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Autore: Shainareth    08/11/2017    5 recensioni
Le voci spaventate degli altri arrivavano ovattate alle sue orecchie, come se al momento lei stessa si trovasse in un’altra dimensione. Il fatto era che, presa com’era dal reprimere le proprie emozioni, Marinette non si era resa conto di essere sull’orlo di esplodere. Cosa che era effettivamente avvenuta quando Adrien aveva ammesso di essere innamorato di qualcuno. Di Ladybug. Di lei, quindi. Ma Adrien non lo sapeva. Né sapeva che lei sapeva. Che gran casino.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fiducia'
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CAPITOLO SESTO




Fu solo quando Marinette mise un piede in fallo su uno degli ultimi gradini che Adrien si fermò, riuscendo ad evitarle la caduta. «Tutto bene?» le chiese gentilmente, tenendola salda per le spalle.
   «Sì… credo…» balbettò la ragazza, ancora rossa in volto per il colloquio con il preside. Non aveva il coraggio di guardare l’amico in faccia, temendo che lui potesse leggervi tutta la gamma di emozioni che l’avevano investita fino a quel momento.
   Adrien se ne accorse e, facendosi un esame di coscienza, si decise a lasciarla andare e ad affrontare l’argomento per poter riparare. «Mi spiace averti messa in imbarazzo, poco fa», cominciò allora, facendola irrigidire e sentendosi di colpo anche lui a disagio. Stava arrossendo? Diamine, sì. Ringraziò il pudore di Marinette, che costringeva la ragazza a tenere rivolti verso il basso i suoi grandi occhi azzurri. «Non mi è venuta in mente una scusa migliore», continuò il giovane, cercando di mantenere fermo il tono di voce.
   «N-Nessun problema, sono capite che cosano», rispose lei, lucidissima.
   «Ehm… Cose che capitano
   «Quello, sì.»
   Seguì un lungo, imbarazzato attimo di silenzio. Poi, prendendo un bel respiro, e con esso tutto il coraggio di cui disponeva, Adrien decise di vuotare il sacco. «Marinette, ascolta», iniziò serio, afferrandola di nuovo per le spalle e inducendola a guardarlo. Occhi negli occhi, il giovane trovò finalmente risposta alla domanda che gli aveva posto Plagg la sera prima: sì, era ancora innamorato di lei. Sorrise, avvertendo un gran senso di serenità nel cuore.
   Schiuse le labbra per farglielo sapere, determinato a non avere segreti di alcun genere con l’amata, ma fu invece la voce di Chloé a irrompere forte fra loro. Di nuovo. «Adrien!» lo chiamò dall’alto del ballatoio del piano superiore, spezzando l’incanto che si era venuto a creare. «Oh, Adrien, finalmente! Ti ho cercato dappertutto!» continuava a dire lei, affrettandosi a scendere le scale per raggiungerlo.
   Marinette seguì la scena senza fiatare, trovando comunque un peccato che quell’arpia li avesse interrotti. Si chiese cosa avesse, Adrien, da dirle di così importante; perché, per quanto modesta fosse, si era almeno resa conto della solennità del momento. «Chloé… potresti aspettare? Devo parlare con Marinette di una cosa molto importante.»
   «Anche quello che devo dirti io lo è», ribatté lei, arpionandolo per il collo in un abbraccio e fissando in tralice l’altra ragazza con un sorrisetto da schiaffi. Marinette si limitò a grugnire, benché la tentazione di strattonarla per i capelli fosse forte. «Anzi, è di vitale importanza», disse ancora Chloé, avvicinando pericolosamente il volto a quello di Adrien che, dal canto suo, iniziò a temere il peggio e a cercare goffamente di scollarsela di dosso.
   «Ehm… Chloé? Mi stai spezzando la schiena», buttò lì, sperando che l’amica mollasse almeno la presa.
   Lei lo fece, ma di contro si avviticchiò al suo braccio e lo tirò via da lì. «Vieni con me, c’è davvero una cosa importante che devo dirti.»
   Troppo gentile per allontanarla bruscamente, il giovane si lasciò trascinare via, ma rivolse un ultimo, disperato sguardo all’amata. «Ti chiamo più tardi!» le promise, mimando persino la cornetta di un telefono con un gesto della mano libera.
   Marinette rimase immobile lì dov’era, fissandoli con aria inebetita. Poi, quando entrambi furono ormai abbastanza lontani, infilò con foga la mano nello zaino e recuperò il cellulare, avviando febbrilmente una chiamata. «Alya!» urlò quando ricevette risposta, non riuscendo a controllare il volume della voce. «Adrien è completamente impazzito!» E come poteva essere altrimenti?! Quel giorno aveva decisamente dato i numeri: anzitutto non distogliendo quasi per nulla la propria attenzione da lei sin dalla prima ora di lezione; poi giurando al preside che loro due avevano una tresca amorosa; infine, dicendo che l’avrebbe chiamata più tardi, cosa che non era mai successa prima di allora. «Per questo dico che è impazzito!» continuava a farneticare la ragazza, gesticolando convulsamente al cellulare mentre si avviava verso casa. «Non c’è altra spiegazione! Anzi, una c’è: ieri Chat Noir non è riuscito ad afferrarmi in tempo e io mi sono maciullata al suolo, così ora mi trovo a vivere in una realtà parallela – tipo quel film che abbiamo visto insieme l’altra volta, ricordi? – dove tutti i tuoi desideri si realizzano e puoi tranquillamente credere di essere in paradiso. E se è così, tipregotipregotiprego, non mi svegliare!»
   «Marinette. Respira», fu il caldo consiglio che le diede Alya, ridendo dall’altro capo del telefono. «Stai andando in iperventilazione.» Lei obbedì e si sentì vagamente meglio, ma comunque frastornata. «Dov’è ora, quel dongiovanni?»
   «Non chiamarlo così!» si risentì, pronta a difendere l’amato a spada tratta.
   «Beh, scusa, l’altro giorno giurava di essere innamorato di Ladybug…»
   «Forse ha fatto chiarezza nei suoi sentimenti, che vuoi che ne sappia? In ogni caso, è andato via con Chloé. O meglio, lei lo ha trascinato via. Lo sai quant’è prepotente.»
   E lo era al punto da costringere il povero Adrien su una panchina del parco lì vicino, a sorbirsi un’intera filippica su quanto fosse sconveniente credere di provare amore nei confronti di un personaggio pubblico di grande importanza, anche e soprattutto perché si correva il serio, quanto probabile rischio di ricevere una brutale delusione. Fu quando lei insistette per l’ennesima volta su questo punto che lui, da bravo scolaretto, alzò una mano per interromperla. «Ti ricordo che anch’io sono un personaggio pubblico», disse soltanto, indicando con un cenno distratto della mano un cartellone pubblicitario, ben visibile anche oltre la cancellata del parco e sul quale spiccava una gigantografia del suo volto.
   «Oh, ma naturalmente, Adrien. E, in quanto figlia del primo cittadino di Parigi, lo sono anch’io», replicò Chloé con boria, ignorando l’espressione contrariata e annoiata dell’amico. «Ma qui si sta parlando di Ladybug, capisci? Lei è irraggiungibile!»
   «Quindi sei tu la talpa», concluse invece il giovane, ricordando il discorso che Marinette aveva fatto alla classe al termine delle lezioni della mattina. «Altrimenti non si spiegherebbe come tu sia a conoscenza di ciò che ci siamo detti durante la riunione dell’altro giorno.»
   «Quello che sto cercando di dirti, Adrien», lo ignorò lei, facendo orecchie da mercante, «è che non puoi essere davvero innamorato di lei! Non sai nemmeno chi sia!»
   «Conosco Ladybug personalmente, è una ragazza deliziosa», la smentì invece l’altro, deciso a tagliare corto. Magari Marinette era ancora a scuola. O forse lui poteva passare un attimo dalla pasticceria prima di tornare a casa…
   «Cosa?!» esclamò Chloé, strabuzzando gli occhi. «La conosci?! Sai chi è?! Presentamela!»
   Il giovane scrollò le spalle. «Non credo di poterlo fare. Sai, questione di privacy.»
   «Ma lei è il mio idolo! È l’unica per la quale rinuncerei a te senza fare storie!»
   Quella dichiarazione ridestò tutta l’attenzione di Adrien, che subito sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi, mentre i suoi occhi verdi venivano attraversati da una scintilla carica d’entusiasmo. «Wow, sul serio? Allora… senza rancore?» E, nel chiederglielo, si alzò in piedi e le porse la mano in attesa di una stretta amichevole che sancisse l’accordo.
   Chloé s’immusonì, fissandolo da sotto in su con aria offesa.
   Quella mossa spontanea e gioiosa costò ad Adrien una crisi isterica da parte della ragazza, che per ripicca lo tenne impegnato per quasi tutto il resto del pomeriggio, strepitando come un’ossessa e rintronandolo come se lo avesse centrifugato a mille giri in lavatrice per un’ora intera. O almeno era così che si sentiva Plagg, quando rientrarono a casa e fu libero di uscire finalmente dalla borsa dei libri del giovane. «Ma quanto diavolo parla, quella?!»
   «Chloé è piuttosto sola… come me», constatò Adrien, vedendo le cose sotto una prospettiva diversa e più obiettiva.
   «E la sua amica Sabrina?»
   «È l’unica che ha», spiegò, lasciandosi cadere stancamente sul divano e rilassando la testa sullo schienale. «A parte me, si intende. Il che è un peccato, Chloé non è tanto male, e se si decidesse ad abbassare un po’ la cresta e ad essere più gentile con gli altri, penso che potrebbe averne molti di più, di amici.» Plagg lo guardò scettico ma non replicò, preferendo concentrarsi sulla confezione di camembert che aveva recuperato da uno dei cassetti della scrivania. Adrien osservò il cielo al crepuscolo al di là dei vetri della grande finestra e sospirò. «Dannazione… avevo promesso a Marinette che l’avrei chiamata…»
   «Puoi ancora farlo», gli fece notare il kwami.
   L’altro prese in mano il cellulare e scorse i numeri presenti in rubrica, fino ad arrivare a quello di Marinette, al quale aveva assegnato anche un’immagine profilo ritagliata da una delle foto che avevano fatto al parco con i loro compagni di classe, qualche tempo prima. Da lì, la ragazza lo fissava con un sorriso sincero, gli occhi pieni di allegria e quella leggera spruzzata di lentiggini sul naso che Adrien aveva sempre trovato adorabile. Benché fossero passate già ventiquattr’ore da quando aveva scoperto la verità, a tratti gli sembrava ancora incredibile che dietro quel visetto grazioso e innocente si nascondesse l’ineffabile eroina di Parigi. Di più, gli sembrava ingiusto che lei non sapesse ancora chi c’era sotto la maschera di Chat Noir. Doveva dirglielo.
   «Farò di meglio», stabilì allora, raddrizzando la schiena. «Andrò da lei.»
   «A quest’ora? Tuo padre non ti darà mai il permesso di uscire.»
   «Nessun problema, lo farò nei panni di Chat Noir.»
   «Sei fuori di testa?» si allarmò Plagg, svolazzandogli vicino con il camembert fra le zampine.
   «Oggi ho messo Marinette in imbarazzo, devo rimediare in qualche modo.»
   «Credevo ti fossi già scusato.»
   «È stato Adrien a farlo, ma il mio sesto senso mi dice che al momento le sta più simpatico il mio alter ego», ragionò il giovane, convinto di ciò che diceva.
   «Il tuo sesto senso fa schifo», ci tenne a fargli sapere il piccolo kwami. «Davvero sei così tonto da non esserti accorto che stravede per te?»
   «Mi considera solo un amico», insistette l’altro, ancora scottato dal fatto che Marinette aveva cercato di fargli cambiare idea circa i suoi sentimenti per Ladybug – e quindi per lei. «Per questo ho deciso che sarà Chat Noir a dirle la verità.» Plagg provò il più che giustificabile impulso di spalmargli il formaggio sul naso, e se non lo fece fu solo perché Adrien lo sorprese con due parole: «Plagg, trasformami!»

Dopo cena, Marinette era salita in camera dicendo ai propri genitori che si sarebbe rilassata riprendendo il lavoro di cucito lasciato in sospeso il giorno addietro, prima che scoppiasse tutto quel putiferio a scuola. Nelle sue intenzioni era proprio quello che avrebbe voluto fare, tuttavia quando fu costretta a mettere mano per la terza volta alla stessa asola, si rese conto di non avere la concentrazione necessaria per continuare. Lasciò ricadere la stoffa sulla scrivania e lanciò uno sguardo alla piccola Tikki che la fissava con occhioni curiosi. «Stai pensando a lui?»
   «A loro, in realtà», confessò la ragazza, stringendo le labbra con aria inquieta. «Adrien non mi ha chiamata, alla fine. Non che mi illudessi, ma…» Diede un’occhiata distratta al monitor del computer acceso, sul quale spiccava un collage di foto del giovane decorato con motivi a cuori. Sapeva che era troppo bello per essere vero… Sospirò. «E poi», riprese dopo una manciata di secondi, «non ho più avuto notizie di Chat Noir.»
   «E questo ti preoccupa?»
   «Certo», fu la sincera riposta che diede. «Tengo molto a lui, e non vorrei che fosse rimasto deluso dal fatto che dietro la sua personale immagine ideale di Ladybug si nasconde invece una ragazzina goffa e insignificante.»
   Tikki si corrucciò, trovando che l’amica fosse fin troppo ingiusta con se stessa. «Tu non sei affatto insignificante», la redarguì, piazzandosi davanti al suo naso con aria severa. «Come ti dicevo ieri, credo che abbia solo bisogno di tempo.» Marinette però non parve del tutto convinta della cosa, così il piccolo kwami le sorrise. «Non pensarci ora, sono certa che quanto prima vi rivedrete e potrete chiarire ogni cosa. Non siete solo partner, siete anche buoni amici, legati da un’incrollabile fiducia reciproca.»
   La ragazza abbozzò un sorriso. «Sì, è vero», ammise. Per quanto a volte non vedessero le cose dallo stesso punto di vista o fossero stati messi l’uno contro l’altra per colpa del potere del miraculous della Farfalla, il rapporto fra lei e Chat Noir non ne aveva mai risentito, legandoli sempre più in un sodalizio indissolubile contro Papillon. «Ho bisogno di distrarmi, prenderò un po’ d’aria», si disse, alzandosi e avviandosi verso il terrazzino con uno spruzzino pieno d’acqua in mano con l’intento di annaffiare le piante.
   La serata era mite, e il cielo del tutto sgombro di nubi regalava una luna piena quasi per metà. Marinette pensò fosse un vero peccato che non si vedessero stelle a sufficienza, dal centro di Parigi, e per quanto amasse la casa in cui viveva, a volte desiderava trovarsi in periferia, dove di sicuro la volta celeste era ben più visibile. Le sarebbe anche piaciuto condividere quel meraviglioso spettacolo con Tikki, Alya, Nino e, soprattutto, Adrien. Fu quando la sua mente tornò a lui che i ricordi di quella giornata l’assalirono e, con essi, anche le emozioni provate, irruenti come solo l’amore sapeva renderle. Abbassò lo sguardo sulle rose del suo balcone, fissandole senza vederle realmente. Visto che Adrien non lo aveva fatto, poteva sentirsi autorizzata a chiamarlo per chiedergli di cosa volesse parlarle a scuola, prima che Chloé li interrompesse? Oppure poteva bastare un semplice messaggio? O, forse, il giovane aveva avuto il pomeriggio pieno a causa degli impegni con i vari corsi che seguiva o di qualche appuntamento di lavoro…
   Sospirando per l’ennesima volta, tornò ad alzare lo sguardo, trovando davanti a sé due occhi verdi che la fissavano allegramente. «Buonasera, my lady!» Tikki cercò istintivamente riparo fra le piante, e Marinette soffocò un urlo e indietreggiò fino ad inciampare contro la sedia a sdraio alle sue spalle, sulla quale finì stesa prima che questa le si chiudesse attorno. Rimasto appeso a testa in giù ad assistere impotente alla scena, Chat Noir s’affrettò a lasciarsi cadere giù dal bastone che lo aveva tenuto sospeso a mezz’aria dal tetto e la raggiunse con un salto, aiutandola a trarsi d’impaccio da quella situazione alquanto buffa. «Cavoli se sei imbranata…» la prese bonariamente in giro, tirandola su e sorridendole con tenerezza.
   La ragazza incrociò le braccia al petto, indignata ma sollevata di vederlo di buon umore. «Mi hai fatta spaventare», lo accusò per partito preso. «Di nuovo», rimarcò.
   «Perdonami, non era mia intenzione», le concesse lui, recuperando il bastone. «Ti sei fatta male?»
   «No», rispose Marinette, osservandolo ora quasi con timidezza. «E tu… tutto… bene?» ci tenne a chiedergli, ancora preoccupata per il modo in cui Chat Noir aveva reagito scoprendo la sua identità segreta.
   «Alla grande», le assicurò quello, inalberando la solita espressione vispa e allegra che lo contraddistingueva quando parlava con la sua partner.
   «Ok… bene… sono contenta.»
   «Scusa se ti disturbo a quest’ora», riprese dopo un attimo, «ma volevo una tua opinione sulle luci di Parigi.» Presa alla sprovvista, la ragazza lo fissò con aria stranita e lui ne approfittò per passarle un braccio attorno alle spalle e sospingerla verso la ringhiera. «Guarda che meraviglia, Marinette: i romantici lampioni lungo la Senna, l’ombra di Notre Dame che incombe sulla città con i suoi spaventosi gargoyles, la luce abbagliante degli Champs-Élysées, la santità del Sacre Coeur che ci guida dall’alto di Montmartre… e, su tutto, trionfa la maestosità della Tour Eiffel, capace di illuminare a giorno l’intera zona con la sua sola presenza. Proprio come te», concluse con un sensuale sussurro all’orecchio di lei.
   «Dovresti fare il poeta», tagliò corto Marinette, allontanandolo con decisione e liberandosi dal suo abbraccio.
   «Anche se seguissi il tuo consiglio, ho idea che non apprezzeresti comunque le mie liriche», borbottò Chat Noir, risentito dalla sua insensibilità.
   La ragazza si lasciò scappare un risolino divertito, prima di sorprenderlo con l’affermazione successiva: «Sono contenta che tu sia qui.»
   Lui tornò ad illuminarsi quasi quanto la Tour Eiffel – che in realtà si trovava alle loro spalle e non dove le aveva indicato poco prima. «Davvero?»
   «Non ho ancora avuto modo di ringraziarti per avermi salvata», continuò Marinette. «Inoltre, non è stata neanche la prima volta, ieri.»
   «Vivo soltanto per questo, my lady
   Sorrise, non cogliendo come al solito la sincerità di quelle parole. «A proposito, come mai sei qui? Il motivo vero, però.»
   «Per vedere se stavi bene», disse il giovane, tornando ad avvicinarsi. «E anche per rubarti un bacio, lo confesso.»
   Protese le labbra e Marinette gli spruzzò l’acqua in faccia, come si fa con i gatti disobbedienti, facendolo quasi soffiare in segno di protesta. «Buonanotte, Chat Noir», sbuffò la sua bella, imboccando la botola che l’avrebbe condotta in camera.
   L’altro non demorse e la seguì con un agile salto, atterrando all’interno dell’edificio sulle quattro zampe. «Marinette, aspetta!»
   Lei si girò a guardarlo con insofferenza. «Non mi pare di averti invitato ad entrare.»
   «Devo parlarti seriamente», ribatté Chat Noir, tornando ritto sulle gambe. «Perciò ascoltami, ti preg…» Si zittì quando i suoi occhi catturarono un particolare che era certo non esserci quando era stato lì la prima volta. «Quello… non è… Adrien?» si sentì autorizzato a chiedere, indicando le foto con cui l’amica aveva tappezzato le pareti della propria camera.
   Sudando freddo, Marinette iniziò a balbettare nel tentativo di depistarlo. «Io… ah… ehm… Il fatto è che sono una grandissima fan dei lavori di Gabriel Agreste, ecco», sottolineò, senza aver bisogno di mentire – come invece fece subito dopo. «Quindi mi interesso anche ai modelli indossati da suo figlio, mi pare ovvio.»
   Nonostante si stesse palesemente arrampicando sugli specchi, Chat Noir si portò una mano al mento con fare pensoso, cascandoci con tutte e due le scarpe e cominciando a pensare che forse avrebbe potuto sfruttare quell’ammirazione per suo padre per invitare Marinette a casa sua e passare più tempo con lei. E mentre lui continuava a rimuginare su quel piano malefico, la ragazza si avvicinò di soppiatto al computer per spegnerne il monitor prima ancora che il suo collega potesse vedere il ben più equivocabile desktop, pieno di cuori che incorniciavano il volto sorridente di Adrien. Quindi, tirando un sospiro di sollievo, si lasciò cadere sulla sedia della scrivania. «Chat Noir», chiamò allora, riportandolo con i piedi per terra, «che volevi dirmi?»
   «Oh, giusto», balbettò lui, tornando a guardarla. Nella penombra della stanza, illuminata solo dalla lampada da tavolo e dalla lucina della macchina da cucire, gli parve ancora più minuta di quanto non fosse in realtà. Provò un moto di tenerezza nei suoi confronti, un sentimento che gli riscaldò il cuore e lo fece agire d’istinto, buttando ogni prudenza al vento. «Ci ho pensato a lungo e… non solo non ho cambiato idea, l’ho persino rafforzata», esordì allora in tono appassionato, lasciandola stordita per quell’improvviso scoppio emotivo. Incapace di star fermo, Chat Noir iniziò a misurare a grandi passi la stanza. «Il fatto è che tutto mi sarei aspettato, meno che fossi tu
   E questo doveva averlo evidentemente deluso. Fu questa la conclusione a cui giunse Marinette, abbassando le ciglia sul viso, non del tutto sicura di ciò che si agitava nel proprio animo. Era mortificazione? Forse. Eppure sapeva che non aveva alcun motivo per sentirsi in quel modo. Toccava solo a Chat Noir accettare quello stato di cose.
   «Sapevo che Ladybug era fantastica, perciò…» Il giovane arrestò finalmente il passo e si lasciò andare ad un lungo sospiro, posando su di lei due occhi carichi d’affetto. «Sono felice che sia tu.» Marinette alzò la testa di scatto, non aspettandosi minimamente quella conclusione. Chat Noir le fu accanto in un balzo, accovacciandosi davanti a lei e prendendole le mani fra le sue. «Era questa la ragione per cui inconsciamente mi piacevate entrambe», tornò a ripetere a se stesso, gli occhi immersi in quelli di lei.
   La ragazza avvertì di colpo tutta la forza dei suoi sentimenti e quasi ne ebbe timore. Scattò in piedi, facendo scivolare indietro la sedia e sfuggendo alla sua presa. Chat Noir la riacciuffò per le spalle, in modo deciso e dolce al contempo, bloccandola contro la scrivania: doveva dirglielo, non riusciva più a contenere le proprie emozioni.
   Le sue mani risalirono delicatamente fino al viso di Marinette e lui posò la fronte contro la sua, fissando l’azzurro di quegli occhi che tanto amava e sentendola fremere sotto al suo tocco. «Ti amo», le soffiò disperatamente sulle labbra, non riuscendo a pensare a nient’altro che potesse esprimere appieno quel sentimento così profondo.
   «Chat…» sussurrò lei, sfiorando con dita tremanti quelle del giovane. Avrebbe voluto allontanarlo, eppure si sentiva del tutto inerme sotto al suo sguardo appassionato. Com’era possibile, se la conosceva così poco, come Marinette?
   «Lo so che non ricambi i miei sentimenti, lo so», proseguì indomito lui, la voce spezzata da quella lacerante consapevolezza. «Vorrei solo che tu… ne tenessi conto. Seriamente, questa volta.»
   Nel silenzio opprimente che seguì quella disperata preghiera, nessuno dei due riuscì ad interrompere il magnetismo dei loro sguardi. Poi, d’un tratto, Chat Noir chiuse le palpebre e si scostò da lei, lasciandola andare quasi a malincuore. «Volevo solo dirti questo.» E prima ancora che Marinette potesse fare o dire alcunché, uscì dalla camera, lasciandola con un senso di totale smarrimento nel cuore.












Ed eccoci ad un secondo, grande BOOM! Sinceramente, penso che prima o poi ad uno dei due verrà un infarto, ma tralasciamo...
Con questa ho archiviato le scene Marichat, che sono state belle intens... ah, no, ce ne sarà un'altra, più in là. Va beh, in ogni caso ora tocca tornare alla Adrinette (la più tenera! ♥) e dare spazio alla Ladynoir e alla Ladrien (che non è ancora stata avvistata per nulla in questa storia). Insomma, ve l'avevo detto che le avremmo viste tutte, no? Vero? No, chiedo perché non me lo ricordo più, se l'ho detto, lol. È colpa dell'età, vogliate perdonarmi...
Altri tre capitoli e saremo arrivati all'epilogo. Intanto continuerò sempre a ringraziare tutti i lettori, ma anche e soprattutto chi lascia una recensione (facendomi notare ciò che va e ciò che non va) e chi inserisce la storia fra le preferite/ricordate/seguite.
Grazie di cuore e buona giornata! ♥
Shainareth





  
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