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Autore: Shainareth    03/11/2017    3 recensioni
Le voci spaventate degli altri arrivavano ovattate alle sue orecchie, come se al momento lei stessa si trovasse in un’altra dimensione. Il fatto era che, presa com’era dal reprimere le proprie emozioni, Marinette non si era resa conto di essere sull’orlo di esplodere. Cosa che era effettivamente avvenuta quando Adrien aveva ammesso di essere innamorato di qualcuno. Di Ladybug. Di lei, quindi. Ma Adrien non lo sapeva. Né sapeva che lei sapeva. Che gran casino.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fiducia'
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CAPITOLO TERZO




Un passo indietro, parata. Un passo avanti, affondo.
   Il modo in cui Adrien stava affrontando quel giorno la lezione di scherma non era propriamente serio. Si limitava soltanto a muoversi in modo meccanico, seguendo le posture base che gli erano state spiegate durante i primi insegnamenti da monsieur D’Argencourt. Il fatto era che la sua mente continuava a vorticare attorno ad un unico pensiero: in che modo avrebbe potuto scoprire la vera identità di Ladybug? Oltretutto, dopo la chiacchierata fatta al parco con Marinette il giorno prima, Plagg si era preso il disturbo di fargli notare che, se solo ci avesse provato, sarebbe andato contro i desideri dell’amata – che invece voleva celare a tutti i costi il segreto persino a Chat Noir, il suo più fido alleato.
   «Ti ricordo che tempo fa avevi deciso di seguire il tuo cuore, rispettando così la sua volontà», gli aveva detto il piccolo kwami, fungendo almeno per una volta da grillo parlante. «Perché ora, di punto in bianco, hai deciso di cambiare idea? Solo per via di ciò che ti ha detto Marinette?»
   No, non era solo quello a farlo vacillare. C’era in ballo molto di più: il suo cuore, ovvero ciò che, paradossalmente, lo aveva sempre spinto a lasciare in pace Ladybug. Se lei lo avesse rifiutato, o se si fosse rivelata una persona che nella quotidianità non riusciva ad incontrare la sua simpatia, cos’avrebbe fatto, lui? Ne sarebbe uscito deluso, amareggiato, spezzato. Aveva bisogno di sapere, aveva bisogno di conferme.
   Ormai aveva deciso. La sua determinazione al riguardo si manifestò anche fisicamente, attraverso il duro affondo che inflisse all’avversario, colpendolo al fianco con il fioretto e facendogli persino perdere l’equilibrio in modo imbarazzante. Se ne rese conto solo quando lo sentì soffocare un’imprecazione. «Stai bene, Roland?» si affrettò allora a domandargli, sollevando la maschera da schermidore dal viso e tendendogli subito la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. «Mi dispiace, non credevo di averci messo tanta forza.»
   L’altro accettò di malavoglia il suo invito e tornò in piedi stringendo le labbra in una smorfia di disappunto. «Sì, beh, fa’ attenzione, la prossima volta», lo redarguì in tono infastidito. Roland era forse l’allievo più promettente di monsieur D’Agencourt, da sempre l’unico imbattuto negli scontri con i compagni; almeno fino a che Adrien Agreste non si era unito a loro. Non era la prima volta, quella, che lo metteva al tappeto, e per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, Roland non riusciva ad accettare l’idea di essergli inferiore.
   Poco meno di mezz’ora dopo, la lezione ebbe termine e lui tirò un vago sospiro di sollievo. Certo era ancora nervoso per non essere riuscito a recuperare il punto segnato dal suo avversario, ma quel pomeriggio aveva deciso di non pensarci: sapeva che all’uscita di scuola avrebbe trovato la sua migliore amica ad aspettarlo. Cécile gli piaceva da diverso tempo, ormai, e sebbene non si fosse ancora fatto avanti con lei, era tuttavia riuscito ad ottenere un incontro per quel pomeriggio. Forse sarebbe stata l’occasione adatta per dirle ciò che provava. Anzi, sicuramente lo avrebbe fatto e quel pensiero, unito alla convinzione che lei avrebbe accettato di essere la sua ragazza, lo riempirono di ottimismo e di orgoglio, facendogli persino dimenticare la personale umiliazione subita durante la lezione di scherma.
   Fu dunque con il sorriso sulle labbra che uscì dallo spogliatoio, orgoglioso di sfoggiare al braccio destro il polsino di pelle che l’amica gli aveva regalato due giorni prima, in occasione del suo compleanno. Si diresse verso l’uscita della scuola, bloccandosi però non appena il suo sguardo catturò una scena capace di paralizzarlo sul posto: Cécile, la sua amata Cécile, se ne stava avviticchiata al braccio di Adrien con espressione estasiata. Lo guardava come non aveva mai guardato nessun altro, in adorazione di quello che era l’idolo di molte adolescenti, immortalato da mesi sui cartelloni pubblicitari che tappezzavano la città o sulle copertine delle più importanti riviste di moda.
   «Non sai che sorpresa vederti qui!» stava cinguettando la ragazza, felice come se le avessero regalato un assegno a molti zeri. «Non avevo idea che il famoso Adrien Agreste frequentasse questa scuola e, per di più, le lezioni di scherma insieme al mio amico Roland!»
   «Ah…» balbettò Adrien, visibilmente a disagio per quella situazione a dir poco imbarazzante. Se anche si prestava volentieri agli obiettivi dei fotografi, non si poteva dire la medesima cosa riguardo alle sue ammiratrici. «Quindi… sei amica di Roland…»
   «Cécile!» esclamò quello, non tollerando di essere secondo al suo rivale di scherma anche in campo sentimentale.
   «Oh, eccoti!» rispose lei, scorgendolo poco più in là. «Roland, non mi avevi detto che conoscevi Adrien! Dal vivo è ancora più bello!»
   Il ragazzo serrò le mascelle, mentre avvertiva nitidamente la rabbia rimescolargli lo stomaco. «Lasciala andare!» ruggì in direzione di Adrien.
   Questi strabuzzò gli occhi. «Ti giuro che non sto facendo nulla, per trattenerla…» cercò di spiegargli, quasi implorando aiuto. «Anzi, dovrei anche tornare a casa, quindi se potessi aiutarmi…» aggiunse, cercando educatamente di staccarsi di dosso Cécile.
   «Oh, ti prego!» disse lei, facendo gli occhioni nella speranza di riuscire a far colpo. «Possiamo rivederci? Per favore!»
   Adrien abbozzò un sorriso di circostanza, senza tuttavia fare in tempo a rispondere che era meglio di no, quando un ringhio basso e cavernoso lo costrinse a riportare la sua attenzione su Roland. Non fu lui che vide, tuttavia, bensì una massa scura apparentemente informe che ben presto si dissolse per lasciar posto ad un essere del tutto diverso nell’aspetto e che lo fissava come se avesse voluto disintegrarlo.
   Scrollandosi di dosso Cécile, Adrien la spinse dietro di sé, al riparo da quello che aveva tutta l’aria di essere la nuova vittima di Papillon. «Va’ via, sbrigati!» gridò alla ragazza, che però sembrava rimanere paralizzata dalla paura.
   «Adrien!» urlò quello che fino a pochi istanti prima era stato Roland. «Ti distruggo!»
   Merda! Il giovane comprese dunque di essere il suo unico obiettivo, pertanto la sola cosa che gli rimaneva da fare per salvare il resto dei presenti era andarsene in fretta, attirando il mostro lontano da lì. Scattò di nuovo all’interno della scuola e si diresse spedito verso un posto appartato, facendo affidamento sulla propria agilità che, pur non incrementata dai superpoteri, era comunque al di sopra la media. Senza perdere tempo, e baciato per una volta dalla fortuna che gli fece trovare il bagno deserto, esclamò: «Plagg, trasformami!»
   «Adrien!» chiamava frattanto Roland, che lo aveva seguito fino al cortile interno della scuola con una certa difficoltà, vista la mole non indifferente del suo nuovo aspetto. «Vieni fuori, vigliacco!» Senza attendere risposta, agguantò una delle rampe di scale e la divelse dalla struttura in ferro. La sferzò a mezz’aria e la usò per colpire gli arredi più vicini, finendo per danneggiare anche una delle pareti dell’edificio e seminando il panico fra gli studenti che ancora si trovavano entro le mura scolastiche e che presero a urlare e scappare il più lontano possibile da lì.
   «Tu sei proprio fuori di testa, amico!»
   Roland alzò il capo e, dall’alto di un ballatoio, vide la figura nera di uno dei due eroi di Parigi. Chat Noir se ne stava in piedi, in precario equilibrio sulla ringhiera e lo fissava con aria di rimprovero. «Non sono qui per te!» gli fece sapere il mostro, deciso a non farsi distrarre. «Devo trovare Adrien e distruggerlo!»
   «Perché tanto astio nei suoi confronti?» domandò il giovane, incuriosito.
   «Quel maledetto damerino mi ha portato via tutto!»
   «Ma di che diavolo stai parlando?!» Sul serio, Adrien non aveva la minima idea di ciò che passasse per la mente di quel tipo: era arrabbiato con lui per essere stato troppo irruente durante gli allenamenti? Se così stavano le cose, di certo Roland non era un tipo molto sportivo.
   Qualcosa sembrò distrarlo dalla distruzione del cortile e dalla ricerca del suo rivale, come se si fosse messo in ascolto di qualcuno. Quindi, la sua attenzione fu di nuovo tutta per Chat Noir, mentre un ghigno poco incoraggiante andava disegnandosi sulle sue labbra. «Prima di trovare Adrien, allora…» riprese a parlare quasi fra sé, «spezzerò te, Chat Noir, e mi prenderò il miraculous del Gatto Nero.»
   «Fammi indovinare», sospirò l’altro, seccato, «sei in diretta mentale con quel simpaticone di Papillon.» Non ebbe quasi finito di dirlo che Roland lanciò verso di lui la scala malconcia e ammaccata che ancora aveva fra le grosse mani. Il ragazzo la evitò d’un soffio, balzando a terra e schivando subito un altro colpo. Rotolò sul fianco e si preparò ad usare il bastone, ma fu costretto ad arretrare davanti ad un nuovo attacco, poiché ora il mostro si era munito di un’altra scalinata, ingegnandosi ad adoperarla come una grossa mazza. Un secondo affondo fece volare per aria l’arma di Chat Noir, che si arrese a ripiegare per non essere schiacciato come un verme. Recuperò il bastone in tutta fretta e lo allungò, usandolo come trampolino per risalire le pareti della scuola e fuggire via di lì: Roland ci avrebbe messo molto più tempo ad uscire e lui avrebbe avuto modo di riprendere fiato e, soprattutto, di pensare ad un piano che lo aiutasse a renderlo inoffensivo nell’attesa che la sua collega intervenisse e mettesse fine a quell’assurda, quanto pericolosa, situazione. Ma quanto ci avrebbe messo, Ladybug, a raggiungerlo? Fu pensando a questo che, notando una finestra spalancata in uno dei palazzi nei pressi dell’istituto scolastico, Chat Noir decise di riprendere fiato.
   Non poteva saperlo, chiaramente, ma al momento l’altra eroina di Parigi era impegnata in qualcosa di altrettanto ostico: la matematica. In vista del compito in classe che avrebbero dovuto svolgere il giorno successivo, non appena era tornata a casa, Marinette si era chiusa in camera sua con l’unico intento di concentrarsi sugli ultimi argomenti trattati in classe. Si era perciò messa d’impegno e aveva lavorato sodo per due ore di fila, senza neanche concedersi il lusso di una pausa. Quando però aveva iniziato a vedere numeri doppi, anche sotto consiglio di Tikki, aveva deciso di staccare gli occhi dai libri e di scendere di sotto, per cambiare aria. Aveva bisogno di rilassarsi, perciò quale modo migliore per farlo se non dedicarsi alla sua più grande passione? Si era dunque munita di macchina da cucire, schizzi, scampoli, spilli, aghi e filo, e si era trasferita nella zona soggiorno, portandosi però dietro il libro di matematica per una questione di coscienza: non doveva dimenticare di riprendere a studiare per il compito in classe.
   Fu proprio a causa del rumore della macchina da cucire che non si accorse del putiferio che stava avvenendo a pochi metri da casa, pertanto stava continuando a lavorare in tutta tranquillità quando un’ombra scura fece irruzione dalla finestra, facendola sobbalzare con un urlo strozzato e ribaltarsi all’indietro con la sedia. Tikki, che invece aveva capito all’istante ciò che stava accadendo, si precipitò a nascondersi fra gli scampoli che la sua amica aveva lasciato ammucchiati sul tavolo.
   «Che botta…» borbottarono due voci contemporaneamente.
   La prima a reagire, comunque, fu Marinette che, preso coraggio, si alzò subito in piedi e si armò di libro di matematica, avvicinandosi cautamente alle spalle del divano, dietro al quale sbucavano due scarponcini neri. Quando il suo sguardo oltrepassò lo schienale, vide infine Chat Noir, accartocciato su se stesso a testa in giù dopo essere planato dentro casa. «E tu che diavolo ci fai, qui?» domandò la ragazza, più curiosa che stupita della sua presenza.
   Il giovane si voltò nella sua direzione. «Oh, sei tu…»
   «Sai com’è, è casa mia…»
   «Scusa, cercavo un posto in cui riparare per riprendere fiato», spiegò, riacquistando una posizione decisamente più dignitosa. Fu allora che si accorse di ciò che lei teneva minacciosamente fra le mani e, alzandosi in piedi, sorrise divertito. «Capisco che la matematica possa essere considerata un mattone, ma da qui ad usarla come arma impropria…»
   Marinette nascose il libro dietro la schiena con un risolino nervoso, prima di lasciarlo cadere furtivamente sul divano. «È successo qualcosa?» domandò, sviando il discorso.
   «Mi piacerebbe risponderti che sono qui per una visita di cortesia, ma… cavolo, non hai sentito tutto il fracasso che c’è stato a scuola?» replicò Chat Noir, fortemente meravigliato.
   Lei batté le palpebre, come fosse appena caduta dalle nuvole. «No… ero… stavo cucendo e il rumore della macchina deve aver coperto gli altri…»
   «Un ragazzo del corso di scherma è stato akumizzato alla fine della lezione», spiegò allora l’altro, volgendo lo sguardo al di là della finestra, dalla quale si scorgeva l’edificio scolastico.
   Marinette soffocò un’esclamazione di terrore. «Al corso di scherma?! È quello che frequenta Adrien! Gli è successo qualcosa?!» iniziò, afferrando Chat Noir per le braccia e manifestando in quel modo tutta la propria preoccupazione.
   «N-No, no! Sta’ tranquilla!» cercò subito di calmarla il giovane, stupito e in parte persino lusingato dal fatto che Marinette tenesse tanto a lui. «Adrien sta bene, davvero. L’ho già condotto in un posto sicuro.» Rincuorata dalle sue parole, la ragazza parve calmarsi almeno in parte e lo lasciò andare, benché il suo cuore continuasse a battere con prepotenza e i suoi grandi occhi azzurri fossero ancora lucidi. Cercando di tirarle su il morale e di smorzare la tensione, Chat Noir sorrise e si puntò il pollice al petto per aggiungere spavaldo: «E non preoccuparti per la tua incolumità: ci sono io a proteggerti.»
   «Perché?» chiese Marinette, del tutto insensibile al suo fascino. «L’akumizzato ce l’ha con me?»
   «Eh?» balbettò l’eroe, preso in contropiede. «Perché dovrebbe?»
   «Non lo so, da quello che dicevi pensavo… Ma neanche lo conosco.»
   «Appunto. E poi sei adorabile, chi mai potrebbe avercela con te?»
   Cavolo, lo aveva fatto di nuovo. Aveva flirtato con lei senza neanche accorgersene. La cosa peggiore, però, era che Adrien pensava realmente ciò che aveva appena detto. Marinette gli piaceva, era una cara amica; eppure, per una qualche oscura ragione, quando era sincero al riguardo, leggeva sempre un che di sospetto nello sguardo della ragazza, come se ci fosse una nota stonata. Come ora, per esempio, che lo guardava perplessa e sembrava quasi tentata di prendere di nuovo in mano il libro lasciato sul divano.
   Chat Noir cercò di recuperare con uno dei suoi sorrisi smaglianti – che Marinette avrebbe piuttosto definito da schiaffi. «Ad ogni modo, non succederà niente a nessuno, te lo prometto.» Lei lo fissò da sotto in su, trovando i suoi occhi felini più che sinceri, nonostante le sue arie da spaccone. Annuì, decidendo come sempre di dargli tutta la sua fiducia. Un frastuono proveniente al di là della strada li distolse dalla loro conversazione e Chat Noir si avvicinò alla finestra: Roland era riuscito ad abbattere parte del muro esterno dell’edificio scolastico e ora si stava avvicinando alla strada. «Scusami, c’è un cattivone da sistemare. Alla prossima!» salutò, balzando fuori senza lasciarle il tempo di rispondere.
   Marinette seguì i suoi volteggi per aria fino a che la vista glielo consentì, mentre il suo piccolo kwami, rimasto nascosto per tutto il tempo, le si affiancava. Le due si scambiarono un rapido sguardo e decisero di prendere in mano la situazione. «Tikki, trasformami!»
   Anche di sotto, intanto, alla panetteria Dupain-Cheng si erano accorti che uno dei mostri di Papillon era comparso dal nulla, proprio dall’altro lato della strada. Approfittando del fatto che l’ultimo cliente era appena uscito dal negozio, Tom corse a chiudere la porta d’ingresso, mentre Sabine saliva in tutta fretta le scale che portavano al piano superiore. «Marinette!» chiamò a gran voce, temendo per l’incolumità di sua figlia. Non vedendola in soggiorno, nonostante lì vi fosse buona parte del suo materiale da cucito, la donna si diresse con fare spedito verso la camera della ragazza, trovandola vuota. Il suo cuore mancò un battito. «Tom!» gridò, cedendo comprensibilmente il passo all’ansia. «Marinette non c’è!»
   Di fatto, imitando il suo collega dalle morbide orecchie a punta, Marinette aveva appena preso il volo dalla finestra del soggiorno e con l’ausilio del suo yo-yo aveva raggiunto il luogo dello scontro in batter di ciglio. «Ladybug!» esclamò felice Chat Noir quando lei gli si affiancò, dopo essere riuscita momentaneamente a legare Roland come un salsicciotto con il filo indistruttibile della sua arma. «Ti aspettavo con ansia.»
   «Scusa il ritardo, ma, come ben sai, le star si fanno sempre attendere.»
   «Credevo che il ruolo di primadonna, fra noi due, spettasse a me.»
   Ladybug rise. «Perdonami, non volevo rubarti la scena.»
   Lui la divorò con lo sguardo, estasiato dal suono della sua risata. «Puoi rubarmi quello che vuoi, my lady, tanto più che il mio cuore è già tuo.» Come al solito, la ragazza gli sorrise senza tuttavia prenderlo sul serio e lui non poté fare a meno di chiedersi se un giorno sarebbe finalmente riuscito a convincerla che i suoi sentimenti per lei erano autentici. Sperò che accadesse al più presto, anche perché moriva davvero dalla voglia di guardare il viso che si nascondeva dietro quella dannata maschera da supereroina.
   Il verso cavernoso del mostro lo riscosse da quei pensieri. «Non sono ancora riuscito a capire dove si nasconde l’akuma», disse allora, informando la propria collega di ciò che sapeva della vittima di Papillon. «Si tratta di un ragazzo del corso di scherma, è stato ridotto così a causa di un… ehm… sinceramente non l’ho ben capito», ammise, arrovellandosi il cervello. Poteva anche ritenere plausibile l’irritazione di Roland nei suoi confronti dopo che lui lo aveva messo al tappeto durante l’allenamento con il fioretto, ma quell’ipotesi non reggeva: non era la prima volta che aveva la meglio su di lui in uno scontro diretto e, oltretutto, Adrien era convinto che se fosse stato davvero quello, il motivo, il suo compagno avrebbe subito una trasformazione poco dopo la sconfitta. Invece era passato diverso tempo da quando era successo, e questo poteva significare soltanto che Roland se l’era presa con lui per qualcosa che era avvenuta dopo. Sì, ma cosa?
   Ripercorrendo a ritroso gli avvenimenti dell’ultima ora, Chat Noir si ricordò di Cécile, l’amica di Roland. Quest’ultimo non gli aveva forse intimato di starle alla larga?
   «È geloso?» domandò a se stesso l’eroe, in tono stupito.
   Ladybug lo fissò con la coda dell’occhio, ancora impegnata nel tentativo di tenere bloccato il mostro. «Cosa?»
   «Ah…» balbettò l’altro. «Credo che si sia trattato di un equivoco», prese a spiegarle allora, un po’ timoroso che lei potesse fraintendere la situazione e vedere Adrien – e quindi lui stesso – sotto una luce diversa. «Se non ho capito male, Roland è innamorato di una sua amica, ma…»
   «Ho capito, ha subito una delusione amorosa», concluse Ladybug, afferrando subito la situazione. Chat Noir gliene fu grato, poiché in quel modo gli evitava di scendere in particolari che avrebbero fatto venire a galla il nome di Adrien. Non gli fu concesso di tirare il fiato a lungo, però, perché la ragazza notò qualcosa capace di allarmarla non poco: se pure la maggior parte degli studenti e degli adulti che si erano trovati all’interno o nei pressi dell’edificio scolastico si era ormai allontanata e messa al riparo dalla furia del mostro, l’automobile della famiglia Agreste si trovava ancora lì, parcheggiata davanti alla scalinata d’ingresso nonostante Nathalie e la guardia del corpo di Adrien fossero fuggiti da un pezzo a piedi.
   «Adrien!» gridò la ragazza, lasciando andare istintivamente Roland e precipitandosi verso l’autovettura, ormai in preda al panico.
   «No!» urlò Chat Noir, riuscendo ad intercettarla prima che lei perdesse di vista l’obiettivo principale. «Ladybug, calmati!» la richiamò all’ordine, tenendola ben salda per un braccio e tentando di tirarla verso di sé. «Adrien sta bene!»
   Sì, glielo aveva detto anche prima, ma il cuore di Marinette tremava al pensiero di perdere l’amato e pertanto lei non riusciva a dominare le emozioni come invece avrebbe dovuto. Chat Noir aveva ragione, doveva cercare di calmarsi e di pensare anzitutto a risolvere la situazione che metteva in pericolo non soltanto Adrien, ma l’intera Parigi.
   Dal canto suo, invece, Chat Noir si domandava per quale dannata ragione tutte si preoccupassero anzitutto per lui, scattando come schegge impazzite non appena avevano il sospetto che Adrien fosse in pericolo. Era lusinghiero, certo, ma la cosa lo lasciava comunque spiazzato. Era dovuto al fatto che fosse un modello famoso?
   E mentre entrambi erano impegnati nelle proprie personali elucubrazioni mentali, acute o meno che fossero, Roland ne aveva approfittato per sradicare un grosso albero nelle vicinanze e, lanciando un nuovo grido inferocito, lo scagliò nella loro direzione, travolgendoli in pieno.












Lo so che avevo detto che avrei aggiornato domenica, ma siccome non sono più tanto certa di poterlo fare, e avendo oggi più tempo libero a disposizione, ho preferito postare adesso il terzo capitolo. In caso, domenica avrete il quarto (ma non prometto nulla, forse se ne parlerà lunedì).
Premetto che non sono brava con le scene d'azione, pertanto vi chiedo di essere magnanimi/e con il presente capitolo e anche con il prossimo (e ce ne sarà un altro più in là incentrato su una battaglia, lo dico perché preferisco mettere le mani avanti), ma siate comunque sinceri/e. Quanto al resto, spero di essermi avvicinata almeno un po' alla caratterizzazione di Chat Noir, sia nella scena con Marinette sia in quella con Ladybug. Sappiatemi dire e non preoccupatevi di tirarmi le orecchie in caso io abbia sbagliato qualcosa.
E per il momento è tutto. Grazie ancora a chi recensisce e a chi ha aggiunto la presente fanfiction fra le storie preferite/ricordate/seguite... siete già in tanti, vi adoro! ♥
A prestissimo, spero!
Shainareth





  
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