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Autore: Shainareth    06/11/2017    3 recensioni
Le voci spaventate degli altri arrivavano ovattate alle sue orecchie, come se al momento lei stessa si trovasse in un’altra dimensione. Il fatto era che, presa com’era dal reprimere le proprie emozioni, Marinette non si era resa conto di essere sull’orlo di esplodere. Cosa che era effettivamente avvenuta quando Adrien aveva ammesso di essere innamorato di qualcuno. Di Ladybug. Di lei, quindi. Ma Adrien non lo sapeva. Né sapeva che lei sapeva. Che gran casino.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Fiducia'
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CAPITOLO QUINTO




Quando richiuse il portone di casa alle sue spalle, trovò suo padre ad aspettarlo in cima alla scalinata centrale dell’atrio. «Dov’eri finito?» fu la prima cosa che lui gli disse, guardandolo dall’alto con quel suo solito, scuro sguardo spento. Non un saluto, non un abbraccio. Tutto il contrario dei genitori di Marinette. «Nathalie mi ha chiamato per dirmi che non sei mai uscito da scuola. Era molto preoccupata.»
   Adrien non faticò a crederlo. Quanto a suo padre, invece, sembrava più che altro infastidito. «L’ho già avvisata che stavo tornando a casa da solo. C’è stata un’emergenza.»
   «Lo so.» Padre e figlio si scambiarono un lungo, silenzioso sguardo. Poi Gabriel aggiunse: «Cerca di stare attento, o sarò costretto a rivalutare la decisione di mandarti a scuola.»
   Il ragazzo strinse le mascelle ma non rispose, limitandosi ad osservare l’uomo sparire dalla sua vista. Quindi, sentendo sempre più prepotente il bisogno di rimanere da solo a riflettere, salì velocemente le scale a due a due e cercò riparo nella propria camera, dove si chiuse a chiave. Lasciò cadere la sacca sportiva all’ingresso della stanza e afferrò con foga la borsa dei libri che portava a tracolla, gettandola con rabbia contro il divano.
   «Ehi!» protestò Plagg, venendo fuori da lì con aria stordita.
   «Scusa», si affrettò a dire l’altro, mostrando sincero pentimento nonostante il penoso stato d’animo in cui si trovava. Il kwami lo osservò preoccupato: Adrien se ne stava ritto in piedi al centro della stanza, senza sapere bene cosa fare o anche solo cosa dover provare. Infine, lo vide sollevare una gamba e sfilarsi una scarpa, poi l’altra, lanciandole alla rinfusa sul pavimento. Il giovane si fece scivolare la camicia giù dalle spalle, si diresse verso il bagno, dove tolse anche il resto dei vestiti che indossava, e aprì il rubinetto della doccia, tuffandosi sotto il getto dell’acqua senza neanche attendere che si riscaldasse.
   Aveva finalmente scoperto chi era Ladybug. Ne era valsa la pena? Sì, benché sperasse in qualcosa di meno drammatico. Era deluso? No, affatto. Anzi, più realizzava la verità, più si dava dell’idiota: come aveva fatto a non capirlo prima? Forse senza i superpoteri Marinette era piuttosto maldestra, questo non lo si poteva negare; ma al di là della palese somiglianza fisica con l’eroina di Parigi, anche lei aveva grinta, era determinata e sfoderava gli artigli quando era il momento di farlo. Ed era in gamba, piena di talento e di idee brillanti, proprio come dimostrava ogni giorno nel suo ruolo di capoclasse e nelle sue grandi passioni.
   Però…
   Adrien batté piano la fronte contro le maioliche della doccia, i capelli biondi che gli ricadevano davanti agli occhi, l’acqua ormai calda che scorreva copiosamente sulla pelle nuda, lavando via la cecità di cui era stato vittima fino a quel momento.

Così i paladini di Parigi hanno salvato ancora una volta la situazione, almeno stando alla ricostruzione ottenuta dai racconti dei residenti della zona, che hanno assistito allo scontro al riparo delle loro abitazioni. Era ciò che stava dicendo Nadja Chamack in una registrazione dell’edizione straordinaria del telegiornale andata in onda nel tardo pomeriggio. Purtroppo gli unici video amatoriali che ci sono pervenuti non sono in grado di documentare nel dettaglio gli avvenimenti, e neanche i nostri mezzi sono riusciti ad ingrandire sufficientemente le immagini.
   «E meno male…» commentò Tikki, osservando con occhioni spalancati lo schermo al plasma mentre sgranocchiava un biscotto sulla scrivania di Marinette. «Almeno così possiamo essere sicure che nessuno abbia scoperto la vera identità di Ladybug.»
   «Qualcuno lo ha fatto, invece», la corresse la ragazza, fissando gli esercizi di matematica senza vederli realmente. Dopo l’enorme spavento preso, i suoi genitori l’avevano coccolata e riempita di attenzioni per tutto il resto della giornata, facendola sentire inevitabilmente in colpa senza volerlo. Le avevano persino assicurato che non era necessario che tornasse a studiare, se non se la fosse sentita; se avesse preso un’insufficienza al compito del giorno successivo, erano più che certi che lei sarebbe stata in grado di recuperare alla prossima occasione. Ciò nonostante, Marinette aveva ripreso i libri in mano: come poteva sperare di preservare la propria doppia identità se non era in grado di far fronte alle responsabilità di Ladybug e Marinette contemporaneamente?
   «Credo che fosse inevitabile, vista la situazione», la rassicurò Tikki, sorridendole con dolcezza. «Direi che Chat Noir ha mostrato sufficientemente di meritare la tua fiducia, e in svariate occasioni, per di più. Ciò che conta è che non riveli il tuo segreto a nessun altro.»
   «Non lo farà», affermò la ragazza, convinta di ciò che diceva. C’era tuttavia un dubbio che la tormentava e che non l’aiutava a concentrarsi né sullo studio né su altro. «Credi… Credi che ci sia rimasto male?»
   «Cosa te lo fa pensare?»
   «Beh… tanto per cominciare il modo in cui mi ha fissata prima di fuggire via, senza neanche dire una parola», sospirò, lasciando rotolare la penna sul libro e affondando le mani nei capelli con fare sconsolato.
   Tikki le si fece vicina, posandole una zampina sulla fronte. «Marinette, è normale che abbia reagito così. Non poteva certo parlare davanti ai tuoi genitori. Devi solo dargli il tempo di riprendersi dalla sorpresa.»
   La ragazza sollevò su di lei due occhi preoccupati. «Tu dici?»
   «Ma certo. Dopotutto, è sempre abituato a vedervi come due entità diverse, non ha mai pensato di associare Ladybug a Marinette. Vedrai che la prossima volta che te lo ritroverai davanti, sarà il solito, vivace gattino dalla battuta pronta.»
   Sorrise rincuorata, muovendo le mani per prendere dolcemente il piccolo kwami fra le dita e avvicinarlo affettuosamente al viso. «Grazie, Tikki.»

«Se non ci sei rimasto male per aver scoperto che Ladybug è in realtà Marinette, allora perché diavolo hai quel muso lungo?» volle sapere Plagg, non riuscendo a seguire il filo dei pensieri del suo amico. Per lo meno, pensò, si era pentito di averlo lanciato contro il divano facendogli avere tre intere confezioni di camembert – che lui ancora stava finendo di divorare – per scusarsi e farlo riprendere a dovere dalla fatica di quel pomeriggio.
   Ancora avvolto nel morbido accappatoio bianco, Adrien si era gettato sul grande letto a due piazze, affondando il viso nei cuscini. «Perché a Marinette non piaccio», mugugnò con voce lamentosa.
   «Tu sei fuori di testa, amico, lasciatelo dire», commentò il kwami, non del tutto certo che il giovane avesse riflettuto a fondo sulla questione.
   Con un moto di stizza, l’altro si issò a sedere sul letto. «È stata abbastanza chiara, ieri, quando ne abbiamo parlato!»
   «Avete parlato di tutto, meno del fatto che tu non le piaci.»
   «Era implicito.»
   «Ma quando mai?»
   «Non ti ricordi?» insistette Adrien, rimettendosi in piedi perché incapace di star fermo. «Ha detto che a Chat Noir avrebbe affidato la sua vita ad occhi chiusi, e questo me lo ha dimostrato per l’ennesima volta oggi. Ma ha anche affermato che non gli affiderebbe mai il suo cuore!»
   «E certo», ribatté Plagg, riempendosi di formaggio la bocca. «Lo ha visto fare il piacione sia con Ladybug che con lei.»
   Il ragazzo sgranò gli occhi verdi, portandosi le dita delle mani fra i capelli ancora umidi. «Ecco perché!» esclamò, come se avesse appena scoperto che la Terra era rotonda. «Mi veniva spontaneo flirtare con Marinette perché lei e Ladybug sono un tutt’uno!»
   «Quindi ti sei comportato da scemo con entrambe perché inconsciamente percepivi che fossero la stessa persona?»
   «Lo sapevo che il mio istinto felino era infallibile!» si compiacque, iniziando a camminare su e giù per la stanza. Plagg non disse nulla, preferendo continuare a mangiare; in cuor suo, però, era felice che il suo amico avesse per lo meno riacquistato il buon umore. Il sorriso di Adrien, tuttavia, svanì un attimo dopo, quando lui arrestò il passo. «Non va bene.»
   «Cosa?»
   «Quando ieri ha saputo che sono innamorato di Ladybug, Marinette ha fatto di tutto per sminuire questa mia attrazione per lei, associandola piuttosto ad una semplice ammirazione.»
   «E quindi?»
   «Quindi significa che Marinette non gradisce nemmeno le attenzioni di Adrien», borbottò il ragazzo, lasciandosi cadere in ginocchio con fare avvilito. «Non ho speranze, Plagg. Neanche una.»
   «Va’ a dormire», gli consigliò caldamente quello. «Sei solo stanco, fidati.»
   «Come faccio a riposare con tutti questi pensieri che mi ronzano per la testa?!»
   «Posso farti una domanda?»
   «Dimmi.»
   Il kwami mandò giù l’ennesimo boccone di camembert e lo fissò dritto negli occhi. «Ora che sai che Ladybug è Marinette, sei ancora innamorato di lei? Davvero innamorato, intendo.» Adrien aprì la bocca, intenzionato a dire qualcosa; invece rimase in silenzio, realizzando solo in quel momento di non essere in grado di rispondere con assoluta certezza.
   Quella notte non avrebbe chiuso occhio.
   L’indomani, però, si alzò di buona lena, intenzionato più che mai a mettersi alla prova davanti a Marinette: in che modo avrebbe reagito, vedendola a scuola? Cos’avrebbe provato? Più se lo domandava, più non riusciva a darsi una risposta. Eppure, se lo sentiva, nel bene o nel male quel giorno sarebbe riuscito a mettersi il cuore in pace una volta per tutte – almeno riguardo ai propri sentimenti.
   Quando scese dall’auto davanti all’edificio scolastico, Adrien gettò uno sguardo alla panetteria Dupain-Cheng che si trovava all’angolo, dall’altra parte della strada, e poi più su, fino al terrazzino della camera di Marinette. Il ricordo ancora vivido del giorno addietro adesso non solo non lo sconvolgeva più come prima, ma per di più gli riscaldava il cuore. Per un attimo fu tentato di entrare nella pasticceria con la scusa di comprare un croissant; poi desistette, decidendo di procedere per gradi.
   «È stato terribile, Alya.» La voce di Marinette gli arrivò alle orecchie forte e chiara quando varcò l’ingresso del cortile interno della scuola. Adrien s’irrigidì, scorgendo la ragazza a pochi passi da lui, intenta a raccontare alla sua migliore amica la disavventura vissuta il giorno prima.
   «Lo credo bene, chissà che spavento…» commentò quella abbracciandola, lieta di saperla sana e salva.
   «Mi chiedo come diavolo tu abbia fatto a mantenere la calma, quella volta al museo», disse Marinette, che per la prima volta si era trovata a fronteggiare il serio pericolo di morire senza poter ricorrere ai poteri del suo miraculous.
   Alya scrollò le spalle. «Sapevo che Ladybug e Chat Noir mi avrebbero salvata», fu la semplice risposta che le diede. Si accorse allora della presenza di Adrien e sorrise. «Buongiorno!»
   «Buong…» Le parole del giovane vennero meno quando Marinette si voltò a guardarlo.
   «Adrien…» mormorò lei, stupita. Poi parve ricordarsi di qualcosa e gli si fece più vicina. «Come stai? Tutto bene?» domandò, visibilmente preoccupata. E poiché lui continuava a tacere, lo incalzò. «Ho saputo del disastro di ieri, al termine della lezione di scherma. Eri lì, vero?»
   «Ah», farfugliò Adrien, cercando di recuperare la voce. «Sì, ma è tutto a posto», la tranquillizzò. «Ero già al riparo quando il mostro ha iniziato a fare danni.»
   Marinette sorrise, mandandogli il cuore in subbuglio. «Meno male, allora… Scommetto che è stato Chat Noir a portarti in salvo.»
   «In un certo senso sì», confermò lui, fissandola negli occhi azzurri. Erano gli stessi che aveva sempre ammirato in Ladybug, gli stessi che lo incoraggiavano, che lo schernivano, che lo rimbrottavano e gli sorridevano durante le loro peripezie contro le vittime di Papillon. Ora, però, erano concentrati solo su di lui, sinceramente felici di saperlo al sicuro. Adrien provò una rassicurante sensazione di calore al petto: era bello sentirsi amati.
   «Sai, Chat Noir ha salvato anche me, ieri.»
   «Davvero?»
   «Sì, è stato fantastico», gli assicurò la ragazza, portandosi le mani all’altezza del cuore in un gesto carico di significato.
   Lui distese finalmente le labbra verso l’alto, guardandola con tenera gratitudine. «Se la pensi così, mi fai felice.»
   «Eh?» balbettò Marinette, credendo di non aver compreso bene.
   «Tu», li interruppe Chloé, raggiungendoli dopo averli visti da lontano ed imponendo la propria presenza. «Ho bisogno di parlarti», disse alla compagna di classe, afferrandola per un braccio e trascinandola via da lì.
   «Ehi!» protestò lei, seguendola comunque per evitare discussioni di prima mattina, per di più a pochi minuti da un terribile compito di matematica. «Si può sapere che ti prende? Io e Adrien stavamo solo parlando!»
   «Lo so, vi tenevo d’occhio, cosa credi?» ribatté seccata Chloé, lasciandola andare solo quando erano ormai arrivate nel bagno delle ragazze.
   «E allora? Ti sei alzata col piede sbagliato, come ogni santo giorno?»
   Non cogliendo la provocazione, incrociò le braccia al petto e annunciò: «Abbiamo perso entrambe.» Marinette inarcò un sopracciglio, non capendo cosa volessero significare quelle parole. «Sto parlando di Adrien», proseguì allora l’altra. «È finita, non possiamo competere con Ladybug. Lei è fantastica.» E poiché la sua rivale continuava a tacere, guardandola perplessa, Chloé sollevò le braccia verso l’alto e ruotò gli occhi al soffitto con fare esasperato. «Ma sei stupida?! Mi riferisco a quello che ha detto durante la vostra sciocca riunione di classe!»
   Finalmente Marinette capì e scattò come una molla. «E tu come fai a sapere quello che ha detto o non ha detto?! Se non ricordo male, eri andata via insieme a Sabrina!»
   «Sì, certo», confermò lei, ammirando il proprio riflesso allo specchio lì accanto e ritendendo doveroso accertarsi che il trucco fosse impeccabile come sempre. «Ma avevo lasciato il cellulare sotto al banco, in modo da registrare tutti i vostri noiosissimi segreti.»
   «Cosa?!»
   «Cerca di capire», continuò, ignorando l’indignazione della compagna. «Avevo bisogno di informazioni su Adrien. Oh, sì, e anche su tutti gli altri, così da poterle usare a mio piacimento nel momento del bisogno. Sai, qualche ricattuccio qua e là in cambio di questo o quel favore…»
   «Tu, lurida…!» Marinette dovette ingoiare una parola poco gentile, ma dal modo in cui stringeva i pugni e digrignava i denti, Chloé intuì lo stesso il senso del discorso.
   «Ad ogni modo», riprese senza curarsene, «se Adrien è innamorato di Ladybug, non ci resta che gettare la spugna.»
   «Fammi capire», cominciò a quel punto l’altra, cercando di mantenere la calma, nonostante tutto. «Cosa ti fa credere che a me piaccia Adrien? È dall’inizio dell’anno che non fai che ripeterlo.»
   Chloé le lanciò uno sguardo eloquente. «Mi prendi in giro?» domandò con fare retorico. «Anche un idiota come te se ne sarebbe accorto da un pezzo», affermò con convinzione, senza rendersi conto di aver appena insultato Adrien, l’unico ad essere realmente ignaro dei sentimenti di Marinette per lui. «A proposito, bella sceneggiata, quella che hai improvvisato, per evitare di rispondere alla domanda in questione», si sentì in diritto di complimentarsi la bionda, poiché doveva riconoscere che non avrebbe saputo fare di meglio.
   L’altra sospirò sonoramente, scuotendo il capo con aria sconsolata. «Chloé, arriva al punto: cosa vuoi da me?»
   Quella poggiò le mani sui fianchi e storse la bocca in una smorfia infastidita. «Mi secca riconoscerlo, ma Adrien ti dà ascolto», spiegò di malavoglia. «Cerca di convincerlo che il suo amore per Ladybug non è nient’altro che un’illusione, perché lei è irraggiungibile. E, detto fra noi, sono convinta che abbia una tresca con Chat Noir.»
   Marinette strabuzzò gli occhi, ma per la prima volta non ribatté a quell’insinuazione – un pettegolezzo piuttosto diffuso fra la gente di Parigi, in realtà – negando con decisione una possibile storia d’amore fra lei e il suo partner. Rimase in silenzio, invece. «Gli ho già parlato due giorni fa», disse poi, scoraggiata dalla faccenda. «Non voglio insistere oltre, risulterei invadente.»
   Chloé s’immusonì. «Come al solito non posso contare su di te», borbottò seccata. «D’accordo, me la vedrò da sola», concluse fra sé con irritazione, uscendo dal bagno e lasciandola sola senza aggiungere altro.
   «Più passa il tempo, più mi convinco che quella ragazza abbia dei seri problemi comportamentali», ponderò a mezza voce Marinette, facendo ridere Tikki che si era affacciata dalla sua borsetta non appena l’altra era andata via. «Bene, è ora di concentrarci sul compito di matematica. Forse riuscirò a strappare una sufficienza, dopotutto.»
   Il resto della mattinata trascorse in modo più o meno tranquillo, e sebbene non avesse avuto né tempo né testa per lo studio, Adrien si ritenne piuttosto soddisfatto del proprio compito di matematica. Meno entusiasta era Marinette, che tuttavia era convinta che il lavoro fatto non fosse del tutto da buttare.
   Infine, la campanella annunciò la fine delle lezioni mattutine, ma prima che qualcuno potesse uscire dall’aula la rappresentante di classe si alzò in piedi. «Ragazzi, aspettate!» esordì a voce alta, in modo da attirare l’attenzione generale. «C’è una cosa importante che dovrei dirvi, non l’ho fatto prima per non distogliere la vostra attenzione dal compito in classe.» Tutti arrestarono i loro movimenti e si misero in ascolto. Marinette allora si avvicinò alla cattedra e riprese a parlare. «Riguardo ai nostri incontri sulla fiducia, temo che non sarà più possibile farli qui. La scuola non è un posto sicuro: la nostra privacy è stata violata.»
   Chloé s’irrigidì, mentre tutt’intorno si levava un brusio di sorpresa e indignazione a un tempo. Più di qualcuno pretese di sapere chi avesse mai osato fare una cosa tanto orribile, ma Marinette si ostinò a tenere per sé il nome del colpevole, stupendo Chloé che invece si era aspettata di essere messa pubblicamente alla gogna da quell’intrigante ed insignificante ragazzina.
   «Vi contatterò personalmente uno ad uno e creerò una chat di gruppo in cui discutere insieme i dettagli per il nostro prossimo incontro», disse Marinette, pratica, ritenendo che quello fosse il modo più sicuro per mettersi al riparo da occhi e orecchie indiscrete. «E ora… buon appetito a tutti, ci vediamo più tardi», concluse con un sorriso, lasciando che i suoi compagni fossero liberi di recarsi a pranzo.
   Prima di andar via, Chloé le passò accanto con un’occhiata sospetta, mentre Alya le si affiancava e la prendeva a braccetto, procedendo con lei verso l’uscita. «Scommetto che è lei la colpevole.»
   Marinette sorrise rassegnata. «Ti piace vincere facile.»
   «Dannata oca giuliva…» borbottò l’altra, innervosita per la solita prepotenza della figlia del sindaco. «Consoliamoci al pensiero che oggi deve aver rosicato non poco», cinguettò un attimo dopo, tutta contenta. E all’espressione interrogativa dell’amica, rispose ridendo: «Ma come? Non ti sei accorta che Adrien ha passato quasi tutta la mattina a sbirciare nella tua direzione?» Marinette spalancò occhi e bocca. «Poveretto, gli sarà venuto il torcicollo…»
   «Mi prendi in giro?!»
   «Perché dovrei? Hai praticamente monopolizzato la sua attenzione», le garantì Alya, strizzandole l’occhio con fare complice. «Vado, ci vediamo dopo», la salutò infine, lasciandola ai piedi delle scale d’ingresso in un meraviglioso brodo di giuggiole.
   Tuttavia, le sorprese per lei non erano affatto finite, per quel giorno. Quando tornarono a scuola e furono in procinto di rientrare in classe, Marinette scorse Adrien che le faceva cenno con la mano, salutandola a distanza. La ragazza lo raggiunse in fretta, il cuore che batteva forte e gli occhi luccicanti per l’emozione. Non fecero in tempo a dirsi una sola parola, però, perché la professoressa Bustier li chiamò da lontano. «Vorrei che voi due vi fermaste per qualche minuto, al termine delle lezioni. Io e il preside desideriamo parlarvi di qualcosa di importante.»
   «Ma certo…» risposero loro, pur scambiandosi uno sguardo confuso. Non riuscivano assolutamente ad immaginare quale fosse la ragione per cui monsieur Damocles volesse vederli. Avevano forse combinato qualche guaio o infranto le regole dell’istituto senza rendersene conto? Oppure si trattava di qualcosa di meno grave, come un progetto scolastico o qualcosa di simile? Lo scoprirono poco dopo aver varcato la soglia del suo ufficio, alcune ore più tardi.
   Affiancato dalla professoressa Bustier, l’uomo li fissò attentamente per qualche istante. Con quegli occhietti tondi, le folte sopracciglia scure, il naso adunco e la lunga barba grigia, ricordava molto un vecchio gufo arrabbiato. «Adrien, Marinette», esordì dopo quella che parve un’interminabile attesa, «vi ho convocati qui perché la vostra professoressa ha portato alla mia attenzione un particolare piuttosto curioso.» Non immaginando affatto di cosa potesse trattarsi, i due rimasero in religioso silenzio in attesa di capirne di più. Lo videro mettere mano al registro di classe e aprirlo alla pagina delle presenze, dove iniziò a battere la punta dell’indice in diversi punti. «La professoressa Bustier ha notato, non a torto, che voi due vi assentate spesso insieme. Anzi, sempre», sottolineò fra i denti, facendoli rabbrividire.
   La spiegazione era molto semplice: ogni volta che un pericolo minacciava Parigi durante le ore di lezione, Ladybug e Chat Noir avevano il sacrosanto dovere di intervenire per salvare la situazione, sia pure a scapito della loro carriera scolastica – ma al preside e alla professoressa non potevano di certo dirlo. E se pure Adrien trovò la cosa perfettamente normale, poiché era al corrente della vera identità della sua compagna di battaglia, a Marinette invece parve una straordinaria, quanto inspiegabile coincidenza che lui si assentasse proprio quando lo faceva anche lei.
   «Quello che vorrei chiedervi ora è», riprese monsieur Damocles dopo una breve pausa ad effetto, «dove diavolo sparite, insieme?»
   «Insieme?» ripeté la ragazza, come instupidita da quella conclusione piuttosto ovvia.
   L’uomo intrecciò le mani davanti a sé, guardandola con fare accigliato. «Signorina, faccio questo lavoro da così tanto tempo che non mi è difficile capire quando i miei studenti mi stanno nascondendo qualcosa», le fece sapere, cercando tuttavia di portare pazienza. «Quindi vi consiglio caldamente di dirmi cosa sta succedendo, prima che io decida di prendere seri provvedimenti, avvisando i vostri genitori dell’intera faccenda.»
   Adrien si allarmò: se suo padre fosse venuto a saperlo, nulla gli avrebbe impedito di ritirarlo da scuola, proprio come aveva implicitamente minacciato di fare appena il giorno prima. «Monsieur Damocles», prese quindi parola, facendosi coraggio anche per l’amica. «Perdoni la domanda, lei aveva successo con le ragazze, quando aveva la nostra età? Io sono sicuro di sì.» Gli altri tre si volsero a guardarlo come se fosse improvvisamente impazzito. «Pertanto deve conoscere anche lei i palpiti di un giovane cuore innamorato, le emozioni che offuscano la ragione, la passione che accende l’animo!»
   L’uomo si schiarì la voce, iniziando a capire dove lui volesse andare a parare. «Alla vostra età, più che altro, li chiamerei ormoni», lo corresse in un borbottio, incurante di nascondere il proprio pensiero al riguardo, lasciando ulteriormente spiazzata Marinette e facendo sospirare la professoressa Bustier, che lo richiamò con discrezione ai propri doveri. «Se le cose stanno così, la situazione è ancora più grave», affermò il preside, spietato.
   «Monsieur Damocles, la prego», insistette Adrien, temendo il peggio. «Non può negare a due ragazzi le gioie dell’amore!» Finalmente Marinette afferrò il senso del discorso e la mascella le ricadde verso il basso, mentre fissava con occhi sgranati quel pazzo del suo amico continuare nella propria, appassionata arringa difensiva per tirarli fuori dai guai. Sentiva il viso andare a fuoco per l’imbarazzo, ma non riuscì a trovare né la forza né il coraggio di intromettersi.
   «E non potreste vivere le vostre gioie in orari che non collidano con i vostri impegni scolastici?» volle capire il preside, non sapendo se arrabbiarsi per la faccia tosta di quel ragazzino o se piuttosto applaudirlo per la sincerità con cui stava ammettendo le loro colpe.
   «Ci impegneremo in tal senso», promise lui, mettendo una mano sul cuore a mo’ di giuramento. «Vero, Marinette?» E poiché non ricevette alcuna risposta dalla compagna di classe, le lanciò uno sguardo preoccupato, notando solo allora lo stato di profonda vergona e confusione in cui l’aveva trascinata senza neanche chiederle il permesso. Si morse le labbra, sinceramente mortificato.
   Il telefono di monsieur Damocles squillò in quel momento, distogliendo l’attenzione di tutti dall’espressione sconvolta di Marinette. «Devo rispondere per forza, maledizione», bofonchiò l’uomo, dopo aver gettato un’occhiata al numero che lo stava chiamando. Si rivolse un’ultima volta ai due ragazzi e, facendo loro cenno di uscire dall’ufficio, concluse: «Che non ricapiti più o sarò costretto a fare rapporto ai vostri genitori.»
   «Sissignore!» scattò Adrien sull’attenti. E poiché Marinette non accennava a muovere muscolo, l’afferrò gentilmente per un gomito e la spinse via con sé, oltre la soglia della stanza.
   «Per questa volta vi è andata bene», commentò la professoressa Bustier, chiudendo la porta per lasciare al preside tutto il tempo e la tranquillità di rispondere al telefono. Osservò i due ragazzi con aria sorniona e, con fare quasi materno, aggiunse soltanto: «Cercate di essere prudenti.»
   «Certo, ci mancherebbe», rispose Adrien, troppo puro per cogliere appieno il vero significato di quel consiglio. «A domani, professoressa», salutò poi allegramente, continuando a trascinarsi dietro Marinette e scendendo con lei le scale.












Mi sono sempre chiesta come mai nessuno abbia notato che i due si assentano spesso insieme, soprattutto durante le ore scolastiche. È pur vero che la maggior parte delle emergenze avviene direttamente a scuola e pertanto le lezioni vengono sospese e blabla, ma qualche volta deve pur essere capitato che Adrien e Marinette si siano volatilizzati inspiegabilmente durante le lezioni. Di più, non credo di essere andata troppo lontana con la fantasia, immaginando Adrien che fa un discorso di questo genere al preside: ricordiamoci che, sia pure nei panni di Chat Noir, in uno dei primi episodi si è allegramente spacciato per l'innamorato di Ladybug. E, in tutta onestà, per quale ragione non dovrebbe farlo ancora, questa volta coinvolgendo però le vere identità sua e di Marinette? Stiamo pur sempre parlando di una delle persone più sfacciate di tutta Parigi, temo... Senza maschera lo nasconde bene, certo, ma noi sappiamo benissimo qual è la verità. :'D
Quanto al resto, ora ci troviamo in una situazione paradossale: da un lato abbiamo Marinette che si preoccupa per Chat Noir (e pensa giustamente che Adrien sia impazzito), dall'altro abbiamo Adrien che crede di non essere amato da lei né nei panni di Chat Noir né in quelli di semplice civile. Insomma, direi che siamo messi bene.
E anche per oggi è tutto. Questo era il capitolo che segna la metà dell'intera fanfiction, ragion per cui dal prossimo si comincerà lentamente a volgere verso il finale (ricordo che i capitoli in tutto sono nove).
Ringrazio come sempre chi è arrivato a leggere fin qui, chi recensisce e chi aggiunge la presente fra le storie preferite/ricordate/seguite.
Buona giornata! ♥
Shainareth





  
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