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Autore: Urban BlackWolf    03/11/2017    5 recensioni
Inesorabilmente trascorse settimane da quella giornata di fine giugno, di Haruka e Michiru non si hanno più notizie. Le hanno cercate ovunque, interminabili ore passate tra le sponde di quel corso d'acqua quasi irriconoscibile, ma di loro non c’è più alcuna traccia.
Ma quando la speranza sembra ormai stata vinta dalla rassegnazione, un giovane dalla zazzera dorata e gli occhi verdi come i prati delle montagne ai quali appartiene, comparirà al servizio di una delle famiglie più in vista di Berna deciso a scoprire cosa realmente sia accaduto dopo quella maledetta sera.
-Sequel de: le trincee dei nostri cuori-
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Makoto/Morea, Michiru/Milena, Minako/Marta, Setsuna/Sidia | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

La fine della mia ricerca

 

 

Nydeggasse Strasse, centro storico di Berna.

Svizzera settentrionale

 

Serrando i denti dal dolore, Giovanna fulminò la sorella reprimendo l’impulso di contraccambiare l’ennesimo calcio datole sotto il tavolino deliziosamente apparecchiato del caffè dov’erano state invitate dalla signorina Clementine Rostervart. Mai possibile che non potesse neanche alzare lo sguardo per guardarsi un poco intorno? Era tutto troppo bello e nuovo per lei che, curiosa com’era, avrebbe voluto andarsene in giro a far scoperte, invece di star ferma a farsi venire uno stinco bluastro per colpa di quelle pinne che Haruka aveva il coraggio di chiamare piedi. Sospirando tornò a piantare gli occhi sulle pieghe della sua gonna pantalone non badando alla tazza fumante di te che un cameriere le aveva appena messo davanti, sbirciando di tanto in tanto gli arabeschi con foglie d’Acanto disegnate ai lati dei grandi specchi alle pareti e i vetri delle lampadine accese della famosa luce elettrica che tanto si decantava ultimamente.

Haruka invece sembrava stranamente a suo agio e nella fattispecie appariva incredibilmente cordiale ed alla mano in presenza di quella signora alta e robusta, dallo sguardo severo e dal vestiario impeccabilmente sobrio che ora le stava davanti. Anzi, da come si comportava sembrava si conoscessero da sempre, cosa oltremodo stridente visto il carattere introverso proprio di quell’orso alpino biondo. In più quella donna, che Giovanna aveva intuito essere a servizio dei Kaiou, conosceva il segreto che quell’affascinante giovanotto nascondeva sotto le fasce strette al petto e questo aumentava a dismisura l’irrequietezza della maggiore.

“Dunque Haruka, credo sia il caso che mi presentiate alla vostra accompagnatrice, che vista la somiglianza credo sia una vostra parente. Non è così?” Disse la donna scrutando Giovanna, che pur non essendo bella come la sorella aveva immancabilmente le stesse espressioni facciali, gli stessi atteggiamenti e la stessa corporatura, anche se molto più minuta.

“Si signorina Rostervart. Questa ragazza è mia sorella maggiore Giovanna. Mi sta accompagnando da quando ho fatto scalo a Bellinzona. Anche lei ha conosciuto Michiru, ricordate?”

L’altra sembrò pensarci su poi sorridendo scosse la testa affermativamente. “Certo. Il materiale tecnico per le ragazze.” E Giovanna sgranò su di lei occhi misti di stupore e vergogna.

“Haruka cosa avresti detto alla signorina?”

“Tutto. Lei è la responsabile del personale di casa Kaiou ed in pratica ha cresciuto Michiru e la conosce meglio di chiunque altro. Quando mi ha smascherata… - Abbassò per un attimo lo sguardo piegando all’insù gli angoli della bocca - ... le ho raccontato tutto del viaggio, incluso il tuo furto in caserma.”

Bene. Bel modo di essere presentata. Pur se guidata da una necessità, Giò non andava certo fiera di quel che aveva fatto.

“Che meraviglia.” Soffiò immediatamente ripresa dalla governante.

“Non preoccupatevi signorina Tenou, non sta certo a me giudicare. In fin dei conti senza la vostra decisione, il gruppo del Collegio di San Giovanni non avrebbe mai potuto valicare parte della Alpi.”

L’altra alzò le sopracciglia continuando a provare una vergogna infinita.

“Ma ditemi Haruka, perché siete tornata a Berna? Avete delle novità sulla nostra Michiru?” Chiese la governante serrando le mani alla tazzina di porcellana floreale che conteneva il suo tè.

“Per prima cosa guardate qui signorina. Giovanna è riuscita a ritrovarlo nell’ultimo albergo dove sostò Michiru prima di riunirsi al gruppo.” Alzando la custodia del violino sempre rimasta incollata alla gamba della sorella, la bionda la porse alla donna dopo averla aperta.

Riconosciuto immediatamente il violino che per anni Michiru aveva suonato ogni giorno allietando le ore serali di casa Kaiou, Clementine sfiorò con i polpastrelli la lacca de suo legno.

“Mio Dio… Michiru.”

Michiru prendete l’ombrello, sta per piovere! Ricordò. Quante volte era stata costretta a rincorrere in strada quella benedetta ragazza mentre, noncurante del clima, si recava giornalmente al Conservatorio stringendo nelle mani quella custodia dal contenuto per lei tanto prezioso.

“Ditemi Haruka… ditemi che avete delle novità.” Chiese con il timbro della voce velato d’apprensione.

“Si signorina. E’ sopravvissuta al crollo della diga! E' stata tratta in salvo ed affidata ad una squadra medica proveniente proprio da Berna. Il signor Kaiou non è riuscito ad avere informazioni solo perché è stata registrata con un altro nome.”

“Mi state dicendo che allora è viva! Ma perché non è tornata a casa!?”

La bionda respirò profondamente. “E’ proprio questo che mi da da pensare. Quasi sicuramente è stata ricoverata in una delle strutture ospedaliere di riabilitazione di questo Cantone, ma…” Lasciando morire la frase, continuarono a guardarsi intuendo l’una i pensieri dell’altra.

“Capisco.” Disse Clementine dopo un po’ richiudendo lentamente la custodia.

“Quando ci avete viste, Giovanna stava per consegnare una missiva per il signor Viktor dove, per larghi tratti, lo mettevo al corrente sulle mie scoperte. Sono stata volutamente vaga, perché finché non avrò la matematica certezza della sorte di Michiru, non voglio che lui e la signora si facciano delle illusioni.”

“Haruka, in tempi non sospetti vi diedi già la mia riconoscenza. Ora non posso che rinnovarvi il mio grazie. La lealtà che state dimostrando per la famiglia Kaiou non ha prezzo.”

Giovanna colse affetto in quelle parole. Evidentemente la signorina Clementine era riuscita a vedere nella sorella quell’enorme bellezza che andava ben oltre il mero aspetto fisico e che non tutti riuscivano ad afferrare; come la dolcezza, la comprensione o la lealtà.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 25/9/1915

 

Il musetto impertinente di Sigmund fece capolino da dietro una siepe di Bosso, seguito a ruota da quello di Minako ed infine da un Wolfang ritornato bambino, che accovacciato alle bene e meglio tra terra ed erba, stava provando a nascondere da più di cinque minuti la sua mole dietro le piccole foglie del sempreverde. La loro missione; importantissima. La loro priorità; l’identificazione e la cattura del famigerato ladro della mensa.

Ma da qualche giorno, ovvero dall’aggressione subita da Setsuna e Sigi nel folto del parco, la mano lesta non si era più palesata, anzi, gli unici due individui che per stazza e colore di capelli potevano ricondurre a lui, non si erano più presentati al lavoro, alimentando di fatto i sospetti dell’accresciuta squadra di detective. Dopo il suo proverbiale salvataggio, c'era voluto ben poco perché anche il reduce si unisse a loro, seguito poi a ruota dalla sorella ed ora, forti di ben cinque elementi ed una superiorità numerica schiacciante, l’identificazione dell’uomo con il mento graffiato non avrebbe dovuto piu' rappresentare un problema. Condizionale d’obbligo visto la latitanza lavorativa che avevano dimostrato i due osservati speciali.

“Ma voi li vedete?” Chiese Minako cercando di non impigliarsi i capelli tra i rametti nodosi delle piante.

“No. Questa mattina ho chiesto ad un’infermiera, la quale mi ha detto che sono indisposti.” Rispose il fratello cercando di non sbilanciare il peso del corpo sulla protesi.

“Indisposti un accidente! Uno dei due è sicuramente quel ladro. Vedrete che finché il graffio non sarà guarito non si presenterà più.” Aggiunse lei intimamente eccitata per la nascita di quella piccola banda improvvisata. Le sembrava di essere tornata con le sue amiche a passare libera le ore all’aperto ritagliate nella vita del collegio, quando Mako, Rei e Usagi studiavano ancora con lei al San Giovanni.

“Non gli passerà tanto facilmente Mina, questo è poco ma sicuro. Non ho le unghie di una donna, ma sono andato abbastanza in profondità, te lo assicuro.” Disse fieramente Sigi.

Così tornarono ad osservare lo scarico delle derrate alimentari che alcuni inservienti stavano facendo tra la porta del magazzino ed una camionetta di servizio.

Intanto poco distanti, ignare della spedizione, Setsuna e Michiru stavano amabilmente camminando rilassandosi tra i viottoli di selce che si aprivano nel parco. Il medico aveva detto alla ragazza di dover verificare le condizioni di un paziente per conto del Professor Grafft e le aveva chiesto d'accompagnarla approfittandone per riattivare la circolazione dopo la seconda seduta ipnotica.

Era bastato poco, veramente molto poco, perché Michiru arrivasse ad istaurare con il suo medico un rapporto di fiducia prima di allora inimmaginabile. Quella tecnica di stimolazione del subconscio aveva avuto il potere di avvicinare una titubante e chiusa Kaiou, molto più di quanto Setsuna stessa non avrebbe mai creduto, ed ora si ritrovava per le mani un diamante ricco d'inaspettate sfaccettature. Il fatto che Michiru ricordasse Haruka in alcune caratteristiche fisiche, ma che nonostante la guida sotto ipnosi, non fosse ancora riuscita ad identificarla come una donna, come colei che le aveva fatto battere all’impazzata un cuore ora ferito dalla perdita, rendeva il suo emisfero emotivo ancora più delicato del previsto e questo, se da una parte stimolava una Meiou sempre pronta ad ogni sfida, dall’altra la impensieriva. Sarebbe infatti giunto il momento nel quale Michiru avrebbe dato a quei capelli, a quelle spalle e a quella voce, un volto ed un nome e quel giorno, la verità scioccante dello scoprirsi come una donna dalle tendenze non convenzionali avrebbe potuto provocare in lei uno scossone.

“Non volete proprio dirmi nulla sulla seduta di questa mattina?” Delusa Michiru tornò a guardarla spalancando due occhi pervasi di pietismo adolescenziale.

“Non insistete Milena. Ve l’ho già detto… Non posso intervenire forzando il ritmo scelto dalla vostra mente per ricordare.”

“Lo so, ma sento di essere veramente ad un passo dal riappropriarmi del mio io. Il mio nome, il mio vero nome, è come se lo sentissi premuto sulla punta della lingua, ma non riuscissi a farlo uscire. E’ una cosa frustrante, ve lo assicuro.”

“Si, immagino lo sia, ma non per questo dovete scoraggiarvi.” Afferrandole l’avambraccio, il medico se lo mise sotto il proprio come se l’altra fosse stata una vecchia amica. Non l'era mai accaduto di provare tanto stimolo nei riguardi di un paziente.

Michiru era caratterialmente molto simile a lei, anche se la sua indole era apparentemente più calma e posata, mentre la sua più curiosa e disciplinata, ma sotto sotto erano estremamente compatibili, dagli interessi quali la letteratura, la musica e l’arte, all’approcciarsi con le altre persone, al cercare di riflettere prima di agire. In un certo senso e contro ogni logica istaurata e non scritta nel rapporto medico-paziente, Setsuna aveva preso a sperare già da un po’ di tempo di poter fare amicizia con la bernese e se si era scoperta fredda ed autoritaria con Milena Buonfronte, di contrappasso sentiva una forte attrattiva per la dolcezza e la visione della vita che a tratti stavano riemergendo di Michiru Kaiou.

Accettando quel contatto amichevole ed estremamente informale l’altra tornò a camminare lentamente puntando lo sguardo ai ciuffi verdi che ancora spuntavano ostinatamente tra le pietre del selciato. Sospirando e prendendo a mordersi il labbro inferiore con gli incisivi superiori Michiru sembrò incupirsi all'improvviso. Al medico non sfuggì.

“Perché ho come l’impressione che vogliate chiedermi qualcosa di diverso rispetto agli argomenti trattati durante le nostre sedute?”

Leggermente stupita Michiru la guardò per un attimo tornando poi a piegare il collo in avanti provando vergogna. La dottoressa Meiou conosceva molto di lei, ma anche lei aveva preso ad indagare sull’altra. Setsuna aveva avuto la fortuna di lavorare con il grande Sigmund Freud e non si poteva non conoscere, anche solo per sentito dire, il padre della psicoanalisi e la sua teoria sulla sessualità.

Da quando pochi giorni addietro Michiru aveva iniziato a fare sogni notturni estremamente espliciti riguardanti sfere carnali che di norma non erano propri di una ragazza a modo, si era domandata se avesse dovuto condividerli con l'altra donna o far finta di nulla e tenerseli per se. Era scioccante ritrovarsi tutto d’un tratto a doversi confrontare con scene e sensazioni tattili che lei per prima non sapeva se considerare come ricordi, desideri, invenzioni morbose o tutte e tre queste cose fuse nella libido della propria sopita perversione. Voleva capire e chi meglio di un’allieva di Freud poteva aiutarla? Non sapendo però come affrontare il discorso, provò prendendolo ingenuamente alla lontana.

“Dottoressa... cosa ne pensate delle idee del Professor Freud sulle… - schiarendosi la voce cercò di mantenere un tono asettico - ... pulsioni inconsce?”

“Come?”

“Sss si. Ho letto alcune cose al riguardo… in biblioteca… qualche giorno fa.” Non avendo assolutamente il coraggio di raccontare i suoi sogni erotici a quella donna, aveva cercato di documentarsi da sola confondendosi le idee ancora di più.

“Intendete dire le pulsioni sessuali.” Colpita, affondata e scoppio improvviso d’ilarità.

“Il mio Professor è un uomo straordinario, ma credo si sia fossilizzato un po’ troppo sull’argomento.”

“Cosa intendete dire?”

“Intendo dire che ad oggi, per lui, la sola pulsione inconscia che guida noi esseri umani nella vita, sia quella sessuale. E’ da sempre convinto che dentro ogni persona bruci un’energia riconducibile alla libido e che questa raggiunga il picco massimo sul confine della vita notturna. Ovvero nel sonno.”

Deglutendo Michiru sperò di non essersi colorita le guance.

“Da cosa dipende tanta curiosità? E’ forse riconducibile ai sogni che mi avete accennato di aver avuto e che a questo punto devo supporre siano stati molto più… interessanti di quello che mi avete fatto credere?”

Mordendosi la lingua, Kaiou capì troppo tardi di essersi chiusa la gabbia dietro le spalle. Tanto valeva vuotare il sacco. In fin dei conti quel medico sapeva di lei cose che lei stessa ancora ignorava.

“Diciamo ... Diciamo di si.”

“Mmm… E ditemi Milena, in questi vostri sogni ritroviamo sempre il solito soggetto?” Chiese e l’altra avvampò come conseguenza di una nota maliziosa assolutamente poco professionale.

“Mi giudicherete una donna licenziosa, ma non sogno certo con coscienza. Credo sia stato l’oppio a farmi…” Ma tacque vinta dalle sue stesse parole.

Setsuna sorrise provando quasi tenerezza. Certo che non era colpa sua e comunque non poteva dirsi una colpa ritrovarsi a sognare inaspettate libertà che altrimenti si era solite reprimere per coscienza o buona educazione. Quello che però la stessa Michiru non poteva ancora sapere, era che il soggetto di tali desideri era di fatto una bella donna bionda.

“Voi per prima sapete che l’oppio che ho dovuto somministrarvi per lenire il dolore alla testa, non ha questo potere.”

“Dunque…”

“Nulla Milena. Sono solo sogni… state tranquilla, ed in più non sta a me giudicarvi. Sono però sicura che quando inizierete a ricordare, questi saranno più comprensibili e tutto vi apparirà più chiaro.” Disse sbilanciandosi.

“Credete? Io non riesco a capirne il senso. Se sono stata innamorata di una persona, perché allora non ricordarla invece che avvertire solo sensazioni tattili ed immagini confuse?!”

La dottoressa tirò leggermente su le spalle, affermando che la mente umana è talmente complicata e gli studi intrapresi su di essa ancora elementari, che non avrebbe dovuto stupirsi. In tutta franchezza la motivazione di quel black out poteva essere, anzi per Setsuna era, la negazione della morte di Haruka.

Invase da un sole tiepido continuarono a camminare staccando il contatto. La donna più grande ammise a se stessa che il caso di Michiru avrebbe senza ombra di dubbio affascinato il suo Professor, ancora intento a studiare l’omosessualità.

Così arrivarono al blocco maschile delle camerate mentre alcuni dei bambini, ai quale Kaiou insegnava i rudimenti del disegno, correvano loro incontro. Rose, la più piccola e leziosa di tutti, le arpiono' l'orlo della gonna salutandola con il solito entusiasmo.

“Mamma Milena buongiorno!”

“Buongiorno a te mio tesoro. Come sta il papà?” Chiese lei accarezzandole la guancia.

“Sempre uguale…” Rispose guardando poi Setsuna dal basso verso l’alto stringendosi un poco alla stoffa.

Alta, capelli corvini lunghissimi fermi in una bassa coda di cavallo da un fermaglio d’osso lavorato, occhi castani al limite del rosso, camice bianchissimo e stetoscopio al collo. A quella bambina la dottoressa Meiou metteva da sempre una gran paura.

“Rose, perché tu e gli altri non andate ad aspettare la signorina Milena al parco mentre io le mostro una cosa?”

Titubante la bambina guardò alternativamente le due per poi sorridere staccarsi finalmente dalle gambe di Kaiou e correre via guidando gli altri.

“Mostrarmi una cosa? Credevo doveste fare una visita?"

“Non datevi pensiero, le altre cose possono aspettare. Adesso vorrei portarvi nella sala accoglienza. So che non ci siete mai stata.”

Incuriosita la ragazza la seguì lungo il corridoio voltato che dall’entrata del piano terra portava alla grande sala dove i pazienti erano soliti passare le ore di svago con visitatori e parenti che vivevano nella foresteria. Il ritmico cadenzare dei tacchi di Setsuna si unì ben presto alle note di uno strumento a corda che stavano propagandosi tra gli ambienti asettici delle scale e dei vari uffici. Aggrottando la fronte, Michiru iniziò a rallentare fino a fermarsi del tutto proprio in prossimità della porta d’accesso della stanza da dove proveniva la melodia.

“Un violino?” Disse a bassa voce perdendo lo sguardo nel vuoto come inseguendo un ricordo.

“Esattamente… Un violino.” Confermò invitandola ad affacciarsi.

Visto gli ultimi sviluppi, Setsuna voleva provare a riportare nella vita dell’altra una delle cose che maggiormente amava fare prima dell'incidente, ovvero suonare. Minako e Makoto erano state abbastanza chiare a riguardo; Michiru era stata per due anni la loro insegnante di musica ed il rapporto simbiotico che aveva con essa era profondo e viscerale.

“Questa sala è usata anche come piccolo spazio per chi ama suonare. Come vedete abbiamo un piano a muro ed alcuni strumenti a corda. Chi lo desidera può venire qui quando vuole.”

Rimasero sulla porta fino a quando la donna che stava suonando per alcuni pazienti non ebbe concluso l'assolo. Sorridendo alle due le invitandò ad entrare.

“Dottoressa Meiou che piacere. Non ditemi che suonate anche voi?” Chiese la giovane porgendole lo strumento.

“O no, io no. Adoro la musica e mi affascina, ma non ho mai avuto il tempo per imparare. - Prendendo il violino guardò Michiru immobile dietro di lei. - Prego.” E glielo passò.

Mani nelle mani l’altra lo fissò scuotendo il capo. “Cosa dovrei farci?”

“Nulla che non sappiate già fare.” Tornò a sbilanciarsi.

Afferrandolo la ragazza si stupì di non opporsi, anzi, avvertendo un’insolita rilassatezza sternale, inizio' a respirare più lentamente serrando dolcemente le dita della sinistra sul capo chiave ed alzando nel frattempo l’archetto verso le quattro corde. Poggiando la mentoniera al viso, chiuse gli occhi entrando in un mondo tutto suo, iniziando a suonare come se stesse leggendo le note di una partitura immaginaria. La melodia uscì leggera e cristallina come acqua di fontunte, ricalcando uno stralcio di un notturno di Chopin. Quella specie d’incanto non durò molto, un paio di minuti, ma tanto bastarono perché una volta finita l’esibizione, alcuni dei pazienti che si trovavano seduti sui divanetti e alle sedie dei tavolini, si alzassero entusiasti battendo le mani. Mentre anche le due donne ferme accanto a lei prendevano a complimentandosi, Michiru sembrò non accorgersene. Un po’ stordita lasciò le pupille vagare sulla lacca e le sinuosissime curve che componevano la fascia dello strumento, godendo similmente nel ritrovarsi accanto ad un vecchio amico. Si sentiva bene, rilassata, forse anche leggermente stanca, come dopo un lungo viaggio, sulla strada del ritorno, dove al dispiacere della fine di un'avventura si avviluppa la felicità del ritrovare l’aria di casa. Improvvisamente ebbe una specie di singulto, poi rilasciando un sospiro lievissimo strinse le labbra.

“Dottoressa Meiou…”

“Si.”

“Il mio nome è Michiru,… non è vero?”

 

 

Stazione ferroviaria di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 26/9/1915

 

Poggiando saldamente la suola sul primo gradino metallico della scaletta, Haruka arpionò il telaio della porta respirando l’aria acre prodotta dai freni del treno. Finalmente erano arrivate nella cittadina da dove avrebbero ripreso le loro ricerche ed immancabilmente, il dolore alla bocca dello stomaco che aveva preso a solleticarle la pazienza da qualche giorno, riprese più vivido che mai. Avvertiva fremito di movimento, ansia, speranzosa per un futuro con lei e terrore nel vederselo negato. Tutto insieme. Una gamma di sensazioni via via sempre più forti man mano che quello che sarebbe stato, nel bene o nel male, l’ultimo viaggio, andava concludendosi. Sapeva di aver dato tutto per cercare di portare a compimento la promessa fatta alla sua dea e qualunque cosa avesse trovato, una lapide sulla quale darsi pace o un sorriso dal quale ripartire, non avrebbe dovuto recriminare su niente.

Ti ritroverò amore mio. L’ho promesso, pensò iniziando a scendere verso la banchina. Sentendo la sorella al fianco s’incamminò verso il cancelletto che dalle rotaie portava nella pace di un piccolo giardinetto con una fontana di pietra assalita sul bordo dai colori di centinaia di talli crostosi e da li, mediante un’altra piccola apertura, a quello caotico e chiassoso del mercato rionale che stava inondando tutta la piazza di fronte alla stazione.

“Ooo... questo si che ricorda Bellinzona. Guarda un po’ che bel baccano. Sembra di stare tra i banchi degli ambulanti che il mercoledì animavano il nostro quartiere.” Disse Giovanna sistemandosi meglio il bagaglio tra le mani.

“Forza, andiamo. Ci serve un mezzo per arrivare all’ospedale riabilitativo. Si trova qualche chilometro fuori città.”

Guardandosi intorno, Haruka intravide un paio di carrozze che avevano tutta l’aria di essere pubbliche e facendo un cenno all’altra, si issò decisa lo zaino sulla spalla. Cosi', venti minuti dopo aver lasciato il centro città, iniziarono a scorgere le modeste case dei quartieri periferici ed in poco meno di quaranta minuti, i colori ormai caldi di un autunno ricco di vegetazione campagnola..

“Manca ancora molto per l’ospedale?” Chiese Giò sporgendosi verso il cocchiere che gentilmente le indicò un bivio dove una strada molto più stretta di quella principale che stavano percorrendo, dava accesso ad un filare di alte alberature che terminavano con un portale dal mattonato dipinto con un tenue arancio e due leoni in sommità.

“No signora, l’ospedale è proprio laggiù.”

“Fermi pure qui, grazie.” Disse Haruka infilandosi la mano nella giacca pronta a saldare l’uomo.

“Non volete che vi porti fin dentro signore?” Tirando le redini ed alzando la leva del freno, guardò il biondino con perplessita'.

“No, non preoccupatevi. Va benissimo così. Quanto vi dobbiamo?”

“Mezzo franco. Grazie e vi auguro buona giornata.” Ed una volta saldato, sceso, ed aiutato a scaricare i pochi bagagli, tornò sul sedile rianimando il cavallo con una decisa oscillazione del finimento ed uno schiocco con la lingua.

Giovanna lo guardò allontanarsi non capendo. “Perché hai voluto scendere qui? I bagagli pesano sai.”

“Perdonami, ma ho bisogno di camminare un po’.”

Haruka aveva paura. La maggiore accettò la cosa e senza aggiungere altro la seguì silenziosamente lungo il battuto di sassi e polvere fino a quando un furgoncino, non sopraggiunse alle loro spalle costringendole a spostarsi verso lo steccato che proteggeva la strada dal transito del bestiame. Un FIAT bianco e rosso con un cassonato stracarico di sacchi, le superò in scioltezza oscillando sugli ammortizzatori rumorosi alzando un gran polverone. Voltandosi verso il prato Haruka iniziò a tossire, mentre Giovanna andava a coprirsi gli occhi con il palmo della mano masticando male parole. Pochi metri ed il mezzo si fermò lasciando scendere una ragazza molto alta, vestita di azzurro, un grembiule bianco ed i capelli raccolti da un fazzoletto del medesimo colore.

“Scusate signori, non volevamo impolverarvi. Abbiate pazienza, la strada non è delle migliori.” Disse per poi bloccarsi al contatto visivo.

“Dio del cielo, Giovanna… Sei proprio tu?!”

E l’altra riconobbe Makoto e tutta la sua sorpresa racchiusa in quelle perle verdi chiaro che erano i suoi occhi.

“Mako?! - Sorrise abbandonando i bagagli in terra per abbracciarla e lasciarsi abbracciare. - Che sorpresa! Non credevo di trovarti ancora qui.”

“O si, Mina e Wolf non sono ancora tornati a Vienna e comunque ho deciso che fino a quando il conflitto non sarà terminato, resterò qui a dare una mano.” Finalmente si guardarono.

“Mako… ho una sorpresa. Guarda un po’ chi c’è?!” Scansandosi indicò il ragazzo dietro di lei consigliandole di osservarlo bene.

Posando le mani hai fianchi, Haruka stirò un sorrisetto sghembo montando su la solita aria da guascona. “Non dirmi che ti sei già dimenticata di me, Kino?!”

Ci vollero alcuni secondi prima che, dilatando gli occhi per poi chiuderli di colpo, la ragazza si tuffasse verso l’amica per abbracciarla cedendo alla commozione.

“Sei viva! Sei viva! Haruka….”

 

Minako ebbe la stessa reazione, forse un tantino più inondata di lacrime ed abbracci. Si strinse alla vita di Tenou per così tanto tempo che alla fine, imbarazzatissima e alzando gli occhi al cielo, la più grande non riuscì a riprendere in mano la situazione arpionandole le spalle per staccarsela a forza di dosso.

“Mina dai calmati. Ci stanno guardando tutti. Penseranno che sono colui che si è permesso di sedurre ed abbandonare questa deliziosa biondina.” Disse sentendola ridacchiare per riuscire finalmente a guardarla in viso.

Asciugandole le guance con i pollici tornò a sorriderle scuotendo la testa.

“Non sei cambiata affatto Aino.”

L’altra se la guardò socchiudendo gli occhi ancora lucidi. Perché era vestita così? “Cosa ti è successo Haru? Sembri un giovane uomo.”

“Ssss, non chiamarmi per nome, non in pubblico almeno. E’ una lunga storia che ti racconterò appena avrai un poco di pazienza. Ora ricomponiti dai.” E dandole un buffetto si sentì felice di averla ritrovata.

Pur essendo una solitaria, il periodo nel quale avevano valicato le Alpi tutte insieme, era stato per la bionda uno dei più belli e liberi di tutta la sua vita. Aveva scoperto l’amicizia e la forza del branco, aveva ritrovato l’affetto immenso per la sorella, compreso se stessa e grazie a Michiru, la prorompente felicità dell’amore. Michiru.

“Mina, siamo qui per…” La voce le venne meno incrinandosi paurosamente.

“Milena Buonfronte.” Intervenne Giovanna guardando le due amiche.

“Allora sapete di Michi?!" Esplose Makoto smorzando immediatamente l’entusiasmo al viso contrito della bionda.

Oddio pensò Haruka ingoiando a vuoto.

“Sappiamo che è stata estratta dal fango del fiume ancora viva e ricoverata chissà dove da una squadra medica bernese, per essere registrata poi con il nome di Milena Buonfronte. Ma nulla più Mina. Ti prego… dicci che Michiru è qui.”

La biondina piegò i lati della bocca all’insù annuendo. “Si… E’ stata ricoverata ferita ed incosciente pochissimi giorni dopo il nostro arrivo.”

“E ora dov’è?!” Chiese Haruka con il cuore quasi fuori dal petto.

Le due amiche si scambiarono uno sguardo e poi la viennese le prese la destra invitandola a seguirla. “Vieni Haru.”

 

Michiru si sentì tirare il braccio abbandonando l’affastellamento caotico che erano diventati i suoi pensieri da quando il suo vero nome era finalmente tornato ad accarezzarle le labbra. Sigmund la guardò accigliato ed un tantino offeso.

“Perché non ti sei voltata? Ti sto chiamando dall’inizio del viale.” Le fece notare indicando il dritto corridoio di pietre inghiottite dalle siepi.

“Scusami…”

Stava diventando imbarazzante. Non era il primo che in quelle ultime ore le stava facendo notare quella che ad una prima impressione sarebbe anche potuta essere scambiata per scortesia e non sarebbe stato neanche l’ultimo, perché se prima il nome Milena non le diceva niente, ma comunque indicava la sua persona, ora l’aver ricordato di averne un altro, lo rendeva praticamente inutile.

Nonostante la sua insistenza, la dottoressa Meiou non aveva voluto rivelarle il suo cognome, rimarcando la cantilena del dover lasciare scorrere tutto con naturalezza, ed era perciò ovvio che avesse preso a scervellarsi sul ricordarlo. Per il momento infruttuosamente. Almeno i dolori alla testa sembravano essersi sopiti diventando molto più sopportabili, al limite del fastidio o forse era lei, con la sua determinazione, a non badarci più. Non importava, perché quello che ora Michiru riteneva fondamentale era il ricordarsi della sua famiglia, della sua vita e di lui. Dalla sua esibizione con il violino non lo aveva più sognato il suo giovane amante dalla chioma dorata e dalla voce profonda, ed anche per questo non appena si era lavata e vestita per scendere a fare colazione, non aveva fatto altro che andare avanti ed indietro per i sentieri del parco.

“Che c’è, sei strana!”

“Assolutamente no.”

“Rose mi ha detto che ieri avresti dovuto fare una lezione di disegno e non ti sei presentata. Credevo stessi male. - Vedendola scuotere la testa continuò con ostinazione. - Hai saltato anche la ronda serale. Non si fa così!”

“Ti rinnovo le mie scuse. Si indulgente Sigi, in fin dei conti ho visto che hai messo su una gran bella banda di alleati.” Sfotté tornando a camminare guardando in terra.

Michiru… Michiru e poi… e poi. Accidentaccio!

“Milena!” Il bambino non cedette riafferrandole il braccio e facendola scattare come una molla.

Voltandosi lo guardò nervosissima. “Insomma Sigi, per pietà divina, non lo vedi che ho da fare?!”

Lui si bloccò sgranando gli occhi ed immediatamente accortasi di avere alzato la voce, gli si inginocchiò davanti accarezzandogli il viso.

“Non volevo essere brusca e che… mi sento tanto confusa. Tu hai ricordato mentre io non ancora. Porta pazienza, vuoi?!”

“Non hai ancora fatto progressi nonostante l’aiuto della dottoressa Set?”

“Set? - Baciandogli la fronte gli rivelò la sua prima grande conquista. - Visto che stiamo parlando di nomi, da ora in avanti vorrei che mi chiamassi… Michiru.”

“Michiru? Allora qualcosa l’hai ricordata.” Disse entusiasticamente.

“Si e spero tanto che sia solo l’inizio, tesoro mio.”

Ferma dietro ad un tronco a qualche decina di metri da loro, Haruka cercò di inalare ossigeno emettendo però solo un suono strozzato. Respiri come cavalli imbizzarriti e nel petto il tamburo forzato e velocissimo che spinge le cento braccia di una galea. Non era morta la sua dea, era li, ad un passo da lei, vicinissima, ma in egual maniera lontana anni luce. Avrebbe voluto stringerla, baciarla, guardarla per tutta la vita, ma aveva scoperto di non potere. Non ancora.

“Ha perso la memoria Haru ed è per questo che pur avendo ritrovato la salute non è tornata a Berna, ne tanto meno ha fatto avere sue notizie ai genitori.” Le aveva rivelato Minako mentre la conduceva verso il parco dove sapeva che con molta probabilità l’avrebbero trovata.

“Ma potevate avvertirli voi! Non potete neanche immaginare che pena stiano provando!”

“Lo capisco, ma i medici hanno ritenuto opportuno privarla di ogni tipo di emozione. Ma ti spiegherà tutto la dottoressa che si sta occupando di lei, Haru.”

“Non ricorda proprio nulla?”

“Mi dispiace. Ma adesso che sei qui, si risolverà tutto per meglio vedrai. Sono sicura che la memoria le tornerà e potrete finalmente tornare ad amarvi come se non più di prima!” Dolce e tenera Mina, fiore di Vienna, sempre innamorata dei sogni rosa del cuore.

“Ruka…” Sussurrò Giovanna commossa nel vedere Kaiou alzarsi per chinare da un lato la testa illuminando il viso con quel bellissimo sorriso che tanto faceva sentire a proprio agio le persone. Un’amica preziosissima che l’era mancata più di quanto avrebbe mai pensato.

“E’ viva la mia Michiru.”

“Si. Hai visto? Il viaggio è finito.”

Giovanna… se non ricorda me, noi, credo che dovrò ancora camminare allungo.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Eccomi. Haruka ha già capito tutto prima ancora di parlare con Setsuna. Ha capito che non sarà facile. Ha capito che l’amore può riservarti dolore, gioie, ed ancora dolore. Ha capito di non essere sola e che la sua dea sta a cuore a molte altre persone. Ha capito che se pur Michi sia vicinissima, come mai dopo il crollo della diga, è dannatamente lontana. Ma non si arrenderà, non ora.

Ciauuu.

 

 

   
 
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