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Autore: Mary P_Stark    08/11/2017    3 recensioni
Inghilterra - 1830
Il regno viene scosso dalla morte di re Giorgio IV e, più nel personale, per l'improvvisa malattia di Whilelmina, la madre di Christofer Spencer. Questo richiama a casa tutta la famiglia che, in quel momento, si trovava a Londra per la sessione estiva in Parlamento. Al gruppo si unisce un amico di Maximilian, Samuel Westwood, molto affezionato alla nonna di Max. Questo rientro anticipato a York consente alla coppia di amici - oltre che rassicurarsi sulle condizioni di Whilelmina - di conoscere una coppia di sorelle, Cynthia e Sophie, che colpiranno in modo travolgente i due giovani.
Ne seguiranno sorprese a non finire, un inseguimento rocambolesco e un finale inaspettato, che metterà di fronte Max a una verità che, fino a quel momento, aveva rifuggito come la peste. (3^ parte della trilogia Legacy - riferimenti alla storia nei racconti precedenti) SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'"
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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9.
 
 
 
 
Sophie stava sistemandosi i capelli in una treccia quando, nel volgere lo sguardo a mezzo, si rese conto di un particolare non da poco.

Sulla schiena della sua compagna di stanza, all’altezza della scapola destra, era presente una vistosa zona di tessuto cicatriziale bianco e vecchio di anni.

Involontario, un sospiro le scaturì dalla gola ed Elizabeth, nel volgersi verso di lei, la fissò curiosa per un istante prima di sorridere appena, comprendendo cosa l’avesse sorpresa.

“Piccolo incidente infantile” mormorò lei, infilandosi la camicia da notte dalla testa.

Piccolo?” esalò Sophie, terminando di allacciarsi la treccia.

Sedendosi sul letto, abbastanza alto da farla sembrare molto più bassa di quanto non fosse, Elizabeth ciondolò coi piedi nel vuoto e asserì: “Stavo giocando con mio fratello Andrew, quando accidentalmente mi fece cadere dalle scale di Green Manor. Le avete viste, perciò sapete quanti scalini ci siano.”

Sophie si coprì la bocca per reprimere un singulto strozzato e la giovane, accentuando il suo sorriso, aggiunse: “Andrew si precipitò giù dalle scale urlando come un pazzo, convintissimo di avermi uccisa, pur se io mi lagnavo per il male e piangevo.”

“Immagino non sia stato un bel momento, per nessuno dei due” assentì Sophie, raggiungendola al letto matrimoniale che avrebbero diviso per quella notte.

Nella camera adiacente, si trovavano Wendell e Max.

“Mi ricucirono la ferita mentre Andrew piangeva come un forsennato, e io mi stringevo come una zecca a mia madre. Papà ci guardò in silenzio per tutto il tempo, terreo in viso e con le braccia strette sul petto” mormorò Elizabeth, infilandosi sotto le coperte per poi sprimacciare il cuscino di piume.

“Picchiò vostro fratello?”

“No” scosse recisamente il capo Lizzie. “Non lo toccò mai. Lo mise in punizione, ovviamente, ma non lo colpì mai, neppure una volta. Scoprimmo solo anni dopo perché.”

Sorridendo mesta alla sua compagna di stanza, Elizabeth terminò di dire: “Il fatto di essere nati con sangue nobile nelle vene, non preclude dal dover vivere una vita d’inferno. Mio padre dovette subire, per anni e anni, gli abusi dei fratelli maggiori e del padre, e così pure nostro zio Wendell. Anche per questo, nostro padre ammira molto il vostro. Sa cosa vuol dire riscattarsi da un passato crudele, anche se ovviamente vostro padre ha passato momenti ben peggiori.”

“Oh… sapete?” esalò Sophie, un po’ sorpresa.

“Abbiamo una discreta esperienza nel campo delle mutilazioni, perché ci siamo occupati per anni dei malanni degli operai nei lanifici della zona, così come negli orfanotrofi, perciò non ci è sfuggita la zoppia di vostro padre, e lui ce l’ha confermato.”

Poi, con un risolino, Elizabeth aggiunse: “E’ stato a questo modo che l’abbiamo fermato, altrimenti si sarebbe fatto carico del viaggio per raggiungervi, sfiancandosi.”

Gli occhi di Sophie si inumidirono di pianto e, con un sospiro, mormorò: “Non volevo che si preoccupasse tanto. Speravo che prendesse per buona la mia scelta, visto che avevo deciso di farmi accompagnare dal figlio di un uomo che lui tiene in grande stima ma, evidentemente, non è bastato.”

Elizabeth rise appena, replicando: “Penso non basterebbe a nessun padre, Sophie. A nessun padre che ama le proprie figlie, per lo meno.”

“Era molto in ansia?” si premurò di domandare Sophie.

“Quanto basta per sapere che, se avesse trovato solo me a Green Manor, mi avrebbe legata a una poltrona e sarebbe partito senza il mio beneplacito” ironizzò Lizzie, facendo sorridere Sophie.

“Credo che non sarebbe mai in grado di farlo, ma immagino che l’avrebbe pensato” assentì Sophie, prima di sospirare afflitta. “Ho fatto un gran pasticcio.”

“No, Sophie. Volete solo molto bene a vostra sorella e ai vostri genitori, e desideravate essere d’aiuto in qualche modo. Conosco benissimo la sensazione e… scusate se ve lo domando, ma…”

“Ditemi…”

Accennando un sorrisino malizioso, Lizzie domandò: “Max ha dormito nella vostra stanza, la vostra prima notte da soli, vero?”

“Come?! Ma no! Lui… beh, lui…” tentennò Sophie, avvampando in viso.

Elizabeth rise sommessamente, chetandola con il gesto di una mano e, tranquilla, aggiunse: “Non vi sto colpevolizzando. Ma mi sembrerebbe strano che non l’avesse fatto. I maschi di casa Spencer sono piuttosto protettivi.”

“Oh” esalò soltanto Sophie, facendo tanto d’occhi.

Tamburellandosi il mento con un dito, Lizzie aggiunse: “Beh, a dirla tutta, anche in casa Phillips e Campbell lo sono, ma sarà perché siamo cresciuti tutti assieme, perciò le abitudini si sono un po’ confuse tra di loro. Comunque, volevo solo chiedervi se devo redarguire in qualche modo mio fratello.”

“No, è stato la quintessenza della cortesia” scosse allora il capo Sophie prima di leggere altro, negli occhi attenti e intelligenti di Elizabeth.

Si poteva pensare molte cose, di Elizabeth Chadwick Spencer, ma non che fosse una sciocca e superficiale nobildonna tutta fronzoli e belletti.

C’era acciaio, nei suoi occhi color delle ali di colomba, e un’attenzione ai particolari che, ben di rado, si poteva scorgere nello sguardo delle persone, uomini o donne che fossero.

E Sophie capì subito cosa non le stava chiedendo.

Sorridendo appena, perciò, la ragazza aggiunse: “Non ho cercato di istigarlo, davvero. Anche se, ovviamente, un giovanotto come vostro fratello non passa inosservato.”

“Come… oh…” ridacchiò imbarazzata Lizzie. “… le mie solite occhiate venefiche. Vi chiedo scusa, Sophie, ma grazie per avermelo detto.”

“Voglio essere onesta con voi, visto l’aiuto che mi state dando, e sarei sciocca e falsa nel dire che vostro fratello non mi affascina. Ma so anche altrettanto bene qual è il mio posto, nella società, e sono già contenta di essere nelle sue grazie come amica. Non ambisco, né ambirò mai a nulla di più” ci tenne a dire Sophie, pur sentendosi male al solo pensiero di essersi sminuita agli occhi della compagna di stanza.

“Non pensate mai, Sophie, che l’avere un titolo nobiliare ci renda superiori a voi, o a chiunque altro” replicò Elizabeth, con l’acciaio nella voce. “Inoltre, vi riterrei sciocca se non trovaste affascinante mio fratello.”

A quel punto, entrambe risero sommessamente e Lizzie, con uno sbadiglio, mormorò: “Vi auguro la buonanotte, Sophie, e non pensate troppo a questi argomenti. Dobbiamo innanzitutto trovare vostra sorella e quel debosciato di Samuel. Al resto, penseremo dopo.”

Sophie si limitò ad assentire e chiuse gli occhi pur sapendo, e anche molto bene, che non esisteva nessun problema in merito alla loro situazione.

Avrebbero trovato Cynthia, l’avrebbero ricondotta a casa per i capelli e, al termine di quella strana estate, con tutta probabilità sia lord Westwood che Maximilian avrebbero impalmato qualche nobildonna.

Era stata sincera, con Elizabeth. Non doveva affatto preoccuparsi che lei si innamorasse di Maximilian.

L’avrebbe impedito con tutta se stessa perché mai, nella vita, si sarebbe ritrovata come la sorella, abbandonata a un passo dalle nozze e solo perché non aveva un lady dinanzi al nome.
 
***

“Davvero non capisco perché dobbiamo fermarci, Samuel…” esordì Cynthia, sistemandosi nervosamente un alamaro del mantello.

La notte era ormai fonda, e le stelle nel cielo splendevano come diamanti, grazie al novilunio.

Tutto era oscurità, attorno a loro, e solo le luci della locanda dinanzi a cui si erano fermati, spezzavano quella coltre buia e inquietante.

Afferrando le redini di entrambi i loro cavalli, Samuel si dimostrò pragmatico quanto ferreo negli intenti e, con una logica senza appello, affermò: “A che pro cadere di sella per la stanchezza, mia diletta, quando possiamo sostare per qualche ora e far riposare le nostre stanche membra, oltre a quelle dei cavalli? Azzoppare uno di essi vorrebbe dire rallentarci. E voi non volete giungere tardi al porto, vero?”

“Niente affatto” sospirò la giovane, accondiscendendo infine a seguirlo all’interno del cortile della locanda.

Lì, un ragazzetto male in arnese balzò in piedi dal rozzo treppiede su cui era rimasto seduto fino a quel momento e, di fretta, li raggiunse.

Sorridendo baldanzoso, esordì dicendo: “Buonasera, lor signori. Lasciate pure a me le cavalcature. Baderò a strigliarli e a dar loro biada e acqua fresca.”

“Molto bene, ragazzo. Per il tuo servizio” sorrise Samuel, lasciando al bimbetto una moneta, che subito quest’ultimo intascò perché nessuno la vedesse.

Diligente, poi, prese le redini e si avviò verso la stalla coi due animali mentre Samuel, offerto il braccio a Cynthia, asserì: “E ora, pensiamo a rifocillarci e a riposare un po’.”

“Se siete sicuro che questo non permetterà ai nostri inseguitori di raggiungerci…” mormorò turbata la giovane, guardandosi intorno pensierosa.

Lord Westwood rise gentilmente delle sue paure e, dandole una pacca affettuosa sul braccio che li univa, replicò: “Ho lasciato detto a Maximilian di non seguirci quando erano da poco passate le undici di sera e, pur se sono convinto che lui non abbia affatto tenuto in considerazione il mio consiglio, abbiamo più di mezza giornata di vantaggio su di lui.”

“Ma io vi rallento” sottolineò Cynthia, lasciando che Samuel aprisse per lei la porta della locanda.

Il brusio all’interno li accolse assieme all’odore di sudore e di birra rancida, ma Samuel non ci fece alcun caso.

Non si era aspettato un albergo d’élite, né una villa nobiliare.

Quanto alla stanza, avrebbe cercato di ottenere il meglio possibile ma, per raggiungere quanto prima Southampton, dovevano tenere in conto di patire qualche disagio in più rispetto a un viaggio come gli altri.

Una volta giunti in America, avrebbe steso tappeti rossi ai piedi di Cynthia, e l’avrebbe fatta vivere nel lusso.

Poteva vantare una rendita più che cospicua, ed era più che certo che, dopo l’iniziale sconcerto, il padre gli avrebbe concesso di poter usufruire della sua eredità.

Anche se lontano mille e mille miglia, e non più in seno alla famiglia.

Sapeva di chiedere molto al padre, comportandosi a quel modo, ma non voleva che Cynthia patisse le critiche del Ton a causa delle origini non nobili.

A lui non interessava che Cynthia non avesse un retroterra vecchio di secoli, o potesse contare su parenti illustri.

Lei lo faceva star bene, e questa era l’unica cosa che contava.

Nel raggiungere il bancone del vivandiere, perciò, si informò sulle camere ancora disponibili e ordinò acqua e vino per entrambi, oltre a del pasticcio di rognone.

Ciò fatto, accompagnò Cynthia a un tavolo d’angolo e lì, sorridendole, le afferrò una mano tenendola nella sua, sussurrando: “Raggiungeremo la nave in tempo e, poco prima di salpare, scriverò a mio padre. Andrà tutto bene, ve lo prometto.”

Cynthia assentì, sorridendogli e, nello stringere a sua volta la mano del giovane, mormorò: “So di potermi fidare di voi, Samuel. Lo avete dimostrato più che ampiamente. Ho solo paura che il vostro amico ci raggiunga, impedendoci di coronare il nostro sogno.”

“Maximilian non metterebbe mai a rischio la propria cavalcatura. Ama troppo il suo Spartan per farlo soffrire e questo mi convince che, pur mettendocela tutta, non ci raggiungerà mai in tempo. Ma, se anche dovesse succedere, lo convincerò della nostra buona fede.”

“E questo gli basterà? Non vorrà salvarvi da un matrimonio senza futuro?”

Samuel rise sommessamente, e replicò con dolcezza: “Mia cara… so bene quanto siate rimasta addolorata dal vostro precedente amore, ma non tutti gli uomini sono così e, soprattutto, non tutti i nobili sono senza cuore. Maximilian capirà, perché ha a cuore la mia felicità, prima di ogni altra cosa.”

Reclinando contrita il viso, Cynthia sussurrò: “Un amico davvero degno di nota. Non so se mia sorella sarebbe disposta ad altrettanta generosità nei miei confronti. Dopotutto, a causa mia, si è dovuta trasferire, abbandonando così tutte le sue amicizie.”

“Se vi ama come io immagino, capirà a sua volta” la rincuorò Samuel, prima di sorridere alla cameriera che aveva portato loro la cena.

Nel servirle un po’ di carne sul modesto piatto di peltro, Samuel aggiunse: “Parlate così perché siete stanca e affamata. Dopo un lauto pasto e un po’ di riposo, non vedrete tutto così nero.”

“Forse avete ragione… e il profumo sembra buono” sorrise appena Cynthia, lanciando un’occhiata spiacente a Samuel, quando lui non la guardò per un attimo.

Avrebbe dovuto farsi perdonare per molti anni a venire, a causa di questo colpo di testa.

E non solo con Samuel, ma con tutta la sua famiglia.
 
***

Mentre cavalcavano di buon passo lungo la strada principale, in quel momento percorsa da un paio di diligenze e un carro di vettovaglie diretto chissà dove, Max domandò: “Mia sorella vi ha tediato con un terzo grado, Sophie? Siete molto silenziosa, stamani.”

“Oh, no, affatto. Abbiamo amabilmente chiacchierato, e mi ha parlato di mio padre. Tutto qui” replicò la giovane, stampandosi in viso un sorriso tranquillo quanto fasullo.

Maximilian rise deliberatamente al suo goffo tentativo di apparire serena e, nell’indicarle una piazzola di sosta, ombreggiata e con tanto di fontanella, ribatté: “So benissimo che mia sorella può diventare peggio di un mastino, quando vuole. Non c’è bisogno che la difendiate.”

Nel rallentare, Sophie tirò le redini della sua giumenta e, non appena furono al riparo dell’enorme carpino che ombreggiava quel luogo di riposo, sospirò.

Era davvero difficile farla in barba ai fratelli Spencer, a quanto pareva, ma lei non voleva affatto diventare terreno di dispute tra Elizabeth e Maximilian.

Doveva già troppo a entrambi, per ripagarli con quella moneta.

Fattasi aiutare a scendere dal giovane, perciò, puntò le mani sui fianchi e disse perentoria: “Chiariamo subito una cosa, perché non voglio che sia motivo di dissidio con lady Elizabeth. Vostra sorella mi ha giustamente chiesto se fosse successo qualcosa, tra di noi, e io sono stata del tutto onesta. Questo, però, non vi deve mettere nella posizione di sgridarla, o che so altro.”

Maximilian la fissò sinceramente stupito e, ancora una volta, si dovette ricredere su di lei.

C’era del fuoco ben sopito dietro una facciata di calma tranquillità, e non era stata solo l’eccezionalità della fuga della sorella, a farlo sorgere come il sole al mattino.

No, Sophie era fuoco, ma sapeva dominarlo con maestria, facendo apparire al mondo solo una facciata di docilità e candore che ingannavano.

In realtà, era una ragazza piena di vigore che, forse, si riteneva troppo energica per essere donna, e quindi mascherava il tutto per non intimidire l’interlocutore.

La sua intelligenza, però, era sempre manifesta, e poco poteva fare – in quel caso – per nasconderla.

I suoi occhi di cielo non riuscivano ad apparire sciocchi, né tanto meno inconsapevoli.

Poteva nascondere il fuoco – forse – ma non il cervello che possedeva.

Sorridendo divertito, Maximilian condusse Spartan e il cavallo di Sophie ad abbeverarsi e, con tono quieto, asserì: “Non sgriderò mia sorella, se è questo che temete, perché non sarebbe Lizzie se non ficcasse il naso dappertutto. Anzi, forse mi sarei preoccupato, se non l’avesse fatto. Da quando ha avuto i gemellini, è cambiata, e pensavo che…”

Interrompendosi, scosse il capo e rise tra sé e Sophie, nell’avvicinarsi, si sedette sul bordo della fontana, domandando: “Pensavate che cosa? Proseguite, per favore.”

“Non so davvero cosa voglia dire essere madre né, tanto meno, madre di tre bambini e perciò non so se, quanto vedo in lei, sia normale, o sia nato da qualche sua paura, ma la vedo diversa.”

“Non avendola conosciuta quando era una fanciulla nubile, non saprei darvi alcun parere, ma credo che essere madre aumenti considerevolmente le responsabilità, anche se al proprio fianco si ha un marito premuroso e attento” mormorò Sophie, giocherellando con la gonna del proprio abito.

Era davvero strano parlare di bambini e famiglia assieme a un uomo celibe e, soprattutto, a un uomo che sapeva mandarla in confusione come Maximilian Spencer.

Ma doveva ricordarsi della promessa che aveva fatto a se stessa.

Solo amicizia, nulla più. Avrebbe ottenuto – e agognato – solo questo, da lui.

Non voleva soffrire le pene dell’inferno perché sapeva che, se si fosse lasciata anche solo uno spiraglio di speranza nel cuore per lui, Maximilian l’avrebbe distrutta.

Era il tipo di giovane uomo che lei avrebbe potuto apprezzare veramente, e perciò deteneva tra le sue mani un immenso potere.

Potere che, posseduto da un nobiluomo quale lui era, poteva portarla davvero allo struggimento perenne.

No, doveva tenere il suo cuore ben al sicuro.

Maximilian, del tutto ignaro della battaglia interiore della giovane, sorrise tra sé, assentendo alle parole di Sophie.

“Sì, Lizzie è fortunata ad avere un marito come Alexander, anche se tutti abbiamo temuto, all’inizio, che il loro amore nato così precipitosamente, avrebbe potuto anche crollare altrettanto velocemente. Così non è stato, e io ne sono lieto.”

“Vostra sorella mi ha accennato a una certa avventura notturna. E’ stato così che si sono conosciuti?”

“E’ stato così che sono convolati a nozze, in pratica” rise Maximilian, raccontandole l’aneddoto dei bimbi rapiti.

Sophie sgranò gli occhi, nel conoscere per intero quell’avventura e, coprendosi la bocca con una mano, esalò: “Oh, cielo! Ha dimostrato davvero coraggio da vendere.”

“Lizzie è sempre stata la più scapestrata, tra noi tre… forse è per questo che, da quando ha i figli, si sta limitando molto. Teme di cacciarsi nei guai, e lasciarli soli” ipotizzò Max, scrollando le spalle.

Sophie rimuginò a lungo sulle parole del giovane, anche dopo essere ripartiti e, tra sé, si convinse che, probabilmente, il giovane aveva ragione.

Trattandosi di una donna così volitiva e forte, trovarsi l’incombenza di tre bambini così piccoli poteva averla messa di fronte all’ansia di perderli, se avesse perdurato nel suo modo di vivere così sopra le righe.

D’altra parte, però, lady Chadwick non le era sembrata una donna dall’atteggiamento vanesio o sconsiderato, tutt’altro.

Ogni altro pensiero su Elizabeth, però, venne spazzato via dal nitrito improvviso del cavallo, che si impennò un attimo dopo quando, a sorpresa, uno scoiattolo attraversò loro la strada.

Distratta da quei pensieri, Sophie non si accorse di aver tenuto molli le redini tra le mani, se non quando fu troppo tardi per afferrarle saldamente e trattenere Lady da quell’attacco di panico.

Max imprecò, a quella vista e, nello sterzare in fretta Spartan per tornare indietro, fece appena in tempo a scorgere il corpo di Sophie sbalzato via dal cavallo.

Fu solo un attimo, ma lui non lo lasciò trascorrere invano.

Senza neppure rendersene conto, si allungò verso di lei, ben deciso a raggiungerla prima che cadesse a terra.

Mentre Lady scalciava l’aria per allontanare l’incolpevole scoiattolo, Max balzava dalla sella per frapporsi tra Sophie e il prato vicino.

Ne seguì un ruzzolone nell’erba, con la gonna pantalone della ragazza irrimediabilmente aggrovigliata alle gambe di Maximilian, mentre le braccia dell’uno parevano il proseguimento dell’altra.

Quando, infine, entrambi riuscirono a fermarsi, emisero parimenti un sospiro di sollievo, prima di capire come fossero combinati.

Max si trovava a pochi millimetri dal viso paonazzo e spaventato di Sophie che, con gli occhi sgranati e il fiato corto, stava scrutando nelle dorate profondità del giovane.

Nessuno dei due parlò, forse per la troppa ansia, forse perché il battere frenetico di entrambi i loro cuori avrebbe comunque azzittito qualsiasi altro rumore.

Max fu solo certo di una cosa, in quel confuso momento; Sophie era viva e vegeta tra le sue braccia, e lui desiderava con tutto se stesso baciarla fino a toglierle il fiato.

Perché, il solo pensiero di vederla distesa sul ciglio della strada, priva di vita perché lui era stato tanto sciocco da non lasciarla a casa quando aveva potuto, lo aveva terrorizzato al punto da farlo quasi impazzire.

Ora, averla lì tra le braccia, calda, forse un po’ spaventata e decisamente frastornata dal ruzzolone, era per lui il premio più bello che Dio avrebbe mai potuto fargli.

“State bene?” riuscì infine a dire con voce roca, ancora incapace di muoversi.

Lei si limitò ad annuire, non avendo il coraggio di aprire bocca e Max, ritenendosi soddisfatto, calò sulla sua bocca e la baciò, lasciando che tutto il resto perdesse d’importanza.

Almeno per un attimo, Samuel, Cynthia, la morte del re, tutto quanto, persero di valore. C’erano solo lui e la bocca di Sophie, morbida e profumata sotto la sua.







Note: Sophie ce la sta mettendo tutta, ma il Fato sta davvero cospirando contro di lei... e Max gli sta dando una bella mano. Come pensate reagirà a questo bacio?
  
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