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Autore: QueenOfEvil    05/11/2017    0 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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14. Scar. Assume a virtue, if you have it not

Fuoco. Fuoco ovunque. Questo tutto quello che Scar riusciva a vedere davanti a sé. Ovunque si girasse, per quanto provasse a sforzare la vista, intorno a lui non c’erano che fiamme. Non capiva come potesse essere accaduta una cosa simile, per la verità non sapeva neanche esattamente dove fosse: era tutto talmente rosso… Forse, a qualche metro da lui, poteva esserci la Rupe, ma non avrebbe saputo dirlo con certezza.

Improvvisamente, dietro quel muro incandescente, gli parve di vedere delle figure che si muovevano a scatti, comparendo e scomparendo nel giro di pochi secondi: riconobbe Zazu, quel becco a forma di banana era inconfondibile, Sarabi, Sarafina, o forse era sua figlia, Nala?, si assomigliavano così tanto quelle due, Zira… e poi, proprio quando credeva di essere nuovamente solo, un’ultima immagine gli si presentò davanti, con una violenza e sorprendendolo a tal punto da costringerlo a spiccare un balzo all’indietro, seppur involontariamente.

No! Non era possibile! Mufasa era morto!

Era sicuro di aver inteso male, doveva aver inteso male, eppure, al contrario delle precedenti, quell’ombra non sembrava voler scomparire, ma anzi, si faceva sempre più grande e, se non ci fossero stati nebbia e fumo a fargli bruciare gli occhi, il leone ormai avrebbe potuto distinguere molto più dei suoi semplici lineamenti: scosse la testa, tentando di farlo scomparire, ma sembrava tutto inutile. Sentiva qualcosa di molto simile al panico, un’emozione che non aveva mai provato fino ad allora con quell’intensità, impadronirsi di lui e che diventò ancora più forte quando un ruggito fece tremare la terra, potente quanto quello di Ahadi, quanto quello del defunto fratello, sulla quale dipartita iniziava ad avere qualche dubbio.

Aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di qualcuno che lo tirasse fuori di lì e immediatamente! Ruotò precipitosamente su se stesso, sforzandosi inutilmente di mantenere la calma e chiamando le iene, che, ne era sicuro, sarebbero accorse in fretta e gli avrebbero aperto la strada: non era ancora tutto perduto, doveva solo andarsene, riorganizzarsi e…

La risata dei suoi tre compari gli arrivò alle orecchie, ma era una risata cattiva, ostile, ancora più inquietante di quella in cui scoppiavano di solito e, nel medesimo istante, la figura misteriosa spiccò un balzo, oltrepassando quella barriera che fino ad allora l’aveva tenuta così lontana: l’ultimo barlume di speranza si spense nella sua mente, vedendosi accerchiato, ed iniziò ad arretrare precipitosamente, tentando di mettere più distanza possibile fra lui e il fantasma, perché cosa poteva essere se non uno spirito quello che stava fronteggiando?

Correva, correva, ma si trovava sempre nello stesso punto, con i ghigni di quelli che una volta aveva impropriamente chiamato “amici” costantemente davanti agli occhi e il rumore delle zampe del suo inseguitore sempre più vicine; ad un certo punto, un muro di roccia gli si parò di fronte, costringendolo ad arrestarsi e a voltarsi: si rannicchiò in un angolo, chiuse gli occhi ed aspettò, contando i passi che si susseguivano, sempre più vicini, sempre più vicini…

Scar si svegliò all’improvviso, con il cuore che gli martellava nel petto e la risata delle iene ancora nelle orecchie: per qualche secondo, non riuscì a capire dove effettivamente fosse e quando riconobbe la sua tana, vuota e nella penombra dell’alba, non poté trattenersi dall’emettere un grande sospiro di sollievo, abbassando lo sguardo e socchiudendo le palpebre. Non era la prima volta che aveva simili sogni, ma mai così intensi e, soprattutto, così oscuri; era uno dei motivi, oltre la maggiore privacy e tranquillità, che l’avevano portato a preferire la sua vecchia abitazione rispetto a quella in comune con il resto del branco: non aveva intenzione di apparire codardo, o, ancora peggio, debole, per via di una cosa tanto stupida quanto degli incubi. Neanche se si ripetevano ad intervalli regolari ormai da mesi.

Si alzò in piedi di scatto, scacciando quei pensieri e scuotendosi di dosso il sonno: era certamente colpa della situazione in cui versava il regno se si sentiva così teso. Non pioveva, ancora, ed erano ormai passati due anni abbondanti dalla sua ascesa al trono: ormai non poteva non notare quanta poca erba ci fosse sul terreno, quanti pochi animali circolassero intorno alla Rupe, quanto malcontento regnasse tra i suoi sudditi. Fingeva di non vedere, ovviamente, fingeva di essere superiore e che non gli importasse nulla di quello che avveniva, ma i provvedimenti che aveva dovuto adottare nelle settimane precedenti lasciavano trasparire quello che pensava realmente: non aveva potuto più permettere a Shenzi, Banzai, Ed ed ai loro compagni di continuare ad approvvigionarsi liberamente, non c’era abbastanza cibo per soddisfare la loro fame perenne che, a dispetto delle sue ottimistiche previsioni, non si era affatto placata ed era stato costretto a comandare alle leonesse di ricominciare a provvedere alla carne anche per loro, pensando che un minore afflusso di animali avrebbe potuto rallentare, se non fermare, la crisi: non che gli fosse dispiaciuto in assoluto vedere l’espressione di disappunto sul muso di Sarabi, anzi, aveva deciso che dato che non sarebbe mai riuscito ad avere il suo rispetto avrebbe fatto in modo di costringerla ad obbedire a tutti gli ordini più spiacevoli che potessero venirgli in mente, ma qualcosa gli diceva che neanche quella soluzione sarebbe stata sufficiente.

D’altronde, un giorno o l’altro avrebbe piovuto, ne era certo, non poteva davvero continuare in quella maniera, e allora si sarebbe risolto tutto; non era pensabile non mettere in relazione l’improvvisa siccità con la sua presa di potere e questo lo rendeva ancora più nervoso: non era giusto, non doveva essere giusto, che non appena lui avesse raggiunto il suo obiettivo qualcosa lo mettesse nuovamente in difficoltà. Ma, considerando la situazione, cosa mai avrebbe potuto fare, a parte aspettare?

In un flash, le immagini che fino a qualche minuto prima la sua mente stava creando gli si presentarono nuovamente dinnanzi, facendolo rabbrividire: non aveva mai temuto la morte, o almeno, si era sforzato di non soffermarsi a lungo su un concetto tanto spiacevole, ma in quel momento, con le Pride Lands inevitabilmente impoverite, il tempo che passava, e lui lo sentiva fin troppo bene, e nessun cenno di miglioramento, non poteva che iniziare a considerarla. Non credeva negli Antenati, non credeva nel Cerchio della Vita, non credeva che di lui sarebbe rimasto nulla eccetto che il ricordo una volta che i suoi anni fossero scaduti, e non ignorava che sarebbe successo, per quanto credesse nella propria potenza e superiorità, ed era ben determinato a fare in modo che esso fosse eterno. Però come? Come assicurarsi che il suo nome non perisse con lui, ma rimanesse invece impresso nella mente delle future generazioni?

La risposta era piuttosto ovvia e si profilò nella mente del sovrano con una chiarezza impressionante: doveva trovare una discendenza, qualcuno che proseguisse sulla sua stessa onda e scia la direzione del regno. Si sedette sul terreno, riflettendo attentamente: la questione era facile da identificare, ma non altrettanto da risolvere, principalmente perché avere un erede avrebbe implicitamente significato avere una regina, qualcosa che aveva rapidamente scartato fin dal primo periodo del suo dominio, non tanto perché non fosse una decisione quantomeno logica, quanto perché non concepiva chi potesse davvero adattarsi a stare al suo fianco.

C’erano le Outlanders, ovviamente, che avrebbero immediatamente accettato se solo avesse fatto loro una proposta simile, e sospettava che Zira in particolare si sarebbe offerta volontaria, vista l’adorazione che a quanto pare continuava a nutrire per lui, invariata se non addirittura accresciuta, ma aveva un problema piuttosto grave con questa soluzione: non era affatto sicuro che sarebbe riuscito a volerla come compagna. L’adulazione era piacevole, specialmente per qualcuno che non l’aveva mai ricevuta in tutta la sua vita, e sicuramente Scar era felice che ci fossero sudditi tanto appassionati che fossero disposti a tutto per guadagnarsi una sua parola, un suo gesto, ma erano solo quello: sudditi. Sarebbe stato deprimente ed estremamente insoddisfacente prendere una di loro ed elevarla a regina quando, tutto sommato, non provava interesse o stima, ma anzi, in qualche caso la considerazione che aveva di loro si abbassava fin quasi alla sufficienza. E poi, quella parte del branco non conosceva Mufasa, non era davvero membro delle Pride Lands: se avesse voluto dividere il potere con qualcuno, e anche quello era un grande “se” considerando quanto tenesse alla completezza del suo dominio, sarebbe stato certamente con qualcuno che lo meritava tanto quanto lui.

Dunque il cerchio si era ristretto alle compagne di Sarabi, ma anche quello era fuori questione: senza contare che nessuna di loro avrebbe mai voluto affiancarglisi, e di questo purtroppo era a conoscenza anche senza che una proposta esplicita venisse fatta, ma avrebbe potuto costringerle, in fondo, lui era il sovrano, il pensiero di vivere, seppur per poco tempo e senza risvolti sentimentali di alcun tipo, con una ammiratrice del fratello a cui la sua amministrazione non era riuscita a far cambiare idea lo disgustava alquanto.

Tentando di fare chiarezza nella sua mente, uscì dalla tana, con la luce sole che, appena sorto, iniziava ad illuminare la savana, e, a testa bassa e con una moltitudine di pensieri in testa, iniziò a camminare, senza una precisa meta: era un bene avere un po’ di tempo da solo con se stesso, un periodo che non comprendesse un dialogo con quell’irritante pennuto, con la passata regina o, e questa era una nuova aggiunta, Nala. Se la madre era sempre stata piuttosto remissiva e disposta a seguire la massa, un atteggiamento estremamente utile a parer suo, la figlia non era fatta per nulla della stessa pasta: eccellente cacciatrice, e questo senza dubbio non poteva esserle tolto, non perdeva occasione per schierarsi dalla parte opposta alla sua in qualsiasi decisione venisse presa con una costanza che lui trovava alquanto irritante. E ora che era stato negato loro il buffet completo, anche le iene sembravano meno contente del suo regno: non osavano lamentarsi, ovviamente, non erano così stupide dal mordere la zampa che aveva garantito loro un’esistenza decente per anni, ma rimaneva il fatto che già più di una volta aveva visto sul muso di Shenzi un’espressione che poteva ricondursi all’esasperazione. Aveva tutto sotto controllo, per il momento, ma non era detto che ciò rimanesse immutato in eterno: una discendenza sicura avrebbe aiutato a consolidare la sua posizione, quantomeno sperava che si sarebbero messi una buona volta il cuore in pace vedendo che neanche la sua morte avrebbe cambiato le cose, ma il problema sembrava non avere soluzione.

Scese lentamente dalla Rupe, lanciando un’occhiata di sbieco al panorama che si gustava dalla cima e digrignando i denti alla vista di quanta desolazione, quanta povertà si stesse spandendo a macchia d’olio sui suoi domini; era a lui che davano la colpa, anche se non ne aveva alcuna: era la siccità, la siccità alimentata dall’ingordigia delle sue “guardie del corpo”, che probabilmente non dava una ragione in più agli altri animali per restare in un luogo già gravemente danneggiato dalla mancanza d’acqua. E così se ne andavano, una scelta che, per quanto accolta da fastidio e nervosismo da parte sua, non poteva che trovare logica: anche lui avrebbe fatto una cosa simile se non fosse stato Re del branco, ma proprio la sua posizione e lo scopo che si era posto anni prima erano i motivi che lo trattenevano ancora più fermamente dal prestare ascolto alle voci che, sempre più forti, stavano chiedendo una migrazione.

Se avessero lasciato le Pride Lands, questo avrebbe significato non solo il suo fallimento, assolutamente inconcepibile, ma anche che quelle terre, floride e rigogliose un tempo, sarebbero per sempre appartenute al fratello e che le storie che sarebbero state raccontate a proposito di esse, quei racconti carichi di nostalgia di un tempo passato che lui aveva desiderato ardentemente venissero associati alla sua figura, sarebbero invece state permeate dalla presenza di Mufasa. Meglio la morte che una cosa simile.

Pensando e ripensando, era giunto ai piedi della Rupe, nei pressi della grotta dove, separate dalle altre, vivevano Zira e le sue compagne: non sapeva esattamente il motivo che lo aveva spinto a ritrovarsi in quel punto, ma d’altronde un luogo valeva l’altro. Appena la sua figura venne avvistata dalle abitanti della tana, un paio di leonesse uscirono allo scoperto, tutte con lo stesso muso appuntito della loro leader, precedute ovviamente da quest’ultima, che si inchinò, ossequiosa, davanti a lui, facendogli riguadagnare, almeno per qualche secondo, una parvenza di buon umore.

Non le considerava alla sua altezza, ed era molto difficile in effetti trovare qualcuno che egli pensasse come tale, ma erano piuttosto soddisfacenti da osservare, specialmente se in contrapposizione alle fosche riflessioni che animavano la sua mente in quel periodo.

“Vostra Maestà, è un onore avervi presente qui, specialmente dato che non ci avevate avvertito della vostra visita” Stava per rispondere una qualche frase di circostanza sul fatto di essere solamente di passaggio e di voler essere lasciato in pace possibilmente per un tempo indefinito, quando due cuccioli uscirono dalla grotta, rincorrendosi e infilandosi fra le zampe di Zira, non badando affatto alla sua presenza in un modo che egli considerò alquanto poco rispettoso. Evidentemente, anche la sua interlocutrice dovette avere la stessa realizzazione.

“Nuka! Vitani! Smettetela di comportarvi da idioti! Siete al cospetto del vostro re!” Solo in quel momento i due sembrarono accorgersi della quarta presenza in quel quadretto familiare, tanto che la più giovane, la femmina dal manto chiaro color miele e dagli occhi azzurri, che a dispetto della sua età aveva atterrato il suo compagno di giochi, scese da quest’ultimo e si pose, seduta, davanti a Scar, guardandolo con due occhi sgranati ed estremamente curiosi. L’altro, invece, con la pelliccia maggiormente chiara tanto quasi da confondersi con la polvere e la terra, rimase nella stessa posizione, con lo sguardo intontito e l’espressione perplessa.

“Un genio davvero” pensò sarcastico il leone dal manto scuro, lanciando un’occhiata veloce ad entrambi e poi una non più lenta a quella che, evidentemente, doveva essere la madre: non era una novità che una delle Outlanders avesse dei figli, d’altronde la loro libertà e raggio di azione avevano altri vantaggi a parte la caccia, ma lui non aveva mai voluto sapere nulla di loro. Erano lì, considerava alla lontana la loro presenza, pur senza interessarsene: non era affar suo quello che facevano lontano dalle Pride Lands, fintanto che questo non avesse compromesso il suo regno.

“Vi sembra questa la maniera di presentarvi? Speravo almeno che faceste una buona impressione…” L’adulta scosse la testa, per poi rivolgersi al sovrano, con un tono di accorata scusa e profonda costernazione “Mi scuso per questa scena, davvero, io avevo stabilito che badassero al loro fratello” L’ultima affermazione era stata quasi un ringhio indirizzato al maggiore, che, ritrovato un briciolo di intelletto, si alzò in piedi, continuando ad ignorare Scar, che iniziava a sentirsi molto più che innervosito da quella scena e stava per andarsene, non volendo passare ancora del tempo con quelle presenze che, gli era bastato poco per capirlo, non brillavano certo per ingegno.

“Non è colpa nostra, mamma! Kovu non fa altro che fissarci! È così noioso!”

Non fu tanto l’affermazione del piccolo a fargli cambiare idea e a far sollevare il suo sopracciglio sinistro con meraviglia, quanto il nome che sentì pronunciare: Kovu*. Davvero troppo strano perché potesse essere una coincidenza e, se anche lo era, di sicuro era alquanto piacevole.

Zira dovette notare l’espressione vagamente sorpresa sul muso del suo sovrano, perché abbassò lo sguardo, lievemente imbarazzata e dimentica per un momento del figlio degenere, che risultò molto grato per l’improvvisa e insperata distrazione, approfittandone per filarsela e trascinarsi dietro Vitani.

“Avrei voluto che faceste la loro conoscenza in un altro momento, davvero, solitamente non sono così rumorosi…” Ne dubitava fortemente, ma lasciò che continuasse: era incuriosito, anche se non l’avrebbe mai ammesso, da quella situazione e aveva la vaga idea che sarebbe giunto qualcosa di buono dall’incontro, seppur inaspettato. Sembrava comunque che ella non avesse intenzione di continuare il discorso e che non sarebbe mai arrivata al punto che invece lo intrigava: con un grandissimo sforzo di volontà per quello che gli sembrava una dimostrazione eccessiva di interesse, perciò, si ritrovò a prendere lui stesso il controllo della conversazione.

“Da questo deduco che ci sia una terza… parte rimasta priva di presentazione, giusto?” Non l’aveva neanche guardata mentre diceva quelle parole, concentrando lo sguardo sulla sua sinistra per non attribuire troppa importanza alla frase, ma a quanto pare bastò perché la leonessa saltasse quasi sull’attenti, fulminata da quell’inaspettata richiesta. Perché era una richiesta quella di Scar, una richiesta come quelle che lui era solito fare: silenziosa, pacata, apparentemente casuale e priva di importanza, ma che sapeva imporsi nella mente del suo ascoltatore. D’altronde, era così che aveva irretito le iene tempo addietro ed era così che continua ad affascinare i suoi proseliti: un piccolo, discreto, invisibile passo alla volta.

“Oh, sì! Sì, ovviamente, Mio Signore!” Ella scomparì immediatamente, per tornare qualche secondo dopo con un fagottino minuscolo fra le fauci, preso delicatamente per la collottola: era piccolissimo, non poteva avere più di qualche giorno di vita, e teneva gli occhi chiusi, probabilmente assopito, ma quello che colpì il leone fu il colore del suo manto. Scuro, più scuro del suo ad un primo sguardo. Non aveva mai visto un colore simile, neanche Uru, neanche sua madre, era così. Si chiese da chi avesse preso quella caratteristica.

Zira appoggiò il figlio per terra con una delicatezza che non aveva dimostrato mai per niente e per nessuno e che Scar trovò quasi contraddittoria con la sua personalità, ma in fondo non si era mai dato più di tanta pena per conoscerla, quindi non poteva esserne sicuro. Si avvicinò di qualche passo alla palla di pelo, mantenendo sempre e comunque il suo atteggiamento altero ed osservò con distacco il muso della madre che scuoteva dolcemente il leoncino per svegliarlo. Quando questo avvenne, l’espressione del sovrano mutò radicalmente per lo stupore: aveva sempre creduto di essere l’unico con gli occhi verdi, e che questo sarebbe rimasto invariato negli anni, ma ciò che aveva davanti in quel momento provava il contrario. Le iridi che stava fissando e che, incredibilmente, sembravano ricambiare il suo sguardo con un’espressione curiosa, avevano la stessa esatta sfumatura smeraldina che aveva notato fin da piccolo quando si specchiava nelle pozze d’acqua, quello stesso colore tanto particolare, tanto unico, che aveva contribuito a farlo sentire costantemente diverso dagli altri. Era strano, anzi, quasi paranormale, vedere la sua principale caratteristica ora trasferita sul muso di un cucciolo, ancora di più se quel cucciolo aveva un ciuffo nero al termine della coda e una pelliccia bruna, di una sfumatura che si differenziava da quelle prima di allora comunemente viste. Per un attimo, ma solo per un attimo, perché lui era Scar, e Scar non cedeva ai sentimentalismi né tantomeno ad emozioni improvvisi, perché il suo ruolo era quello dell’essere freddo e logico e non poteva avere reazioni simile, quello era il compito dei deboli al pari di Mufasa, rivide se stesso: fratello minore, piccolo, strano, giudicato noioso per la predilezione del pensiero piuttosto che dell’azione.

Ora capiva il motivo per cui sua madre lo avesse chiamato con quel nome.

Si riscosse dopo appena qualche secondo, storcendo vagamente il muso per quelle considerazioni assolutamente fuori luogo e che non gli appartenevano sicuramente, rivolgendo poi uno sguardo più tecnico e calcolatore al micetto davanti a lui e trovando una risposta al problema che si era presentato quella mattina: nessuna regina, nessuna compagna dall’irritante presenza pronta a dividere il potere da lui unicamente meritato, ed eppure ecco che si presentava la possibilità di avere un erede che gli somigliasse e che, opportunamente indirizzato ed addestrato, seguisse le sue orme. Era certo che fosse la soluzione migliore, per lui e anche per la leonessa a cui avrebbe comunicato la sua decisione: non avrebbe potuto rifiutargli una cosa simile, conoscendola.

“Allora, Vostra Altezza? Cosa ne pensate?” Come pensava, anche in questo caso Zira aveva bisogno del suo giudizio, ma in quel momento, più che fargli piacere o innervosirlo, trovava la sua dipendenza piuttosto utile da sfruttare. Aveva avuto ragione, dunque, quando l’aveva conosciuta: sarebbe servita a qualcosa nel futuro.

“C’era un motivo per cui ero venuto nei dintorni del tuo branco” rispose, aggirando momentaneamente la domanda e dandole le spalle “Stavo valutando la possibilità di avere una discendenza, insomma, qualcuno che continuasse il mio regno in mia vece alla mia morte” E, per qualche motivo, pronunciare quella parole gli diede l’impressione che quel momento sarebbe venuto prima di quanto avesse voluto. Scacciando quella sensazione, si rivolse verso di lei, voltandosi di quarantacinque gradi, con un sorriso soddisfatto sulle labbra “E credo che potrei averlo trovato”. 

Il silenzio che seguì per qualche secondo fece quasi pensare a Scar che le sue previsioni sarebbero state disattese e che sarebbe andato incontro ad un secco rifiuto da parte della madre, cosa piuttosto insolita e che in ogni caso non l’avrebbe fermato, semmai avrebbe reso solo più lunga la conversazione, ma, proprio quando iniziava a spazientirsi e pensava di esigere una risposta, Zira scattò in piedi dalla posizione seduta che aveva assunto e, con un’espressione ancora più fanatica del solito, iniziò a felicitarsi e acclamare la decisione del proprio re.

“Oh, Mio Signore, Mio Signore per me è un grandissimo onore! Avere uno dei miei figli come successore al trono sarebbe… anzi, sarà magnifico! Vi assicuro che non vi deluderà: è molto piccolo, ma intelligente, sì, alquanto intelligente e farò in modo che cresca esattamente come un sovrano” Fu grato che la dichiarazione di voler in qualche maniera “adottare” quella palla di pelo non avesse messo strane idee nella testa della leonessa come la possibilità di diventare regina: era talmente emozionata che quel pensiero non le si era neanche affacciato e il leone aveva tutte le intenzioni di fare in modo che in quel modo la questione rimanesse, tanto più che non considerava neanche un’opzione l’avere a che fare direttamente con Kovu fino a che non fosse diventato almeno decentemente grande.

Non era un padre e non lo sarebbe mai diventato.

“Spero lo stesso anche io” Aveva deciso che il colloquio era terminato, tanto più che, con lo stato d’animo risollevato ed il mattino inoltrato, poteva benissimo tornare a rivolgere le sue attenzioni alle questioni regali che sicuramente gli sarebbero state poste: si iniziò dunque ad avviare verso la Rupe, aggiungendo ancora, ad una Zira assolutamente in visibilio, che sarebbe tornato dopo un quattro lune circa ad osservare i progressi del piccolo, sempre che ce ne fossero stati.

Riprese poi a camminare, soddisfatto della sua decisione e determinato a comunicarla di persona a Sarabi, solamente per vedere l’espressione che il suo muso avrebbe assunto quando finalmente si sarebbe resa conto che il suo regno non sarebbe culminato con la sua dipartita: che sperasse, che pregasse quanto voleva i suoi preziosi Antenati, ma la realtà era che lui e solo lui avrebbe avuto potere di vita e di morte sulle Pride Lands ancora per molto tempo. Avrebbe invece delegato a Zazu il compito di spargere la notizia fra tutto il resto dei suoi sudditi.

E, a proposito di Zazu, il suo rinnovato buon umore, una punta di sadismo e la necessità improvvisa di un intrattenimento di qualche tipo con cui passare le ore e i giorni che sarebbero seguiti, gli suggerì una maniera piuttosto divertente per sfruttare il bucero, una volta maggiordomo, in quel momento molto più schiavo, e le sue doti canore.

 
   
 
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