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Autore: lady lina 77    04/11/2017    1 recensioni
E se nella scorsa fanfiction mi riagganciavo al finale della S2, ora mi aggancio a quello della S3. Tutto comincia in quella spiaggia dove Demelza, col cuore a pezzi, si concede a Hugh Armitage. E dopo? Se non fosse tornata a casa, cosa sarebbe successo?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole era alto e caldo nel cielo azzurro dell'estate e il bosco che circondava il mulino che aveva scelto come casa quasi un mese prima era verde e rigoglioso, allietato dal canto degli uccellini nei loro nidi.

Era stato un mese doloroso ed intenso per Demelza, in cui aveva dovuto ricostruirsi una vita tutta nuova. Era stato difficile andarsene da Nampara e lasciare lì i suoi due bambini ed era ancora più difficile doverli salutare in lacrime ogni volta che li vedeva e poi doveva separarsi da loro quando era ora di andare a casa.

Dopo il primo incontro dove Jeremy era scoppiato in un pianto disperato che le aveva spezzato il cuore, ce n'erano stati altri a Truro. Lei e Ross avevano fatto merenda coi bambini in una locanda, li avevano portati a passeggiare e il momento dei saluti, volta dopo volta, era diventato meno complicato.

Clowance si rintavana in braccio a Ross, stranita dal fatto che lei non andasse a casa con loro. Certe volte allungava le manine verso di lei per farsi prendere in braccio ed era in quei momenti che Demelza vacillava sulle sue scelte che stavano pagando soprattutto i suoi due bimbi. Jeremy piangeva sempre e il pianto disperato delle prime volte si era trasformato poi in un singhiozzare sommesso e rassegnato.

Era dura non essere accanto a loro la sera, per metterli a letto. E al mattino, quando era l'ora di fargli il bagnetto... Non era accanto a loro quando cadevano e si sbucciavano un ginocchio o quando nel cuore della notte si svegliavano a causa di un incubo. Clowance aveva un anno e mezzo, Jeremy quattro e lei li aveva lasciati alle cure del padre... Si sentiva in colpa per i suoi figli e sperava che Ross, una volta sistemato del tutto il mulino, glieli lasciasse tenere anche per qualche giorno consecutivo.

Dal canto suo invece suo marito era diventato taciturno durante i loro incontri. Non aveva più insistito per farla tornare a casa ed era sempre rimasto in disparte quando lei giocava o chiacchierava coi bambini, osservandoli da lontano, pensieroso. Questo rendeva tutto più facile, non c'erano più pressioni fra loro ma le liti e le recriminazioni erano diventate gelo. E questo faceva male tanto quanto la consapevolezza che quando erano distanti lui correva fra le braccia di Elizabeth... Avrebbe voluto voltarsi dall'altra parte e imparare a pensare che non gli importava ma non era così. Amava Ross, lo avrebbe sempre amato e senza di lui era comunque votata all'infelicità perché per lei suo marito era l'amore della vita... E proprio per questo non sarebbe riuscita a sopravvivere a ulteriori scossoni e delusioni, ne aveva avute troppe e stargli lontano era l'unico modo che aveva per non esserne sopraffatta.

In quel mese si era data da fare assieme a Hugh e ai suoi uomini per sistemare il mulino. Ne avevano ricavato due camere, una con un piccolo camino, un tavolo, una credenza e un letto dove avrebbe dormito e cucinato. E un'altra piccola camera sul retro con un altro letto e un armadio dove sperava avrebbero potuto stare di tanto in tanto Clowance e Jeremy.

Fuori scorreva il ruscello da cui prendere l'acqua ed era riuscita a costruire un recinto dove tenere qualche gallina e coniglio che Hugh le aveva regalato.

Aveva trovato lavoro a Illugan, non avrebbe mai accettato denaro da Ross. Una sarta del villaggio bisognosa di un'aiutante, Miss Tindall, l'aveva assunta e lei si recava a casa sua due volte alla settimana per prendere gli abiti da rattoppare e cucire, per poi riportarglieli una volta sistemati. Niente di eccezionale, avrebbe guadagnato il giusto indispensabile per vivere, ma non ambiva a nulla più di questo. Avrebbe potuto lavorare a casa sua, lontana dalle malelingue e da persone che l'avrebbero sicuramente giudicata per la sua scelta. Per ora andava bene così...

"Allora hai trovato lavoro?" - chiese Hugh.

Demelza annuì. Quel pomeriggio era venuto a trovarla e si erano incamminati nel bosco, costeggiando il torrente, per una passeggiata. "Sì, niente di eccezionale, un normalissimo lavoro da sarta".

"Ti permetterà di vivere agiatamente?".

Rise a quella domanda ingenua. "Oh, credo che mi permetterà di non morire di fame".

Hugh si adombrò. "Io credo che non dovresti lavorare... Non è cosa per signore farlo".

"Io non sono mai stata una signora" – ribatté lei.

Hugh non parve dello stesso avviso. "Io invece credo che tu lo sia. Permettimi di aiutarti, ti prego. Non posso sopportare l'idea che tu lavori per vivere... Se Ross...".

Demelza lo bloccò. "Ross non deve fare nulla e non voglio chiedergli nulla. Sono abituata a lavorare e voglio che lui rimanga fuori dalla mia vita. Sei gentile a preoccuparti per me ma ti pregherei di non intrometterti più fra me e Ross, renderesti solo le cose più difficili".

"Sei arrabbiata perché sono andato a parlare con lui?".

Demelza sospirò. Sì, lo era stata un mese prima ma la rabbia era sbollita in fretta. "Non più, ma non farlo di nuovo".

"E i bambini? Non ti mancano?".

Lei sorrise tristemente, abbassando lo sguardo. "Mi mancano, certo... E' sempre dura salutarli, quando li vedo... Jeremy è così triste e mi chiedo se il prezzo che i miei figli stanno pagando non sia troppo alto... Certo, le cose sono un po' migliorate e presto si abitueranno a questa vita, ma...".

Hugh si fermò, prendendole la mano. "Sei una madre meravigliosa Demelza, non dubitarne mai".

Beh, non ne era così certa e spesso, pensando a Clowance e Jeremy, vacillava e sentiva l'istinto di tornare da loro, sotterrando il suo amor proprio e il suo dolore per il loro bene. Ma poi pensava a Ross e nella mente lo immaginava con Elizabeth e tutto tornava difficile e cupo e ogni voglia di tornare indietro cessava. "Io spero solo che loro sappiano che li amo e che ci sarò sempre".

"Sono sicuro che lo sanno" – rispose Hugh, massaggiandosi la tempia con una smorfia di dolore.

Demelza si accigliò. Era insolitamente pallido quel giorno e soprattutto era lento nei movimenti, faticava quasi a starle dietro. "Sei sicuro di sentirti bene?".

Hugh sospirò. "Non sono molto in forma".

"Sono gli occhi?".

Il ragazzo alzò le spalle. "Non so, forse... La sera, quando fa buio, fatico a vedere e spesso scorgo solo ombre. Di giorno va meglio ma mi sento che non durerà a lungo... E poi ho questi capogiri, questi dolori fortissimi alla nuca e la nausea".

La mano di Demelza strinse la sua e le loro dita si intrecciarono. Voleva bene a Hugh e quando pensava alla sua malattia e a quello che avrebbe dovuto affrontare, le si stringeva il cuore e desiderava solo abbracciarlo, accarezzare quei suoi capelli biondi, far scivolare i suoi ricci fra le dita come quel giorno, fra le dune... Non era attrazione o desiderio sessuale, era più un istinto tenero, di protezione e affetto. Amicizia... O poco più... Ma non amore, non quell'istinto che quel giorno l'aveva spinta fra le sue braccia. Ora avrebbe solo voluto alleviare le sue sofferenze, consolarlo e fargli sentire che anche lei, come lui, era una amica su cui contare. "Sulla nausea sono solidale, oggi ho lo stomaco sottosopra" – esclamò, per stemperare la tensione.

Hugh la guardò preoccupato. "Stai male? Vuoi che chiami un medico?".

Demelza sorrise, intenerita da quelle premure. "No, non è niente di che. Sono sotto pressione in questo periodo e ieri sera al villaggio, tornando da casa di Miss Tindall, mi sono fermata a mangiare delle sardine da un venditore di passaggio. Credo sia stata una pessima idea. Sono io ad essere preoccupata per te".

"Non devi farlo" – insistette Hugh – "Tu non ne hai ragione. Mi spiace solo che, quando sarò completamente cieco, non potrò venire a farti visita o a darti una mano come ora".

Demelza scosse la testa. "Oh Hugh, tu hai fatto per me già tantissimo. Sii mio amico, non ho bisogno d'altro".

Hugh si fermò, costringendola a fare altrettanto. Le poggiò le mani sulle spalle, l'attirò a se e la abbracciò, baciandola fra i capelli. "Tu avrai sempre non solo la mia amicizia, Demelza. Il mio cuore ti appartiene, così come ogni mio pensiero o sentimento".

Demelza deglutì. Erano parole d'amore quelle, di un uomo profondamente innamorato che però lei non poteva ricambiare, non nel modo in cui lui avrebbe voluto. Però era bello sentirsele dire, era bello avere qualcuno a cui appoggiarsi per non cadere. Era bello sentirsi speciale e amata, importante... "Hugh, io...".

"Non dire niente, so che non puoi farlo" – rispose lui, in un singhiozzo.

"No, non posso e mi dispiace" – sussurrò con sincerità, prendendolo per mano ed allontanandosi da lui. "Torniamo a casa, ti va? Ho davvero la nausea" – ammise.

Hugh annuì, sorridendo timidamente e accarezzandole i capelli rossi. "Siamo anime affini, vedi? Ci ammaliamo contemporaneamente" – disse, per stemperare la tensione creatasi fra loro.

Demelza fu costretta a ridere. "Credo che ne farei volentieri a meno però, da questo punto di vista".

Il giovane le prese la mano, la strinse e le strizzò l'occhio. "Su, andiamo a casa".

Demelza si lasciò condurre, mano nella mano con lui, verso la sua nuova casa. Era una passeggiata rilassante, serena, quasi senza pensieri. Pochi minuti rubati all'angoscia e ai sensi di colpa verso i suoi figli che la attanagliavano ogni giorno da un mese a quella parte, il suo attimo di pace che sapeva sarebbe finito appena Hugh se ne fosse andato.

"Pensi mai a Ross?" - le chiese improvvisamente Hugh, leggendole quasi nel pensiero.

"Come potrei non pensarci?".

"Forse dovresti dargli una seconda opportunità".

Demelza scosse la testa, stupita che lui insistesse tanto. "Già fatto, non ha funzionato. Ho sposato Ross che ero poco più di una bambina, avevo solo diciassette anni e forse non possedevo ancora la maturità necessaria per capire cosa potesse significare. Lo veneravo, come ogni ragazzina che guarda a qualcuno con gli occhi pieni di ammirazione. Ma lui non mi ha sposata per amore, lo ha fatto per senso del dovere e per distrarsi da Elizabeth... Ci ha provato, non dico di no, a farla funzionare! Ma Ross è un uomo che ci mette cuore e anima in ogni cosa che fa e se ama, ama totalmente. Non avrei mai potuto spazzare Elizabeth dal suo cuore e ora lo so. Non sono arrabbiata, ho sempre saputo che era così...".

Giunsero davanti a casa, il torrente scorreva tranquillo fra i loro piedi nudi. Avevano camminato con l'acqua che arrivava loro alle caviglie per una mezz'oretta, godendo della frescura che questo gli regalava.

Hugh fece per rispondere a quella sua affermazione, quando impallidì di colpo e crollò a terra, tossendo copiosamente senza riuscire a prendere fiato.

"Hugh!". Demelza si inginocchiò accanto a lui, stringendolo a se e tenendogli una mano premuta sulla fronte per evitare che si accasciasse del tutto al suolo. Era spaventata... "Che ti prende?".

Hugh tossì, senza riuscire a risponderle, quasi soffocando nella sua stessa saliva. Alla fine, dopo aver sputato sangue, esausto, si lasciò andare sull'erba, cercando disperatamente aria per riprendere fiato.

Demelza gli sorresse la testa, preoccupata e spaventata. Che gli prendeva? "Hugh...".

Il giovane, con gli occhi chiusi, strinse un ciuffo d'erba. "Tranquilla, ora passa".

Demelza osservò la chiazza di sangue accanto a loro, mentre una strana ansia le attanagliava lo stomaco già provato dalla nausea. "Sei sicuro?".

"Si, mi è già successo" – disse lui, mettendosi a sedere e tentando di rimettersi in piedi.

Demelza lo aiutò, ma fecero appena pochi passi che Hugh crollò di nuovo a terra, vittima di un capogiro. La donna lo aiutò a trascinarsi all'ombra, sotto un albero. Si sedette e lo aiutò a stendersi, tenendogli la testa sulle sue gambe. "Va meglio?".

"Tra poco sì. Scusa, non volevo spaventarti".

"Ti è già successo?" - chiese Demelza. "Non mi sembra normale".

Hugh aprì lentamente gli occhi. "Sì, un paio di volte a casa".

"Cosa dice Dwight?".

"Tutto e niente. Come te, dice che non è normale". Hugh le riprese la mano, la sua voce si incrinò e la sua apparente calma si frantumò. Tremò vistosamente e piantò gli occhi su di lei, come alla ricerca di coraggio e di risposte. "Ho paura Demelza".

"Lo so... Ho paura anch'io" – rispose lei, con sincerità.

"Quando sarò cieco, non sarò più in grado di venire a trovarti. Non da solo almeno... Dovrò farmi accompagnare e magari per te sarò solo un peso".

Demelza deglutì, si chinò e lo baciò sulla fronte come avrebbe fatto con uno dei suoi bambini dopo un incubo, per tranquillizzarlo. "Non sarai mai un peso".


...


Ross galoppava verso Illugan, da solo, dopo una notte insonne e una mattina in cui non aveva combinato nulla in miniera. Erano giorni che pensava e ripensava, che mille pensieri lo attanagliavano e che sentiva il bisogno di cambiare aria.

Come gli aveva consigliato Dwight, era rimasto al suo posto e aveva lasciato tranquilla Demelza, senza farle pressioni per tornare a casa. Avevano organizzato altri incontri coi bambini, era rimasto in disparte e aveva permesso a loro e a lei di stare insieme serenamente, rendendosi conto di quanto, soprattutto Jeremy, ne avessero bisogno.

Ma Demelza non aveva mai cambiato idea o mostrato segni di cedimento... I loro rapporti si erano mantenuti cordiali ma freddi e questo lo annientava al pensiero di non averla più accanto nella sua vita. Rivoleva il suo sorriso, le sue labbra, sentirla accanto ogni istante del giorno... Rivoleva sua moglie, Demelza era la sua casa e tutto il suo mondo... E ora non poteva nemmeno sfiorarla.

Si sentiva di impazzire e l'idea che lo aveva accarezzato durante gli scontri, nel giorno in cui lei se n'era andata, era tornata a tormentarlo. Aveva capito che era ora di smetterla di fare il rivoluzionario, che se voleva aiutare i suoi cari doveva accettare l'incarico politico di Lord Falmouth e spostarsi a Londra per un po'. Questo gli avrebbe permesso di entrare nel nuovo mondo che lo attendeva e soprattutto di riprendere fiato dalla difficilissima situazione che stava vivendo in Cornovaglia.

Sapeva che Demelza aveva finito di sistemare il mulino dove si era trasferita e che c'era spazio per Clowance e Jeremy. Aveva ingoiato il boccone amaro che fosse stato Hugh ad aiutarla a sistemare quella casa improvvisata, aveva dovuto tacere anche davanti a quello. Per riaverla avrebbe fatto di tutto... Ma ora doveva partire e allontanarsi da lei per non impazzire. Forse, avrebbe fatto bene ad entrambi.

Era questo il suo piano per il pomeriggio: andare da Demelza, metterla al corrente della sua partenza verso Londra e chiederle di tenere i bambini mentre non c'era. Questo l'avrebbe resa felice e soprattutto avrebbe fatto bene ai loro due bambini che desideravano la mamma ogni istante del giorno.

Credeva di trovarla da sola, come era già capitato le altre volte che si era recato da lei. E quindi grande fu il suo disappunto quando la vide seduta sotto un albero, assieme a Hugh, steso con la testa sulle sue gambe.

Gli si fermò il cuore quando la vide appoggiare le labbra sulla fronte del giovane, sentì il sangue arrivargli al cervello per la gelosia e la rabbia, sentì che avrebbe potuto impazzire...

Demelza...

E Hugh...

Il suo peggiore incubo, quella realtà a cui non aveva mai voluto guardare in faccia era lì, davanti ai suoi occhi. E ciò che vedeva, lasciava poco spazio all'immaginazione.

Arrabbiato, furente, scese da cavallo, dirigendosi da loro mentre schiacciava rovi e pianticelle, incurante di dove metteva i piedi.

Come poteva farlo? Come poteva accarezzargli i capelli come aveva sempre fatto con lui? Baciarlo sulla fronte? Riempirlo di attenzioni e tenerezze che una volta riservava a lui? COME POTEVA?

Quando comparve davanti a loro, Demelza spalancò gli occhi sorpresa. "Ross?".

"Non ti aspettavi il mio arrivo, da quel che vedo" – disse, gelido.

Demelza guardò Hugh e poi guardò lui. Lei lo conosceva e sapeva benissimo che in quel momento era furente. E ne era preoccupata. "Ross, non è come pensi...".

Hugh aprì gli occhi, a fatica. "Capitano Poldark..." - sussurrò, tentando di mettersi a sedere.

"Resta dove sei, se sei comodo. Fa come se non ci fossi, prego, approfitta di mia moglie" – gli disse, canzonatorio, avventandosi su di lui e spingendolo a terra, senza incontrare resistenza.

"ROSS!" - urlò Demelza. "Fermati, sta male!".

Ross sorrise, sarcastico. "Oh, immagino! Star male mentre è fra le tue braccia, che destino infame, vero Armitage...".

"Sta male sul serio!" - disse Demelza, tentando di farlo ragionare.

Ross scosse la testa. "Tu... E lui... E accusavi me di avere chissà quale relazione segreta con Elizabeth? Da quando sei così incoerente, Demelza?" - disse, vedendola impallidire e capendo di aver toccato le corde giuste. "Sono un dannato idiota, pensavo che nonostante tutto tu saresti sempre stata coerente e corretta, che fossi molto migliore di me e invece...".

Gli occhi di Demelza si riempirono di lacrime e nonostante Hugh Armitage tentasse di tirarsi su per darle una mano, non riuscì a fare molto per lei. "Ross, lasciami spiegare".

Ross le sorrise con freddezza. Era talmente arrabbiato in quel momento, accecato dalla rabbia, che voleva solo farle un po' del male che lei stava facendo a lui. "No, ora sono io che non voglio spiegazioni e sarà il tuo turno accettarlo".

"Ross...".

"Non voglio sentirti parlare, continua a coccolarti il tuo cucciolo. A quanto pare alla fine te ne sei trovata uno".

"Capitano Poldark" – ansimò Hugh – "Demelza mi stava solo aiutando. E voi non dovreste parlarle con questo tono".

Colto sul vivo, Ross si morse il labbro. Santo cielo, lo avrebbe massacrato di botte, se solo avesse potuto. "La SIGNORA Poldark e il modo in cui le parlo sono affar mio. Siete pregato di non intromettervi".

Demelza, sfinita, scosse la testa. "Hugh, lascia stare... E' inutile e in fondo ha ragione di essere arrabbiato".

Ross la fissò. Era pallida, sofferente e il suo sguardo era infinitamente triste. Fino a cinque minuti prima l'avrebbe stretta fra le braccia, se lei glielo avesse concesso. Ma ora... Ora voleva solo correre via da lei e non vedere più quella realtà terribile che aveva davanti agli occhi: amava un altro uomo, Hugh Armitage gliela aveva portata via. E lui gli aveva permesso di farlo.

"Perché sei qui, Ross?" - chiese infine Demelza, stanca e rassegnata.

Ross annuì, voltandole le spalle ed avvicinandosi al cavallo. "Volevo solo dirti che parto per Londra, ho deciso di accettare l'incarico politico offertomi da Lord Falmouth. Porto i bambini con me". Col cavolo che glieli avrebbe lasciati, Demelza aveva tradito non solo lui ma anche Clowance e Jeremy. E lui gliela avrebbe fatta pagare. Londra era una bella città, piena di cose da scoprire e attraverso di esse i suoi figli avrebbero dimenticato il dolore di non avere accanto la loro madre. Si sarebbero abituati, lui non poteva farci nulla, dovevano accettarlo! E d'altronde, Demelza era affaccendata e proiettata verso altri...

"Ross, non farmi questo, non portarmeli via" – sussurrò Demelza, implorandolo.

Ross non si voltò, saltò in sella e prese le redini. "Il tuo tenente saprà tenerti occupata, non preoccuparti". Poi partì al galoppo, senza avere il coraggio di vedere se lei piangesse oppure no.

  
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