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Autore: nikita82roma    07/11/2017    8 recensioni
Una notte, ricordi, pensieri e la mattina dopo.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Josh Davidson, Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'Partner in Crime. Partner in Life'
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Il piacere era stato intenso, arrivato all’improvviso. L’aveva lasciata appagata ma non del tutto soddisfatta, le mancava qualcosa. Quel bacio subito dopo l’aveva stranita ancora di più: le aveva appena sfiorato le labbra, come se fosse un saluto o un ringraziamento per la notte appena passata e lei ebbe l’istinto di coprirsi, perché si sentiva troppo esposta al suo sguardo appena aveva acceso la luce.
Lui aveva controllato l’ora nel cellulare e poi si era seduto sul bordo del letto. Aveva indossato l’orologio e poi si era rivestito, tutto senza dirle una parola. Lei che ancora si sentiva attraversata dal piacere e lui in piedi al lato del letto già perfettamente vestito. Si sistemò il ciuffo guardandosi allo specchio, poi girò intorno al letto fino alla sua parte. Un altro bacio fugace al quale non rispose nemmeno. Lo vide uscire dalla camera da letto, lo sentì armeggiare con le sue cose e poi il rumore della porta che si richiudeva. Erano quasi le tre del mattino e quello doveva essere il loro weekend, lei era riuscita a ritagliarsi due giorni liberi e lui le aveva promesso che sarebbe stato tutto per lei. Illusa. Poco dopo cena aveva squillato il suo cellulare e lui non aveva saputo dire di no. Josh era così, metteva sempre il lavoro davanti a tutto, anche a loro, come del resto faceva anche lei, se mai un loro fosse mai esistito.

Quella era stata l’ultima volta che erano stati insieme, lì a casa di lei, qualche giorno prima della sparatoria al cimitero. Poi tutto era cambiato e non aveva avuto più senso mentirsi, non dopo quello che aveva sentito, non dopo quello che aveva provato, non quando aveva capito che voleva di più per se stessa e quel di più aveva solo un nome, due occhi azzurri, un sorriso irresistibile e due braccia che sembravano nate per rifugiarsi quando voleva allontanarsi dal mondo.
Forse era stata proprio quella notte che Josh era uscito dalla sua vita, quando l’aveva lasciata con quella sensazione che in tutto quello ci fosse qualcosa di sbagliato, quando aveva capito che non le bastava più un rapporto vuoto, che non la soddisfaceva nemmeno più dal solo punto di vista fisico, quando sentiva che le mancava qualcosa. Cosa era lo aveva scoperto solo molto tempo dopo quella sera e lo capiva sempre di più ogni volta, dopo.

Quella sera era la prima volta. La prima volta che lui si fermava da lei, che facevano l’amore lì a casa sua. Sul divano prima, quando non erano riusciti a resistersi, nonostante i buoni propositi, e poi lì, nel suo letto, dove ora lui dormiva, mentre lei no, proprio non ci riusciva e non sapeva perché era tornata a pensare a quella notte con Josh. Si diceva che non era nemmeno poi così bello pensare al proprio ex in una situazione del genere, ma i pensieri erano tutto tranne che lusinghieri per Josh. Era tutto così diverso. Lei era diversa e in quei momenti riusciva a non pensare a niente. Si dimenticava di quanto la sua ragione le avesse detto che era sbagliato, di quanto era difficile e snervante a volte tenere tutto nascosto, delle incomprensioni che erano nate, di quanto ancora poco si conoscessero sotto alcuni aspetti. In quei momenti svaniva tutto, non c’erano i dubbi e nemmeno le paure su cosa sarebbe stato di loro, su come avrebbero fatto ad andare avanti, su quello che sarebbero diventati poi. C’era lei, lui ed il loro presente.

Lui dormiva e lei lo guardava. Lo aveva preso in giro la prima volta che le aveva detto che lo aveva fatto, lo aveva rimproverato dicendogli che osservare le persone dormire era inquietante, eppure lei ora avrebbe voluto continuare a guardarlo per ore, avrebbe voluto essere una pittrice per riprodurre ogni sfumatura del suo viso, rilassato, quasi sorridente. Si chiese se lui stesse sognando, magari sognava di loro, così come lei faceva ad occhi aperti.
Li chiuse per qualche istante e respirò profondamente. Ripercorse con la mente tutta quella notte e capì esattamente cosa le era sempre mancato: quel dopo che con lui era la cosa più bella, quando la teneva stretta a sé e continuava a baciarla, accarezzarla, stringerla, sussurrarle quelle parole che le facevano sciogliere il cuore, quelle che dette da chiunque altro avrebbe trovato ridicole e patetiche, dette da lui erano perfette. Le erano sempre mancati i sorrisi e la complicità, il saper ridere di loro stessi, la perfetta sintonia di sapere cosa l’altro pensava e voleva, qualcosa di naturale che c’era sempre stato, dal primo momento, perché anche mentre si scoprivano sapevano già di conoscersi.

Lui l’aveva tenuta stretta a se per gran parte della notte anche dopo che si era addormentato, fino a quando lei non si era alzata per andare in bagno ed al ritorno lo aveva trovato così, che dormiva a pancia in giù come un bambino. Aveva occupato gran parte del letto ma lei non ci fece caso. Si era sdraiata su un fianco vicino a lui osservandolo ed accarezzandogli i capelli: aveva un sonno decisamente pesante e alla fine si addormentò anche lei.
Lui si risvegliò e faticò ad aprire gli occhi perché si erano dimenticati di chiudere le imposte e la luce aveva invaso la stanza in modo prepotente. Da quando lei era tornata a lavoro era la prima volta che aveva un giorno libero e potevano avere quella giornata tutta per loro, senza orari prestabiliti, senza nulla. Sorrise al pensiero che sarebbe stata finalmente sua per tutto il giorno e se lei avesse voluto, potevano anche evitare di mettere il naso fuori da quella stanza.

Sentì la mano di lei tra i suoi capelli e si rese conto che nel sonno l’aveva naturalmente abbracciata. Non voleva svegliarla ma sapeva che al contrario di lui il sonno di lei era leggerissimo, così appena si mosse la vide aprire gli occhi di soprassalto, i suoi splendidi occhi verdi che lo fissavano. Si era allertata per un attimo, aveva preso il suo atteggiamento vigile, ma poi si rese conto che c’era lui e poteva rilassarsi. Gli accarezzò le labbra con due dita, segnandogli il contorno, come se volesse accertarsi che lui era proprio lì, che era reale, che non era stato un sogno, una di quelle fantasie che non gli avrebbe mai confessato che più volte l’avevano accompagnata in quelle notti sola e confusa, quando ancora la paura era più grande di ogni cosa. Sospirò pensando a quanto tempo aveva sprecato, quanta inutile sofferenza per entrambi.
Lui sembrava leggerla dentro o forse lo faceva veramente. Cominciò a baciarla sul collo, lì dove a lei faceva impazzire e tutti i pensieri negativi scomparvero immediatamente, poi lui risalì fino alle labbra che baciò sorridenti. Era decisamente un bel buongiorno.

Aspettò che si sistemasse nel letto, recuperasse i cuscini caduti o buttati via, non poteva ricordarlo, lo guardò accomodarsi e poi allargare un braccio, un chiaro ed inequivocabile invito e lei non aspettava altro che appoggiarsi su quel petto ampio e morbido, stretta poi dal suo abbraccio forte e sicuro, e poi si rilassò accarezzandogli il torace con la punta delle dite, con movimenti lenti e casuali, disegnando forme immaginarie su quella superficie ampia e irresistibile.
Non si parlarono per un bel po’. Non ne avevano bisogno e questa era una delle cose che lei aveva scoperto di lui così diversa da quello che era al di fuori di loro: non aveva bisogno di riempire i silenzi con le parole, anche se lei sapeva che la sua mente non riposava mai.

Poi lui fermò la mano di lei, bloccandola quando era proprio sopra il suo cuore. Le sembrò che trattenesse il respiro per fargli sentire meglio il suo battito: forse, veloce, vivo.

“Cosa c’è?” Gli chiese.

“Stavo pensando ad una cosa” Le rispose.

“Riguarda noi?”. Si sentì sopraffatta dalle sue stesse parole. Non era abituata ad usare quella parola così spesso, non ad alta voce, rendendo un pensiero reale in una dimensione, quella della vita vera, dove le sembrava che fosse ancora troppo fragile e prezioso per lasciarlo andare.

“Sì.” Quella parola di lei, quel noi, gli aveva fatto battere il cuore ancora di più. “Ti amo.”

Lo disse con naturalezza e semplicità, come se fosse la cosa più facile del mondo ed invece era stato difficile dirglielo, molto più che nelle altre occasioni. Più di quanto pensava di averla persa, per sempre, per motivi diversi. Lì lo aveva detto per disperazione o per rabbia, era uscito fuori in entrambi i casi quasi di forza, incontrollato, senza pensarci. Quella mattina, invece, era stato consapevole e importante. Le parole pesavano sulle sue labbra. Era consapevolezza ed erano giorni che cercava il momento giusto per dirglielo. La spiazzò ed anche per lei sentirselo dire in quell’occasione era così diverso e penetrante. Non era la roccia a cui aggrapparsi per rimanere in vita e nemmeno la fune che voleva legarla per non farla scappare via, per combattere una battaglia suicida contro le sue ossessioni. Era un abbraccio che la stringeva, due labbra che la baciavano, una mano che l’accarezzava. Era lui, era quel momento, erano loro.

Chiuse gli occhi e gli baciò il petto, lasciando che la sua bocca si modellasse contro la sua pelle.

“Non sei obbligata a rispondermi” Le disse percependo il suo imbarazzo. “Non l’ho detto per sentirmelo dire solo perché non potevo tenerlo più dentro. Avevo bisogno di farlo. So che ancora è presto e…”

Si era sollevata e aveva interrotto il suo discorso con un bacio.

“Ti amo anche io, Castle”. Gli sorrise soddisfatta di essere riuscita a sorprenderlo.

“Ok, bene.” rispose lui mentre lei riprendeva il suo posto tra le sue braccia, i suoi disegni sul suo petto, come se quella fosse stata una parentesi concitata in quella tranquilla mattinata.

“A cosa stai pensando Kate?” gli chiese dopo un po’, quando la sentì stringersi di più a lui.

“Stanotte ti ho guardato dormire”

“È inquietante questo, lo sai?” Le disse prendendola in giro, usando le stesse parole che lei gli aveva rivolto qualche giorno prima.

“Sì, lo è, un po’. Lo sai però che quando dormi sembri proprio un bambino? Sorridevi e…” Si morse il labbro. Lui la prese e la sollevò mettendola sopra di sé. Deglutì rumorosamente, non si sarebbe mai abituato allo spettacolo della sua bellezza. Le accarezzò le spalle e scese lungo le braccia, fino ai fianchi.

“E…?” le chiese.

“E niente, Castle.” Sapeva come fare per farlo desistere, per non fargli domandare altro, per fargli perdere contatto con la realtà, muovendosi sinuosamente tra le sue mani e sul suo corpo. Il suo respiro profondo le fece capire che aveva ottenuto il suo scopo. C’era tempo per il resto, per tutto il resto e non gli disse che in quella notte si era morsa il labbro quando aveva pensato che in fondo sarebbe stato bello avere un bambino del tutto simile a lui.

   
 
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