{ II ~ Rispetta la Paura }
«La
Morte ti ha segnata da tempo. Quelle cicatrici sulle mani non sono
nulla in confronto alle ferite che ti insanguinano
l’anima.»
Umiko
non sarebbe mai riuscita a dire se avessero bruciato più
quelle
parole o i morsi che il mostro le aveva inflitto; ma quando aveva
sentito le zanne dell’Essere
violare la protezione della pelle e privarla lentamente del sangue,
aveva percepito i suoi ricordi venire risucchiati insieme a esso; e
quello aveva fatto davvero
male.
In
pochi istanti quella razza di demone era entrato nella mente,
leggendo e apprendendo il suo passato, le sue sensazioni; e mai si
era sentita così esposta e vulnerabile, con la propria
dignità che
veniva lacerata come la sua carne, come nel momento in cui lo aveva
visto sorridere di soddisfazione. «Interessante…
ti sei salvata da un attacco solo per subirne un altro qualche anno
dopo. Come siete fragili, voi umani, divertenti e miseri.»
Gli
artigli del mostro si erano stretti intorno alle sue spalle e
l’avevano
alzata di peso, costringendola a guardare la città
martoriata per un
lungo, atroce istante; e quando l’aveva fatta cadere al
suolo, la
ragazza si era ritrovata a fissare il suo riflesso più
perfetto
prendere forma e ghignarle contro con sguardo ferino. «Ora
sei
totalmente mia», le aveva sibilato questi, «e non
mi servi più. Ma
non ti preoccupare; farò buon uso di questo
corpo… tuttavia,
fattelo dire:
sarebbe
stato meglio se quel fuoco avesse ucciso anche te, e pure tu lo
sai.»
Aveva
compreso fin dal primo istante quanto non potesse competere con la
forza dell’altro; ma la sensazione di umiliazione che
l’aveva
colpita alla bocca dello stomaco era stata così intensa da
impedirle
di perdere i sensi perfino quando il mostro l’aveva calciata
via e
mandata a rotolare giù dal ponte, lungo un ripido sentiero
che
conduceva direttamente al torrente sottostante. Tutte
le membra erano state percorse da scariche di dolore mentre
sbattevano e si graffiavano contro le pietre, tuttavia la coscienza
non si era affievolita nemmeno in quel frangente, così che
la mora
non aveva potuto far altro che rimanere distesa nel punto in cui si
era fermata e sentire gli arti perdere sensibilità nel fiato
gelido
di quella giornata.
Da
quegli istanti i suoni si erano fatti più attutiti; il caos
aveva
smesso di scuoterla ed era giunto con la forma di sussurri ed echi
che non era riuscita ad afferrare completamente, mentre
l’intorpidimento
aveva iniziato ad accompagnarla in un dormiveglia che solo un agente
esterno alla sua volontà avrebbe potuto spezzare. Nemmeno il
bruciore delle ferite, infatti, l’avrebbe tenuta sveglia
ancora per
molto; e i pensieri…
quelli sarebbero andati per la loro strada, senza toglierle molte
più
forze del solito. In qualche modo li avrebbe gestiti.
Solo
il freddo vorrei evitare. Se provassi un po’ di tepore forse
potrei
immaginare di essere nelle braccia di qualcuno, e andarmene con la
consolazione di essere vegliata.
Non
è bello addormentarsi in solitudine, non è giusto
andarsene senza
poter salutare nessuno. Tutto questo… no, non è
giusto.
«Siamo
sicuri che sia passato di qui?»
«Le
tracce conducono a questo punto, ma ora l’aura malefica
è molto
più debole.»
«Che
sia stato ferito?»
«Può
anche essere che sia già stato ucciso, ma restiamo
all’erta: la
taglia che pende sul suo collo è alta, non è un
mostro comune…
quindi non sarà così
semplice eliminarlo.»
Queste
voci… le conosco, ma non so a chi riferirle. Si
avvicinano…
Umiko
provò a sollevarsi, e rimase per qualche istante sui gomiti.
Lo
sforzo le strappò dei gemiti e tutto il corpo fu scosso dai
crampi,
ma riuscì a non cadere. Dai…
ancora,
si impose, stringendo con forza la terra tra le mani e pregando che
le gambe fossero in grado di sostenerla.
Un
sibilo la bloccò appena prima di mettersi sulle ginocchia; e
i
brividi le percorsero la schiena quando alzò il volto e si
ritrovò
la punta di una lancia a pochi centimetri dalla propria fronte.
«Una
civile!»
Levò
ancora di più il capo appena l’arma venne
abbassata, permettendo
ai suoi occhi di mettere a fuoco due figure che conosceva, ma che
aveva sempre visto solo attraverso uno schermo.
«Hey!
Riesci a sentirmi, stai bene?», udì, prima di
sentire le braccia
forti del classe A Stinger che la circondavano.
«Sì-sì…
ma sono debolissima», rispose lei, ringraziandolo mentalmente
per il
calore che il contatto con il suo corpo le diede.
«Non
ti preoccupare, ti aiuto io… ecco, così, alzati
piano-»
«Quei
morsi… chi te li ha fatti è ancora
vivo?»
Gli
occhi scarlatti del secondo eroe non perdevano un suo movimento e la
fissavano con intensità, in attesa di risposte; non
c’era alcuna
paura in loro né tensione, solamente energia pronta a
esplodere.
Umiko
si strinse nelle spalle sotto quello sguardo ricolmo di ombre, e per
un attimo chinò il suo su ciò che rimaneva del
golfino e della
maglia. «A-a
quanto ne so quel mostro è ancora vivo. Ha preso le mie
sembianze
succhiandomi il sangue, è perfettamente uguale a
me… ma ha gli
occhi rossi.»
Mi
ha guardato agonizzare; ed era compiaciuto di sé stesso.
«Che
seccatura… è pure un mutaforma.» Senza
perdere l’espressione
estremamente calma, l’eroe si levò
l’impermeabile e lo fece
indossare a Umiko, prima di rivolgersi a Stinger. «Portala al
sicuro
lontano da qui, quel maledetto potrebbe essere ancora troppo vicino e
devo potermi muovere senza il pensiero dei civili.
Per
adesso lo cercherò da solo.»
La
ragazza rimase a guardarlo sparire in silenzio, mentre le dita
stringevano la stoffa dell’indumento
quasi con bisogno, come per cercare in essa un qualche tipo di forza;
tutto, dal suo corpo fino a ciò che la circondava, le diceva
di
trarne il più possibile, rincorrere il coraggio e non
impazzire. «In
qualche modo presto sarà tutto finito»,
mormorò a sé stessa,
nascondendo parte del volto nel bavero dell’impermeabile e
riportando alla memoria i messaggi di qualche ora prima,
«… in
qualche modo.»
«Ti
fanno ancora male le ferite?»
Umiko
era grata al giovane per infinite cose, dall’averla raggiunta
prima
che il torpore la gettasse in una placida morte fino al continuare a
parlare per tenerla attiva; ma tutto quello che riusciva a fare era
rispondere a fatica alle domande, oltre a sentire un enorme groppo in
gola, troppo vicino a divenire un lungo pianto per poterlo
controllare. In qualche modo riuscì invece a non esplodere,
permettendo a Stinger di lasciare definitivamente il Nature Park,
irriconoscibile, e guidarla nella devastazione della Città
K, giunta
fino alla periferia.
La
vista di tutta quella rovina fu per Umiko un altro colpo diretto al
cuore, e rivolse un sorriso spontaneo all’eroe quando questi
decise
di passare per strade che non fossero quelle centrali, dove i loro
sguardi avevano già intravisto innumerevoli corpi riversi al
suolo,
immobili, e macchie scarlatte a ricamare marciapiedi ed edifici.
Hai
dovuto sopportare tutto questo tempo fa. Una seconda volta, la rovina
è giunta fino ai tuoi piedi.
«I
soccorsi sono già sul posto. Ti lascio alle loro cure, tu
cerca di
stare tranquilla, va bene?», le disse il giovane dopo qualche
istante, regalandole uno di quei luminosi sorrisi che lo avevano reso
così popolare tra la gente; lei annuì, cercando
le parole adatte
per esprimere a dovere la sua gratitudine… e probabilmente
le loro
strade si sarebbero divise in quel punto, se il rombo di un crollo
non li avesse bloccati prima.
In
un battito di ciglia il classe A l’afferrò per la
vita e balzò al
riparo di un edificio porticato con la rapidità di un falco,
impedendole così di venire investita da una pioggia di
calcinacci e
polvere. «Cambio di programma; meglio che stai con me ancora
per un
po’», mormorò lui, persa in un istante
l’espressione cordiale,
«il tempo di capire che cosa diavolo stia succedendo
ancora.»
«Altri
Esseri?», mugolò Umiko.
«Questi
palazzi hanno ricevuto dei gravi danni, e stanno cedendo», fu
la
risposta, «ma non mi permetto di escludere l’opera
di un mostro.
Stammi il più vicino possibile e fai tutto quello che ti
dirò,
intesi?»
Un’altra
esplosione scosse il suolo e li fece sbattere contro il muro alle
loro spalle; e a quel punto fu chiaro che nessun luogo poteva fornire
protezione.
«Mettiti
dietro di me», ordinò Stinger mettendosi in
posizione da
combattimento, la sua infallibile lancia puntata verso le nubi di
polvere che si erano alzate a poca distanza da loro e avevano invaso
la strada; la giovane obbedì e gli andò alle
spalle giusto un
istante prima che queste si tramutassero in un’onda
asfissiante.
«Giù!
Copriti il viso!», gridò l’eroe prima di
farle da scudo… ma lei
rimase immobile, non lo sentì nemmeno.
Quel
giorno accadde esattamente così. E
a quel pensiero le gambe, prima instabili, le permisero di scattare
in avanti, invertire la posizione in modo che fosse il suo corpo a
proteggere il classe A. «Chiunque tu sia, lascia stare lui e
prendi
me.»
◊♦◊
«Che
noia… non dirmi che hai ancora bisogno di riposo!»
Amaya
si asciugò un ennesimo
rivolo di sangue da un ennesimo
graffio e si sforzò di sorridere, anche se ciò le
costò dolori
dappertutto. Doveva essere in uno stato orrendo, con gli abiti a
brandelli e ogni parte del corpo esposta ricoperta di lividi; il
labbro superiore era spaccato in più punti, uno zigomo
bruciava da
impazzire e c’era sangue anche nelle scarpe, colato dalle
caviglie
scorticate. «Perdonami»,
rispose con uno sbuffo, cercando di non cadere in ginocchio,
«si
vede che mi sto annoiando così tanto da non reggermi
più in piedi?»
L’Essere
sogghignò, tendendole una mano intrisa di cremisi. «Vieni
avanti, dai», flautò, «non ho ancora
finito con il tuo bel
faccino.»
La
donna sentì le ossa tremare solo udendo quelle parole, ma
strinse i
denti e non rispose. Doveva continuare a muoversi, impedire al mostro
di immobilizzarla; anche se quel bastardo la stava gradualmente
trasformando in una bambola da torturare, finché quei denti
fossero
rimasti lontani da lei non avrebbe avuto da temere. Proprio per tale
motivo l’altro l’aveva incalzata per tutto il
Nature Park,
inseguendola fino a spingerla in città, dove avrebbe avuto
più
possibilità di intrappolarla in un punto cieco e farle
subire la
stessa sorte della ragazza di cui stava macchiando la memoria.
A
quel pensiero la donna sentì la rabbia e il disgusto
incendiarle di
nuovo la gola: quello scricciolo le aveva impedito di gettarsi nel
torrente, si era preoccupata come per un’amica; e dopo
qualche ora,
con massimo disprezzo, la sua copia aveva fatto di lei una preda. Chi
governava la Sorte doveva essersi proprio divertito a svolgere il
filo di quella vicenda, rimanendo a guardare le sue paure e debolezze
cozzare contro il sibilo del vento e l’energia
del
combattimento.
Che
non durerà ancora per molto, temo,
si ritrovò a pensare schivando un nuovo attacco, le unghie
dell’Essere protese ad artigliarle gli occhi.
Il
successivo attacco la colse di sorpresa tanto fu repentino,
così che
si ritrovò a indietreggiare nel tentativo di ritrovare il
proprio
equilibrio; fu la mano dell’Essere a impedirle di cadere,
solo per
attrarla a sé e subito dopo spingerla via con tanta violenza
da
farla cadere e rotolare a terra per qualche attimo.
«Va
bene, fine dei giochi; passiamo alla parte meno piacevole.»
Amaya
non alzò nemmeno lo sguardo sull’altro, ma rimase
distesa con il
viso sepolto nella polvere, ben conscia che sì, il tempo
della
caccia era giunto al termine e stava per lasciare posto a sofferenze
più atroci. Incapace di tenere gli occhi aperti per il
bruciore dato
dal sudore – e
da cos’altro, lacrime? … Davvero?
– trasse un grande sospiro. «Allora?
Non farmi attendere molto, vieni a prendermi»,
sussurrò dopo pochi
istanti di assoluto silenzio. Riuscì
a sollevare le palpebre per un momento, e fu così che vide
il mostro
inginocchiato vicino a lei e intento a osservarla,
un’espressione
tra il sorpreso e l’interessato che luccicava nello sguardo
rubino.
«Uhuh»,
soffiò questi finalmente, «non mi era mai capitata
una cosa
simile.»
Con
orrore, la donna sentì l’altro prenderle una
ciocca di capelli e
annusarla con attenzione. «Lo
sai? I tuoi pensieri sono così vividi che posso sentirli
anche senza
aprirti la carne.»
Ancor
prima che il mutaforma sorridesse lei iniziò a tremare,
mentre
d’istinto si portò una mano all’altezza
del cuore. I battiti
aumentarono improvvisamente e altrettanto velocemente diminuirono,
mentre un senso di risucchio all’altezza dello stomaco le
strappò
un gemito. Presto l’orrenda sensazione si propagò
all’intero
corpo, senza lasciare nessun centimetro di pelle esente; era simile a
un lento tormento, ma in verità era molto, molto
più sottile e
crudele. «Smettila!
Che cosa stai facendo? Io…», urlò
contorcendosi, prima di
accorgersi di un’altra verità altrettanto
angosciante.
I
miei pensieri… è come se qualcuno me li stesse
strappando! E fosse
nella mia mente… a osservare il mio passato… a
giudicarmi.
«Il
sangue», disse il mostro con lentezza scocciata, come a voler
rispondere a una domanda stupida, «è quello che mi
dà tutto il
potere che dispongo; non è questione di forza, ma di sapere:
tramite
esso posso scoprire chi siete, quali sono le vostre abilità
e
debolezze, i vostri incubi, i rimorsi. Dopo avere letto la vostra
anima, prendere le vostre sembianze, ingannare chiunque conosciate,
ucciderli è così facile che potrebbe quasi essere
noioso; eppure
mai mi è capitato di riuscire a carpire così
tante informazioni
solamente dalla vicinanza con le mie prede. Sei proprio un individuo
affascinante… Amaya.»
La
donna si mise in ginocchio. «Quindi è questo che
ti piace fare?
Strappare i segreti della gente, usarli per i tuoi fini, causare
terrore?» E in un battito di ciglia la paura si era fusa con
il
disprezzo, rendendo duro il tono e lo sguardo.
«Il
terrore è
il mio fine. La disperazione e l’impotenza che vi annientano
quando
vedete il vostro mondo andare in frantumi, come pretendete di non
volerlo accettare è qualcosa che non avrà mai
prezzo, per me;
ancora prima di divenire un mostro ero ossessionato dalla tristezza
altrui.»
Il
disprezzo si nutrì della stanchezza, spiegò le
sue ali e divenne
amarezza, donando ad Amaya un impeto diverso dai precedenti.
«Mi
spiace deluderti, ma con me hai fatto un errore; non è
rimasto più
nessuno che tu possa ingannare. Sono sola, tutti coloro a cui volevo
bene sono lontani, quindi non farai un grave danno.» Non
più di quanto mi sia già fatta da sola.
Di
nuovo, il ghigno assetato di crudeltà dell’Essere
attaccò le sue
difese. «È questa la particolarità del
tuo animo: soffri così
tanto che tutti possono percepire il tuo dolore e provarlo dentro di
loro. Non lo senti quanto è devastante?
Forse
è proprio per questo che chiunque tu abbia chiamato
‘amico’ ti
ha lasciato sola… anzi, no;
il vero motivo è un altro, e tu lo sai bene.»
«Tu
non hai alcun diritto su di me, né di dire cosa
provi», sibilò la
donna, «tu non sei più umano; non puoi
più capire nessuna azione
che ho fatto.»
Il
mostro ridacchiò. «In
verità ti capisco totalmente; perché sei molto,
molto simile a me.»
Si alzò in piedi, torreggiando su di lei. «Ma ora
basta; anche se
mi hai regalato dei bei momenti, il tuo tempo è scaduto.
Purtroppo
mi stanco subito dei miei balocchi», disse con un tono
falsamente
dispiaciuto.
Reclinò
la testa quando vide la sua vittima non abbassare il capo ma
continuare a fissarlo, e socchiuse gli occhi. «Non
guardarmi così. In fondo, qualche ora fa volevi rivedere i
tuoi
cari, dico bene? Ti sto permettendo di farlo senza provare troppo
dolore, quindi dovresti essermi grata…»
… E
invece mi sto ribellando.
Amaya
non riuscì a sentire la risposta che si diede: il terreno
tremò e
vibrò sotto le dita, sembrò ripiegarsi su
sé stesso nell’incubo
di un’esplosione; e allo stesso tempo la polvere sollevata
avanzò
rapida e famelica verso di lei, tramutandosi in un muro fatto di
buio, pura oscurità.
Forse
qualcuno la rimise in piedi, un impulso estraneo alla sua persona
–
o forse nato proprio dalla tensione verso una via di salvezza; ma
pure in quel manto letale la donna sentì i suoi piedi
avanzare e le
mani tendersi in avanti, cercare, implorare.
Davvero
il suo aspetto, il suo mondo gridava solo tristezza e solitudine?
Davvero scacciava tutti coloro che incrociavano il suo cammino, senza
permettere a nessuno di restare, o almeno tentare di farlo? Scossa da
tali parole, quando riconobbe davanti a sé il calore e il
respiro di
un altro essere umano istintivamente accelerò il passo, fino
a
scontrarsi con il corpo dello sconosciuto; senza dire nulla lo
toccò,
cercando il cuore, quindi lo strinse a sé nel bisogno di un
abbraccio.
Udì
un gemito di sorpresa soffiare tra i suoi capelli e allora
aumentò
leggermente il contatto. «Non te ne andare»,
mormorò avvelenata
dalla paura e ormai incapace di mantenere il controllo sulla propria
razionalità, «chiunque tu sia…
resta.»
Serrò
le palpebre fino a tremare, in attesa di una reazione che avrebbe
infranto il suo desiderio; ma chi stava abbracciando non si sciolse
dalla sua presa, bensì la ricambiò quasi
immediatamente e le posò
una mano sui capelli, con gentilezza.
L’Essere
era a poca distanza da lei – forse proprio alle sue spalle
–, lo
sentiva; e lei avrebbe dovuto essere dovunque, tranne in quella
gabbia che le incendiava la pelle… ma per qualche istante
sentì la
pressione dei suoi demoni diminuire, staccarsi per permetterle di
ricordare qualcosa che non fossero giorni di silenzio, fuggire
davanti alle braccia che la circondavano.
Quando
le orecchie ripresero a sentire e il drappo di polvere si
posò al
suolo permettendole di vedere di nuovo, la realtà
impiegò qualche
tempo a impossessarsi della sua mente. Uno scenario inaspettato si
aprì davanti a lei; ma come si accorse immediatamente, non
avrebbe
fronteggiato da sola ciò che la stava attendendo.