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Autore: LB Shadow    31/10/2017    4 recensioni
1° classificata nel contest Calling All the Monsters indetto dalla pagina facebook Axis Powers Hetalia -Italian fans
Avere un animaletto domestico può essere complicato. Lo è di più se l’animaletto in questione è un dolcetto di riso parlante. Lo è molto di più se l’animaletto in questione è uno zombie.
La vita di Estonia viene sconvolta dalla progressiva trasformazione di uno dei suoi mochi in un mostro sanguinario. Riuscirà la nazione baltica a scegliere la soluzione giusta? E come fare se l’affetto intralcia la logica?
Ma soprattutto, è davvero possibile uccidere uno zombie mochi?
(Il rating è giallo a causa del linguaggio piuttosto colorito di uno dei personaggi)
Genere: Comico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Estonia/Eduard von Bock, Mochi
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Mochi Thriller Night


 

Difficile, se non impossibile, stabilire quando iniziò la metamorfosi.
Il cielo non cambiò colore, non ci furono notti buie e tempestose, non vennero ritrovate discutibili profezie Maya che annunciassero la catastrofe, non era presente quell’uccellaccio del malaugurio di Eren Jaeger ad insinuare “Sono cento anni che non succede un emerito piffero, ma metti che...”, nell’aria non riecheggiò la Toccata e fuga di Bach e persino l’oroscopo tacque sull’argomento.
Davvero, una disgrazia priva di avvertimento.
Sembrava tutto a posto: anzi, malgrado il freddo che avanzava con l’autunno, era possibile vedere ancora giornate serene che invogliavano a godersi gli ultimi sprazzi di luce, a fare qualche passeggiata tra le foglie ingiallite e quindi chiudersi all’interno di centri commerciali, dove almeno c’era il riscaldamento sempre acceso.
Le vetrine si popolavano di spaventosi ma innocui volti di plastica, i bambini si accingevano a preparare i loro costumi o a pregare i genitori di comprargliene uno, anche i dolcetti cambiavano forma e assumevano sembianze di piccole zucche, pipistrelli, fantasmi e via dicendo. Si avvicinava il 31 ottobre, Halloween, altrimenti detta la giornata che fa infuriare i bigotti superstiziosi.
Estonia avrebbe volentieri ignorato quella festività; era una ricorrenza celtica, lontana dalla sua cultura e dalla sua storia e perciò come tale preferiva trattarla. Ad essa egli prediligeva il Mardipäev in ricordo di San Martino, a novembre, che le assomigliava comunque molto. Nonostante tutto, avrebbe fatto un’eccezione.
Le creature che aveva in casa, i cosiddetti “mochi”, adoravano qualsiasi situazione desse loro la possibilità di strafogarsi di dolci e Halloween era una di queste. Amerimochi, in particolare, era euforico all’idea; i suoi compagni, Canada, Italia e Spain mochi, lo seguivano a ruota. Estonia aveva deciso così di fare uno strappo alla regola e festeggiare anch’egli la vigilia di Ognissanti: comprò uno striscione arancio e nero da attaccare nel soggiorno decorato con finte ragnatele, si procurò una buona scorta di dolciumi e gelato, e per la serata avrebbe noleggiato un film dell’orrore da guardare assieme agli animaletti. Nulla a confronto di ciò che avrebbe fatto America, il quale probabilmente era ancora indaffarato a smontare l’attrezzatura della festa dell’anno precedente. Questione di priorità.
Quell’anno, però, Halloween sarebbe stato una data da ricordare anche per la reticente nazione.
 
La sera del 31 faceva veramente freddo. La festicciola era andata alla grande, i mochi avevano divorato i cinquantasette sacchetti di caramelle e cioccolatini che miracolosamente erano durati fino a quel momento. Anche il film non fu male: Estonia aveva scelto di prenderne uno di Giappone e ne rimasero tutti soddisfatti, manifestando ognuno a modo suo l’apprezzamento.
Amerimochi per poco non distrusse il televisore nel tentativo di colpire il mostro, ma fu fermato in tempo. Italia mochi voleva fare amicizia con la ragazzina dai lunghissimi capelli neri e le offrì un fiorellino, preso chissà dove, posandolo davanti allo schermo. Spain mochi si preoccupò di rassicurare il terrorizzato Canada mochi cantandogli una canzoncina e l’altro ricambiò offrendogli alcuni dei suoi dolcetti. A conti fatti era andato tutto liscio.
− Ok, ora abbiamo visto il film e si è fatto ormai tardi. Dovrò ricordarmi di fare i complimenti a Giappone quando lo incontro, quella tipetta mi ha messo i brividi... – commentò Estonia quando giunsero i titoli di coda, apprestandosi a togliere il dvd dal lettore. – Ѐ ora di andare a nanna, ragazzi, su! Che questa è la notte in cui morti tornano alla vita e se vi trovano svegli si potrebbero arrabbiare.
Disse queste cose con tono scherzoso, mentre i quattro animaletti si rintanavano nei loro giacigli.
In un modo o nell’altro anche quella serata era andata, il giorno dopo si sarebbe tornati alla normale vita di sempre. Così pensava la nazione, riordinando il caos creato in cucina.
 
Estonia era andato a dormire. Le serrande erano abbassate, tutto taceva. Solo il rumore del vento contro i rami ormai secchi degli alberi spezzava la quiete. Mentre il padrone dormiva, quattro palline bianche sgusciarono fuori di casa, ancora desiderose di vivere quella notte di mistero.
In avamposto c’era Amerimochi, il leader; secondo, Spain mochi; terzo e quarto i dolci Italia e Canada. Si avventuravano in giardino, in mezzo a ombre e strade che alla luce del giorno non facevano paura alcuna ma in quel momento vibravano di un’energia nuova, da brivido.
Let’s go! – strillò il capo. I suoi compagni risposero con un coro di affermazione.
I mochi non provavano freddo, le folate gelide non avevano effetto su di loro. Rimbalzavano sul terreno coperto di brina verso nuove avventure che, in una notte come quella, avrebbero trovato di sicuro. La raccomandazione fatta loro aveva sortito l’effetto opposto, come bimbi monelli ora il gruppetto era sgattaiolato in barba alle regole.
Le piastrelle del cortile furono sostituite dalla terra gelata di un’aiuola, le cui piante si ergevano tenaci e nere. – Fiore – mormorò Italia fermandosi un attimo, accarezzandone il gambo ruvido. Canada lo spinse timidamente: − Please hurry. – lo incitò, vedendo che gli altri si stavano già allontanando. L’idea di rimanere soli, lì, al buio, non gli andava per niente a genio.
Bello – fu l’ultimo commento di Italia, prima di seguire l’amico. Un fruscio bloccò entrambi come sassi: non era stato il vento, ma qualcosa che si era mosso dietro ai fiori. Italia si avvicinò annusando l’aria.
Da dietro le piante due occhi lo fissarono, guardinghi e minacciosi.
Eh, stay away, it’s dangerous! – la vocina di Canada, già di per sé debole, non ebbe un grande effetto. Il mochi fu quindi costretto ad allontanarsi per richiamare l’attenzione degli altri.
Amico? – chiese Italia all’essere nascosto nell’oscurità. – Pizza!
Da sotto le foglie di un arbusto uscì con grande lentezza un esserino bianco, dalle sembianze simili a quelle dei mochi. Lui non era rotondo come una pagnotta, aveva una forma cubica dagli spigoli smussati, come un panetto di burro con occhi e bocca. Guardava torvo Italia. Il suo aspetto non era dei migliori: il colorito bianco era macchiato qua e là da macchie scure, come muschio. Le iridi, poco visibili per via dello sguardo severo, erano azzurre. Dalla piccola bocca si notavano i denti, come se non fosse stato in grado di chiuderla bene.
Amico? – ripeté il mochi, sentendosi un filo a disagio, come quando durante l’ora di pranzo Amerimochi si avvicinava al suo piatto di lattuga con un barattolo di senape, esclamando “Try it, it’s good!”.
Lo sconosciuto si avvicinò ulteriormente. Ora che lo vedeva meglio, Italia notò come sembrasse... ammaccato. Come se parti del suo corpo fossero state deformate o addirittura eliminate, corrose da quelle macchie scure che emanavano un cattivo odore. Quello strano tipo, però, non gli sembrava cattivo. Gli ricordava molto un altro suo simile, incredibilmente duro sia nella consistenza che nella parlata. Gli venne un’idea.
Sono italiano! – esclamò tirando fuori un paio di bandierine tricolori. – Sei tedesco?
L’altro lo fissò, interdetto, senza accennare a tirare fuori anch’egli una bandierina raffigurante la sua nazione. Intanto gli altri tre mochi erano tornati.
Hola! ¿Quien es el? – salutò Spain. Canada tremava. America guardava da una certa distanza la situazione, incuriosito e dubbioso.
Amico! – esclamò Italia in risposta. Per dimostrare la sua buona fede si avvicinò al mochi, annusandolo. Lo strano essere aveva un odore bizzarro, come di marcio, e i suoi occhi azzurri brillavano di una luce soprannaturale. Sembrava il mostro nel film appena visto. Il mochi cubico ringhiò, scoprendo una serie di denti aguzzi e sotto all’occhio destro si formò una piaga che gli aprì uno squarcio.
Italia, vedendolo così minaccioso, si spaventò e indietreggiò, tremante. Lo sconosciuto ora era ben visibile: aveva un colorito grigiastro, in molti punti era affossato o aveva macchie verdognole. I suoi occhi erano due linee scure da cui s’intravedevano fiamme azzurrine. La sua bocca era incredibilmente grande, dotata di terribili canini pronti a strappare, lacerare, ridurre a brandelli tutto ciò che gli si fosse posto sotto. Non saltellava: strisciava a terra come un verme. Si trascinò verso Italia, il volto spaccato e feroce, mentre quest’ultimo si rendeva finalmente conto che l’essere non fosse un “amico”. Troppo tardi comunque.
Aiuto! – urlò, tentando di sfuggire, mentre con un balzo inaspettato l’altro lo atterrava e immobilizzava. Le lacrime fluirono dai suoi occhi innocenti. Cosa diavolo era quella cosa? Lo avrebbe ucciso? Poteva sentire il suo fiato caldo e fetido addosso, predatore senza pietà. Il mostro spalancò la bocca diretto ad azzannare la sua vittima. Era la fine.
Un fulmine candido scalzò l’assalitore da Italia mochi, colpendolo ad alta velocità e scagliandolo qualche metro più in là.
Fuck off, asshole! – urlò Amerimochi rimbalzato a terra. Italia riuscì a togliersi di mezzo, approfittando dell’occasione. Si nascose dietro a Spain mochi, il quale era pronto ad intervenire a sua volta, condividendo il terrore con Canada. Amerimochi intanto annunciava la vittoria.
Don’t worry! – esclamò, gonfio d’orgoglio. – It’s ok! I’m americ...
Non riuscì a terminare la frase. Silenzioso come un filo d’aria, il mochi cubico gli era arrivato alle spalle e con uno scatto orribile aveva affondato i suoi canini marci nella morbida vittima. Amerimochi urlò, di dolore, di paura, di rabbia per essere stato preso alla sprovvista, e cercò di liberarsi di quell’essere ripugnante. Riuscì nuovamente a colpirlo, ma senza risultato: l’altro non sembrava tanto forte, ma era comunque decisamente aggressivo. Non provava dolore. Tenne ferma la sua vittima per una decina di secondi, finché anche Spain mochi non si aggiunse allo scontro. Spain solitamente era dolce come il miele ma era anche straordinariamente tosto quando voleva. Cominciarono entrambi a battere come potevano il nemico, in preda a una paura sconosciuta ai loro animi, mai provata prima.
La lotta durò poco, a dire il vero. A un certo punto, veloce come aveva attaccato, l’ assalitore si staccò e scomparve nuovamente tra le piante, nelle tenebre della notte. Fu un gesto così improvviso che tutti e quattro i mochi rimasero di stucco, impietriti dall’orrore e ancora incerti sul da farsi.
What... happened...? – sussurrò Canada. – Who was that guy?
Amerimochi tratteneva il dolore lancinante del morso, soffiando invece di rispondere. Sentiva che qualcosa si era insinuato dentro di sé, un morbo trasmesso da quei denti schifosi di putridume. Spain era andato a guardare tra le piante, controllando che l’altro non si fosse semplicemente nascosto per attaccare di nuovo. Italia mochi corse piangendo verso il suo salvatore.
Amicooo! – gridò tra le lacrime – Come stai?
It’s okay – fece il ferito. – I’m american!
 − Let’s go home. – Canada indicò la loro abitazione che s’intravedeva nel buio come un faro nella tempesta.
Casa... – annuì Italia. I tre mochi cominciarono il loro ritorno verso il nido: per quella notte ne avevano avuto abbastanza di spaventi. Spain riemerse dalla macchia verde con uno straccetto in bocca. Quando raggiunse  i suoi amici il pezzo di stoffa era nascosto, pronto a essere recuperato quando sarebbe stato il momento.
Era la bandiera del mochi morto e tornato alla vita.
 
Il mattino dopo il segno del morso era scomparso come per magia. I mochi non dissero nulla della loro disavventura, per non essere rimproverati da Estonia. Il segreto venne sepolto nel silenzio e rimase tale per molte settimane, come se non fosse accaduto nulla. Eppure, qualcosa era definitivamente successo.
Amerimochi, già strambo di suo, cominciò a comportarsi in modo sempre più bizzarro. Cioè, non che fosse semplice distinguere il suo carattere prima e dopo, per questo all’inizio abbiamo specificato che il cambiamento fu impossibile da prevedere. Alcuni segnali furono la progressiva indolenza del mochi che cominciò a trascinarsi per spostarsi, i versi strani che emetteva quali “Grrrooowl, fuck you, GAAARRRHHH” e il fatto che più di una volta al posto della consueta lattuga, Amerimochi avesse tentato di azzannare i suoi compagni.
Estonia si accorse della bizzarra metamorfosi e di come i mochi fossero sempre più restii a rimanere soli con l’americano. Persino i due visitatori che transitavano di tanto in tanto in casa, il mochi munito di cilindro, England mochi, e quello munito di sciarpa, Russia mochi, avvertirono la differenza. I due reagirono comunque in modo diverso nei suoi confronti: l’inglese divenne se possibile ancor più insofferente e portava con sé strani libricini da cui leggeva strane formule rivolte alla ringhiante pallina; Russia continuò a fare i suoi “giochi” con l’altro, ignorando i suoi tentativi di sbranarlo e mettendolo a cuccia con qualche testata ben piantata. Oltre al russo e all’inglese, c’era un terzo mochi amico di Italia, di forma cubica e duro come un sasso: Germany mochi. In precedenza il tedesco non era apparso spesso in casa, ma adesso era una presenza costante. Bastava una sua occhiata per far desistere Amerimochi dall’avvicinarsi a Italia, il quale lo considerava alla stregua di uno scudo vivente.
Più il tempo passava, più la convinzione che qualcosa non andasse per il verso giusto attanagliava la povera nazione, già piena di lavoro di per sé. Decise quindi di portare, ben rifocillato e quindi inserito a tradimento in un gabbiotto, il mochi atipico dal veterinario. L’uomo, non appena li avvistò dalla finestra, li accolse girando il cartellino sulla porta da “APERTO” a “CHIUSO”. Dopo varie insistenze, suppliche, minacce di denunce di mancato soccorso e di cattive recensioni su Trip Advisor, però, si convinse ad aprirgli e controllare quella creatura impossibile da trovare su qualsiasi enciclopedia. E pensare che da giovane avrebbe voluto fare il poliziotto, ma i suoi l’avevano convinto a frequentare l’università...
Sotto la luce bianca e spietata dell’ambulatorio, la superficie di Amerimochi appariva ancora più malandata del solito: da bianco latte, la pallina si era ricoperta di macchie ed escrescenze preoccupanti. I suoi occhietti azzurri brillavano di rabbia, luminosi come fiamme, e fu difficile tenerlo fermo abbastanza a lungo per ispezionarlo, quindi furono prelevati alcuni campioni per la biopsia.
− Mi dispiace – disse il veterinario, dopo che ebbe esaminato il mostriciattolo, le mani coperte da guanti da carpentiere usati solitamente con gli animali più isterici. – C’è sicuramente qualcosa che non va, ma non capisco cosa.
− Oh. Allora è davvero malato... – Estonia era a terra: non sapeva ci sarebbe rimasto così male nel sentirsi dichiarare una tale evidenza, ma era così.
− Protenderei verso l’ipotesi di una forma mai vista di rabbia, ma non ci giurerei. Dice che ha notato questi sintomi solo di recente, ma qualsiasi cosa il suo animaletto abbia credo si stia espandendo. Purtroppo le mie conoscenze non mi permettono di formulare diagnosi certe. Ha forse ingerito qualcosa di strano? Magari dopo mezzanotte?
− No. Gli ho sempre dato da mangiare le stesse cose e controllo sempre che non esageri coi dolci. Forse sono stato un po’ indulgente durante Halloween, sa...
− Ha avuto per caso scontri con animali randagi?
Estonia scosse la testa. – No, e normalmente non ci sono animali che attacchino i miei mochi. Poi non gli ho mai visto addosso segni che potrebbero risalire a lotte.
− Allora non so che dirle. Solo stia attento, ho l’impressione che sia affetto da un morbo contagioso e i morsi sono la via più facile perché si contragga. Probabilmente non è nocivo per... quelli non della sua specie, ma lo tenga d’occhio per le altre creature che ha a casa.
− D’accordo. Grazie, dottore.
Estonia lasciò lo studio avvilito: aveva fatto un giro a vuoto senza avere risposte. Amerimochi dentro la gabbia aveva uno dei suoi sempre più rari momenti di calma, dove era sì strano ma senza malignità. Guardava il padrone con i suoi occhietti azzurri da cui non si riusciva a capire cosa stesse pensando. Estonia lo interpretò come un incoraggiamento, una richiesta di trovare una soluzione nonostante tutto.
− Vedrai, piccolino, ce la faremo – gli disse – Ho dalla mia un alleato formidabile.
Tale alleato altro non era che il meraviglioso mondo dell’internet.
Tornato a casa, la nazione si mise subito alla ricerca, mentre Amerimochi restava dove poteva essere controllato a vista, nel suo gabbiotto.
Per cominciare, Estonia digitò su Google i sintomi. Trovò svariate spiegazioni alla sua condizione, che vennero via via prese in considerazione e subito scartate.
“... e il risultato è un cancro incurabile alle cellule del tessuto molle, ormai arrivato alla fase di non ritorno, derivato dalla progressiva degenerazione dell’apparato intrasezionale nella parete duale, che si manifesta attraverso la necrosi dello strato più esterno, il derma... ”
Ehi, no, piano, di che parliamo? Tralasciando il fatto che non si capiva quasi nulla di quanto descritto, Amerimochi era formato solamente da tessuto molle. Non si sapeva neppure se avesse organi interni di qualche genere. E soprattutto, perché l’internet suggeriva sempre il cancro come spiegazione a tutto? Avrebbe ottenuto lo stesso risultato se avesse digitato “raffreddore”. Via, via, il prossimo.
“...OGM presente ormai in ogni prodotto agricolo, anche in quelli che vengono denominati ‘biologici’! Non vi verrà mai detto che aggiungono al terreno il temibile ossido di diidrogeno, vi siete mai chiesti perché? Nessun alimento è esente dal veleno, con pesticidi, concimi artificiali, mangimi alterati e sostanze inquinanti tra cui i nuovi prodotti ad alto tasso di fosforo, che contribuiscono ad alterazioni del sistema immunitario e l’interferenza con le reazioni enzimatiche cellulari...”
No, assolutamente. Estonia si curava di prendere lattuga di qualità per i suoi mochi, dato che la mangiava pure lui, e quell’articolo aveva un che di allarmistico che gli dava sui nervi. Il prossimo.
“I metalli pesanti quali piombo, alluminio, oro, incenso e mirra, e le cellule del bonobo africano presenti nei vaccini causano tremende patologie di cui i dottori sanno ma tacciono...”
Altre idiozie. Il prossimo.
“SVEGLIA!!! Le scie chimiche lasciate nel cielo dagli aerei manipolano il DNA delle creature per sviluppare nuovi organismi controllati dal governo!!! Non ce lo dicono!!!”
Baggianate a non finire, da mettersi le mani nei capelli. Il prossimo!
“Il male che si riversa all’esterno è solitamente causato da un conflitto interiore. I comuni medicinali sono solo veleno somministrato dalle grandi industrie farmaceutiche, mentre la soluzione è dentro di noi! Grazie a particolari percorsi a base di meditazione, digiuno, petalogia e aromaterapia, uniti a massaggi e ipnosi, il malato ritrova presto la sua condizione ideale all’interno del cosmo. Per accedere al corso dell’anno 20**/20** versare sull’apposito conto corrente la modica cifra di 600 euro per tre sedute con la nostra esperta...”
BASTAAA!
Estonia ebbe l’impulso di prendere l’apparecchio e buttarlo fuori dalla finestra, ma doveva ancora pagarne le ultime rate dopo che il modello precedente aveva fatto una fine simile. Si limitò a chiudere la finestra di Chrome. Almeno la scritta se n’era andata.
 Ma la ricerca non era ancora terminata: finché non avrebbe trovato una causa o una soluzione accettabile al malessere di Amerimochi, Estonia non avrebbe potuto arrendersi. La creatura si era addormentata nella gabbia e il suo russare lieve giungeva come gli ultimi rimasugli di una normalità che andava via via sfumando. Da dietro la porta dello studio, Canada mochi spiava la situazione, tormentato dal dubbio se rivelare tutta la situazione o rimanere in silenzio. Cosa avrebbe potuto fare, anche se avesse saputo?
C’era solo una soluzione e non voleva essere lui a proporla.
Intanto, la ricerca di Estonia attraverso il web continuava, imperterrita e senza speranze...
 
“COSA FARESTI SE IL TUO GATTO FOSSE UNO ZOMBIE?”
La scritta a caratteri macabri risaltava sullo schermo del computer, come se fosse stata scritta con sangue ancora gocciolante sullo sfondo nero. Una lugubre voce maschile lesse la domanda e quindi la scritta fu sostituita da un tizio che puntava tremante una pistola allo schermo, gli occhi lacrimosi al pensiero di sparare al micetto tornato dall’oltretomba.
− Che stupidaggine. – rise Estonia davanti al video, mentre il tizio e il suo compare si apprestavano a fare fuori i poveri zombie a colpi di mitra, in sottofondo Cochise degli Audioslave.
Insieme ai mostri vennero abbattuti, in sequenza: Justin Bieber, Donald Trump, il Gigante Colossale, una paperella di plastica e un krapfen alla crema. Nessuna paura, nessuna pietà, nessun neurone.
− Sembra davvero un film di America. – commentò il baltico, chiudendo la finestra di Youtube quando il video fu terminato. Il mochi si era svegliato durante la visione e ora era infervorato dalle immagini pulp intraviste dalle sbarre di plastica.
Kill all the motherfucker zombies! – strillò. Estonia si massaggiò le tempie, ormai esausto dopo quella sessione al computer. Sospirò.
− Buono, buono. – lo tranquillizzò. Un pensiero privo di forma ma non di sostanza attraversò la sua mente: aveva trovato il video dopo interminabili ricerche su ogni sito disponibile che potesse aiutarlo. Zombie... creature fantastiche ma allo stesso tempo già più credibili di molte altre incontrate sia in Rete che nella realtà. I mochi stessi erano fantastici di per sé.
Il pensiero sfumò quasi immediatamente. Non poteva lasciarsi andare così, doveva rimanere con i piedi per terra per quanto possibile.
− Ehi, mi sa che è ora di cena. – disse, stiracchiandosi sullo sgabello imbottito. – Tu non hai fame?
 
Quella notte il video imbecille non lasciò la mente di Estonia. Più che i volti dei morti viventi, chiaramente frutto di effetti speciali neanche troppo curati, gli tornava in mente la domanda all’apparenza senza senso: “cosa faresti se il tuo gatto fosse uno zombie?”
Cosa faresti se una creaturina indifesa, a cui sei legato da sincero affetto, si trasformasse un giorno in un mostro assetato di sangue? Spareresti?
Ne avresti il coraggio?
Estonia non riusciva a trovare una risposta. Con il tempo si era affezionato a quegli strani esseri, li considerava come animali domestici. Erano una piccola famiglia, quando lui e gli altri due baltici non erano riusciti a costruirla malgrado la vicinanza forzata. Non voleva far loro del male, malgrado la necessità di fare una scelta si facesse sempre più opprimente.
Un’altra domanda poteva essere: ma si può davvero sopprimere un mochi? Come? Aveva visto Amerimochi diventare floscio come gli orologi nel dipinto di Dalì, assumere la forma del contenitore dove si era appisolato come se fosse stato un fluido, rimanere rinchiuso per ore nel freezer (“Just the ice cream!” si era giustificato quando l’aveva ripescato)... Sembrava superiore alle leggi della fisica e immortale. Beh, tanto non avrebbe mica dovuto ammazzarlo, no?
No?
Estonia si addormentò di un sonno agitato e accanto a lui si appostò un esserino che lo avrebbe guidato nel mondo dei sogni.
 
Aprì gli occhi. Il mondo attorno a lui non era quello terrestre, ma un altro che aveva già visitato; la nazione ci mise poco a riconoscere l’universo dei mochi.
A differenza dell’altra volta, non ci fu subito il Re Fatato dei Mochi ad accoglierlo e fu un bene, perché si accorse di avere accanto a sé il piccolo Spain Mochi a lambirgli la caviglia.
− Oh, sei anche tu qui? – chiese intenerito Estonia. Spain mochi annuì.
Sì! Para la buena suerte! – esclamò agitando un paio di minuscole maracas. Oooh, che carino. Estonia non fece in tempo a ringraziarlo per la compagnia quando una palla bianca e alata piombò sullo disgraziato spagnolo, spiaccicandolo a terra.
Porca puttana, togliti dai piedi, razza d’imbecille!
Bentornato! Sono felice di rivederti qua nel nostro mondo!
Ora, per chi sta leggendo, un’informazione: il Re ha un modo tutto suo di parlare, così dapprima sarà inserita la frase originale e poi la sua traduzione, in modo da non correre in incomprensioni.
Estonia rimase per un attimo in silenzio, raggelato da quel benvenuto fuori dagli schemi. Spain era ancora a terra, intontito dalla botta.
Due rincoglioniti come voi mi fanno venire il voltastomaco! Sparite!
C’è qualche problema e sono qui per aiutarti. Spain mochi ha fatto bene ad accompagnarti .
La nazione annuì lentamente: se c’era qualcuno che poteva rispondere alle sue domande era proprio lui, malgrado i suoi modi lo lasciassero alquanto perplesso. Spain intanto era tornato in piedi e si stava avventurando verso il Paese delle Meraviglie dei mochi. Il Re lo ignorò.
− Amerimochi... è malato. Vorrei sapere se c’è un modo per guarirlo o almeno sapere di cosa sia affetto. – disse Estonia con un filo di speranza.
Povero idiota che non sei altro, perché perdo tempo con te?
Ma certo. Vieni che ti faccio strada, ti dirò tutto ciò che so.
Estonia venne scortato in quello che doveva essere il cortile del palazzo reale. Spain mochi era già lì e stava giocando con altri suoi simili: ce n’erano minimo una quindicina sparsi lì intorno. Il Re entrò nel palazzo che costeggiava il cortile, esortando l’altro ad aspettarlo lì.
Vedi di non fare cazzate sennò ti spacco il culo.
Ti prego di attendere qualche minuto in compagnia dei miei sudditi, mentre io prendo un oggetto importante.
Tra i svariati mochi che rimbalzavano in giro, ce n’erano alcuni che attirarono l’attenzione di Estonia: cinque palline assomiglianti in modo straordinario ai Nordici.
− Oh, che carini che siete! – commentò entusiasta. – Quello lì con la crestina bionda mi ricorda Danimarca. Poi, quello dall’aria distaccata sembra Norvegia e quello accanto Islanda. Quello con gli occhiali è Svezia e...
C’era il quinto mochi che l’osservava fisso con due occhi immensi, neri come le tenebre. – Moi moi – disse con voce dolce. Estonia annuì con il capo.
− Esatto, quello lì allora deve essere Finlandia.
Il vedere il mochi del suo amico gli fece venire un’idea che per il momento accantonò. Era una sorta di piano B... di cui non avrebbe mai voluto aver bisogno. Nel frattempo Spain mochi e il Re erano tornati da lui; il sovrano portava sulla groppa un grosso libro dall’aspetto antico che gli rendeva il volo piuttosto goffo.
¡Hola!
Prendi qua, sfigatone, invece di consumare il mio prezioso ossigeno!
Ho portato un vecchio volume che contiene tutta la verità sul nostro mondo. Qui troverai le risposte.
Estonia prese il libro in mano: era davvero pesante e le sue pagine erano ingiallite dal tempo. Lo aprì a una pagina a caso. Seduto sul grembo della nazione, il Re lo sfogliò con un’ala finché non trovò ciò che intendeva far leggere alla nazione, veloce come se lo conoscesse a memoria. Arrivato alla pagina decisiva, si fermò. Estonia trattenne il fiato.
“La Leggenda del ritorno del Mochi Defunto
Si narra che durante la notte del 31 ottobre di ogni anno, un mochi deceduto ritorni sotto forma di schiavo dell’oscurità. Animato da una grande fame e desiderio di trascinare con sé chiunque gli capiti a tiro, egli attacca i suoi simili. Non importa chi fosse stato quando era in vita, il mochi è spinto da forze malefiche tali da trascendere la linea tra questo mondo e l’altro. Le sue azioni sono dirette alla diffusione del suo morbo: chiunque quella notte sia attaccato e quindi ferito o morso dall’infetto, viene contagiato. Se ciò avviene, il mochi ha compiuto la sua missione e ritorna allo stato originario, scomparendo. Il contaminato comincia quindi la sua trasformazione che lo porterà a diventare...”
− ... un mochi zombie? – Estonia non poteva crederci. Non voleva crederci.
Ecco spiegato il cambio di comportamento, l’improvvisa aggressività, le piaghe e le macchie che cominciavano a infestare il corpo di Amerimochi, il suo odore di marcio che non andava via neppure dopo il bagnetto. Il Re annuì. Spain si strusciò contro la sua mano, cercando di confortarlo.
− Ma come? Quand’è che il mochi tornato in vita avrebbe potuto attaccare Amerimochi?
Ehm... – Spain arrossì, titubante. Il Re gli diede uno scappellotto.
Cretino! Cervello bacato, mentecatto, sottospecie di citrullo!
Avete disobbedito e ora vi ritrovate in questo pasticcio, incoscienti!
Estonia si alzò in piedi, facendo cadere il libro. – Basta! – urlò. – Lui non c’entra! Potrà avere anche fatto una marachella, ma ora non serve a nulla punirlo! Piuttosto, dimmi cosa posso fare per riportare Amerimochi alla normalità!
Il Re alzò quel suo sguardo soave e sembrò per un attimo ridere sotto i baffi.
Ma senti un po’ questo nerd che stronzate che spara.
Mio caro, non c’è niente che puoi fare. Il processo è avviato e non può essere fermato.
A questo punto esplose in una risata aspra, come se fosse stata la cosa più buffa del mondo. – Ѐ andata, ciccio! Sei nella merda, tu e l’altro lurido bastardo! Anzi, tu lo sei anche di più se non trovi una maniera per tirartene fuori!
L’unica maniera per evitare il peggio è uccidere l’infetto! Non c’è altro modo! Il problema è sapere “come” ucciderlo...
Estonia cadde in ginocchio, le lacrime scorrevano sul suo volto. Perché? Lui non voleva fare del male a nessuno di loro. Non ne aveva il cuore. Si era affezionato e ora il distacco sarebbe stato più doloroso. Ma doveva.
Il processo non poteva essere fermato, se non attraverso la morte.
− Ma sul serio è andata così? E se magari fosse tutto un errore, se non fosse stato ferito... d’altronde non ho visto cicatrici di alcun tipo...
Si sentì toccare il fianco: Spain mochi gli stava porgendo qualcosa di simile a un fazzoletto. Voleva consolarlo?
− Grazie, piccolo... ehi, ma questa è una bandiera?!
Tra le dita Estonia stava tenendo un piccolo quadrato di stoffa giallo dorato, con al centro disegnata un’aquila a due teste. Era sicuramente uno stemma o una bandiera, ma cosa ci faceva lì? Si sistemò gli occhiali sul naso, cercando di capire cosa stesse a significare. Essendo una Nazione, era naturale per lui conoscere le bandiere dei suoi simili e quella... era familiare, ma non di uno Stato moderno. Poi gli venne l’illuminazione.
− Questa appartiene a una vecchia Nazione che si estinta molto tempo fa, il Sacro Romano Impero. Spero di non sbagliarmi, ma ne sono abbastanza sicuro. Come mai ce l’hai tu?
Spain mochi lo guardò senza dire nulla. Un brivido attraversò la spina dorsale di Estonia. – Era... del mochi defunto?
Stavolta Spain mochi annuì. Era fatta, non c’erano più dubbi, specchi sui quali arrampicarsi, scuse a cui affidarsi pur di non ammettere la verità: Amerimochi era stato morso da uno zombie. Era stato infettato e più il tempo trascorreva più il vecchio sé sarebbe stato sostituito da un mostro.
Il Re osservò i due ospiti e alzò entrambe le ali con fare maestoso.
Mi sono rotto di avervi intorno, puttanelle. Levatevi dai coglioni!
Adesso sapete la verità, ormai è ora che torniate a casa. Addio!
Con la grazia che gli era propria, il sovrano diede un altro ceffone a Spain e ciò segnò la fine del loro soggiorno nel bizzarro universo dei mochi. Estonia si risvegliò nel suo letto, conscio di non aver semplicemente sognato.
 
Bene. Anzi, male. Ora che il mistero era stato svelato, non restava che decidere del destino dell’infetto. Amerimochi sembrava consapevole della sua condizione e di tanto in tanto lanciava delle occhiate da cucciolo, per chiedere una sentenza pietosa. Forse c’era una qualche soluzione dell’ultimo minuto, un modo per salvarlo nonostante tutto. Estonia era distrutto. Malgrado le dichiarazioni del Re dei mochi, l’antico libro, la testimonianza di Spain che la mattina seguente era stata confermata anche da Canada (troppo puro e ingenuo per tenersi ancora addosso quel segreto ingombrante), egli desiderava aggrapparsi anche alla minima possibilità che ci fosse un’alternativa. Però.
Però di tanto in tanto flash di ricordi rimossi apparivano davanti ai suoi occhi, immagini talmente raccapriccianti da dargli i brividi, paragonabili solo a quando era inserito nell’URSS e Russia era di cattivo umore. Stentava a credere che quei ricordi non appartenessero a incubi, che fossero successi realmente. Eppure... era così.
Nella sua mente si vedeva al buio, in un luogo della sua casa che non riconosceva, forse in cucina. Era notte, probabilmente, prima che il morbo di Amerimochi cominciasse a dargli veramente pensiero. Ricordava che era da solo. Improvvisamente, dalla porta era entrato lui: un mostro bianco dalle fattezze quasi umane, ricoperto di macchie verdastre di muffa ed escrescenze che liberavano liquido nero, le braccia e le gambe una volta muscolose avevano squarci che lasciavano intravedere tendini e ossa. Non aveva una testa, o, perlomeno, non possedeva un cranio: il collo taurino era sormontato da una gobba, il volto dell’essere era incastonato nel torace. Due occhi azzurri, terribili, lo fissavano. La bocca spalancata raggiungeva la linea dell’addome, ricolma di denti affilati e di una lingua rossa come il sangue.
Estonia aveva guardato pietrificato il mostro, convinto che se non avesse distolto al più presto lo sguardo sarebbe impazzito dalla paura. Sapeva di essere in trappola. Sapeva chi fosse lui. Sapeva che se non avesse trovato presto una via d’uscita, sarebbe stato sbranato dall’essere.
GROOOOOOOOOOWL! – urlò l’essere, lasciando nell’aria un tanfo di putridume proveniente dal suo corpo in decomposizione. Alzò i pugni ed Estonia notò che, oltre ai denti, esso aveva anche temibili artigli neri con il quale avrebbe potuto tranquillamente squarciare un corpo umano come fosse stato burro. In preda al panico più subdolo, non riusciva a reagire.
RAAAAAAAAAAHHH! – il mostro avanzò nella stanza, trascinando i grossi piedi, il corpo possente ciondoloni, gli occhi folli e privi di raziocinio. Ci volle poco perché raggiungesse la nazione. Lo sovrastava con la sua altezza di almeno due metri ed era largo almeno il doppio di lui. Il mostro spalancò le fauci davanti a Estonia e si accinse a dilaniarlo con un solo morso. Era la fine.
Con la coda dell’occhio, vide che accanto alla porta si erano appostati, tremanti e spaventati, i suoi quattro mochi più Germany mochi. Loro non erano riusciti a fermare il loro compagno e ora quello si era trasformato: si era tramutato in uno degli esseri che tanto gli piaceva guardare alla tv nei film horror. Estonia allora capì, o credé di capire: era tutto un incubo. E negli incubi, la logica non esiste. Estonia sorrise dentro di sé, mentre le sue labbra simulavano tutt’altra espressione.
− Ehi! – urlò. – Amerimochi!
Il mostro si bloccò, perplesso. Aveva colto nel segno!
− Ti sembra il modo di fare? Urlarmi contro così? Non vedi che i tuoi amici sono tutti spaventati dalle tue grida? Mochi cattivo!
Il mostro abbassò le spalle, come un bambino rimproverato.
− Adesso ti calmi e ritorni com’eri prima. – Estonia non aveva idea di cosa stesse dicendo, ma sembrava funzionare. Aveva un tono calmo e autorevole, come quando i suoi animaletti combinavano qualche marachella e lui doveva sgridarli. – Altrimenti non avrai la cioccolata insieme alla cena. Sono stato chiaro?
Il mostro aveva richiuso l’enorme bocca e i suoi occhi azzurri brillavano di lacrime. Estonia gli posò una mano sulla spalla, trattenendo un brivido nel sentirla così viscida. – Fai il bravo. Ora vai di là e fai un pisolino, quando ti risvegli chiedi scusa a tutti per il tuo comportamento.
L’essere annuì, le lacrime che gli scendevano giù come piccoli ruscelli. Si girò e inforcò la porta. I mochi rimanenti nella stanza guardavano sbalorditi la nazione.
− Andate anche voi con lui – disse – e controllate che faccia quello che gli ho detto.
Quando Estonia era tornato nella loro stanza, Amerimochi e gli altri stavano tutti dormendo. Il mostro era scomparso, al suo posto c’era semplicemente una pallina ronfante.
Fino ad allora si era convinto fosse stato un sogno ma... era davvero così?
 
Di nuovo al computer, la nazione baltica stava eseguendo le sue faccende. Ormai il gabbiotto era divenuto la residenza stabile di Amerimochi, tanto per precauzione. Estonia era sfinito e ciò si rifletteva anche sul suo volto, con occhiaie e guance smunte. Per fortuna che nessuno lo stava guardan...
Un suono proveniente dal pc lo distolse dai suoi pensieri: lo squillo di una videochiamata su Skype. Senza controllare chi fosse, Estonia cliccò sulla cornetta verde. Un enorme faccione sorridente occupò lo schermo, facendolo sobbalzare sulla sedia.
− Buongiorno, Estonia. Come stai? – la voce affettuosa di Russia uscì dalle casse.
− B-buongiorno signor Russia... bene, sto bene. – Anche dopo anni, Estonia non riusciva a mantenere la calma davanti a quel tizio.
− Sono felice. Come va lì da voi? Quaggiù sta arrivando il freddo. Ah, quanto desidererei vivere in un posto caldo... hai da fare?
− No, si figuri... anche qua, comunque fa freddino, eh eh.
Russia sorrise ulteriormente, i grandi occhi ametista brillavano. – Ti vedo un po’ sciupato. Stai bene?
− Io? Sì, certo... sto alla grande.
Russia annuì. Era certo che avesse capito che quella era una bugia, ma non commentò. – Sai, Estonia, mi mancano i tempi in cui eravamo una grande famiglia. Ti ricordi? Io, le mie sorelle e voi baltici, tutti sotto lo stesso tetto. Ah, che bei ricordi!
A Estonia, invece, quei tempi non mancavano affatto. – Certamente, signor Russia. Proprio bei ricordi. Ora, se vuole scusarmi...
− Gli amici sono la cosa più preziosa del mondo, ricordatelo.
Amici?
− Quando avete chiesto l’indipendenza, ero triste all’idea di rimanere solo e lo sono tuttora. Perdere i propri cari è una sensazione orribile, specie se ti senti tradito da loro. Mi è successo varie volte che i miei superiori o i miei alleati mi tradissero, che mi si rivoltassero contro... ma io sono stato forte. Ho stretto i denti. So bene che molti mi stanno accanto solo per interesse, che nascondono i denti, però io sono pronto a tutto. L’importante è avere qualcuno accanto.
Estonia continuava a non comprendere. – Ehm, certo. Sono assolutamente d’accordo con lei.
Russia ridacchiò. – Lo so che sei d’accordo, mio caro, vorrei proprio vedere se non lo fossi. Sai però perché ti dico queste cose?
Il suo volto esplodeva di gioia, grazioso come un temibile orso con un cappellino in testa.
− No, perché?
− Perché tra poco andrò a casa di America! Mi sta tanto simpatico quel ragazzino. Lo ammetto, ci sono delle volte che lo ammazzerei, ma sono cose che capitano. Sono tanto felice di avere un amico, anche se presunto tale. Non trovi che l’amicizia sia una cosa meravigliosa?
− Assolutamente.
Russia batté le mani. – Ottimo. Tu e io siamo ancora amici, vero Estonia?
− ... sì?
Il sorriso di Russia si tinse di malinconia. – So bene che non sto molto simpatico a voi baltici, altrimenti non sareste andati via. Ma l’amicizia è anche questo: restare nonostante tutto. Con noi, purtroppo, è andata male.
Estonia non sapeva che rispondere. – Ecco... vedrà che in futuro sarà più fortunato.
Russia annuì, le guance infantili tinte di rosa dall’emozione: − Grazie mille. Stammi bene e ravvediti, che si vede lontano un miglio che non sei in forma.
− Arrivederci, signor Russia.
Estonia spense la videochiamata in preda ai brividi. Oltre all’aver rivisto la nazione che per tanti anni lo aveva tormentato (anche se meno di altri suoi sottoposti) , i suoi dubbi erano riemersi dal mare della ragione, pungenti come scogli acuminati. Doveva parlarne con qualcuno, ma chi? Chi poteva aiutarlo? L’idea gli balenò come un lampo nella testa: la soluzione era davanti ai suoi occhi.
Cercò il profilo di America su Skype e controllò fosse in linea, quindi attivò una videochiamata. L’altro gli rispose entro pochi secondi.
− Yo! – fece la nazione. – What’s up, man?
− Ciao, America.
− Estonia! – America stava bevendo caffè diluito da un bicchiere di carta con scritto Starbucks  – Che succede? Di solito non mi si chiami, se non per il mio compleanno. C’è qualche problema o vuoi congratularti con me per qualche film che è uscito?
Sarà stato pure un ragazzino, ma era abbastanza perspicace.
− Ecco... diciamo tutti e due. Posso?
− Tutti e due? Wow! Sembra interessante! Certo che puoi, sono o non sono l’eroe che aiuta i deboli? Ahahaha!
Estonia fu costretto ad abbassare il volume delle casse.
− Volevo domandarti... tu che sei esperto di film horror...
− A proposito, hai visto il nuovo It? Brrrrr, ho avuto incubi per tutta la notte! Ovviamente quel piantagrane di Inghilterra l’ha giudicato mediocre, ma ormai ci sono abituato. Anzi, le sue recensioni invece di offendermi mi fanno morire dal ridere! Ops, stavi chiedendomi qualcosa?
Estonia sospirò. – Sì. A proposito di... – coraggio, di che hai paura? − ...di zombie. Tu cosa ne sai?
America aggrottò le sopracciglia, improvvisamente serio. – Zombie, dici? Uhm, di film recenti che ne parlano avrei...
− No, non di roba recente. Intendo tutto, a partire da fonti reali, a trasposizioni cinematografiche o letterarie, di qualunque epoca.
America s’illuminò. – Hai intenzione di fare un film di zombie?
− Cos... no! Cioè... – poteva essere anche un’idea – Sì, ma non voglio che si sappia in giro prima di aver almeno gettato le basi. Sai com’è, per scaramanzia.
America urlò di gioia e le casse vibrarono nonostante il volume abbassato. – Potremmo farlo insieme! Una cooperazione USA ed Estonia!
− Sì, sì, certo. Ma prima dimmi ciò che sai.
La giovane nazione si calmò e cominciò a riflettere. – Uhm, gli zombie intesi come morti tornati alla vita, nascono a Tahiti. Gli abitanti utilizzavano bamboline vodoo e magia nera per schiavizzare persone che poi sarebbero state utilizzate nelle piantagioni. Ovviamente si adoperavano anche droghe per stordirli. Poi ci sono storie di persone in catalessi che, da apparenti morti, tornavano a vivere. Alcune venivano anche seppellite... che ansia!
− Ok, ok. Poi?
− Poi ci sono le epidemie e le apocalissi zombie, in cui tutti diventano mostri affamati di cervelli, tranne l’eroe e pochi suoi amici.
Bingo!
− Ecco, quella era l’idea. Cosa fa l’eroe se anche, per disgrazia, il suo migliore amico diventa uno zombie?
America si massaggiò il mento. – Quella è la parte più brutta e triste del film, perché l’eroe all’inizio non vuole uccidere l’amico.
− Ѐ convinto che si possa ancora fare qualcosa per salvarlo.
− Ci hai preso. Specie se l’amico non diventa subito un mostro, oppure se chiede lui stesso di venire ucciso prima di perdere la sua umanità e fare del male agli altri. L’eroe aspetta sempre l’ultimo minuto prima di fare ciò che avrebbe dovuto fare sin dall’inizio.
− Far fuori l’infetto.
America era sbalordito. – Cavoli, Estonia, sei davvero bravo! Se davvero vuoi fare un film, puoi contare su di me.
− Posso farti un’ultima domanda?
− Spara!
Proprio la risposta adeguata. – Come si fa ad uccidere uno zombie?
America ci pensò su qualche secondo. – Gli si spacca la testa, in genere, oppure lo si colpisce con un proiettile, sempre alla testa. Credo sia l’unica maniera, dal momento che sono già morti. Ora scusami, devo lasciarti, tra poco arriva il tuo ex capo.
− Ah sì, Russia me l’ha detto poco fa che aveva un incontro con te.
America alzò un sopracciglio, ironico. – Davvero? Cos’ha detto di preciso?
− Che sei tanto simpatico ed è felice di averti come amico.
Una risata sguaiata. – Deve aver bevuto troppa vodka. Va bene, allora! See ya!
Terminata anche la seconda videochiamata. Estonia aveva le idee sempre più confuse e l’animo sempre più in pena. Doveva uccidere Amerimochi.
Per far fuori uno zombie, quindi, bisognava utilizzare un’arma da fuoco alla testa... e lui sapeva a chi poteva rivolgersi per ottenere consigli.
Terza e ultima videochiamata, già prevista durante il soggiorno nell’universo dei mochi. Quando l’altro rispose, fu Estonia a salutare per primo, sollevato nel vederlo.
− Ciao, Fin!
Finlandia, vestito da Babbo Natale, lo salutò calorosamente a sua volta. – Estonia! Ciao, da quanto tempo non ti sento!
− Eh già. Vedo che ti stai organizzando per il tuo mestiere invernale.
− Meglio non trovarsi impreparati. Ti vedo un po’ strano, c’è qualcosa che non va?
E basta con queste nazioni che lo vedevano “strano”! Era così evidente il suo malessere? – Niente, niente, tranquillo. Volevo chiederti un favore.
− Dimmi tutto, Babbo Natale è qui per te.
Estonia rise. – So che in passato eri esperto di queste cose... quindi...
− Se sono riuscito a farti entrare come membro onorario nei Nordici, vuol dire che niente è impossibile per me. Non aver paura.
− Fin, mi daresti qualche consiglio sulle armi?
Il faccino paffuto di Finlandia, contornato dal berretto rosso fuoco, espresse tutta la sua sorpresa. – Armi?
− Sì. Pistole, fucili e simili. Se non ti disturbo, eh.
Le guance di Finlandia divennero rosse come il berretto. – Ma no che non disturbi, scherzi? Anzi! Tu dimmi cosa ti serve e io te lo faccio avere. Sei in guerra con qualcuno?
Estonia non fece in tempo a rispondere che Finlandia ricominciò: − Perché ti consiglio ad esempio un BGM-71 TOW oppure un Kalshnikov PKM, ma mi piacciono anche i Valmet M60/M62 e se vuoi qualcosa di più modesto magari un Heckler & Koch HK69A1 a colpo singolo 40 mm...
Mentre sciorinava termini incomprensibili, inseriva anche nella chat di Skype gli indirizzi per vedere le armi. Se i nomi avevano un che di inquietante, vederli era anche peggio; chissà come sarebbe stato averli in mano!
Ma poi, era davvero necessario colpire un mochi con uno spara missili?
− No, no, Fin, non ci siamo capiti. Io voglio qualcosa di piccolo, maneggevole ma comunque sicuro, con un buon calibro. Non hai niente di simile?
− Uhm, sì. Aspetta che cerco.
− Ok.
Estonia rimase lì un attimo, mentre Finlandia cercava negli archivi del suo esercito qualcosa di portentoso da mostrargli. Sovrappensiero, gli fece una domanda che non c’entrava nulla con i loro discorsi: − Come sta Hanatamago?
Hana era la cagnolina che l’altro condivideva insieme a Svezia.
− Sta benissimo. Perché me lo chiedi?
− Oh, così... dimmi, non per fare l’uccello del malaugurio, cosa faresti se un giorno si ammalasse e non avesse possibilità di guarire?
Finlandia interruppe di colpo la sua ricerca e fissò verso la webcam con gli occhi spalancati, la bocca serrata. – Sarebbe una cosa terribile, sia per me che per Sve, che per Sealand. Dipende... se fosse una malattia dolorosa come un cancro, vorrei che smettesse di soffrire il prima possibile.
− La sopprimeresti?
Finlandia sospirò, nella sua voce si sentiva un groppo alla gola. – Sarebbe necessario. Fortunatamente non è il mio... nostro caso. Perché?
− Nulla, nulla. Grazie per i consigli, ci vediamo presto.
− Aspetta! Estonia?
− Sì?
Finlandia era visibilmente preoccupato. – Se c’è qualcosa che vuoi dirmi, qualsiasi cosa, io sono qui. Ok?
− Ok.
− Bene. Moi moi, amico mio.
− Ciao, statemi bene tu e Svezia.
Ecco, finito. Dopo quelle tre chiamate un po’ di chiarezza si era fatta largo nell’animo di Estonia. Guardò verso il gabbiotto dove Amerimochi stava dormendo; dormiva spesso in quel periodo, come se avesse perso la sua forza vitale. Le lacrime inumidirono il volto della nazione.
− Mi dispiace – sussurrò. – Mi dispiace tanto.
 
I quattro mochi, Italia, Spain, Canada e Germany, furono affidati per quella giornata al vecchio nobile scozzese che aveva in carico England mochi. Estonia non voleva che assistessero allo spettacolo.
La mattina portò Amerimochi dal veterinario, con cui aveva già preso appuntamento. Il dottore lo aveva informato che, in base alla biopsia, le macchie che l’esserino aveva sul corpo erano composte di muffa.
Che scoperta.
Estonia aveva annuito e gli aveva domandato se poteva “porre fine alla sua sofferenza”. Il veterinario aveva confermato: il suo metodo era veloce e pressoché indolore, un’iniezione e via. Estonia sapeva che non sarebbe bastato, ma per il momento era sufficiente. Avrebbe tenuto il mochi incosciente prima dell’esecuzione vera e propria.
Amerimochi era convinto che sarebbero andati in qualche bel posto, era uno dei ormai rarissimi giorni in cui sembrava che non fosse cambiato nulla in lui: era allegro e pimpante. Solo quando arrivarono alla clinica comprese.
No! – gridò mentre lo portava dentro. – NOOO! – urlò a squarciagola quando il veterinario lo estrasse dal gabbiotto ed Estonia lo salutò per l’ultima volta. – FUUUCK!
Estonia non avrebbe mai scordato lo sguardo di odio nei suoi occhi mentre lo lasciava nelle mani dell’altro. Era lo sguardo di chi si sente tradito dalla persona più cara, lo sguardo di chi non avrebbe mai perdonato tale azione.
− Addio – lo salutò il baltico, prima di lasciare la clinica.
Il pomeriggio tornò. Il veterinario aveva fatto il suo lavoro e ora, come aveva deciso con il cliente, rendeva il corpo esanime dell’animaletto al proprietario. Estonia lo portò a casa, dove aveva già scavato una buca. Lo adagiò dentro. In tasca aveva una pistola, un buon articolo che gli aveva procurato Finlandia. Puntò verso il mochi e, ad occhi chiusi, sparò. Il colpo rimbombò per tutto il giardino. Aprì un occhio e spiò il risultato: Amerimochi non esisteva più come tale. Lo seppellì, il cuore che rimbombava come un martello pneumatico nel petto. Aveva fatto la cosa giusta?
Aveva ucciso il mochi zombie come si uccidono i zombie umani.
 
Quella notte la passò da solo. Avrebbe recuperato gli altri piccoli mochi l’indomani e si era preparato psicologicamente alle loro domande.
“Where is Amerimochi?”
“Donde sta amigo?”
“Dov’è amico?”
Era naturale. Il dolore e l’ansia che lo avevano accompagnato per mesi, ora si erano tramutati in apatia. La testa era avvolta da nebbia dove il rimorso non aveva spazio per esistere. Perché, poi? Doveva andare così.
Il sonno arrivò come una benedizione. Quando Estonia riaprì gli occhi, svegliato dal peso che sovrastava l’addome e il torace, all’inizio credé di stare ancora sognando.
Il mostro con le sembianze di Amerimochi, col volto distrutto dal colpo della pistola, lo stava sovrastando bloccandolo con gambe e braccia ormai decomposte ma ugualmente possenti. La bocca straziata era arricciata in un orribile sorriso, i denti brillavano nel buio. Lo guardava negli occhi, lo stesso sguardo di quella mattina. Il mostro si chinò su Estonia.
It’s okay – furono le sue ultime parole – I’m american!

 
 *  *  *
 

Salve, gente, qui è L.B. Shadow. Alcune cose riguardo questo racconto prima di lasciarvi alla vostra quotidianità:
− per chi non l’avesse capito, ogni mochi parla la lingua madre del proprio alias. Per il Re Fatato dei Mochi, ho utilizzato l’italiano per comodità;
− sempre riguardo il Re, mi scuso se ho sfondato il quarto muro spiegando la sua maniera di comunicare;
− ogni riferimento a complottismi, il Signor Distruggere, e video esistenti è voluto e non casuale.
Bene, spero vi sia piaciuto, andate in pace e... buon Halloween!
   
 
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