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Autore: Yuphie_96    31/10/2017    0 recensioni
Dal Prologo:
L’uomo annuì, accarezzando un attimo la fronte del fagottino, poi si voltò nella direzione da dov’era venuto e si mise a correre per raggiungere la sala operatoria.
“Ah figliolo! Un attimo solo!”
L’uomo si voltò verso il padre.
“Come si chiama?”
Chiese l’anziano.
L’uomo sorrise.
“Amèlie”
E riprese a correre.
“Amèlie eh…”
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio | Coppie: Roy/Ed
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolino della Robh: Kyahahahahah -risata da strega- Buon Halloween a tutti!
-risponde la bollicina di sodio con 'c'è nessuno?'-
Comunque, siamo al secondo capitolo vero e proprio, è un capitolo un pò confusionario, veloce, perchè è dal punto di vista di Amèlie e lei, in quel momento, è pieno panico per via di Ed, se ricordate la fine del capitolo scorso.
Orbene spero vi piaccia comunque ^^ e piccola noticina, per essere in linea con il tempo, mi sono informata e le cinture davvero non erano ancora inventate a quel tempo, per questo Amèlie si stupisce ;) .

Buona lettura <3.



Amèlie spalancò gli occhi, prendendo un grosso respiro fino a farsi bruciare i polmoni, come se fosse stata in apnea fino a quel momento. Si girò su un fianco, tossendo nel tentativo di ricominciare a respirare normalmente.
Passarono almeno una decina di minuti prima che riuscì a riprendere il controllo, calmando anche il battito cardiaco furioso, a quel punto si massaggiò le tempie ma una la trovò appiccicosa al tatto, se la portò davanti agli occhi e nel vedendola rossa sgranò gli occhi.
Una serie di ricordi le passò davanti nella mente.
Non riuscì a trattenersi e vomitò il succo che aveva bevuto a colazione insieme a succhi gastrici, riuscì a calmarsi solo dopo altri minuti, passandosi le maniche del maglione sulla bocca ma non facendo niente per le lacrime.

‘Piangere ti fa bene tesoro, quindi non trattenere le lacrime, sfogati pure’.

Le aveva detto una volta sua madre, quando aveva avuto la sua prima delusione amorosa.
Ripensando a quella sciocchezza di a malapena un mese prima soffocò un singhiozzo, aveva visto un pazzo sparare a suo nonno, uccidere un uomo e sparare alla schiena di Ed!
Lasciò andare anche un urlo, poi decise di prendere in mano la situazione.
La polizia.
Doveva assolutamente andare dalla polizia, doveva dire quello che era successo e soprattutto doveva chiamare un’ambulanza! Magari lo sparo alla schiena non era troppo grave, se si muoveva rapidamente, forse, era ancora in tempo.

Chiuse gli occhi, asciugandosi le lacrime con le mani.

Guardandosi intorno scoprì di essere in una specie di chiesa abbandonata, con i banchi di legno usurato dal tempo e le ragnatele quasi in ogni angolo. Alzandosi in piedi si tastò le tasche dei jeans, l’orologio del nonno lo aveva ancora e funzionava, costatò aprendolo, il portafogli aveva dentro ancora gli spiccioli che aveva messo la sera prima e i documenti, mentre il cellulare che aveva messo in tasca non appena Ed l’aveva messa in allarme era praticamente a pezzi. Decise di lasciarlo lì, tanto ormai non le serviva più a nulla e poi di certo nessuno sarebbe venuto a lamentarsi se ‘sporcava’ visto lo stato della chiesa. Lasciò lì, anche se a malincuore, anche il maglione, ormai sporco di vomito e residui di sangue e accennò qualche passo fuori.
Era in un vicolo.
Cosa buona, almeno per il momento, perché se la polizia l’avesse vista mezza ricoperta di sangue, di cui una buona parte non suo, anziché ascoltarla, l’avrebbero sicuramente messa dentro e allora non avrebbe davvero più potuto fare niente per suo nonno.
Superò la chiesa e s’infilò in un altro vicolo, alla ricerca di una fontanella con cui ripulirsi.
Purtroppo questo richiese un po’ di tempo, e dovette infiltrarsi sempre di più in quei vicoli che non sapeva dove portarono, ma l’importante è che alla fine l’ha trovata.
Si tolse anche la maglia a maniche lunghe, restando con quella a maniche corte, la bagnò e prese a pulirsi il viso dal sangue, stracciandola poi con un sasso appuntito cercato lì in giro e si fasciò la testa alla ben meglio.

Riprese poi la sua camminata, inoltrandosi per le strade, cercando quella principale.
Guardandosi intorno non riconosceva niente, non un edificio, non una strada, e dire che lei aveva camminato spesso anche nella periferia di Monaco per poter scattare le sue adorate fotografie.
Quel posto le era del tutto estraneo.
Pensava che suo nonno, buttandola in quella specie di porta che si era aperta sul cerchio dove quelle specie di manine l’avevano afferrata, fosse una specie di…teletrasporto? Una cosa del genere insomma.
Invece forse l’aveva mandata in un posto sconosciuto.
Poco le importava adesso, doveva trovare la strada principale e poi andare dalla polizia.

Pellegrinò ancora per del tempo che le sembrò interminabile, poi iniziò a sentire dei rumori.
Li seguì, cercando di orientarsi il meglio possibile e finalmente si trovò sulla principale.
Inarcò un sopracciglio, perplessa.
Davanti a lei si stavaglia uno spettacolo…preferì definirlo particolare.
Uomini, donne e bambini vestiti con abiti tipici dei primi anni del novecento, abiti che aveva visto solo nei suoi libri di storia e negli albi fotografici che gli regalava Ed o che si comprava ogni tanto in libreria.
Le macchine che passavano non erano da meno. E le case, e i negozi.
Tutto quanto!
Si guardò intorno, ora si che si sentiva fuori posto, altro che al liceo classico.
Cercò di ricomporsi, abbassandosi l’orlo della maglia e si avvicinò a uomo che stava uscendo da un bar.
“Mi…Mi scusi, signore, avrei bisogno di un favore”
Mormorò, attirando la sua attenzione prendendogli un pezzo di manica della giacca.
L’uomo si voltò verso di lei.
La squadrò per bene dalla testa ai piedi, guardando i suoi vestiti male, ma vedendo poi la fasciatura alla testa, i suoi occhi si addolcirono un poco.
“Vuole che le chiami un taxi per l’ospedale, signorina?”
“No io…non avrei comunque abbastanza soldi, grazie-“
“Oh allora l’accompagno io, non c’è problema”
Le sorrise.
“E’ davvero gentilissimo, ma io devo andare urgentemente alla polizia, la prego, mi può dire dov’è?”
Chiese Amèlie, con un sorriso titubante.
“La polizia?”
“Si, è davvero urgente, mio nonno è…è nei guai, devo chiamare aiuto prima che-“
“Ho capito, stia tranquilla, l’accompagno subito”
Le disse gentilmente l’uomo, posandole una mano sulla schiena, accompagnandola alla sua macchina poco distante.
Se prima aveva delle reticenze verso di lei per il suo vestiario, adesso era più tranquillo, capendo che non era una delinquente.
La fece sedere davanti insieme a lui.
“Scusi ma le cinture di sicurezza?”
Chiese Amèlie, guardandosi intorno.
“Cosa?”
Chiese l’uomo di rimando, mettendo in moto il veicolo.
“Le cinture di sicurezza, quelle si legano intorno alla vita e al busto per evitare di sbattere la testa negli incidenti”
Spiegò la castana, come se si trovasse di fronte a un bambino.
“Perdonami ma proprio non so di cosa stai parlando”
Rispose lui, rimanendo concentrato sulla strada.
“Andiamo bene”
Bisbigliò la ragazza a tono bassissimo per non farsi sentire, aggrappandosi con forza ai lati del sedile.
“Mi racconti cos’è successo a suo nonno, intanto”
Amèlie decise di mentire, era gentile nell’accompagnarla alla polizia ma era pur sempre uno sconosciuto, di una città sconosciuta, e non sapeva se era in contatto con Andrei o con altri tizi che potevano essere collegati al suo rapimento e quello di Ed.
Così gli raccontò che suo nonno soffriva di cuore, che gli era venuto un attacco e che era svenuto in casa quando aveva scoperto dei ladri in casa ma che aveva fatto in tempo a chiamarla al telefono per avvisarla e lei, nella fretta di uscire per chiamare aiuto, era ruzzolata giù dalle scale, ferendosi così alla tempia che aveva fasciato con del tessuto di fortuna.
Lo sconosciuto sembrò credere a quella storia assurda e accelerò quanto poté per poterla portare al più presto dalla polizia.
La castana gli fu molto riconoscente e, visto che mancava ancora un po’ e quella era l’ora di punta del mattino gli disse l’uomo, si mise a guardare fuori dal finestrino.

Avrebbe tanto voluto avere la sua macchina fotografica.
Quella città, o paese che fosse, era davvero bellissima ora che la poteva vedere scorrere davanti a lei. Abbassò il finestrino e mise il viso di fuori, come quando era bambina, e lasciò che il vento facesse muovere i suoi capelli castani, si accorse in quel momento di sentirli liberi da restrizioni, segno che anche il suo fermaglio adorato era andato come il cellulare e il maglione, s’intristì giusto un attimo visto che era uno dei pochi regali di sua nonna, la ex moglie di Ed, ma poi tornò a pensare a quest’ultimo e la tristezza sparì, doveva fare in fretta, non poteva assolutamente abbandonarlo perché lui non l’aveva mai fatto con lei.
Restò con il viso di fuori, per potersi rilassare con il vento tra i capelli, ma tenendo bene in mente qual era la sua situazione e l’obiettivo.

Dopo interminabili minuti passati nel traffico, fermi, nei quali Amèlie aveva tamburellato nervosamente le dita sulle gambe, il signore che stava guidando tirò fuori un sospiro di sollievo.
“Ci siamo quasi signorina, il quartier generale degli alchimisti è vicino ormai”
“Quartier…generale?”
Chiese Amèlie, sgranando un poco gli occhi, confusa.
“Scusi ma doveva portarmi dalla polizia”
“E’ quello che sto facendo, stia tranquilla, loro sapranno aiutare suo nonno”
“Speriamo”
Mormorò la castana, massaggiandosi la punta del naso.
Ed. Salvare Ed.
Questo era l’importante, quindi se quei tizi del quartier generale potevano aiutarla come la polizia, tanto meglio.
Svoltarono in un lungo viale circondato da una struttura, mentre al centro c’erano degli alberi che separavano le due corsie.
Amèlie sporse nuovamente la testa dal finestrino, impressionata da quel luogo, ora era convinta anche lei che quei tizi potevano aiutarla. Sbirciò quanto più poté dalla sua postazione della macchina per contemplare l’edificio, si accorse solo un paio di minuti dopo, quando ormai erano prossimi all’entrata principale, delle bandiere con sopra uno strano stemma.
“Si fermi!”
Urlò improvvisamente, poggiando le mani sul cruscotto.
L’uomo frenò bruscamente, facendoli quasi sbattere entrambi contro il finestrino, e si voltò sconvolto verso la ragazza.
“Cosa succede? Ma…signorina!”
Urlò lui.
Amèlie però era già corsa fuori dalla macchina e correva per arrivare davanti all’entrata, lì si fermò, raggiunta dall’uomo che l’aveva accompagnata e che voleva delle spiegazioni, non venendo però ascoltato quando iniziò a fare le domande.
La castana stava fissando lo stemma su quella grande bandiera verde dell’entrata.
Senza pensarci tirò fuori il suo orologio d’argento, il prezioso regalo di suo nonno.
Vi era inciso sopra lo stesso identico stemma.
“Ma! Ma lei è un’alchimista di stato! Poteva dirmelo prima!”
Urlò l’uomo esterrefatto.
“Alchimista…”

“Nonno ma tu hai mai partecipato a una guerra?”
Chiese una piccola Amèlie, arrampicandosi sulle gambe del parente.
Edward rise e si tirò la bambina sulle ginocchia.
“Fortunatamente io e lo zio Al siamo riusciti a evitarla, però ho fatto parte dell’esercito si”
“Davvero?”
Chiese la piccola, con gli occhietti illuminati, ora si che avrebbe fatto rodere quegli stupidi dei suoi amici.
“Certo, ero un maggiore sai!...Nella sezione degli alchimisti, usavamo l’alchimia”
Mormorò l’anziano, dando un bacio sulla fronte alla nipotina.
“Alchimisti…”
Bisbigliò Amèlie.


“Da quanto tempo esiste questo edificio? Cosa sono gli alchimisti? Dei militari?!”
“Signorina…se ha quell’orologio anche lei fa parte degli alchimisti di stato, dovrebbe saperlo”
“Mi risponda!”
Urlò Amèlie, voltandosi verso di lui, con l’orologio stretto in pugno.
“Si calmi adesso, si ricordi di suo nonno”
La fece ragionare l’uomo, poggiandole le mani sulle spalle.
“Mio nonno…giusto mio nonno, devo correre per mio nonno”
Bisbigliò la castana, rigirandosi verso l’entrata, ancora mezza intontita per quella scoperta, e iniziando a salire i gradini a due a due per poter arrivare in cima più velocemente, corse poi verso l’entrata, seguita sempre dall’uomo che le arrancava dietro.
Ma si bloccò di nuovo, stavolta per via di un’armatura che camminava verso di lei, appena uscita dall’edificio.
Dove diavolo era capitata?!
“Buongiorno”
Le disse pure l’armatura, cordialmente.
“Buon…giorno”
Mormorò lei scioccata.
“Al, con chi stai parlando?”
Domandò una voce dietro.
“Stavo solo salutando questa ragazza, sai…mi stava fissando fratellone”
“Perché quando passiamo, attiri sempre l’attenzione?”
“Non fare domande di cui sai già la risposta”
“…In effetti”
Fece guardando altrove, un ragazzo biondo, comparendo da dietro l’armatura.
“Oh, un bambino, ti sei perso? Dovresti tornare dentro per chiedere aiuto sai?”
Disse l’uomo facendosi avanti mentre la ragazza fissava la scena.
Una vena di rabbia comparì sulla tempia del biondino che si affrettò a prendere l’uomo per il colletto della giacca.
“CHI SAREBBE IL NANO COSì PICCOLO CHE NON SI RIESCE  A VEDERE perché PERSINO UN FUNGO è Più GRANDE DI LUI?! EH?! EH?!”
“Fratellone! Quel signore non ha detto nulla del genere!”
Urlò l’armatura, prendendo il ragazzo per la vita per poterlo allontanare dal povero malcapitato.
Il biondo sbuffò, lasciandolo andare, ma guardandolo comunque male.
L’uomo si girò, scandalizzato, verso la ragazza.
“Forse dovrebbe trovare qualcun altro che possa aiutare suo nonno…signorina? Signorina?”

Amèlie era persa nei ricordi.

Fratellone! Fratellone eccomi”
Mormorò un anziano, avvicinandosi a un altro che stava facendo dondolare una bambina sull’altalena.
“Eccoti qua, Al”
Sorrise Edward, fermando l’altalena, facendo storcere il nasino ad Amèlie.
“Guarda tesoro, questo è lo zio Al”
L’anziano appena arrivato le sorrise.


“Nonno ma perché ti arrabbi quando dicono che sei piccolo?”
Chiese Amèlie, prendendo in mano la sua tazza di succo.
“Perché non bisogna mai prendere in giro un uomo sulla sua statura, ricorda, gli ferisci l’orgoglio”
Gli rispose l’anziano, facendo ridere la nuora che servì in tavola la colazione.
“Ma io ti chiamo fagiolino e non ti arrabbi”
“Perché tu sei la mia fagiolina”


“Se sapevo che avresti fotografato solo me, non avrei insistito tanto su tuo padre per comprartela”
Mormorò stanco Edward, sulla sua carrozzina.
“Devo pur esercitarmi su qualcuno no?”
Rise Amèlie.
“E poi nonno, hai davvero degli occhi bellissimi”


Quegli occhi dorati che l’avevano guardata con amore un’infinità di volte adesso erano davanti a lei, uguali nella loro fiamma ardente ma diversi nell’età.
Eppure non poteva essere, l’ultima volta che li aveva visti quegli occhi stavano cercando di trasmettergli sicurezza e tranquillità nonostante la situazione in cui erano.
Su questo rifletteva Amèlie mentre i tre si erano avvicinati a lei.
“Ehi…tutto bene? Sei pallida”
Mormorò il biondo, mettendole la mano destra sulla spalla.
“Hai bisogno d’aiuto? Sono un alchimista di stato quindi potrei aiutarti”
“…me…”
“Eh?”
“Il tuo nome”
Il ragazzo sbattè gli occhi sorpreso.
“Edward Elric”
Rispose dopo qualche secondo di esitazione.
Amèlie il suolo mancarle sotto i piedi.
“Signorina!”
Urlò l’uomo che l’aveva accompagnata, mentre la castana cadeva nelle sue braccia svenuta.

   
 
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