Christmas’s
magic
Gaara
era
sprofondato nella sua poltrona e fissava il soffitto, spingendosi
pigramente
con i piedi per farla girare sulle rotelle, cullato da quei movimenti
continui
che però stavano iniziando a fargli girare la testa. Forse
anche quei due
bicchieri di spumante bevuti a stomaco vuoto potevano avere la loro
parte di
colpa.
Era
l’ultimo giorno di lavoro prima della pausa natalizia e, come
da tradizione, in
ufficio avevano fatto un piccolo rinfresco e un brindisi tutti assieme.
Avevano
tratteggiato un breve bilancio dell’anno appena passato, si
erano scambiati
complimenti, frecciatine, auguri, chiacchiere varie e Hiashi aveva
consegnato a
Gaara anche un’anonima busta bianca con la gratifica
natalizia.
Quella
riunione non era durata poi molto e gli avvocati erano poi andati via,
lasciandogli il compito di chiudere l’ufficio e sistemare le
ultime cose; era
rimasta solo Hinata che stava finendo di truccarsi in bagno per un
appuntamento
con Naruto, mentre lui era lì, intento a non fare niente e a
non pensare a niente
una volta tanto.
Quegli
ultimi giorni li aveva vissuti immerso in una vasca gigante. Lui non
era altro
che un pesce d’esposizione in un acquario, che guardava le
vite degli altri al
di là del muro d’acqua e plexiglass. Era stato
anche uno spettatore della
propria vita, si era osservato dall’esterno mentre compiva i
gesti quotidiani:
fare la doccia, vestirsi, lavorare, rispondere alle domande, fare finta
di
essere vivo mentre in realtà si sentiva solo un guscio vuoto
e morente.
“Gaara,
io vado.”
Il ragazzo
distolse lo sguardo dal soffitto e vide Hinata sulla soglia della
porta; non
l’aveva proprio sentita e sì che aveva degli
stivaletti coi tacchi alti!
“Ok,
divertiti e passa un buon Natale” le augurò,
alzandosi per raggiungerla.
“Grazie”
mormorò lei, senza però fare alcun accenno a
volersene andare. Anzi giocherellò
con i manici di una bustina che stringeva in mano e arrossì
inspiegabilmente,
ma alla fine trovò il coraggio per allungare un braccio e
tendere quella busta
verso il segretario.
“Questo è
un pensiero per te. Spero tu non ti offenda o pensi che sono sfacciata,
ma…
avevo voglia di fartelo” disse tutto d’un fiato.
“Hinata…
– mormorò Gaara stupefatto –
perché dovrei offendermi? Sono felice, ma anche
molto sorpreso e imbarazzato visto che io non ho niente per
te” rispose,
prendendo istintivamente il regalo. Lo guardò e si
sentì terribilmente in
difetto: Hinata era una ragazza molto accorta e generosa, forse avrebbe
dovuto
prenderle un pensiero, anche se sarebbe stato difficile visto che era
ancora col
conto corrente in rosso e tante preoccupazioni occupavano la sua testa.
Però,
al di là dell’imbarazzo, il sentimento prevalente
era la felicità: qualcuno
aveva pensato a lui, non era una cosa da poco, specialmente dopo quanto
accaduto nell’ultimo periodo.
“Oh no,
no. Non devi disturbarti, questo è solo un pensierino, non
l’ho nemmeno
comprato, ma l’ho fatto io… avevo solo voglia di
farti un regalo per
ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me in questi mesi.
Senza il tuo
appoggio penso che mi sarei scoraggiata e forse non sarei arrivata a
questo
punto” gli assicurò, forse più
imbarazzata di lui.
“Se l’hai
fatto con le tue mani allora è ancora più
importante, e tu sei più forte di
quanto credi” le rispose Gaara, quasi commosso.
Era stato
preso alla sprovvista da quelle attenzioni, non era molto facile
parlare. Per
quello non aggiunse altro e, senza ulteriori indugi, scartò
il pacco e si
ritrovò in mano una morbida sciarpa di lana grigio scuro, un
colore sobrio,
come quello degli abiti che portava abitualmente. Hinata
però aveva intrecciato
tra le fibre scure alcune rosse, rosse come i suoi capelli, e Gaara
pensò che
non stonavano affatto, anzi rendevano il capo ancora più
elegante.
“È
meravigliosa, grazie – disse a corto di parole – e
tu sei veramente bravissima.”
Hinata
sbatté le mani tra di loro, esaltata da quei complimenti e
felice di vedere
un’espressione così serena sul viso di Gaara;
nell’ultimo periodo e
specialmente nell’ultima settimana, le era sembrato davvero
giù. Di sicuro una
sciarpa non avrebbe risolto tutti i suoi problemi, però
poteva essere un
bell’aiuto.
Gliela
prese dalle mani e gliel’avvolse attorno al collo, per poi
constatare:
“Ti sta
benissimo, sono così felice di averci azzeccato.”
Gaara la
toccò, meravigliato da quanto fosse morbida e profumata, gli
sembrava che la
ragazza oltre ai fili di lana avesse intrecciato l’odore di
buono, di caldo e
accogliente, l’affetto che sembrava mettere in ogni suo gesto.
“Grazie,
Hinata” disse il segretario. Sull’onda di
quell’euforia le diede un bacio sulla
guancia che divenne all’istante rossa e bollente. Il ragazzo
ridacchiò e,
alzando un dito verso l’alto, indicò i rametti di
vischio che pendevano sopra
le loro teste, così che anche Hinata scoppiò a
ridere e, scherzando, entrambi
promisero di mantenere quel segreto con Naruto.
Si
scambiarono poi gli auguri e Gaara tornò alla scrivania con
una meravigliosa
sciarpa attorno al collo e una sensazione di leggerezza nuova nel petto.
Si
sedette e prese la busta con la gratifica, fissandola, facendosi
mentalmente un
po’ di conti per vedere se poteva prenderle qualcosa per
ringraziarla anche se
in ritardo, perché Hinata proprio non si era resa conto di
quanto quel piccolo
gesto fosse stato in realtà importante per lui.
Stava lì
a fissare la busta, con un gomito sulla scrivania e la testa appoggiata
sulla
mano, completamente assorto, quando una voce lo fece sobbalzare.
“Stai
pensando a quanto sei ricco? Ti ritroverò a fare il bagno
tra le banconote?”
“Itachi!
– esclamò Gaara, balzando in piedi spaventato
– Accidenti! Pensavo di essere
solo, mi hai quasi fatto venire un infarto, ma
dov’eri?”
Itachi
rise, divertito dalla sua reazione:
“In sala
riunioni a fare una telefonata, tu invece che fai ancora qui? Bella la
sciarpa,
Hinata?”
Gaara se
la tolse, imbarazzato per la reazione avuta, sia per essersi fatto
beccare a
sognare a occhi aperti come un idiota.
“Già, non
mi aspettavo che mi facesse un regalo e stavo pensando a poter
ricambiare in
qualche modo. Purtroppo non sono ricco e il bagno al massimo posso
farlo tra le
bollette – scherzò – stai andando
via?”
“Tra poco
– affermò guardandolo ancora – non
capisco perché ti sei sorpreso così tanto
nel vedermi. Non potevo certo andarmene senza salutarti, no?”
Gaara si
grattò la testa, imbarazzato, prima di rendersi conto che
quella di Itachi era
una presa in giro leggera, tipica dell’ironia sottile che
pareva appartenere
solo a lui.
“Sarà
colpa dello spumante – ironizzò, incrociando le
braccia davanti al petto –
Allora sei pronto a romperti qualche osso sulle piste da sci?”
Si
ricordava bene di quel pomeriggio poco lontano, in cui loro due e
Hinata si
erano ritrovati a chiacchierare mentre lui reggeva la scala alla
ragazza,
intenta a decorare la stanza. Si era sentito bene, spensierato
addirittura, ma
qualche ora dopo aveva rivisto Kankuro e tutto era collassato su se
stesso.
Quell’ingenua felicità effimera gli era esplosa in
faccia come un fuoco
d’artificio ed era svanita nel buio della notte, lasciando
come ricordo di sé
solo un flebile filo di fumo.
“Spero
sempre di tornare tutto intero, sono ottimista o solo molto fiducioso
nelle mie
capacità – sorrise Itachi, per poi allungargli una
busta – ma prima… è il mio
turno dei regali, anche se non sono vestito di rosso, né ho
una barba bianca.”
Gaara
rimase impalato a fissarlo, incapace di muoversi o parlare,
l’unico movimento
fu fatto dalle sue braccia che cedettero e rimasero inerti lungo i
fianchi.
Guardava alternativamente la busta e Itachi, senza dire niente, il suo
cervello
pareva annientato da quello che era un semplice gesto; anche Hinata in
fondo
gli aveva fatto un regalo, no? Però perché era
riuscito a ringraziarla e a
prenderlo seppur emozionato, mentre ora la cosa pareva molto diversa?
Deglutì, con
il pomo d’adamo che si mosse con chiarezza sotto la sua pelle
pallida, dopo di
che fece un colpo di tosse per schiarirsi la voce, che uscì
comunque bassa,
sempre pacata ma diversa dalla solita.
“Itachi,
ma… cosa? Non serviva” riuscì a dire in
qualche modo senza incespicare con le
parole.
“Dai,
prendi questa cosa prima che mi senta il babbo natale più
idiota del mondo.”
In effetti la sua reazione lo
aveva stupito,
aveva pensato che Gaara ne sarebbe rimasto sorpreso ma non a quei
livelli. “E
non mi ha costretto nessuno, è stato un impulso del momento
e l’ho seguito.”
E il
segretario non poteva sapere quanto ciò fosse inusuale per
Itachi, così attento
e abituato a pianificare tutto e a riflettere su ogni azione. In
qualche modo
alla fine allungò il braccio per prendere la busta,
mormorando un
ringraziamento.
Prese il
pacchetto elegantemente incartato con della vivace carta colorata e
percepì della
morbidezza sotto le proprie dita. Sentiva del rimorso
all’idea di strapparla,
anche se dentro ci fossero state aria o cartacce ne sarebbe stato
ugualmente
felice: Itachi aveva pensato a lui e aveva scelto qualcosa
sull’onda di quel
pensiero.
Incitato
dagli occhi scuri che lo fissavano, si decise ad aprire il pacchetto,
cercando
però di romperlo meno possibile e fu così che
alla fine tirò fuori un
morbidissimo maglione che dispiegò davanti a sé.
“È
veramente molto bello, non so come ringraziarti” disse ed era
vero. Il tessuto
era pregiato, non uno di quei capi con il 2% di lana se si era
fortunati, ma
era probabilmente un capo costoso e di classe, uno di quelli che
avrebbe potuto
indossare lo stesso Uchiha.
“Spero
che la taglia sia giusta, ma se vuoi puoi cambiarlo – rispose
Itachi,
osservando i suoi occhi ravvivarsi dopo giorni di buio –
Ammetto che mi hai
messo in difficoltà, sei un po’ troppo magro, devi
riprendere peso con queste
feste” aggiunse con leggerezza e un sorriso, ma
l’evidente dimagrimento del
ragazzo lo aveva impensierito veramente. Aveva avuto anche
l’intenzione di
dirgli qualcosa, ma lo aveva frenato la consapevolezza di non avere
ancora
tanta confidenza da poter dire cose simili. E lo aveva sorpreso il
desiderarla
tale confidenza.
“No,
penso sia perfetto e non preoccuparti, ho solo bisogno di un
po’ di riposo da
questo periodo stressante” rispose Gaara. Sapeva benissimo di
aver perso troppo
peso, conseguenza inevitabile dell’aver dovuto fare economie,
gli si vedevano
addirittura le costole, fortunatamente nascoste dalle camicie e altri
morbidi
abiti invernali. Le cose si sarebbero aggiustate, si ripeteva, bastava
solo
tenere duro ancora un po’, benché
nell’ultimo periodo ogni cosa gli stesse
remando contro e lui aveva perso quella scintilla, quella forza che lo
aveva
spinto a sperare nel futuro, ritrovandosi ad andare avanti per pura
inerzia. Però
poi succedeva che ti facevano dei regali inaspettati e iniziavi a
pensare che
forse non era tutto perso, ma c’era la paura che fosse solo
una presa in giro,
che uscito da lì avrebbe trovato un altro disastro pronto ad
abbatterlo.
“Mi sento
in difetto, non ho preso nessun regalo per te o Hinata –
disse ancora Gaara
stringendo tra le dita il maglione vellutato – mi
dispiace.”
“Non
devi. Non è stato un periodo facile per te, specialmente
l’ultima settimana
anche se non ne conosco i motivi.”
I suoi
occhi indagatori avevano fatto centro un’altra volta, ne fu
testimone l’espressione
sorpresa del segretario, ma Itachi non gli lasciò tempo per
parlare, per
tentare di negare o sminuire quell’evidenza. “Vuoi
farmi un regalo, vuoi
ricambiare in qualche modo? Bene, di là in frigo
c’è una bottiglia di spumante
e degli snack che saranno andati a male per quando torneremo, finiamoli
noi.
Stai qui con me e facciamo il nostro brindisi. Regalami un
po’ del tuo tempo,
Gaara.”
Il
ragazzo sentì dei brividi rincorrersi sotto la pelle, il suo
nome gli era sembrato
così bello detto dalle sue labbra, da qualcuno che lo stava
cercando, che gli
comunicava che l’unica cosa che desiderava da lui era un
po’ del suo tempo e la
sua presenza.
Quando
aveva creduto che al mondo non interessasse più niente di
lui, ecco lì che
compariva qualcuno a stravolgere quell’idea. Magari Itachi
non aveva niente da
fare quel pomeriggio, magari non sarebbero mai stati amici o non si
sarebbero
mai frequentati al di fuori dello studio, ma a Gaara non
importò. In quel
momento sapere che esisteva qualcuno che lo voleva era tutto
ciò di cui aveva
bisogno per non lasciarsi andare.
“Mi
sembra un’ottima idea” gli rispose e si sorrisero,
complici, felici di essere
dove erano.
In breve
la scrivania di Gaara, invece che dei soliti fascicoli e fogli sparsi,
fu piena
di squisiti snack e con una bottiglia di ottimo spumante che riempiva i
loro
bicchieri. Il segretario aveva anche indossato il regalo di Itachi per
dimostrargli che gli andava bene e quanto gli fosse piaciuto.
Avrebbero
potuto andare nella spaziosa sala riunioni, con le sue comode poltrone
imbottite, ma avevano preferito rimanere lì, nel loro
ufficio, con le loro
sedie con le rotelle dallo schienale duro, un ambiente familiare che
avevano
condiviso in quei mesi.
“E
comunque non hai nemmeno la pancia di babbo natale; mi spiace dirtelo,
ma
esiste qualcosa per cui non sei adatto” rise Gaara, bevendo
un sorso dal suo
bicchiere ormai vuoto.
“Vero, lo
ammetto, sono colpevole vostro onore – scherzò
Itachi riempiendolo di nuovo –
ma tu non sei esattamente un bambino che sbircia dalle scale, per
beccare il
vecchio ciccione che si cala dal caminetto.”
“Colpevole”
replicò un po’ più serio. Itachi non
poteva sapere quanto avesse ragione,
per Gaara non
c’era mai stato nessun bel
Natale da passare in famiglia, forse c’erano stati, ma lui
era stato poco più
di un neonato e non li ricordava. Ricordava invece bene quelli in
orfanotrofio,
la desolazione dell’istituto in contrasto con le strade
illuminate o i film
passati in televisione, c’era stato solo Kankuro vicino a
lui, l’unica famiglia
che aveva e che ingenuamente credeva che non lo avrebbe mai lasciato.
Itachi vide
il suo sottile cambiamento dopo il clima più allegro e forse
fu colpa della
bottiglia ormai vuota, forse fu colpa della sua curiosità
sempre presente e
della testa più leggera, ma si ritrovò a chiedere:
“Con tuo
fratello, l’altra settimana, è andato tutto bene?
Mi eravate sembrati piuttosto
tesi.”
Vide
chiaramente Gaara irrigidirsi, le dita che stringevano troppo forte il
bicchiere fino a sbiancarsi, gli occhi che sembravano troppo chiari,
troppo
grandi, in grado di divorare quel viso dai lineamenti sottili fino a
non
lasciarne più nulla.
Aveva
fatto una domanda scomoda, ma non se la rimangiò e rimase a
guardarlo, bevendo
pigramente, in attesa.
“Sì, non
siamo in buoni rapporti, ma non ci saranno più
problemi” rispose Gaara alla
fine. Aveva ceduto dietro l’insistenza di quegli occhi scuri,
anche se subito
maledisse la lingua sciolta dall’alcool, apparentemente
incapace di impedire alle
parole di scivolare fuori dalla bocca. Maledette traditrici che non
volevano
rimanere sigillate, volevano essere ascoltate, comprese, non
più ignorate.
“In che
senso? Nessun problema della serie che passerete addirittura il natale
assieme,
o nessun problema perché ti sei disfatto del
cadavere?” indagò ancora Itachi,
con quella sottile ironia che ammorbidì di poco Gaara, tanto
che si ritrovò a
rispondere:
“Della
serie che non ho più nessuno da poter considerare un
fratello – ammise – anche
se forse non l’ho mai visto così.”
Bevve
immediatamente il resto dello spumante, per riempirsi la bocca e
impedirsi di
aggiungere altro dopo quella confessione azzardata per i suoi standard.
Kankuro
era stato più di un fratello: l’amante,
l’amico, il confidente, il suo punto
fermo… la sua più bella e tragica illusione.
Itachi
inarcò appena le sopracciglia, sorpreso da quella frase che
nascondeva molteplici
significati, ma decise di non approfondire ulteriormente,
bensì domandò:
“E i
vostri genitori che ne dicono? Saranno dispiaciuti, immagino.”
Sua madre
lo era, quando lui e Sasuke non erano legati da nessun rapporto se non
dalle
spire del rancore e dell’astio.
Gaara
posò il bicchiere vuoto e, con un sorriso che non aveva
nulla di divertito
quanto di derisorio, sparò secco:
“Sono
morti, dubito che gli possa interessare di qualcosa. Ho vissuto in un
orfanotrofio.”
Itachi sussultò, il
segretario aveva ragione a
guardarlo a quel modo, come a chiedergli se fosse davvero un avvocato
tanto
abile visto che non lo aveva intuito da solo. Era semplice, avrebbe
solo dovuto
unire i pezzi del puzzle, sarebbero dovuti essere più che
evidenti per uno come
lui e, invece, lo aveva costretto a dirlo ad alta voce.
“Sono
stato inopportuno, mi spiace” disse guardandolo negli occhi,
senza nascondersi.
Era raro che Itachi sbagliasse, ma qualora accadeva non era tanto
vigliacco da
non riconoscere le proprie responsabilità.
Gaara non
fu compiaciuto da quelle scuse, desiderò invece non aver
risposto in modo tanto
astioso; se lui navigava in un mare di problemi di merda, non sarebbe
certo
stato meglio iniziando a spanderla tutt’intorno o a trattare
male gli altri.
Itachi non era nella sua testa, avrebbe potuto intuirlo, ma in quel
momento lui
non stava parlando con l’avvocato, ma con il giovane uomo e
le cose erano ben
diverse.
“No,
scusami tu – si ritrovò infatti a dire –
non avrei dovuto essere così acido,
ma… ammetto che non sono argomenti di cui parlo volentieri,
anzi in realtà non
ne parlo proprio mai.”
Itachi
annuì col capo, come a prendere coscienza di
quell’ulteriore informazione e
disse:
“Forse
non è nemmeno giusto che tu ti tenga tutto dentro. A volte
fa bene buttare
fuori un po’ di roba vecchia, o non hai nessuno con cui
parlarne?”
Osservò
la scrivania ingombra di vassoietti, la bottiglia vuota così
come i bicchieri e
rifletté su quanto si fosse trovato bene a chiacchierare con
lui, raramente gli
accadeva con qualcuno all’infuori di Shisui. Si morse un
labbro per non
lasciarsi sfuggire parole compromettenti, pronunciate troppo presto in
quel
loro strano rapporto che pareva non decidersi a imboccare una direzione.
Potresti
parlare con me, di tutto quello che
vuoi.
Gaara
intanto rifletteva su quella domanda. Se solo avesse voluto, avrebbe
potuto
parlarne con Hidan, o persino con Deidara. Non erano due persone
abituate ai
sentimentalismi, alle confessioni con fazzoletti umidi alla mano,
tantomeno
erano delicate, eppure era certo che per lui ci sarebbero state, come
lo
avevano aiutato in passato. A modo loro chiaramente, come quella volta
che
Deidara aveva messo del lassativo nel drink di un tizio che lo
infastidiva al
bar.
“Ho degli
amici, buoni amici, ma preferisco comunque tenere certe cose per me
– affermò
per poi sorridere e cambiare registro – e proprio tu ti metti
a dare certi
consigli? Non mi sembri il tipo che si mette a fare confessioni o a
raccontare
tutto di sé.”
Itachi
rise piano:
“Touché.
Mi hai scoperto, mi dichiaro nuovamente colpevole –
alzò le mani davanti a sé –
mi piace avere i miei segreti e che rimangano tali.”
“Ah sì?
Sarei proprio curioso di conoscerli” replicò per
poi prendere la bottiglia e
rendersi conto che era vuota. “Peccato, è
finita” mormorò.
“La
prossima volta andremo a bere in un locale, con tutto
l’alcool che vorremo”
propose Itachi.
Gaara
scoppiò a ridere nell’immaginare
l’impassibile Uchiha sbronzo marcio e non appena
brillo come ora, chissà se aveva la sbronza triste,
malinconica oppure
euforica? Sarebbe stato davvero divertente scoprirlo.
“Ci sto.”
Nel
vederlo così sorridente, diverso rispetto al fantasma senza
vita che osservava
ogni giorno muoversi in quell’ufficio, Itachi si
domandò come sarebbe stato
Gaara se avesse avuto una vita diversa. Se avesse avuto dei genitori o
un
fratello da non dover allontanare, uno che si prendesse cura di lui.
Avrebbe
visto più spesso il sorriso sul suo viso, si sarebbe
lanciato più spesso in
battute sagaci? Sarebbe stato ancora quello che rimaneva da solo al
bancone di
un bar a fissare un drink solitario, senza parlare con nessuno? Sarebbe
stato
più facile per lui aprirsi e magari… innamorarsi?
Si morse
nuovamente un labbro, non era ubriaco, ma quell’alcool aveva
allentato i suoi
freni inibitori, solitamente rigidamente sotto controllo, e si era
lanciato in
pensieri troppo pericolosi per continuare a soffermarvicisi.
Doveva
pensare a Sasuke, che aveva un qualche tipo di rapporto con Gaara. Lui
ci si
era avvicinato solo perché incuriosito dal segretario, col
desiderio di capire
di più sul conto del fratello e di entrambi, giusto?
Gli
apparve in mente il viso sornione di Shisui e non riuscì a
mettergli una mano
sulla bocca e impedirgli di parlare, così come non riusciva
a farlo nemmeno
nella vita reale.
Ne
sei proprio sicuro, Itachi? Per Sasuke, solo
per Sasuke, dici? E io dovrei credere a questa stronzata, ma
soprattutto come
fai a crederci tu? Esiste anche la tua felicità, non fare il
solito martire del
cazzo o ti vengo a prendere a calci.
Itachi
si
alzò in piedi, forse un po’ bruscamente, ma
l’altro sembrò non farci caso,
intento a scegliere una tartina da addentare.
“Sarà
meglio che vada, ho ancora la valigia da preparare e domani
parto” disse con
quello che sperava fosse il suo tono di voce abituale.
Gaara
lasciò perdere gli snack che non rivestivano più
tanto interesse ai suoi occhi
e si alzò a sua volta.
“Oh,
certo, io tolgo di mezzo questa roba, poi chiudo e me ne vado
anch’io. Spero di
rivederti a gennaio tutto intero” scherzò.
Itachi
gli sorrise e, col cappotto già allacciato, si
avvicinò alla porta dove si
fermò per sistemare la sciarpa e intimare allo Shisui nella
sua testa di stare
zitto; era irritante quanto quello vero. In fondo lui non stava
fuggendo, la
sua era solo una ritirata strategica e poi aveva davvero una valigia da
riempire.
“Suppongo
che avrai mie notizie in qualsiasi caso” rispose, smettendo
di armeggiare con
la sciarpa per osservare il ragazzo che lo aveva raggiunto e gli stava
di
fronte.
“Sta’
tranquillo, se ti dovessero ricoverare in ospedale ti porterei del
cioccolato e
non degli stupidi fiori.” Gli sorrise, complice,
perché non erano in molti a
sapere dell’amore di Itachi per i dolci, ma lui lo aveva
capito semplicemente
osservandolo.
L’Uchiha
sollevò appena gli occhi al soffitto, fingendo un disappunto
che in realtà non
provava ma, così facendo, vide un rametto di vischio pendere
sopra le loro
teste.
Al
diavolo!
Guardò
Gaara e all’improvviso nessuno dei due rideva più.
Si fissarono in silenzio,
vicini ma ancora separati di un paio di passi che Itachi
compì prima di chinare
la testa, per avvicinarla lentamente al suo viso con un chiaro intento.
Il
ragazzo non si spostò, anche se ne avrebbe avuto tutto il
tempo: Itachi si
muoveva con lentezza, come se dovesse conquistare ogni centimetro che
li divideva.
I loro occhi non si abbassarono, gli sguardi rimasero avvinti da
un’intensità
sconcertante ed entrambi sentirono sul viso il respiro
dell’altro, il suo
odore, il calore della pelle, finché le loro labbra non si
unirono.
Itachi
gli posò una mano sulla guancia dallo zigomo affilato,
mentre delicatamente gli
dischiudeva la bocca con la lingua e andava a scoprire il suo sapore;
quello di
Gaara, al di là dell’alcool e di ogni altra cosa,
in un bacio lento, accorto,
emozionante, che li ubriacò più dello spumante
bevuto.
Continuarono
a baciarsi e Gaara non riuscì più a rimanere
passivo come nella lenta scivolata
con cui Itachi si era avvicinato; le sue mani si aggrapparono alle
spalle dell’Uchiha
foderate dal cappotto e si godette quel bacio, che era morbido e andava
a
lenire le sue ferite. Si stava eccitando, ma non gli interessava
davvero, persino
quello scivolava in secondo piano. Perché voleva solo quel
bacio, quel
contatto, quell’istante sublime e nient’altro.
La
perfezione di un attimo.
Lentamente
si sciolsero dal loro abbraccio, aprirono gli occhi e Itachi
sollevò un angolo
della bocca, divertito:
“Ha fatto
proprio bene Hinata a mettere il vischio, non trovi?”
Gaara
ripensò al bacio sulla guancia che aveva dato alla ragazza
giusto un’ora prima
e si ritrovò a sorridere per la differenza tra i due baci
scambiati lì sotto.
“Assolutamente
d’accordo – fece un passo indietro – buon
natale, Itachi.”
Non
voleva parlare, chiedere spiegazioni, era stato bello e tanto gli
bastava, e
anche l’avvocato sembrava pensarla alla stessa maniera,
perché gli carezzò solo
lievemente una guancia prima di dirgli “Buon natale a te,
Gaara” per poi voltarsi
e uscire.
Guardando
le sue spalle fasciate dal cappotto elegante che si allontanavano, le
stesse
che aveva stretto qualche istante prima, Gaara realizzò che
Itachi gli aveva
fatto il regalo più bello che ci potesse essere: la speranza.
C’era ancora
speranza che esistesse qualcosa di bello anche per lui.
***
“Hidan,
se lo bruci anche quest’anno giuro che ti infilo nel forno e
poi vi faccio
esplodere!”
“Ah
ma
non rompere il cazzo! Era solo appena colorito un po’ troppo,
bastava grattare
via la superficie, esagerato dei miei coglioni!”
Gaara
ridacchiava mentre ascoltava il suo coinquilino e Deidara bisticciare
come al
solito, erano una garanzia, qualcuno avrebbe potuto trovarli irritanti
e spacca
timpani, ma non lui. Le loro continue rimbeccate significavano casa.
“Tu
che
cazzo hai da ridere? Dovresti stare dalla mia parte, sei o no il mio
coinquilino?” lo minacciò Hidan, puntandogli
minacciosamente contro un
forchettone. Peccato che la sua aria da duro venisse smorzata da un
guantone da
forno colorato, più macchie varie di olio e altri condimenti
sulla felpa.
“Rido
perché lo scorso anno a causa della tua tequila bum-bum
eravamo già sbronzi
prima di cena e non bastava grattare l’arrosto, ma bisognava
togliergli almeno
due centimetri di roba” replicò Gaara senza
scomporsi. Continuò invece ad
apparecchiare la tavola, niente di troppo ricercato in
realtà: aveva messo al
centro, posate, tovaglioli, bicchieri e piatti di plastica, ognuno poi
avrebbe
pensato per sé, di sicuro non era la classica tavolata
natalizia. A nessuno
interessava che ci fossero centrotavola, candele e altri aggeggi
inutili, se ci
fossero stati probabilmente avrebbero passato la serata a tirarseli.
“Fanculo,
non mi sembra che sia avanzato lo stesso” borbottò
Hidan.
“Fame
alcolica, tutto qua” replicò Deidara, intento a
preparare dei cocktail,
beccandosi in risposta un dito medio dall’altro, che venne
puntato anche a
Gaara quando questi concordò.
“E
poi dato
che sta quasi sempre qui – aggiunse Gaara – credo
di poter considerare anche Deidara
coinquilino, specialmente dopo averlo visto nudo l’altra
mattina mentre andava
in bagno.”
“Il
mio
corpo e un’opera d’arte, dovresti essermi grato
– sbuffò questi –
però… in
effetti potrei smetterla di pagare un affitto inutile.”
Lo disse
così, buttando quell’affermazione nel mezzo della
conversazione come se fosse
una cosa senza importanza, ma le sue mani non riuscivano proprio a
stare ferme
e il suo sguardo non si posava su Hidan.
Quest’ultimo
si tolse il guantone da forno e lo fissò, con gli occhi
violetti che
brillavano, divertiti. Osservò i suoi movimenti nervosi, i
capelli che adorava
tirare durante il sesso e quella boccaccia che non stava mai zitta e
non aveva
alcun filtro col cervello.
“Bah,
fanculo… uno organizza una fottuta cena di natale e si
ritrova a convivere.
Potevi pensarci prima, con quei soldi ci saremmo fatti una
vacanza.”
Deidara
lo fulminò, anche se per una volta non era realmente
arrabbiato, non poteva
dargliela vinta così facilmente:
“Non
ti
ficco nel forno solo perché c’è
l’arrosto e perché non mi va di portarti al
pronto soccorso. Preferisco passare il natale in un altro
modo.”
A
dispetto delle sue parole, gli passò un bicchiere con uno
dei suoi squisiti
cocktail. Si sorrisero, complici, compagni da una vita, consapevoli che
se
erano arrivati fin lì senza ammazzarsi sul serio era solo
perché si amavano. A
modo loro, ma l’amore c’era e Gaara non faticava a
riconoscerlo.
Si
voltò,
imbarazzato per aver assistito a quel momento intimo, molto
più che vedere
Deidara nudo. Fece finta di dover fare qualcosa nell’altra
stanza, così li
lasciò soli, liberi di baciarsi, fare altre dichiarazioni o
forse insultarsi,
quei momenti di pace non duravano mai molto tra di loro.
Stava
liberando il divano da riviste e qualche cartaccia, preparando la
playstation
perché di sicuro si sarebbero sfidati a qualche gioco dopo
cena, tutti troppo
ubriachi per poter giocare decentemente, ma quello non li aveva mai
fermati.
Poco dopo
sentì un braccio poggiarsi sulle sue spalle e, voltando la
testa, vide Hidan a
fianco. Gli porgeva un bicchiere e gli faceva quel suo sorriso un
po’ storto
irresistibile.
“Non
lamentarti se quello poi rompe i coglioni, te la sei cercata.”
“Non
accadrà” rispose semplicemente, prendendo il
cocktail per poi far tintinnare il
bicchiere col suo in un brindisi.
Hidan
ancora lo stringeva e, a quel modo, poté sentire quanto
Gaara fosse dimagrito,
guardandolo in viso notò anche le sue occhiaie
più pronunciate e gli zigomi più
sporgenti. Si diede del coglione per essersene accorto solo ora, ma in
quell’ultimo periodo si erano visti solo di sfuggita pur
abitando assieme, ma
la cosa non lo aveva preoccupato. Era già successo in
passato, per di più era
sicuro che se ci fossero stati dei problemi Gaara gliene avrebbe
parlato,
peccato essersi dimenticato che l’altro in pratica era
un’ostrica travestita da
essere umano.
“Ehi,
stai bene, sì? È un sacco che non abbiamo dieci
minuti per farci una
chiacchierata e tra poco un’orda di cafoni
invaderà casa.” Forse aveva
sottovalutato la rottura con quel tizio… come si
chiamava… Sasuke? Aveva
pensato che Gaara sarebbe passato oltre senza problemi, in fondo era
uno tosto.
“Ti
ricordo che sono amici tuoi – gli fece presente il ragazzo
dai capelli rossi
con un sorriso divertito per poi sospirare appena –
è stato un periodo tosto
per entrambi. Il lavoro e l’università mi hanno
risucchiato ogni energia.”
Non
menzionò Kankuro, nemmeno Hidan che era la persona che
conosceva più cose su di
lui sapeva della sua esistenza e Gaara non aveva intenzione di cambiare
le cose
proprio ora, specialmente visto che, a quanto pareva, il sipario era
calato
definitivamente sui due fratelli.
Non disse
nulla nemmeno dei risvolti con Sasuke o Itachi, perché non
sapeva nemmeno lui
come spiegarli, dato che era il primo a non capirli.
Hidan
intanto lo scrutava attentamente:
“È
per
questo che non sei più uscito con nessuno? Dovresti dare una
chance a Yahiko,
gli sei sempre piaciuto, anche se è un po’ un
cazzone non è male.”
Gaara
sorrise e scosse la testa, consapevole dell’interesse mai
nascosto da
quell’amico di Hidan. Lo reputava bello e simpatico,
nonostante fosse un po’
fuori di testa, ma non aveva mai voluto approfondire perché
era certo che non
sarebbero mai andati d’accordo.
“Mi
spiace, ma io non sono disposto a fare il passivo e lui
nemmeno.”
“E
andrete avanti a pompini!” esclamò Hidan con foga,
rischiando di rovesciare il
suo cocktail.
“Tu
lo
accetteresti?” domandò Gaara, bevendo invece
tranquillamente il proprio.
L’altro
ci pensò su un attimo, poi scosse la testa:
“Cazzo,
no! Come fai a rinunciarci? Però… ah, fanculo,
fate come vi pare.”
Gaara fu
divertito dal suo disagio nel manifestare interesse e gli
batté una mano sulla
spalla, pensando che, se fosse stato in grado di fidarsi e lasciarsi
andare,
sarebbe stato tutto più semplice. Non era mai riuscito a
farsi penetrare o
carezzare da qualcuno all’infuori di Kankuro, solo con Sasuke
le cose erano
andate diversamente. Gli piaceva sentire le sue mani sul proprio corpo,
che
sembravano disegnarlo con cura, senza dimenticare alcuna linea o
angolo, ma…
era tutto finito, inutile pensarci ancora.
I due
amici continuarono a chiacchierare di cose più leggere e
divertenti,
immaginando vari scenari catastrofici causati da Deidara nella loro
futura
convivenza a tre. Finirono i drink, ma continuarono a ridere insieme
grazie alla
complicità nata faticosamente negli anni, almeno
finché a Gaara non squillò il
cellulare. Lo tirò fuori dalla tasca e, con sorpresa, vide
che a chiamarlo era
proprio Sasuke.
Fissò
lo
schermo lampeggiante e il suo primo impulso fu di rifiutare la
chiamata, oppure
di rispondere, mandarlo a quel paese e poi riagganciare.
Il tempo
si dilatò, quei pochi secondi di chiamata parvero infiniti e
il nome che
continuava ad apparire sembrava una pistola contro, che lo sfidava a
reagire o
scappare, ma lui era bloccato. Gli si era inceppato qualche meccanismo
dentro.
“Rispondi
e mandalo a farsi fottere, visto che gli piace pure”
sbottò Hidan. Non era
normale tutta quell’indecisione da parte di Gaara,
evidentemente c’era ancora
qualcosa in sospeso, meglio che si parlassero e la chiudessero una
volta per
tutte.
Fu
l’intervento dell’amico a dare a Gaara la spinta
necessaria per premere il dito
sul bottone giusto. Sentiva di andare incontro a un’altra
catastrofe, ma poteva
anche sbagliarsi, l’unica cosa certa era che, se non avesse
risposto, non lo
avrebbe mai saputo.
“Pronto?”
disse dirigendosi verso la propria camera, mentre Hidan gli faceva dei
gestacci
per indicare dove mandare Sasuke.
Questi
non rispose subito, tanto da far pensare a Gaara che quella chiamata
fosse
partita per errore, ma le sue parole successive fugarono quel dubbio:
“Credevo
che non mi avresti risposto.”
“Avevo
il
cellulare nell’altra stanza, l’ho sentito per
caso” mentì Gaara. Mai gli
avrebbe confessato quanto era stato difficile rispondere, né
quanto lo
scombussolasse sentire di nuovo la sua voce.
“Capisco
– disse Sasuke – immagino starai festeggiando, ti
ho disturbato.”
Nessun
accenno di scuse o di dispiacere, come sempre.
“No,
nessun disturbo – affermò Gaara, con la voce che
non tradiva la minima
incertezza – come mai mi hai chiamato?”
Udì
un
rumore in sottofondo, come di qualcosa che cadeva a terra, ma non vi
badò,
tutta la sua attenzione era protesa in attesa di quella risposta;
Sasuke non lo
aveva mai chiamato nemmeno quando si frequentavano, limitandosi a
più freddi e
impersonali messaggi.
“Beh,
ecco… – disse ed era difficile riconoscere
l’Uchiha in quel tono incerto – ho
immaginato che una telefonata fosse più indicata di una mail
per fare gli
auguri di natale.”
Gaara si
sedette sul letto, tentando di processare quell’informazione.
Tra tutte le cose
che gli potevano accadere, non aveva mai contemplato che Sasuke potesse
telefonargli per degli stupidi auguri. D’altronde non aveva
nemmeno immaginato
che Itachi potesse fargli un regalo o baciarlo e, a quel ricordo,
arrossì
appena, ringraziando che l’altro non lo stesse vedendo.
“Allora
auguri di buon natale, Sasuke” rispose soltanto, passandosi
le dita sulle
labbra che entrambi i fratelli avevano baciato e, pensandoci,
rabbrividì.
“Grazie,
auguri anche a te, Gaara” replicò automaticamente.
Sulla
linea regnò il silenzio, se fossero stati nella stessa
stanza forse in quel
momento si sarebbero fissati negli occhi e basta, ma erano lontani, non
solo
fisicamente.
“Come
va
sulla neve?” domandò Gaara. Avrebbe potuto
benissimo salutarlo e poi chiudere
la telefonata, invece di prolungare quello strazio imbarazzato ricolmo
di
disagio. Però Sasuke lo aveva chiamato, aveva fatto un primo
passo e poteva
immaginare quanto gli fosse costato con quell’orgoglio che si
ritrovava, quindi
lui poteva anche fare una domanda per cercare di sbrogliarsi da quella
situazione di stallo.
“Come
fai… ah, certo, Itachi – si disse Sasuke
– tutto bene, è piuttosto divertente,
anche se quest’anno sono venuti tutti allo chalet e stiamo un
po’ stretti. E
vorrei tanto ammazzare mio cugino Shisui, lui è…
lascia stare, nemmeno lo
conosci.”
Si
interruppe bruscamente, forse si era reso conto di aver parlato troppo,
di cose
che lui stesso giudicava stupide.
“No,
lo
conosco. L’ho visto solo una volta, ma mi è
sembrato un tipo che non sta mai
zitto – intervenne Gaara – posso immaginare bene
perché ti irriti.”
Di nuovo
aveva salvato la conversazione e non sapeva se darsi del cretino o se
esserne
felice. Quella telefonata e quel dialogo lo stavano scombussolando, se
poi
pensava anche a quel bacio con Itachi la testa minacciava di esplodere.
Sentì
delle voci in lontananza, gli amici di Hidan erano arrivati, la casa si
stava
per riempire di caos e allegria, discorsi e risate, e lui si
ricordò nuovamente
quanto lui e Sasuke fossero lontani caratterialmente, fisicamente e in
qualsiasi altro modo esistente. Eppure, nonostante tutto, erano
riusciti a trovare
un punto di incontro; come erano arrivati ad essere nuovamente tanto
distanti?
Davvero erano stati inutili e privi di significato quei mesi in cui si
erano
frequentati?
“Sto
andando da uno psicologo.”
La voce
di Sasuke fu secca, brutale, una fucilata in pieno petto che
lasciò Gaara a
bocca aperta, shockato e pieno di domande. Cosa significava quella
frase? Che
Sasuke aveva riconosciuto di avere un problema, che voleva risolverlo e
non
nasconderlo come polvere sotto al tappeto? E perché glielo
stava dicendo, in
che modo rientrava lui in quel quadro?
“Io…”
mormorò, ma l’architetto lo interruppe:
“Lo
so
che magari non te ne frega niente e non sai quanta fatica sto facendo a
dirti
queste cose, ma… devo farlo. Ho sbagliato tutto con te
– rimase in silenzio –
scusami, Gaara.”
Il
ragazzo si stese sul letto, incredulo. Sasuke si era scusato ed aveva
ammesso
le sue colpe, doveva essere proprio ubriaco o quel terapista doveva
essere
davvero bravo, oppure era un altro regalo di natale?
“Sono…
mi
fa piacere per te – disse Gaara – il tuo psicologo
deve essere davvero un mago,
eh?”
Non aveva
resistito a quell’occasione di stuzzicarlo, di rispondergli
per le rime come
facevano prima, sempre in lotta per avere l’ultima parola.
Sasuke però non
ribatté, anzi rise piano e Gaara immaginò le sue
labbra sorridenti, come se le
avesse avute davanti agli occhi in quel momento.
“Si
può
dire anche così, ma ho ancora molto lavoro da fare e adesso
smettila di gongolare,
so che lo stai facendo – entrambi risero, poi lui
continuò – possiamo rivederci
quando torno? Magari un caffè, o un
cinema…”
Lasciò
la
frase in sospeso e Gaara si morse le labbra perché davvero
non sapeva cosa
rispondere, anche il fatto che Sasuke volesse rivederlo era
sorprendente e si
ritrovò a pensare che l’ipotesi che lo psicologo
fosse davvero un mago non era
poi così priva di fondamento. Tuttavia rifletté
anche sul fatto che Sasuke
aveva ancora del lavoro da fare, per sua stessa ammissione, poteva
essere
saggio iniziare a rivedersi già da ora? Magari lui intendeva
solo come amici o
per una chiacchierata, ma Gaara aveva un’altra impressione e
poi, in fondo, non
esistevano solo i problemi di Sasuke. Anche lui aveva il suo carico di
dubbi e
paure che non potevano essere cancellati con un colpo di spugna
così
all’improvviso, non bastavano solo delle scuse, ed erano
successe altre cose da
quando avevano smesso di vedersi.
Tra
queste c’era Itachi; cos’era stato quel bacio? Solo
un meraviglioso regalo o
c’era altro?
“Credo
che non sia il caso di affrettare le cose, hai molte cose da risolvere
per
conto tuo e anch’io ho le mie questioni – rispose
alla fine, lucido e razionale
– però… tanto a gennaio dovremo
rivederci per il progetto, no?”
Udì
solo
silenzio all’altro capo della cornetta e immaginò
che Sasuke si fosse offeso
per il suo rifiuto, ciò lo rassicurava sulla
bontà della sua decisione, ma lo
rendeva anche dispiaciuto. Tuttavia, quando l’architetto
rispose, la sua voce
era serena, forse si era preso solo qualche istante per riflettere,
dato che
poi gli diede ragione:
“Certo,
è
giusto. Beh, sarà meglio che ti saluti, abbiamo entrambi
persone che ci
attendono.”
“Già
–
convenne – buon natale, Sasuke.”
“Buon
natale, Gaara.”
Il
telefono prese a tubare e i due ragazzi distanti, ma inconsapevolmente
sulla
stessa linea di pensiero, si ritrovarono a fissare due soffitti diversi
e a
chiedersi quale fosse la cosa giusta da fare.
L’angolino
oscuro: Adoro il natale, per me ci
dovrebbero essere lucine e
decorazioni da novembre fino ad almeno marzo, quando
diventerò presidente della
galassia mi impegnerò a promulgare una legge a riguardo
muahahah
Scherzi a parte, spero
vi
sia piaciuto questo capitolo, ho cercato di imprimervi
un’atmosfera del tutto
diversa rispetto al precedente, un’idea di speranza, che
qualcosa di buono ci
possa ancora essere, ancora non è tutto perduto.
Mi sono sciolta col
bacio
di Gaara e Itachi, come ho scritto è la perfezione di un
attimo. In quel
momento era ciò che entrambi volevano più di ogni
altra cosa, non continuare
ciò che avevano iniziato, finire a letto o altro, ma solo
assaporare quel bacio
e quel momento che si sono regalati, proprio loro due che raramente si
concedono di buttarsi in qualcosa senza ragionarci.
Sasuke non
è scomparso di
scena, direi che lo psicologo vale ogni centesimo dato che lo abbiamo
visto
fare qualcosa di impensabile solo qualche mese fa: parlare. Cercare di
comunicare e stabilire una connessione, cosa che aveva sempre
rifuggito; sono
orgogliosa della sua crescita, ho sempre voglia di prenderlo a calci,
ma
stavolta con orgoglio XD
Piccola comunicazione
di
servizio: non so esattamente quando riuscirò ad aggiornare.
Sto per affrontare
un trasloco/trasferimento piuttosto grosso, la mia testa è
tutta proiettata lì,
cercherò di fare del mio meglio e, se l’aereo non
cascherà come un ferro da
stiro, ci sentiremo il prima possibile, se nel frattempo mi vorrete
lasciare
una recensione per farmi sapere cosa ne pensate della storia finora mi
farete
felice, a presto!