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Autore: _Agrifoglio_    08/11/2017    8 recensioni
I personaggi della storia - tutti, ormai, morti - parlano, si confessano, si sfogano, sull'esempio di un noto capolavoro della letteratura americana. Ognuno esprime il proprio punto di vista.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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La Contessa di Polignac
 
Nacqui da una famiglia di grande nobiltà e di scarse fortune
e sposai un uomo che mi eguagliava nell’una e nelle altre.
Ero bella, intelligente, astuta, carismatica,
capelli scuri, pelle bianchissima, occhi lilla, voce armoniosa.
All’apparenza docile, ma determinata come poche.
Abile a dissimulare e ad ammaliare sia gli uomini sia le donne.
Sentendomi predestinata all’eccellenza e desiderosa di primeggiare,
qualsiasi cosa avrei fatto per raggiungere il mio scopo,
con la tenacia e l’ostinazione tipiche degli spietati.
Mai avrei potuto accontentarmi di un casato in rovina
e dei fori delle tarme sotto un mantello di velluto.
Mio marito era buono, ma poco ambizioso e per nulla volitivo.
Fosse stato lui il capostipite della famiglia, essa sarebbe stata plebea.
Dovetti ingegnarmi da sola, come, del resto, da sempre ero adusa,
avendo perduto mia madre in tenera età e mai essendomi fidata di alcuno.
Non fu facile conoscere la Regina mentre lo fu capirne le debolezze:
era infelice, inquieta, insofferente, scalpitante, insoddisfatta, annoiata,
poco apprezzata dalla madre, trascurata dal marito, osteggiata dalla corte.
Fu oltremodo naturale unire la di lei solitudine alla mia necessità.
Aveva un immenso potere che non era capace di sfruttare
ed infinite possibilità che non sapeva gestire
e che financo ignorava di avere.
Per oltre un decennio, le fui inseparabile compagna,
fornendole evasione, plauso ed un simulacro d’affetto,
in cambio di potere, castelli, carrozze, sfarzo, lusso, decoro.
Avevo ai miei piedi una corte che mi detestava, un brulicar di astio
e, sopra ogni altro detrattore, vi era quella deprecabile creatura,
il Colonnello ermafrodito che distillava rabbia e pose da incorruttibile
dal disagio e dalla solitudine, naturali corollari della sua diversità.
Nessun aiuto ebbi dai miei congiunti:
di mio marito già ho detto,
i figli maschi erano troppo giovani ed inesperti
mentre le femmine furono una vera delusione.
Charlotte preferì darsi la morte di sua stessa mano,
prima ancora di sbocciare, facendo un volo al contrario
ed annientando se stessa in modo atroce e spettacolare,
per punirmi e perseguitarmi con l’imperituro ricordo del suo corpo straziato
piuttosto che godere di possibilità che io,
alla stessa età, mai avrei osato sognare
mentre Rosalie mi sbatté in faccia tutto ciò che le avevo offerto,
non avendomi mai perdonato la morte di quella sua madre adottiva,
una stracciona male in arnese e con un piede già nella fossa.
Non feci certo a posta ad investirla, ma non potevo soccorrerla:
avevo cose urgenti da fare e, fermandomi, avrei rischiato il linciaggio.
Fuggii dalla Francia all’indomani della presa della Bastiglia
e fui tacciata di viltà e di ingratitudine,
come le più abietta delle creature,
ma erano espatriati anche i Conti di Provenza e di Artois
e le zie del Re, quelle zitelle bigotte ed insopportabili
ed io non ero certo un cane fedele come Madame Élisabeth
né avevo la propensione al martirio della Principessa di Lamballe.
Mi limitai a fuggire, in fin dei conti,
senza, però, commettere alto tradimento
come fece, invece, quello spaventapasseri con l’uniforme
che tradì tutto e tutti nell’ultimo giorno della sua vita,
dopo averla trascorsa rifacendo il verso a Catone il Censore.
Scampai la ghigliottina, ma morii esule, in terra straniera,
dopo avere perso gran parte di ciò per cui avevo lottato,
a due mesi di distanza dall’esecuzione della Regina.
Fu facile, per i miei familiari, tirare in ballo la morte di crepacuore.
Tardiva riabilitazione, sostennero alcuni;
opportunista anche dall’oltretomba, sentenziarono altri.






Ed ecco uno dei personaggi più cordialmente detestabili di tutta la storia di Lady Oscar, perché, se la Contessa du Barry, Jeanne de Valois, il Duca d’Orléans, il Duca di Germain, Robespierre e Saint Just neppure scherzavano, essi, almeno, ebbero l’onestà intellettuale di presentarsi per quelli che erano mentre la Polignac celava la sua abiezione sotto la maschera dell’irreprensibilità.
La vera Contessa di Polignac non era una criminale, non consegnava le sue figlie nelle grinfie di orchi schifosi né aveva come sport preferito quello di investire con la carrozza popolane inermi. Era semplicemente una donna molto intelligente che, godendo del privilegio delle persone belle, ammaliava chi le stava intorno. Sfruttò la sua posizione come potè, senza ritegno e senza rimpianti, spremendo come un limone le già stremate casse dello Stato.
Io l’ho ritratta a metà strada fra quella storica e quella della finzione. Nella descrizione fisica, come nel ricordo della prematura perdita della madre e della morte a due mesi dall’esecuzione della Regina, mi sono rifatta ai dati storici. Per ciò che concerne il cinismo, l’utilitarismo con cui considerava le persone, l’odio per Oscar rasentante il disprezzo ed il cenno ad un marito buono, ma debole, ho utilizzato Lady Oscar.
Il cartone animato fa apparire il primo incontro fra Maria Antonietta a la Polignac quasi casuale e determinato dal vuoto affettivo causato nella neo Regina dai trenta giorni di allontanamento, per punizione, di Oscar. In realtà, la Polignac smosse mezzo mondo per entrare nelle grazie della Sovrana e, se a comandare fosse stato Luigi XVI, avrebbe mirato a lui, divenendone l’amante. Una favorita in tutto e per tutto.
Per brama di potere, fece da amministratore di sostegno e da claque ad una donna che, sostanzialmente, disprezzava, perché aveva un infinito potere che non sapeva usare. Non che il peso politico di una Regina consorte francese fosse granché, ma molte donne dell’epoca, senza essere Regine, acquistarono una grande influenza grazie alle conoscenze ed alle frequentazioni mentre Maria Antonietta era specializzata nell’inimicarsi tutti coloro che contavano.
Determinata nella sua corsa al successo e titanica nella sua malvagità, la Contessa non poteva che disprezzare chi non era al suo livello (la Regina ed il marito) e non comprendere chi, come le figlie, non era sulla sua lunghezza d’onda.
Alla fine, anche la Contessa sarà sconfitta, ma conserverà, anche nell’oltretomba, l’ambiguità e l’indecifrabilità che l’avevano sempre accompagnata.
Grazie a chi ha voluto commentare il personaggio precedente e grazie a chi vorrà gettarsi nella mischia per recensire questo: qui, di materia, ce n’è fin troppa.
   
 
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