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Autore: Manto    30/10/2017    1 recensioni
♥ Prima classificata al contest ‘Like an Hero - Eroe per un giorno’ indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di Efp.
Quando il mondo intorno a te esplode, ci sono solo due cose che puoi fare: finire con esso, o trovare la tua strada per ricominciare a vivere; subire, o combattere.
Perché nulla è più forte dell'animo umano, nulla.
{Tanti auguri, carissima Angie96!}
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Stinger, Zombieman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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{ II ~ Rispetta la Paura }




«La Morte ti ha segnata da tempo. Quelle cicatrici sulle mani non sono nulla in confronto alle ferite che ti insanguinano l’anima.»
Umiko non sarebbe mai riuscita a dire se avessero bruciato più quelle parole o i morsi che il mostro le aveva inflitto; ma quando aveva sentito le zanne dell’Essere violare la protezione della pelle e privarla lentamente del sangue, aveva percepito i suoi ricordi venire risucchiati insieme a esso; e quello aveva fatto davvero male.
In pochi istanti quella razza di demone era entrato nella mente, leggendo e apprendendo il suo passato, le sue sensazioni; e mai si era sentita così esposta e vulnerabile, con la propria dignità che veniva lacerata come la sua carne, come nel momento in cui lo aveva visto sorridere di soddisfazione.
«Interessante… ti sei salvata da un attacco solo per subirne un altro qualche anno dopo. Come siete fragili, voi umani, divertenti e miseri.»
Gli artigli del mostro si erano stretti intorno alle sue spalle e l’avevano alzata di peso, costringendola a guardare la città martoriata per un lungo, atroce istante; e quando l’aveva fatta cadere al suolo, la ragazza si era ritrovata a fissare il suo riflesso più perfetto prendere forma e ghignarle contro con sguardo ferino. «Ora sei totalmente mia», le aveva sibilato questi, «e non mi servi più. Ma non ti preoccupare; farò buon uso di questo corpo… tuttavia, fattelo dire: sarebbe stato meglio se quel fuoco avesse ucciso anche te, e pure tu lo sai.»
Aveva compreso fin dal primo istante quanto non potesse competere con la forza dell’altro; ma la sensazione di umiliazione che l’aveva colpita alla bocca dello stomaco era stata così intensa da impedirle di perdere i sensi perfino quando il mostro l’aveva calciata via e mandata a rotolare giù dal ponte, lungo un ripido sentiero che conduceva direttamente al torrente sottostante.
Tutte le membra erano state percorse da scariche di dolore mentre sbattevano e si graffiavano contro le pietre, tuttavia la coscienza non si era affievolita nemmeno in quel frangente, così che la mora non aveva potuto far altro che rimanere distesa nel punto in cui si era fermata e sentire gli arti perdere sensibilità nel fiato gelido di quella giornata.
Da quegli istanti i suoni si erano fatti più attutiti; il caos aveva smesso di scuoterla ed era giunto con la forma di sussurri ed echi che non era riuscita ad afferrare completamente, mentre l
’intorpidimento aveva iniziato ad accompagnarla in un dormiveglia che solo un agente esterno alla sua volontà avrebbe potuto spezzare. Nemmeno il bruciore delle ferite, infatti, l’avrebbe tenuta sveglia ancora per molto; e i pensieri… quelli sarebbero andati per la loro strada, senza toglierle molte più forze del solito. In qualche modo li avrebbe gestiti.
Solo il freddo vorrei evitare. Se provassi un po’ di tepore forse potrei immaginare di essere nelle braccia di qualcuno, e andarmene con la consolazione di essere vegliata.
Non è bello addormentarsi in solitudine, non è giusto andarsene senza poter salutare nessuno. Tutto questo… no, non è giusto.

«Siamo sicuri che sia passato di qui?»
«Le tracce conducono a questo punto, ma ora l’aura malefica è molto più debole.»
«Che sia stato ferito?»
«Può anche essere che sia già stato ucciso, ma restiamo all’erta: la taglia che pende sul suo collo è alta, non è un mostro comune… quindi non sarà
così semplice eliminarlo.»
Queste voci… le conosco, ma non so a chi riferirle. Si avvicinano…
Umiko provò a sollevarsi, e rimase per qualche istante sui gomiti. Lo sforzo le strappò dei gemiti e tutto il corpo fu scosso dai crampi, ma riuscì a non cadere.
Dai… ancora, si impose, stringendo con forza la terra tra le mani e pregando che le gambe fossero in grado di sostenerla.
Un sibilo la bloccò appena prima di mettersi sulle ginocchia; e i brividi le percorsero la schiena quando alzò il volto e si ritrovò la punta di una lancia a pochi centimetri dalla propria fronte.
«Una civile!»
Levò ancora di più il capo appena l’arma venne abbassata, permettendo ai suoi occhi di mettere a fuoco due figure che conosceva, ma che aveva sempre visto solo attraverso uno schermo.
«Hey! Riesci a sentirmi, stai bene?», udì, prima di sentire le braccia forti del classe A Stinger che la circondavano.
«Sì-sì… ma sono debolissima», rispose lei, ringraziandolo mentalmente per il calore che il contatto con il suo corpo le diede.
«Non ti preoccupare, ti aiuto io… ecco, così, alzati piano-»
«Quei morsi… chi te li ha fatti è ancora vivo?»
Gli occhi scarlatti del secondo eroe non perdevano un suo movimento e la fissavano con intensità, in attesa di risposte; non c’era alcuna paura in loro né tensione, solamente energia pronta a esplodere.
Umiko si strinse nelle spalle sotto quello sguardo ricolmo di ombre, e per un attimo chinò il suo su ciò che rimaneva del golfino e della maglia.
«A-a quanto ne so quel mostro è ancora vivo. Ha preso le mie sembianze succhiandomi il sangue, è perfettamente uguale a me… ma ha gli occhi rossi.»
Mi ha guardato agonizzare; ed era compiaciuto di sé stesso.

«Che seccatura… è pure un mutaforma.» Senza perdere l’espressione estremamente calma, l’eroe si levò l’impermeabile e lo fece indossare a Umiko, prima di rivolgersi a Stinger. «Portala al sicuro lontano da qui, quel maledetto potrebbe essere ancora troppo vicino e devo potermi muovere senza il pensiero dei civili. Per adesso lo cercherò da solo.»
La ragazza rimase a guardarlo sparire in silenzio, mentre le dita stringevano la stoffa dell’indumento quasi con bisogno, come per cercare in essa un qualche tipo di forza; tutto, dal suo corpo fino a ciò che la circondava, le diceva di trarne il più possibile, rincorrere il coraggio e non impazzire. «In qualche modo presto sarà tutto finito», mormorò a sé stessa, nascondendo parte del volto nel bavero dell’impermeabile e riportando alla memoria i messaggi di qualche ora prima, «… in qualche modo.»



«Ti fanno ancora male le ferite?»
Umiko era grata al giovane per infinite cose, dall’averla raggiunta prima che il torpore la gettasse in una placida morte fino al continuare a parlare per tenerla attiva; ma tutto quello che riusciva a fare era rispondere a fatica alle domande, oltre a sentire un enorme groppo in gola, troppo vicino a divenire un lungo pianto per poterlo controllare. In qualche modo riuscì invece a non esplodere, permettendo a Stinger di lasciare definitivamente il Nature Park, irriconoscibile, e guidarla nella devastazione della Città K, giunta fino alla periferia.
La vista di tutta quella rovina fu per Umiko un altro colpo diretto al cuore, e rivolse un sorriso spontaneo all’eroe quando questi decise di passare per strade che non fossero quelle centrali, dove i loro sguardi avevano già intravisto innumerevoli corpi riversi al suolo, immobili, e macchie scarlatte a ricamare marciapiedi ed edifici.

Hai dovuto sopportare tutto questo tempo fa. Una seconda volta, la rovina è giunta fino ai tuoi piedi.
«I soccorsi sono già sul posto. Ti lascio alle loro cure, tu cerca di stare tranquilla, va bene?», le disse il giovane dopo qualche istante, regalandole uno di quei luminosi sorrisi che lo avevano reso così popolare tra la gente; lei annuì, cercando le parole adatte per esprimere a dovere la sua gratitudine… e probabilmente le loro strade si sarebbero divise in quel punto, se il rombo di un crollo non li avesse bloccati prima.

In un battito di ciglia il classe A l’afferrò per la vita e balzò al riparo di un edificio porticato con la rapidità di un falco, impedendole così di venire investita da una pioggia di calcinacci e polvere. «Cambio di programma; meglio che stai con me ancora per un po’», mormorò lui, persa in un istante l’espressione cordiale, «il tempo di capire che cosa diavolo stia succedendo ancora.»
«Altri Esseri?», mugolò Umiko.
«Questi palazzi hanno ricevuto dei gravi danni, e stanno cedendo», fu la risposta, «ma non mi permetto di escludere l’opera di un mostro. Stammi il più vicino possibile e fai tutto quello che ti dirò, intesi?»
Un’altra esplosione scosse il suolo e li fece sbattere contro il muro alle loro spalle; e a quel punto fu chiaro che nessun luogo poteva fornire protezione.
«Mettiti dietro di me», ordinò Stinger mettendosi in posizione da combattimento, la sua infallibile lancia puntata verso le nubi di polvere che si erano alzate a poca distanza da loro e avevano invaso la strada; la giovane obbedì e gli andò alle spalle giusto un istante prima che queste si tramutassero in un’onda asfissiante.
«Giù! Copriti il viso!», gridò l’eroe prima di farle da scudo… ma lei rimase immobile, non lo sentì nemmeno.

Quel giorno accadde esattamente così.
E a quel pensiero le gambe, prima instabili, le permisero di scattare in avanti, invertire la posizione in modo che fosse il suo corpo a proteggere il classe A. «Chiunque tu sia, lascia stare lui e prendi me.»




◊♦◊




«Che noia… non dirmi che hai ancora bisogno di riposo!»
Amaya si asciugò un ennesimo rivolo di sangue da un ennesimo graffio e si sforzò di sorridere, anche se ciò le costò dolori dappertutto. Doveva essere in uno stato orrendo, con gli abiti a brandelli e ogni parte del corpo esposta ricoperta di lividi; il labbro superiore era spaccato in più punti, uno zigomo bruciava da impazzire e c’era sangue anche nelle scarpe, colato dalle caviglie scorticate. «Perdonami», rispose con uno sbuffo, cercando di non cadere in ginocchio, «si vede che mi sto annoiando così tanto da non reggermi più in piedi?»
L’Essere sogghignò, tendendole una mano intrisa di cremisi. «Vieni avanti, dai», flautò, «non ho ancora finito con il tuo bel faccino.»
La donna sentì le ossa tremare solo udendo quelle parole, ma strinse i denti e non rispose. Doveva continuare a muoversi, impedire al mostro di immobilizzarla; anche se quel bastardo la stava gradualmente trasformando in una bambola da torturare, finché quei denti fossero rimasti lontani da lei non avrebbe avuto da temere. Proprio per tale motivo l’altro l’aveva incalzata per tutto il Nature Park, inseguendola fino a spingerla in città, dove avrebbe avuto più possibilità di intrappolarla in un punto cieco e farle subire la stessa sorte della ragazza di cui stava macchiando la memoria.
A quel pensiero la donna sentì la rabbia e il disgusto incendiarle di nuovo la gola: quello scricciolo le aveva impedito di gettarsi nel torrente, si era preoccupata come per un’amica; e dopo qualche ora, con massimo disprezzo, la sua copia aveva fatto di lei una preda. Chi governava la Sorte doveva essersi proprio divertito a svolgere il filo di quella vicenda, rimanendo a guardare le sue paure e debolezze cozzare contro il sibilo del vento e l
’energia del combattimento.
Che non durerà ancora per molto, temo, si ritrovò a pensare schivando un nuovo attacco, le unghie dell’Essere protese ad artigliarle gli occhi.
Il successivo attacco la colse di sorpresa tanto fu repentino, così che si ritrovò a indietreggiare nel tentativo di ritrovare il proprio equilibrio; fu la mano dell’Essere a impedirle di cadere, solo per attrarla a sé e subito dopo spingerla via con tanta violenza da farla cadere e rotolare a terra per qualche attimo.
«Va bene, fine dei giochi; passiamo alla parte meno piacevole.»
Amaya non alzò nemmeno lo sguardo sull’altro, ma rimase distesa con il viso sepolto nella polvere, ben conscia che sì, il tempo della caccia era giunto al termine e stava per lasciare posto a sofferenze più atroci. Incapace di tenere gli occhi aperti per il bruciore dato dal sudore – e da cos’altro, lacrime? … Davvero? – trasse un grande sospiro. «Allora? Non farmi attendere molto, vieni a prendermi», sussurrò dopo pochi istanti di assoluto silenzio. Riuscì a sollevare le palpebre per un momento, e fu così che vide il mostro inginocchiato vicino a lei e intento a osservarla, un’espressione tra il sorpreso e l’interessato che luccicava nello sguardo rubino. «Uhuh», soffiò questi finalmente, «non mi era mai capitata una cosa simile.»
Con orrore, la donna sentì l’altro prenderle una ciocca di capelli e annusarla con attenzione. «Lo sai? I tuoi pensieri sono così vividi che posso sentirli anche senza aprirti la carne.»
Ancor prima che il mutaforma sorridesse lei iniziò a tremare, mentre d’istinto si portò una mano all’altezza del cuore. I battiti aumentarono improvvisamente e altrettanto velocemente diminuirono, mentre un senso di risucchio all’altezza dello stomaco le strappò un gemito. Presto l’orrenda sensazione si propagò all’intero corpo, senza lasciare nessun centimetro di pelle esente; era simile a un lento tormento, ma in verità era molto, molto più sottile e crudele. «Smettila! Che cosa stai facendo? Io…», urlò contorcendosi, prima di accorgersi di un’altra verità altrettanto angosciante.
I miei pensieri… è come se qualcuno me li stesse strappando! E fosse nella mia mente… a osservare il mio passato… a giudicarmi.
«Il sangue», disse il mostro con lentezza scocciata, come a voler rispondere a una domanda stupida, «è quello che mi dà tutto il potere che dispongo; non è questione di forza, ma di sapere: tramite esso posso scoprire chi siete, quali sono le vostre abilità e debolezze, i vostri incubi, i rimorsi. Dopo avere letto la vostra anima, prendere le vostre sembianze, ingannare chiunque conosciate, ucciderli è così facile che potrebbe quasi essere noioso; eppure mai mi è capitato di riuscire a carpire così tante informazioni solamente dalla vicinanza con le mie prede. Sei proprio un individuo affascinante…
Amaya
La donna si mise in ginocchio. «Quindi è questo che ti piace fare? Strappare i segreti della gente, usarli per i tuoi fini, causare terrore?» E in un battito di ciglia la paura si era fusa con il disprezzo, rendendo duro il tono e lo sguardo.
«Il terrore
è il mio fine. La disperazione e l’impotenza che vi annientano quando vedete il vostro mondo andare in frantumi, come pretendete di non volerlo accettare è qualcosa che non avrà mai prezzo, per me; ancora prima di divenire un mostro ero ossessionato dalla tristezza altrui.»
Il disprezzo si nutrì della stanchezza, spiegò le sue ali e divenne amarezza, donando ad Amaya un impeto diverso dai precedenti. «Mi spiace deluderti, ma con me hai fatto un errore; non è rimasto più nessuno che tu possa ingannare. Sono sola, tutti coloro a cui volevo bene sono lontani, quindi non farai un grave danno.»
Non più di quanto mi sia già fatta da sola.
Di nuovo, il ghigno assetato di crudeltà dell’Essere attaccò le sue difese. «È questa la particolarità del tuo animo: soffri così tanto che tutti possono percepire il tuo dolore e provarlo dentro di loro. Non lo senti quanto è devastante?
Forse è proprio per questo che chiunque tu abbia chiamato ‘amico’ ti ha lasciato sola… anzi,
no; il vero motivo è un altro, e tu lo sai bene.»
«Tu non hai alcun diritto su di me, né di dire cosa provi», sibilò la donna, «tu non sei più umano; non puoi più capire nessuna azione che ho fatto.»

Il mostro ridacchiò. «In verità ti capisco totalmente; perché sei molto, molto simile a me.» Si alzò in piedi, torreggiando su di lei. «Ma ora basta; anche se mi hai regalato dei bei momenti, il tuo tempo è scaduto. Purtroppo mi stanco subito dei miei balocchi», disse con un tono falsamente dispiaciuto.
Reclinò la testa quando vide la sua vittima non abbassare il capo ma continuare a fissarlo, e socchiuse gli occhi. «Non guardarmi così. In fondo, qualche ora fa volevi rivedere i tuoi cari, dico bene? Ti sto permettendo di farlo senza provare troppo dolore, quindi dovresti essermi grata…»
E invece mi sto ribellando.
Amaya non riuscì a sentire la risposta che si diede: il terreno tremò e vibrò sotto le dita, sembrò ripiegarsi su sé stesso nell’incubo di un’esplosione; e allo stesso tempo la polvere sollevata avanzò rapida e famelica verso di lei, tramutandosi in un muro fatto di buio, pura oscurità.
Forse qualcuno la rimise in piedi, un impulso estraneo alla sua persona – o forse nato proprio dalla tensione verso una via di salvezza; ma pure in quel manto letale la donna sentì i suoi piedi avanzare e le mani tendersi in avanti, cercare, implorare.
Davvero il suo aspetto, il suo mondo gridava solo tristezza e solitudine? Davvero scacciava tutti coloro che incrociavano il suo cammino, senza permettere a nessuno di restare, o almeno tentare di farlo? Scossa da tali parole, quando riconobbe davanti a sé il calore e il respiro di un altro essere umano istintivamente accelerò il passo, fino a scontrarsi con il corpo dello sconosciuto; senza dire nulla lo toccò, cercando il cuore, quindi lo strinse a sé nel bisogno di un abbraccio.
Udì un gemito di sorpresa soffiare tra i suoi capelli e allora aumentò leggermente il contatto. «Non te ne andare», mormorò avvelenata dalla paura e ormai incapace di mantenere il controllo sulla propria razionalità, «chiunque tu sia… resta.»

Serrò le palpebre fino a tremare, in attesa di una reazione che avrebbe infranto il suo desiderio; ma chi stava abbracciando non si sciolse dalla sua presa, bensì la ricambiò quasi immediatamente e le posò una mano sui capelli, con gentilezza.
L’Essere era a poca distanza da lei – forse proprio alle sue spalle –, lo sentiva; e lei avrebbe dovuto essere dovunque, tranne in quella gabbia che le incendiava la pelle… ma per qualche istante sentì la pressione dei suoi demoni diminuire, staccarsi per permetterle di ricordare qualcosa che non fossero giorni di silenzio, fuggire davanti alle braccia che la circondavano.
Quando le orecchie ripresero a sentire e il drappo di polvere si posò al suolo permettendole di vedere di nuovo, la realtà impiegò qualche tempo a impossessarsi della sua mente. Uno scenario inaspettato si aprì davanti a lei; ma come si accorse immediatamente, non avrebbe fronteggiato da sola ciò che la stava attendendo.

   
 
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