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Autore: Sunako_7    06/11/2017    3 recensioni
Sasuke e Gaara si frequentano da qualche mese, nonostante abbiano un dialogo quasi inesistente. Basterà questo per riuscire ad andare avanti o lo scontro con i problemi della vita e i fantasmi di un passato mai dimenticato li schiaccerà, costringendoli a separarsi? E se quel passato tornasse più reale che mai? E se altre persone entrassero nella vita dei due protagonisti? Un viaggio complicato e irto di ostacoli nella vita di questi due ragazzi chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare eppure bisognosi di affetto e amore.
Questa ff è il continuo della mia one-shot "If I had a heart" anche se non è indispensabile leggerla per seguire questa long, ma alcuni dettagli potranno essere più chiari.
[GaaraxSasuke][Itachix?][accenni HidanxDeidara]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Itachi, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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every 9

Christmas’s magic

 

 

 

Gaara era sprofondato nella sua poltrona e fissava il soffitto, spingendosi pigramente con i piedi per farla girare sulle rotelle, cullato da quei movimenti continui che però stavano iniziando a fargli girare la testa. Forse anche quei due bicchieri di spumante bevuti a stomaco vuoto potevano avere la loro parte di colpa.
Era l’ultimo giorno di lavoro prima della pausa natalizia e, come da tradizione, in ufficio avevano fatto un piccolo rinfresco e un brindisi tutti assieme. Avevano tratteggiato un breve bilancio dell’anno appena passato, si erano scambiati complimenti, frecciatine, auguri, chiacchiere varie e Hiashi aveva consegnato a Gaara anche un’anonima busta bianca con la gratifica natalizia.
Quella riunione non era durata poi molto e gli avvocati erano poi andati via, lasciandogli il compito di chiudere l’ufficio e sistemare le ultime cose; era rimasta solo Hinata che stava finendo di truccarsi in bagno per un appuntamento con Naruto, mentre lui era lì, intento a non fare niente e a non pensare a niente una volta tanto.
Quegli ultimi giorni li aveva vissuti immerso in una vasca gigante. Lui non era altro che un pesce d’esposizione in un acquario, che guardava le vite degli altri al di là del muro d’acqua e plexiglass. Era stato anche uno spettatore della propria vita, si era osservato dall’esterno mentre compiva i gesti quotidiani: fare la doccia, vestirsi, lavorare, rispondere alle domande, fare finta di essere vivo mentre in realtà si sentiva solo un guscio vuoto e morente.
“Gaara, io vado.”
Il ragazzo distolse lo sguardo dal soffitto e vide Hinata sulla soglia della porta; non l’aveva proprio sentita e sì che aveva degli stivaletti coi tacchi alti!
“Ok, divertiti e passa un buon Natale” le augurò, alzandosi per raggiungerla.
“Grazie” mormorò lei, senza però fare alcun accenno a volersene andare. Anzi giocherellò con i manici di una bustina che stringeva in mano e arrossì inspiegabilmente, ma alla fine trovò il coraggio per allungare un braccio e tendere quella busta verso il segretario.
“Questo è un pensiero per te. Spero tu non ti offenda o pensi che sono sfacciata, ma… avevo voglia di fartelo” disse tutto d’un fiato.
“Hinata… – mormorò Gaara stupefatto – perché dovrei offendermi? Sono felice, ma anche molto sorpreso e imbarazzato visto che io non ho niente per te” rispose, prendendo istintivamente il regalo. Lo guardò e si sentì terribilmente in difetto: Hinata era una ragazza molto accorta e generosa, forse avrebbe dovuto prenderle un pensiero, anche se sarebbe stato difficile visto che era ancora col conto corrente in rosso e tante preoccupazioni occupavano la sua testa. Però, al di là dell’imbarazzo, il sentimento prevalente era la felicità: qualcuno aveva pensato a lui, non era una cosa da poco, specialmente dopo quanto accaduto nell’ultimo periodo.
“Oh no, no. Non devi disturbarti, questo è solo un pensierino, non l’ho nemmeno comprato, ma l’ho fatto io… avevo solo voglia di farti un regalo per ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me in questi mesi. Senza il tuo appoggio penso che mi sarei scoraggiata e forse non sarei arrivata a questo punto” gli assicurò, forse più imbarazzata di lui.
“Se l’hai fatto con le tue mani allora è ancora più importante, e tu sei più forte di quanto credi” le rispose Gaara, quasi commosso.
Era stato preso alla sprovvista da quelle attenzioni, non era molto facile parlare. Per quello non aggiunse altro e, senza ulteriori indugi, scartò il pacco e si ritrovò in mano una morbida sciarpa di lana grigio scuro, un colore sobrio, come quello degli abiti che portava abitualmente. Hinata però aveva intrecciato tra le fibre scure alcune rosse, rosse come i suoi capelli, e Gaara pensò che non stonavano affatto, anzi rendevano il capo ancora più elegante.
“È meravigliosa, grazie – disse a corto di parole – e tu sei veramente bravissima.”
Hinata sbatté le mani tra di loro, esaltata da quei complimenti e felice di vedere un’espressione così serena sul viso di Gaara; nell’ultimo periodo e specialmente nell’ultima settimana, le era sembrato davvero giù. Di sicuro una sciarpa non avrebbe risolto tutti i suoi problemi, però poteva essere un bell’aiuto.
Gliela prese dalle mani e gliel’avvolse attorno al collo, per poi constatare:
“Ti sta benissimo, sono così felice di averci azzeccato.”
Gaara la toccò, meravigliato da quanto fosse morbida e profumata, gli sembrava che la ragazza oltre ai fili di lana avesse intrecciato l’odore di buono, di caldo e accogliente, l’affetto che sembrava mettere in ogni suo gesto.
“Grazie, Hinata” disse il segretario. Sull’onda di quell’euforia le diede un bacio sulla guancia che divenne all’istante rossa e bollente. Il ragazzo ridacchiò e, alzando un dito verso l’alto, indicò i rametti di vischio che pendevano sopra le loro teste, così che anche Hinata scoppiò a ridere e, scherzando, entrambi promisero di mantenere quel segreto con Naruto.
Si scambiarono poi gli auguri e Gaara tornò alla scrivania con una meravigliosa sciarpa attorno al collo e una sensazione di leggerezza nuova nel petto.
Si sedette e prese la busta con la gratifica, fissandola, facendosi mentalmente un po’ di conti per vedere se poteva prenderle qualcosa per ringraziarla anche se in ritardo, perché Hinata proprio non si era resa conto di quanto quel piccolo gesto fosse stato in realtà importante per lui.
Stava lì a fissare la busta, con un gomito sulla scrivania e la testa appoggiata sulla mano, completamente assorto, quando una voce lo fece sobbalzare.
“Stai pensando a quanto sei ricco? Ti ritroverò a fare il bagno tra le banconote?”
“Itachi! – esclamò Gaara, balzando in piedi spaventato – Accidenti! Pensavo di essere solo, mi hai quasi fatto venire un infarto, ma dov’eri?”
Itachi rise, divertito dalla sua reazione:
“In sala riunioni a fare una telefonata, tu invece che fai ancora qui? Bella la sciarpa, Hinata?”
Gaara se la tolse, imbarazzato per la reazione avuta, sia per essersi fatto beccare a sognare a occhi aperti come un idiota.
“Già, non mi aspettavo che mi facesse un regalo e stavo pensando a poter ricambiare in qualche modo. Purtroppo non sono ricco e il bagno al massimo posso farlo tra le bollette – scherzò – stai andando via?”
“Tra poco – affermò guardandolo ancora – non capisco perché ti sei sorpreso così tanto nel vedermi. Non potevo certo andarmene senza salutarti, no?”
Gaara si grattò la testa, imbarazzato, prima di rendersi conto che quella di Itachi era una presa in giro leggera, tipica dell’ironia sottile che pareva appartenere solo a lui.
“Sarà colpa dello spumante – ironizzò, incrociando le braccia davanti al petto – Allora sei pronto a romperti qualche osso sulle piste da sci?”
Si ricordava bene di quel pomeriggio poco lontano, in cui loro due e Hinata si erano ritrovati a chiacchierare mentre lui reggeva la scala alla ragazza, intenta a decorare la stanza. Si era sentito bene, spensierato addirittura, ma qualche ora dopo aveva rivisto Kankuro e tutto era collassato su se stesso. Quell’ingenua felicità effimera gli era esplosa in faccia come un fuoco d’artificio ed era svanita nel buio della notte, lasciando come ricordo di sé solo un flebile filo di fumo.
“Spero sempre di tornare tutto intero, sono ottimista o solo molto fiducioso nelle mie capacità – sorrise Itachi, per poi allungargli una busta – ma prima… è il mio turno dei regali, anche se non sono vestito di rosso, né ho una barba bianca.”
Gaara rimase impalato a fissarlo, incapace di muoversi o parlare, l’unico movimento fu fatto dalle sue braccia che cedettero e rimasero inerti lungo i fianchi. Guardava alternativamente la busta e Itachi, senza dire niente, il suo cervello pareva annientato da quello che era un semplice gesto; anche Hinata in fondo gli aveva fatto un regalo, no? Però perché era riuscito a ringraziarla e a prenderlo seppur emozionato, mentre ora la cosa pareva molto diversa?
Deglutì, con il pomo d’adamo che si mosse con chiarezza sotto la sua pelle pallida, dopo di che fece un colpo di tosse per schiarirsi la voce, che uscì comunque bassa, sempre pacata ma diversa dalla solita.
“Itachi, ma… cosa? Non serviva” riuscì a dire in qualche modo senza incespicare con le parole.
“Dai, prendi questa cosa prima che mi senta il babbo natale più idiota del mondo.”
In effetti la sua reazione lo aveva stupito, aveva pensato che Gaara ne sarebbe rimasto sorpreso ma non a quei livelli. “E non mi ha costretto nessuno, è stato un impulso del momento e l’ho seguito.”
E il segretario non poteva sapere quanto ciò fosse inusuale per Itachi, così attento e abituato a pianificare tutto e a riflettere su ogni azione. In qualche modo alla fine allungò il braccio per prendere la busta, mormorando un ringraziamento.
Prese il pacchetto elegantemente incartato con della vivace carta colorata e percepì della morbidezza sotto le proprie dita. Sentiva del rimorso all’idea di strapparla, anche se dentro ci fossero state aria o cartacce ne sarebbe stato ugualmente felice: Itachi aveva pensato a lui e aveva scelto qualcosa sull’onda di quel pensiero.
Incitato dagli occhi scuri che lo fissavano, si decise ad aprire il pacchetto, cercando però di romperlo meno possibile e fu così che alla fine tirò fuori un morbidissimo maglione che dispiegò davanti a sé.
“È veramente molto bello, non so come ringraziarti” disse ed era vero. Il tessuto era pregiato, non uno di quei capi con il 2% di lana se si era fortunati, ma era probabilmente un capo costoso e di classe, uno di quelli che avrebbe potuto indossare lo stesso Uchiha.
“Spero che la taglia sia giusta, ma se vuoi puoi cambiarlo – rispose Itachi, osservando i suoi occhi ravvivarsi dopo giorni di buio – Ammetto che mi hai messo in difficoltà, sei un po’ troppo magro, devi riprendere peso con queste feste” aggiunse con leggerezza e un sorriso, ma l’evidente dimagrimento del ragazzo lo aveva impensierito veramente. Aveva avuto anche l’intenzione di dirgli qualcosa, ma lo aveva frenato la consapevolezza di non avere ancora tanta confidenza da poter dire cose simili. E lo aveva sorpreso il desiderarla tale confidenza.
“No, penso sia perfetto e non preoccuparti, ho solo bisogno di un po’ di riposo da questo periodo stressante” rispose Gaara. Sapeva benissimo di aver perso troppo peso, conseguenza inevitabile dell’aver dovuto fare economie, gli si vedevano addirittura le costole, fortunatamente nascoste dalle camicie e altri morbidi abiti invernali. Le cose si sarebbero aggiustate, si ripeteva, bastava solo tenere duro ancora un po’, benché nell’ultimo periodo ogni cosa gli stesse remando contro e lui aveva perso quella scintilla, quella forza che lo aveva spinto a sperare nel futuro, ritrovandosi ad andare avanti per pura inerzia. Però poi succedeva che ti facevano dei regali inaspettati e iniziavi a pensare che forse non era tutto perso, ma c’era la paura che fosse solo una presa in giro, che uscito da lì avrebbe trovato un altro disastro pronto ad abbatterlo.
“Mi sento in difetto, non ho preso nessun regalo per te o Hinata – disse ancora Gaara stringendo tra le dita il maglione vellutato – mi dispiace.”
“Non devi. Non è stato un periodo facile per te, specialmente l’ultima settimana anche se non ne conosco i motivi.”
I suoi occhi indagatori avevano fatto centro un’altra volta, ne fu testimone l’espressione sorpresa del segretario, ma Itachi non gli lasciò tempo per parlare, per tentare di negare o sminuire quell’evidenza. “Vuoi farmi un regalo, vuoi ricambiare in qualche modo? Bene, di là in frigo c’è una bottiglia di spumante e degli snack che saranno andati a male per quando torneremo, finiamoli noi. Stai qui con me e facciamo il nostro brindisi. Regalami un po’ del tuo tempo, Gaara.”
Il ragazzo sentì dei brividi rincorrersi sotto la pelle, il suo nome gli era sembrato così bello detto dalle sue labbra, da qualcuno che lo stava cercando, che gli comunicava che l’unica cosa che desiderava da lui era un po’ del suo tempo e la sua presenza.
Quando aveva creduto che al mondo non interessasse più niente di lui, ecco lì che compariva qualcuno a stravolgere quell’idea. Magari Itachi non aveva niente da fare quel pomeriggio, magari non sarebbero mai stati amici o non si sarebbero mai frequentati al di fuori dello studio, ma a Gaara non importò. In quel momento sapere che esisteva qualcuno che lo voleva era tutto ciò di cui aveva bisogno per non lasciarsi andare.
“Mi sembra un’ottima idea” gli rispose e si sorrisero, complici, felici di essere dove erano.
In breve la scrivania di Gaara, invece che dei soliti fascicoli e fogli sparsi, fu piena di squisiti snack e con una bottiglia di ottimo spumante che riempiva i loro bicchieri. Il segretario aveva anche indossato il regalo di Itachi per dimostrargli che gli andava bene e quanto gli fosse piaciuto.
Avrebbero potuto andare nella spaziosa sala riunioni, con le sue comode poltrone imbottite, ma avevano preferito rimanere lì, nel loro ufficio, con le loro sedie con le rotelle dallo schienale duro, un ambiente familiare che avevano condiviso in quei mesi.
“E comunque non hai nemmeno la pancia di babbo natale; mi spiace dirtelo, ma esiste qualcosa per cui non sei adatto” rise Gaara, bevendo un sorso dal suo bicchiere ormai vuoto.
“Vero, lo ammetto, sono colpevole vostro onore – scherzò Itachi riempiendolo di nuovo – ma tu non sei esattamente un bambino che sbircia dalle scale, per beccare il vecchio ciccione che si cala dal caminetto.”
“Colpevole” replicò un po’ più serio. Itachi non poteva sapere quanto avesse ragione, per  Gaara non c’era mai stato nessun bel Natale da passare in famiglia, forse c’erano stati, ma lui era stato poco più di un neonato e non li ricordava. Ricordava invece bene quelli in orfanotrofio, la desolazione dell’istituto in contrasto con le strade illuminate o i film passati in televisione, c’era stato solo Kankuro vicino a lui, l’unica famiglia che aveva e che ingenuamente credeva che non lo avrebbe mai lasciato.
Itachi vide il suo sottile cambiamento dopo il clima più allegro e forse fu colpa della bottiglia ormai vuota, forse fu colpa della sua curiosità sempre presente e della testa più leggera, ma si ritrovò a chiedere:
“Con tuo fratello, l’altra settimana, è andato tutto bene? Mi eravate sembrati piuttosto tesi.”
Vide chiaramente Gaara irrigidirsi, le dita che stringevano troppo forte il bicchiere fino a sbiancarsi, gli occhi che sembravano troppo chiari, troppo grandi, in grado di divorare quel viso dai lineamenti sottili fino a non lasciarne più nulla.
Aveva fatto una domanda scomoda, ma non se la rimangiò e rimase a guardarlo, bevendo pigramente, in attesa.
“Sì, non siamo in buoni rapporti, ma non ci saranno più problemi” rispose Gaara alla fine. Aveva ceduto dietro l’insistenza di quegli occhi scuri, anche se subito maledisse la lingua sciolta dall’alcool, apparentemente incapace di impedire alle parole di scivolare fuori dalla bocca. Maledette traditrici che non volevano rimanere sigillate, volevano essere ascoltate, comprese, non più ignorate.
“In che senso? Nessun problema della serie che passerete addirittura il natale assieme, o nessun problema perché ti sei disfatto del cadavere?” indagò ancora Itachi, con quella sottile ironia che ammorbidì di poco Gaara, tanto che si ritrovò a rispondere:
“Della serie che non ho più nessuno da poter considerare un fratello – ammise – anche se forse non l’ho mai visto così.”
Bevve immediatamente il resto dello spumante, per riempirsi la bocca e impedirsi di aggiungere altro dopo quella confessione azzardata per i suoi standard. Kankuro era stato più di un fratello: l’amante, l’amico, il confidente, il suo punto fermo… la sua più bella e tragica illusione.
Itachi inarcò appena le sopracciglia, sorpreso da quella frase che nascondeva molteplici significati, ma decise di non approfondire ulteriormente, bensì domandò:
“E i vostri genitori che ne dicono? Saranno dispiaciuti, immagino.”
Sua madre lo era, quando lui e Sasuke non erano legati da nessun rapporto se non dalle spire del rancore e dell’astio.
Gaara posò il bicchiere vuoto e, con un sorriso che non aveva nulla di divertito quanto di derisorio, sparò secco:
“Sono morti, dubito che gli possa interessare di qualcosa. Ho vissuto in un orfanotrofio.”
Itachi sussultò, il segretario aveva ragione a guardarlo a quel modo, come a chiedergli se fosse davvero un avvocato tanto abile visto che non lo aveva intuito da solo. Era semplice, avrebbe solo dovuto unire i pezzi del puzzle, sarebbero dovuti essere più che evidenti per uno come lui e, invece, lo aveva costretto a dirlo ad alta voce.
“Sono stato inopportuno, mi spiace” disse guardandolo negli occhi, senza nascondersi. Era raro che Itachi sbagliasse, ma qualora accadeva non era tanto vigliacco da non riconoscere le proprie responsabilità.
Gaara non fu compiaciuto da quelle scuse, desiderò invece non aver risposto in modo tanto astioso; se lui navigava in un mare di problemi di merda, non sarebbe certo stato meglio iniziando a spanderla tutt’intorno o a trattare male gli altri. Itachi non era nella sua testa, avrebbe potuto intuirlo, ma in quel momento lui non stava parlando con l’avvocato, ma con il giovane uomo e le cose erano ben diverse.
“No, scusami tu – si ritrovò infatti a dire – non avrei dovuto essere così acido, ma… ammetto che non sono argomenti di cui parlo volentieri, anzi in realtà non ne parlo proprio mai.”
Itachi annuì col capo, come a prendere coscienza di quell’ulteriore informazione e disse:
“Forse non è nemmeno giusto che tu ti tenga tutto dentro. A volte fa bene buttare fuori un po’ di roba vecchia, o non hai nessuno con cui parlarne?”
Osservò la scrivania ingombra di vassoietti, la bottiglia vuota così come i bicchieri e rifletté su quanto si fosse trovato bene a chiacchierare con lui, raramente gli accadeva con qualcuno all’infuori di Shisui. Si morse un labbro per non lasciarsi sfuggire parole compromettenti, pronunciate troppo presto in quel loro strano rapporto che pareva non decidersi a imboccare una direzione.

Potresti parlare con me, di tutto quello che vuoi.
Gaara intanto rifletteva su quella domanda. Se solo avesse voluto, avrebbe potuto parlarne con Hidan, o persino con Deidara. Non erano due persone abituate ai sentimentalismi, alle confessioni con fazzoletti umidi alla mano, tantomeno erano delicate, eppure era certo che per lui ci sarebbero state, come lo avevano aiutato in passato. A modo loro chiaramente, come quella volta che Deidara aveva messo del lassativo nel drink di un tizio che lo infastidiva al bar.
“Ho degli amici, buoni amici, ma preferisco comunque tenere certe cose per me – affermò per poi sorridere e cambiare registro – e proprio tu ti metti a dare certi consigli? Non mi sembri il tipo che si mette a fare confessioni o a raccontare tutto di sé.”
Itachi rise piano:
“Touché. Mi hai scoperto, mi dichiaro nuovamente colpevole – alzò le mani davanti a sé – mi piace avere i miei segreti e che rimangano tali.”
“Ah sì? Sarei proprio curioso di conoscerli” replicò per poi prendere la bottiglia e rendersi conto che era vuota. “Peccato, è finita” mormorò.
“La prossima volta andremo a bere in un locale, con tutto l’alcool che vorremo” propose Itachi.
Gaara scoppiò a ridere nell’immaginare l’impassibile Uchiha sbronzo marcio e non appena brillo come ora, chissà se aveva la sbronza triste, malinconica oppure euforica? Sarebbe stato davvero divertente scoprirlo.
“Ci sto.”
Nel vederlo così sorridente, diverso rispetto al fantasma senza vita che osservava ogni giorno muoversi in quell’ufficio, Itachi si domandò come sarebbe stato Gaara se avesse avuto una vita diversa. Se avesse avuto dei genitori o un fratello da non dover allontanare, uno che si prendesse cura di lui. Avrebbe visto più spesso il sorriso sul suo viso, si sarebbe lanciato più spesso in battute sagaci? Sarebbe stato ancora quello che rimaneva da solo al bancone di un bar a fissare un drink solitario, senza parlare con nessuno? Sarebbe stato più facile per lui aprirsi e magari… innamorarsi?
Si morse nuovamente un labbro, non era ubriaco, ma quell’alcool aveva allentato i suoi freni inibitori, solitamente rigidamente sotto controllo, e si era lanciato in pensieri troppo pericolosi per continuare a soffermarvicisi.
Doveva pensare a Sasuke, che aveva un qualche tipo di rapporto con Gaara. Lui ci si era avvicinato solo perché incuriosito dal segretario, col desiderio di capire di più sul conto del fratello e di entrambi, giusto?
Gli apparve in mente il viso sornione di Shisui e non riuscì a mettergli una mano sulla bocca e impedirgli di parlare, così come non riusciva a farlo nemmeno nella vita reale.

Ne sei proprio sicuro, Itachi? Per Sasuke, solo per Sasuke, dici? E io dovrei credere a questa stronzata, ma soprattutto come fai a crederci tu? Esiste anche la tua felicità, non fare il solito martire del cazzo o ti vengo a prendere a calci.
Itachi si alzò in piedi, forse un po’ bruscamente, ma l’altro sembrò non farci caso, intento a scegliere una tartina da addentare.
“Sarà meglio che vada, ho ancora la valigia da preparare e domani parto” disse con quello che sperava fosse il suo tono di voce abituale.
Gaara lasciò perdere gli snack che non rivestivano più tanto interesse ai suoi occhi e si alzò a sua volta.
“Oh, certo, io tolgo di mezzo questa roba, poi chiudo e me ne vado anch’io. Spero di rivederti a gennaio tutto intero” scherzò.
Itachi gli sorrise e, col cappotto già allacciato, si avvicinò alla porta dove si fermò per sistemare la sciarpa e intimare allo Shisui nella sua testa di stare zitto; era irritante quanto quello vero. In fondo lui non stava fuggendo, la sua era solo una ritirata strategica e poi aveva davvero una valigia da riempire.
“Suppongo che avrai mie notizie in qualsiasi caso” rispose, smettendo di armeggiare con la sciarpa per osservare il ragazzo che lo aveva raggiunto e gli stava di fronte.
“Sta’ tranquillo, se ti dovessero ricoverare in ospedale ti porterei del cioccolato e non degli stupidi fiori.” Gli sorrise, complice, perché non erano in molti a sapere dell’amore di Itachi per i dolci, ma lui lo aveva capito semplicemente osservandolo.
L’Uchiha sollevò appena gli occhi al soffitto, fingendo un disappunto che in realtà non provava ma, così facendo, vide un rametto di vischio pendere sopra le loro teste.

Al diavolo!
Guardò Gaara e all’improvviso nessuno dei due rideva più. Si fissarono in silenzio, vicini ma ancora separati di un paio di passi che Itachi compì prima di chinare la testa, per avvicinarla lentamente al suo viso con un chiaro intento. Il ragazzo non si spostò, anche se ne avrebbe avuto tutto il tempo: Itachi si muoveva con lentezza, come se dovesse conquistare ogni centimetro che li divideva. I loro occhi non si abbassarono, gli sguardi rimasero avvinti da un’intensità sconcertante ed entrambi sentirono sul viso il respiro dell’altro, il suo odore, il calore della pelle, finché le loro labbra non si unirono.
Itachi gli posò una mano sulla guancia dallo zigomo affilato, mentre delicatamente gli dischiudeva la bocca con la lingua e andava a scoprire il suo sapore; quello di Gaara, al di là dell’alcool e di ogni altra cosa, in un bacio lento, accorto, emozionante, che li ubriacò più dello spumante bevuto.
Continuarono a baciarsi e Gaara non riuscì più a rimanere passivo come nella lenta scivolata con cui Itachi si era avvicinato; le sue mani si aggrapparono alle spalle dell’Uchiha foderate dal cappotto e si godette quel bacio, che era morbido e andava a lenire le sue ferite. Si stava eccitando, ma non gli interessava davvero, persino quello scivolava in secondo piano. Perché voleva solo quel bacio, quel contatto, quell’istante sublime e nient’altro.
La perfezione di un attimo.
Lentamente si sciolsero dal loro abbraccio, aprirono gli occhi e Itachi sollevò un angolo della bocca, divertito:
“Ha fatto proprio bene Hinata a mettere il vischio, non trovi?”
Gaara ripensò al bacio sulla guancia che aveva dato alla ragazza giusto un’ora prima e si ritrovò a sorridere per la differenza tra i due baci scambiati lì sotto.
“Assolutamente d’accordo – fece un passo indietro – buon natale, Itachi.”
Non voleva parlare, chiedere spiegazioni, era stato bello e tanto gli bastava, e anche l’avvocato sembrava pensarla alla stessa maniera, perché gli carezzò solo lievemente una guancia prima di dirgli “Buon natale a te, Gaara” per poi voltarsi e uscire.
Guardando le sue spalle fasciate dal cappotto elegante che si allontanavano, le stesse che aveva stretto qualche istante prima, Gaara realizzò che Itachi gli aveva fatto il regalo più bello che ci potesse essere: la speranza.
C’era ancora speranza che esistesse qualcosa di bello anche per lui.

 

***

 

“Hidan, se lo bruci anche quest’anno giuro che ti infilo nel forno e poi vi faccio esplodere!”
“Ah ma non rompere il cazzo! Era solo appena colorito un po’ troppo, bastava grattare via la superficie, esagerato dei miei coglioni!”
Gaara ridacchiava mentre ascoltava il suo coinquilino e Deidara bisticciare come al solito, erano una garanzia, qualcuno avrebbe potuto trovarli irritanti e spacca timpani, ma non lui. Le loro continue rimbeccate significavano casa.
“Tu che cazzo hai da ridere? Dovresti stare dalla mia parte, sei o no il mio coinquilino?” lo minacciò Hidan, puntandogli minacciosamente contro un forchettone. Peccato che la sua aria da duro venisse smorzata da un guantone da forno colorato, più macchie varie di olio e altri condimenti sulla felpa.
“Rido perché lo scorso anno a causa della tua tequila bum-bum eravamo già sbronzi prima di cena e non bastava grattare l’arrosto, ma bisognava togliergli almeno due centimetri di roba” replicò Gaara senza scomporsi. Continuò invece ad apparecchiare la tavola, niente di troppo ricercato in realtà: aveva messo al centro, posate, tovaglioli, bicchieri e piatti di plastica, ognuno poi avrebbe pensato per sé, di sicuro non era la classica tavolata natalizia. A nessuno interessava che ci fossero centrotavola, candele e altri aggeggi inutili, se ci fossero stati probabilmente avrebbero passato la serata a tirarseli.
“Fanculo, non mi sembra che sia avanzato lo stesso” borbottò Hidan.
“Fame alcolica, tutto qua” replicò Deidara, intento a preparare dei cocktail, beccandosi in risposta un dito medio dall’altro, che venne puntato anche a Gaara quando questi concordò.
“E poi dato che sta quasi sempre qui – aggiunse Gaara – credo di poter considerare anche Deidara coinquilino, specialmente dopo averlo visto nudo l’altra mattina mentre andava in bagno.”
“Il mio corpo e un’opera d’arte, dovresti essermi grato – sbuffò questi – però… in effetti potrei smetterla di pagare un affitto inutile.”
Lo disse così, buttando quell’affermazione nel mezzo della conversazione come se fosse una cosa senza importanza, ma le sue mani non riuscivano proprio a stare ferme e il suo sguardo non si posava su Hidan.
Quest’ultimo si tolse il guantone da forno e lo fissò, con gli occhi violetti che brillavano, divertiti. Osservò i suoi movimenti nervosi, i capelli che adorava tirare durante il sesso e quella boccaccia che non stava mai zitta e non aveva alcun filtro col cervello.
“Bah, fanculo… uno organizza una fottuta cena di natale e si ritrova a convivere. Potevi pensarci prima, con quei soldi ci saremmo fatti una vacanza.”
Deidara lo fulminò, anche se per una volta non era realmente arrabbiato, non poteva dargliela vinta così facilmente:
“Non ti ficco nel forno solo perché c’è l’arrosto e perché non mi va di portarti al pronto soccorso. Preferisco passare il natale in un altro modo.”
A dispetto delle sue parole, gli passò un bicchiere con uno dei suoi squisiti cocktail. Si sorrisero, complici, compagni da una vita, consapevoli che se erano arrivati fin lì senza ammazzarsi sul serio era solo perché si amavano. A modo loro, ma l’amore c’era e Gaara non faticava a riconoscerlo.
Si voltò, imbarazzato per aver assistito a quel momento intimo, molto più che vedere Deidara nudo. Fece finta di dover fare qualcosa nell’altra stanza, così li lasciò soli, liberi di baciarsi, fare altre dichiarazioni o forse insultarsi, quei momenti di pace non duravano mai molto tra di loro.
Stava liberando il divano da riviste e qualche cartaccia, preparando la playstation perché di sicuro si sarebbero sfidati a qualche gioco dopo cena, tutti troppo ubriachi per poter giocare decentemente, ma quello non li aveva mai fermati.
Poco dopo sentì un braccio poggiarsi sulle sue spalle e, voltando la testa, vide Hidan a fianco. Gli porgeva un bicchiere e gli faceva quel suo sorriso un po’ storto irresistibile.
“Non lamentarti se quello poi rompe i coglioni, te la sei cercata.”
“Non accadrà” rispose semplicemente, prendendo il cocktail per poi far tintinnare il bicchiere col suo in un brindisi.
Hidan ancora lo stringeva e, a quel modo, poté sentire quanto Gaara fosse dimagrito, guardandolo in viso notò anche le sue occhiaie più pronunciate e gli zigomi più sporgenti. Si diede del coglione per essersene accorto solo ora, ma in quell’ultimo periodo si erano visti solo di sfuggita pur abitando assieme, ma la cosa non lo aveva preoccupato. Era già successo in passato, per di più era sicuro che se ci fossero stati dei problemi Gaara gliene avrebbe parlato, peccato essersi dimenticato che l’altro in pratica era un’ostrica travestita da essere umano.
“Ehi, stai bene, sì? È un sacco che non abbiamo dieci minuti per farci una chiacchierata e tra poco un’orda di cafoni invaderà casa.” Forse aveva sottovalutato la rottura con quel tizio… come si chiamava… Sasuke? Aveva pensato che Gaara sarebbe passato oltre senza problemi, in fondo era uno tosto.
“Ti ricordo che sono amici tuoi – gli fece presente il ragazzo dai capelli rossi con un sorriso divertito per poi sospirare appena – è stato un periodo tosto per entrambi. Il lavoro e l’università mi hanno risucchiato ogni energia.”
Non menzionò Kankuro, nemmeno Hidan che era la persona che conosceva più cose su di lui sapeva della sua esistenza e Gaara non aveva intenzione di cambiare le cose proprio ora, specialmente visto che, a quanto pareva, il sipario era calato definitivamente sui due fratelli.
Non disse nulla nemmeno dei risvolti con Sasuke o Itachi, perché non sapeva nemmeno lui come spiegarli, dato che era il primo a non capirli.
Hidan intanto lo scrutava attentamente:
“È per questo che non sei più uscito con nessuno? Dovresti dare una chance a Yahiko, gli sei sempre piaciuto, anche se è un po’ un cazzone non è male.”
Gaara sorrise e scosse la testa, consapevole dell’interesse mai nascosto da quell’amico di Hidan. Lo reputava bello e simpatico, nonostante fosse un po’ fuori di testa, ma non aveva mai voluto approfondire perché era certo che non sarebbero mai andati d’accordo.
“Mi spiace, ma io non sono disposto a fare il passivo e lui nemmeno.”
“E andrete avanti a pompini!” esclamò Hidan con foga, rischiando di rovesciare il suo cocktail.
“Tu lo accetteresti?” domandò Gaara, bevendo invece tranquillamente il proprio.
L’altro ci pensò su un attimo, poi scosse la testa:
“Cazzo, no! Come fai a rinunciarci? Però… ah, fanculo, fate come vi pare.”
Gaara fu divertito dal suo disagio nel manifestare interesse e gli batté una mano sulla spalla, pensando che, se fosse stato in grado di fidarsi e lasciarsi andare, sarebbe stato tutto più semplice. Non era mai riuscito a farsi penetrare o carezzare da qualcuno all’infuori di Kankuro, solo con Sasuke le cose erano andate diversamente. Gli piaceva sentire le sue mani sul proprio corpo, che sembravano disegnarlo con cura, senza dimenticare alcuna linea o angolo, ma… era tutto finito, inutile pensarci ancora.
I due amici continuarono a chiacchierare di cose più leggere e divertenti, immaginando vari scenari catastrofici causati da Deidara nella loro futura convivenza a tre. Finirono i drink, ma continuarono a ridere insieme grazie alla complicità nata faticosamente negli anni, almeno finché a Gaara non squillò il cellulare. Lo tirò fuori dalla tasca e, con sorpresa, vide che a chiamarlo era proprio Sasuke.
Fissò lo schermo lampeggiante e il suo primo impulso fu di rifiutare la chiamata, oppure di rispondere, mandarlo a quel paese e poi riagganciare.
Il tempo si dilatò, quei pochi secondi di chiamata parvero infiniti e il nome che continuava ad apparire sembrava una pistola contro, che lo sfidava a reagire o scappare, ma lui era bloccato. Gli si era inceppato qualche meccanismo dentro.
“Rispondi e mandalo a farsi fottere, visto che gli piace pure” sbottò Hidan. Non era normale tutta quell’indecisione da parte di Gaara, evidentemente c’era ancora qualcosa in sospeso, meglio che si parlassero e la chiudessero una volta per tutte.
Fu l’intervento dell’amico a dare a Gaara la spinta necessaria per premere il dito sul bottone giusto. Sentiva di andare incontro a un’altra catastrofe, ma poteva anche sbagliarsi, l’unica cosa certa era che, se non avesse risposto, non lo avrebbe mai saputo.
“Pronto?” disse dirigendosi verso la propria camera, mentre Hidan gli faceva dei gestacci per indicare dove mandare Sasuke.
Questi non rispose subito, tanto da far pensare a Gaara che quella chiamata fosse partita per errore, ma le sue parole successive fugarono quel dubbio:
“Credevo che non mi avresti risposto.”
“Avevo il cellulare nell’altra stanza, l’ho sentito per caso” mentì Gaara. Mai gli avrebbe confessato quanto era stato difficile rispondere, né quanto lo scombussolasse sentire di nuovo la sua voce.
“Capisco – disse Sasuke – immagino starai festeggiando, ti ho disturbato.”
Nessun accenno di scuse o di dispiacere, come sempre.
“No, nessun disturbo – affermò Gaara, con la voce che non tradiva la minima incertezza – come mai mi hai chiamato?”
Udì un rumore in sottofondo, come di qualcosa che cadeva a terra, ma non vi badò, tutta la sua attenzione era protesa in attesa di quella risposta; Sasuke non lo aveva mai chiamato nemmeno quando si frequentavano, limitandosi a più freddi e impersonali messaggi.
“Beh, ecco… – disse ed era difficile riconoscere l’Uchiha in quel tono incerto – ho immaginato che una telefonata fosse più indicata di una mail per fare gli auguri di natale.”
Gaara si sedette sul letto, tentando di processare quell’informazione. Tra tutte le cose che gli potevano accadere, non aveva mai contemplato che Sasuke potesse telefonargli per degli stupidi auguri. D’altronde non aveva nemmeno immaginato che Itachi potesse fargli un regalo o baciarlo e, a quel ricordo, arrossì appena, ringraziando che l’altro non lo stesse vedendo.
“Allora auguri di buon natale, Sasuke” rispose soltanto, passandosi le dita sulle labbra che entrambi i fratelli avevano baciato e, pensandoci, rabbrividì.
“Grazie, auguri anche a te, Gaara” replicò automaticamente.
Sulla linea regnò il silenzio, se fossero stati nella stessa stanza forse in quel momento si sarebbero fissati negli occhi e basta, ma erano lontani, non solo fisicamente.
“Come va sulla neve?” domandò Gaara. Avrebbe potuto benissimo salutarlo e poi chiudere la telefonata, invece di prolungare quello strazio imbarazzato ricolmo di disagio. Però Sasuke lo aveva chiamato, aveva fatto un primo passo e poteva immaginare quanto gli fosse costato con quell’orgoglio che si ritrovava, quindi lui poteva anche fare una domanda per cercare di sbrogliarsi da quella situazione di stallo.
“Come fai… ah, certo, Itachi – si disse Sasuke – tutto bene, è piuttosto divertente, anche se quest’anno sono venuti tutti allo chalet e stiamo un po’ stretti. E vorrei tanto ammazzare mio cugino Shisui, lui è… lascia stare, nemmeno lo conosci.”
Si interruppe bruscamente, forse si era reso conto di aver parlato troppo, di cose che lui stesso giudicava stupide.
“No, lo conosco. L’ho visto solo una volta, ma mi è sembrato un tipo che non sta mai zitto – intervenne Gaara – posso immaginare bene perché ti irriti.”
Di nuovo aveva salvato la conversazione e non sapeva se darsi del cretino o se esserne felice. Quella telefonata e quel dialogo lo stavano scombussolando, se poi pensava anche a quel bacio con Itachi la testa minacciava di esplodere.
Sentì delle voci in lontananza, gli amici di Hidan erano arrivati, la casa si stava per riempire di caos e allegria, discorsi e risate, e lui si ricordò nuovamente quanto lui e Sasuke fossero lontani caratterialmente, fisicamente e in qualsiasi altro modo esistente. Eppure, nonostante tutto, erano riusciti a trovare un punto di incontro; come erano arrivati ad essere nuovamente tanto distanti? Davvero erano stati inutili e privi di significato quei mesi in cui si erano frequentati?
“Sto andando da uno psicologo.”
La voce di Sasuke fu secca, brutale, una fucilata in pieno petto che lasciò Gaara a bocca aperta, shockato e pieno di domande. Cosa significava quella frase? Che Sasuke aveva riconosciuto di avere un problema, che voleva risolverlo e non nasconderlo come polvere sotto al tappeto? E perché glielo stava dicendo, in che modo rientrava lui in quel quadro?
“Io…” mormorò, ma l’architetto lo interruppe:
“Lo so che magari non te ne frega niente e non sai quanta fatica sto facendo a dirti queste cose, ma… devo farlo. Ho sbagliato tutto con te – rimase in silenzio – scusami, Gaara.”
Il ragazzo si stese sul letto, incredulo. Sasuke si era scusato ed aveva ammesso le sue colpe, doveva essere proprio ubriaco o quel terapista doveva essere davvero bravo, oppure era un altro regalo di natale?
“Sono… mi fa piacere per te – disse Gaara – il tuo psicologo deve essere davvero un mago, eh?”
Non aveva resistito a quell’occasione di stuzzicarlo, di rispondergli per le rime come facevano prima, sempre in lotta per avere l’ultima parola. Sasuke però non ribatté, anzi rise piano e Gaara immaginò le sue labbra sorridenti, come se le avesse avute davanti agli occhi in quel momento.
“Si può dire anche così, ma ho ancora molto lavoro da fare e adesso smettila di gongolare, so che lo stai facendo – entrambi risero, poi lui continuò – possiamo rivederci quando torno? Magari un caffè, o un cinema…”
Lasciò la frase in sospeso e Gaara si morse le labbra perché davvero non sapeva cosa rispondere, anche il fatto che Sasuke volesse rivederlo era sorprendente e si ritrovò a pensare che l’ipotesi che lo psicologo fosse davvero un mago non era poi così priva di fondamento. Tuttavia rifletté anche sul fatto che Sasuke aveva ancora del lavoro da fare, per sua stessa ammissione, poteva essere saggio iniziare a rivedersi già da ora? Magari lui intendeva solo come amici o per una chiacchierata, ma Gaara aveva un’altra impressione e poi, in fondo, non esistevano solo i problemi di Sasuke. Anche lui aveva il suo carico di dubbi e paure che non potevano essere cancellati con un colpo di spugna così all’improvviso, non bastavano solo delle scuse, ed erano successe altre cose da quando avevano smesso di vedersi.
Tra queste c’era Itachi; cos’era stato quel bacio? Solo un meraviglioso regalo o c’era altro?
“Credo che non sia il caso di affrettare le cose, hai molte cose da risolvere per conto tuo e anch’io ho le mie questioni – rispose alla fine, lucido e razionale – però… tanto a gennaio dovremo rivederci per il progetto, no?”
Udì solo silenzio all’altro capo della cornetta e immaginò che Sasuke si fosse offeso per il suo rifiuto, ciò lo rassicurava sulla bontà della sua decisione, ma lo rendeva anche dispiaciuto. Tuttavia, quando l’architetto rispose, la sua voce era serena, forse si era preso solo qualche istante per riflettere, dato che poi gli diede ragione:
“Certo, è giusto. Beh, sarà meglio che ti saluti, abbiamo entrambi persone che ci attendono.”
“Già – convenne – buon natale, Sasuke.”
“Buon natale, Gaara.”
Il telefono prese a tubare e i due ragazzi distanti, ma inconsapevolmente sulla stessa linea di pensiero, si ritrovarono a fissare due soffitti diversi e a chiedersi quale fosse la cosa giusta da fare.

 

 

 

 

L’angolino oscuro: Adoro il natale, per me ci dovrebbero essere lucine e decorazioni da novembre fino ad almeno marzo, quando diventerò presidente della galassia mi impegnerò a promulgare una legge a riguardo muahahah
Scherzi a parte, spero vi sia piaciuto questo capitolo, ho cercato di imprimervi un’atmosfera del tutto diversa rispetto al precedente, un’idea di speranza, che qualcosa di buono ci possa ancora essere, ancora non è tutto perduto.
Mi sono sciolta col bacio di Gaara e Itachi, come ho scritto è la perfezione di un attimo. In quel momento era ciò che entrambi volevano più di ogni altra cosa, non continuare ciò che avevano iniziato, finire a letto o altro, ma solo assaporare quel bacio e quel momento che si sono regalati, proprio loro due che raramente si concedono di buttarsi in qualcosa senza ragionarci.
Sasuke non è scomparso di scena, direi che lo psicologo vale ogni centesimo dato che lo abbiamo visto fare qualcosa di impensabile solo qualche mese fa: parlare. Cercare di comunicare e stabilire una connessione, cosa che aveva sempre rifuggito; sono orgogliosa della sua crescita, ho sempre voglia di prenderlo a calci, ma stavolta con orgoglio XD
Piccola comunicazione di servizio: non so esattamente quando riuscirò ad aggiornare. Sto per affrontare un trasloco/trasferimento piuttosto grosso, la mia testa è tutta proiettata lì, cercherò di fare del mio meglio e, se l’aereo non cascherà come un ferro da stiro, ci sentiremo il prima possibile, se nel frattempo mi vorrete lasciare una recensione per farmi sapere cosa ne pensate della storia finora mi farete felice, a presto!

   
 
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