locale.
Saint Just catturava sguardi e desideri di ogni genere ed io non avrei visto nessun altro, mai, nessun altro mai, se solo fosse stato vero che lei era lì, con me.*

Nana si voltò ed un ragazzo dai capelli asimmetrici neri ed un solo occhio truccato, stava lì, in piedi, dietro di lei.
“Non credo di essere quel che cerchi.” Gli disse Nana, pensando di essere stata scambiata per un ragazzo, come spesso accadeva.
“Penso che mi piaci ed anche a lui, tutto qui.” Ribatté il giovane, indicando il suo amico dal ciuffo lilla, poco più in là.
“Oh! Allora… bene!” Rispose Nana, sorridendo.

“Sei sicura di andartene a quest'ora?” Chiese Arimoto, con il solo occhio sinistro truccato.
“Lo sai, sciocco, che i vampiri fuggono prima dell'alba!” Scherzò Hiro, dal ciuffo lilla, porgendo un bicchiere d'acqua all'amico e mettendosi a sedere sul letto.
Nana finì di abbottonarsi la camicia. “Devo andare. Grazie della squisita compagnia, fanciulli.”
“Sembra un addio, mi spezzi il cuore!” Esclamò Arimoto, con tono melodrammatico.
“Oh, finiscila! – Lo stroncò Hiro, alzandosi di nuovo ed accompagnando Nana alla porta della casa che i due giovani condividevano – Non è abituato alle ragazze… L'hai proprio colpito… Ma non farci caso, non è pericoloso. Il venerdì siamo quasi sempre al Flashlight, vienici a trovare!”
“Ci farò un pensierino.” Replicò Nana ed entrò nell'ascensore.
Quando l'ebbe avviato, si appoggiò alla parete.
La sua testa era pesante. Aveva bevuto molto ma non così tanto da collassare in un sonno profondo.

Stava per salire sulla metro quando vide un cartellone pubblicitario rosso, recante caratteri dorati:

“Galleria d'arte Ichinomiya – il valore della bellezza.
Aperto da mercoledì a domenica
9-18”


Non fu una decisione razionale a portarla ad avviarsi in quella direzione.
Trovò un caffè vicino alla stabile della galleria. Vi entrò, ordinò due espressi, un americano ed infine andò in bagno, a cercare di restaurare il proprio aspetto.
Aveva gli occhi pesti di trucco nero e la cipria, ormai, ben poco uniforme.
Con una salviettina si tamponò le palpebre e si pulì il viso.
Si pettinò i capelli con le dita, si sciacquò la bocca con acqua fresca.
Inspirò.
Erano le 8.30 quando si appostò all'angolo del Caffè, spiando l'ingresso della galleria.

Alle 8.45 la vide arrivare, a piedi.
Era più alta di come la ricordava. Sicuramente era cresciuta, come lei stessa, del resto.
Mariko aveva i fianchi stretti ma il seno pronunciato.
Indossava un vestito color “azzurro carta da zucchero”, lungo al ginocchio e scollato a V, ad onorare le sue forme.
La cosa che, però, per prima Nana notò, fu che l'amica si era tagliata i capelli. Ora portava un caschetto fino al mento, che le incorniciava il viso da gatta.
Nana la trovò molto francese, molto sensuale, molto donna.
Si avvicinò.
“Mariko...”
La ragazza sussultò e fece cadere a terra le chiavi che teneva in mano e con le quali si apprestava ad aprire il negozio.
“Hhhh!” Mariko emise uno sussurrò.
*Un'altra volta lo sguardo di chi ha visto un fantasma.* Pensò la giovane Misonoo, di fronte allo sguardo sbarrato dell'amica.
Quest'ultima si affrettò a raccogliere le chiavi da terra e cercò di aprire la porta il più velocemente possibile ma non riuscì – tremava.
Nana la bloccò, fermandole le mani con le sue.
“Sono inqualificabile, lo so ma...” Iniziò.
Uno schiaffo in pieno volto stroncò la sua frase a metà e fece, subito, affiorare alla mente di Nana i drammi femminili vissuti con Mariko, Kaoru e… Saint Just.
Ormai, c'erano solo loro due, Mariko e lei, le ultime arrivate al Seiran.
“Mi dispiace molto...” Sussurrò Nana, mentre Mariko, aperto il portone, entrava, senza voltarsi e chiudendoselo dietro, in faccia all'altra.
La Misonoo appoggiò un braccio allo stipite e si accasciò contro di esso.

Poco lontano, in un'auto grigia, seduta sul sedile posteriore, Fukiko Ichinomiya ebbe un mancamento.
L'aveva notata già da lontano, così magra, di nero vestita e con quei capelli… biondi, lunghi, un po' mossi… Provò un colpo al cuore e, per qualche istante, le mancò il respiro.
“Rei...” sussurrò, come se la stesse invocando.
Poi scosse la testa, rendendosi conto di aver immaginato un'assurdità.
Aspettò qualche minuto da che la misteriosa apparizione se ne era andata, quindi fece il suo ingresso alla galleria.
Trovò Mariko seduta, scossa.
“Mariko! Chi… chi era quella… persona qui davanti?” Le chiese, lievemente agitata.
La ragazza non rispose.
“Mariko!” La richiamò, quindi, con tono di rimproverò la Ichinomiya.
“Nanako. Era Nanako Misonoo.” Rispose la Sekiya, infine.

Quando Nana arrivò a casa, trovò la mamma allarmata, intenta ad aspettarla, ancora in pigiama.
“Nanako! Cielo! Dove sei stata? Mi hai fatto preoccupare molto!” Esclamò quest'ultima.
“Eddai, sono decisamente abituata a girare.”
“Sono le 10 del mattino! Dove sei stata? Mi hai fatto stare in pena!”
Nana notò che sua mamma aveva infilato solo una manica della vestaglia, mentre l'altro lato dell'indumento pendeva tristemente, appoggiato alla spalla destra.
*Non è riuscita a vestirsi… Non avrà nemmeno saputo farsi il caffè…* Pensò, tra sé e sé Nana ma, prima che potesse iniziare a scusarsi, la madre riprese.
“Una volta ti preoccupavi per tutti… Sei così tanto cambiata… Non ti riconosco più. Lo so che hai la tua vita e che sei stata tanto male per la morte delle tue amiche ma… Ci hai escluso tutti: me, Takehiko, il papà… Sei così magra, così distante… Perché non mi parli, bambina mia? Ti vogliamo bene, siamo stati così in pena per te, in questi anni!” La voce della signora Misonoo era rotta dal pianto.
“Mi dispiace, mamma. Sei sempre stata tanto buona con me ed anch'io ti voglio bene… Mi dispiace essere una così grande delusione… – Si interruppe un istante – Hai fatto colazione? Ti preparo il caffè?”
Nana si porse verso sua madre, le infilò la manica della vestaglia, le diede una carezza sulla guancia e corse in cucina.

Dopo il caffè, Nana aiutò la mamma a lavarsi e vestirsi e preparò il pranzo.
Solo in seguito, poté dedicarsi a sé stessa e farsi un bagno ristoratore.
Si immerse nella vasca, con il diario in mano.

Cara”, pessima, me,
che persona sono diventata? Cos'è successo alla mia integrità? Dov'è finito il mio senso di giustizia?
Mariko era così scossa nel vedermi… Anche se fisicamente è un po' diversa, ovviamente più donna, non sembra cambiata: è impetuosa, passionale ma anche tanto sensibile…
Lo sapevo che le avrei spezzato il cuore.
Dopo il principe Kaoru, il suo primo innamoramento, me ne sono andata anch'io, la sua prima amica…Ma lei aveva Takashi… non l'ho lasciata sola…
Era, è così difficile per me…
La mamma ed il papà avevano la loro solida relazione, la loro vita tranquilla; Mariko frequentava, da più di due anni, Takashi mentre io… io… io sono anni che non so che fare.

I singhiozzi lunghi
dei violini d'autunno
mi feriscono il cuore
con languore
monotono.
Ansimante
e smorto, quando
l'ora rintocca,
io mi ricordo
dei giorni antichi
e piango;
e me ne vado
nel vento ostile
che mi trascina di qua e di là
come foglia
morta
(Paul Verlaine, Canzone d'autunno)

Uscì dalla vasca, andò in camera e mise nel mangiacassette uno dei suoi album preferiti, “If looks could kill”, di Jim French e la divina Diamanda Galàs.

 

   
 
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