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Autore: Himenoshirotsuki    08/11/2017    3 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Fuoco 2

16

Frammenti di memoria - Tornare

Partirono per Caewen una settimana più tardi, con al seguito i feriti più gravi, caricati su un carro di fortuna trainato da un mulo senza più padrone. Caillean ricordava a chi apparteneva, nella sua memoria il ricordo di Eridun era inscindibile da quello del muso punteggiato di bianco di quella bestia. Non si poteva dire che fosse amico della sua famiglia, nessuno a Merite lo era, ma in loro presenza era uno dei pochi che non si girava dall'altra parte o che non si allontanava quando Caillean andava in paese per svolgere qualche commissioni. Una volta, addirittura, le aveva offerto una mela e le aveva augurato una buona giornata. Era una cordialità scostante, accompagnata da un irrigidimento delle spalle e delle labbra, ma Eridun era un vecchio burbero, scorbutico con tutti, anche con chi gli mostrava gentilezza. Il suo mulo era come lui, un animale riottoso, intrattabile, così tanto testardo che più d'una volta lo aveva sentito lamentarsi, minacciandolo di macellarlo se non si fosse dato una mossa.
Quella mattina però, quando lo attaccarono al carro, Caillean non udì il solito raglio infastidito. Nel silenzio di quella mattina soleggiata, il vecchio mulo si fece mettere il morso senza alcuna protesta, mentre i soldati attorno a lui si preparavano per partire.
Caillean attese finché Fijit non la venne a chiamare. Come al solito, la chierica le cambiò le bende e le disinfettò le ferite, avendo cura di farle il meno male possibile. Caillean stringeva i denti, mentre le sue mani le spalmavano quell'unguento all'essenza di timo, lavanda e menta. Le pizzicava sulla pelle, pareva sfrigolare a contatto con le ustioni intorno agli occhi quasi fosse olio sulle fiamme, ma dopo un po' il bruciore di calmava e, assieme al buio rassicurante delle bende, sovveniva una sensazione di fresco rilassante. Resistere al dolore era diventata una necessità per dimostrare a se stessa che poteva farcela, che era forte abbastanza da sopravvivere. Ma quando Fijit però le rifaceva il bendaggio a forma di otto sulla clavicola, l'impulso di piangere le faceva contrarre le viscere così forte da farla tremare. Se le fossero rimaste lacrime da versare, se l'acido non le avesse bruciate tutte, non sarebbe riuscita a trattenerle.
Nonostante il suo stato di prostrazione fisica e mentale, Caillean non ne volle sapere di viaggiare sullo stesso carro dei feriti. Non poteva vederli, le loro occhiate sprezzanti non potevano più ferirla e la morte aleggiava su di loro, minacciosa e caritatevole come possono essere la paura dell'ignoto e il sollievo per la fine di ogni male; eppure i sentirne i gemiti agonizzanti e le preghiere sussurrate a mezzavoce non la faceva stare meglio. Non provava compassione, loro non ne avevano avuta né per lei né per suo padre, e il dolore, il suo amante, il suo onnipresente compagno, soffocava la rabbia e la soddisfazione per quello che era accaduto, per la punizione che gli dei o chi per loro gli aveva inflitto. Non voleva più averci a che fare o sapere nulla della loro sorte.
Si aggrappò a quella convinzione quando Fijit provò a persuaderla, vi affondò le unghie e i denti a ogni sobbalzo, a ogni dondolio più forte, a ogni fermata brusca del cavallo. Nel buio dei suoi occhi, l'oscurità pulsava al ritmo della clavicola rotta e il dolore la riempiva di evanescenti punti bianchi. Dalle labbra di Caillean però non uscì che un sospiro.
- Puoi ancora cambiare idea. - le sussurrò Fijit.
Il tono era gentile, molto più delicato di quello che si aspettasse. Caillean scosse appena la testa e il suo cervello rimbalzò contro le pareti della scatola cranica dandole i capogiri.
- Va bene. - esalò, inspirando a fondo, - Ce la faccio. -
- Adesso, ma se dopo non te la sentissi più, nessuno ti obbliga a rimanere in sella. -
La bambina fece un lieve cenno d'assenso col capo e si allontanò dalla sua schiena cui fino a quel momento era rimasta appoggiata.
La luce del sole le scaldava la faccia, penetrava attraverso le bende e le carezzava la pelle escoriata e unta. Non si era ancora riabituata e i suoi sensi percepivano tutto in modo più intenso, come se il mondo fosse morto e reincarnato in suono e profumi diversi che lei non aveva mai conosciuto.
- Potrò... potrò mai tornare a vedere? -
Uno spostamento d'aria l'avviso che Fijit si era raddrizzata. Tendeva a inarcare le spalle e a spingersi troppo in avanti, come se stesse per spronare il cavallo al galoppo da un momento all'altro.
- Non lo so, non mi sono mai trovata davanti a un caso simile. L'acido ha danneggiato i tessuti attorno agli occhi e la cornea e le palpebre non sono in buono stato. A Caewen ci saranno altre cerusiche, ne parlerò con loro e vedremo cosa possiamo fare. - le rivelò in tono greve, - Non credo comunque di poter fare molto: se ti avessi soccorso prima, forse avrei potuto salvare qualcosa, ma nello stato in cui ti abbiamo trovato non credo nemmeno la magia elfica possa aiutarti. -
Caillean annuì, anche se dentro di sé si sentiva morire.
- Mi dispiace, piccola... davvero. -
- É meglio così. Non mi hai illuso, sei stata... corretta. - deglutì e fece una pausa per racimolare la forza per continuare il discorso, - Se lo avessi scoperto dopo, sarebbe stato più doloroso. -
Fijit sospirò e il cavallo sbuffò, dilatando le froge.
- Vivere senza la vista è difficile, bisogna reinventarsi e imparare a usare gli altri sensi in tutto, ma non è impossibile. - tentò di consolarla e Caillean se la immaginò che sorrideva a disagio, senza trovare il coraggio di guardarla mentre le mentiva, - E tu sei una bambina forte, ce la farai, vedrai. -
Parole vuote, piene di vento, prive di significato.
Caillean annuì. Mentre il cavallo avanzava, l'oscurità ribolliva, pulsava spurgando la sua anima sciolta, mentre nel buio sbocciavano fiori rossi punteggiati da macchie nere.
- Sì, sono certa che ce la farò. -
Percepì lo sguardo di Fijit sulla pelle. Bruciava, bruciava più del dolore, era una freccia arroventata nella carne.
Non sono una vittima.”
Strinse i pugni e si morse l'interno della guancia. La pelle sotto le bende si tirò così tanto da farla sussultare. Stavolta Fijit non si girò.
Il resto del viaggio trascorse in silenzio. Nessuno delle due aprì bocca e nemmeno i soldati attorno a loro sembravano in vena di scherzare. Caillean apprese da uno di loro, un uomo con la voce nasale e roca, che Davsten guidava la processione, affiancato dal suo secondo in comando, un certo Idwal. Suo padre non l'aveva mai nemmeno menzionato, forse, pensò, non lo aveva conosciuto.
O non ha avuto il tempo di raccontarmelo...”
Proseguirono fino al calar del sole e poi si accamparono in una radura di erba stepposa, che scricchiolava sotto la suola degli stivali. Il vento, un soffocante vento caldo che si appropriava del suo respiro e le bagnava la nuca, le portò alle narici un forte odore di pelo sudato.
- Vieni, di qua. -
Fijit la prese delicatamente per mano e la condusse nella loro tenda. La fece sedere sulla branda e le cambiò le bende. Caillean osò sfiorarsi le palpebre, prima di ritrarre la mano come scottata. Erano prive di ciglia, gonfie, gibbose.
- Non devi toccare o rischi di infettare la ferita. -
Udì uno scroscio dapprima intenso, poi un semplice gocciolare prima che Fijit le passasse un panno umido sul viso. Era accaldata e il sudore copriva in parte l'essenza floreale dei suoi vestiti. Tuttavia nella mente di Caillean, anche così era una bellissima fanciulla, con i capelli biondi, gli occhi grandi ornati da lunghe ciglia chiare e le labbra sottili, sempre atteggiate in un sorriso incoraggiante, pronte però ad assottigliarsi in un'espressione severa. Era così che se l'immaginava, la fantasia, ormai, costituiva il suo unico ponte con la realtà.
-Ti porto la cena tra poco. Tu non ti muovere, va bene? -
E dove dovrei andare?” le avrebbe voluto rispondere Caillean, ma si limitò a fare un cenno affermativo prima di stendersi. Le balenò in mente che avrebbe dovuto togliersi i vestiti e lavarsi e quel pensiero rimase vivo e chiaro per un paio di secondi finché non si sgretolò, sprofondando nel buio.
- Non hai bisogno d'altro? -
La voce di Fijit era più tenue, distante quel tanto da farle capire che non era più vicina. Era stata veloce oppure era lei a non essersi accorta di quando si era allontanata?
- No, non ti preoccupare. Ti aspetto qui. -
Quando udì il fruscio della tenda che si chiudeva, tutta la fatica del viaggio le piombò addosso come un lupo. Si ritrovò a boccheggiare con il fiato che le si spezzava in un rantolo, la volontà dissanguata uccisa dalla stanchezza.
- Anairë lapse. -
Le sue labbra scandirono quella frase un paio di volte, finché non le mancò la voce. Erano le parole che le aveva detto l'elfo. Non sapeva il loro significato, ma il tono con cui erano state pronunciate, la meraviglia mista ad ammirazione di cui erano colme, le suggerivano che erano importanti.
- Oppure te lo sei solo immaginato. -
La sua sicurezza tentennò. No, erano reali, ogni cosa che era successa era reale. Quasi poteva ancora sentire la consistenza vischiosa del sangue sulle dita, l'olezzo ferroso che si propagava dai suoi vestiti. Deglutì e elevò le mani in alto, fino ad averle davanti agli occhi con il cuore che le batteva nelle tempie e lo stomaco dolorosamente contratto. No, la mente poteva sbagliare, ma la memoria del corpo, quella ricordava tutto, glielo aveva insegnato suo padre.
- Spero che... che tu ora stia bene, ora. - un singhiozzo le squassò il petto, - Scusami se non sono stata coraggiosa abbastanza, scusami se non ho protetto la mamma, scusami se mi sono fatta portare via la vista. -
Si raggomitolò su un lato, portò le gambe al petto, insensibile al dolore che si propagava dal viso in fiamme. Suo padre aveva sempre offerto il sale e il farro agli Athairi e sua madre si preoccupava che ogni sera gli incensi bruciassero vicino alle statuette degli Ithei. Perché non li avevano protetti? Perché erano rimasti sordi alle sue preghiere?
- Sono un'assassina... - si piantò le unghie nella cute, premette con forza fino a quando non sentì il sangue sotto i polpastrelli, - Papà, perdonami per quello che sono diventata. -
Pianse lacrime che non aveva fino a quando non ebbe più fiato. Quando non riuscì più a starein quella posizione, racimolò le forze per tirarsi a sedere. La testa era leggera, i pensieri inconsistenti e nell'aria aleggiava una calma piatta, colma dell'odore di una zuppa calda. Cercò la ciotola a tentoni, guidata dal naso, la afferrò assieme al cucchiaio e portò il primo boccone alle labbra. Aveva più sete che fame, almeno così era fintanto che il sapore di fagioli e lupini non le permeò la bocca. Divorò tutto, raschiando anche il fondo della scodella per poi leccare i bordi. Non le interessava che che qualcuno potesse vederla, si era già umiliata abbastanza agli occhi di tutti. Davsten, Fijit, gli altri soldati, tutti la compativano e la trattavano come una vittima innocente degli eventi.
- Non sono una vittima. - ripeté e le parole sibilarono minacciose tra i denti, - Io non sono una vittima. -
Strinse i pugni e serrò la mascella, immaginando di avere tra le mani la spada di suo padre. Era pesante, di ferro, con l'impugnatura rivestita di cuoio ormai liscio.
- Un giorno riuscirai a sollevarla. Anzi, ti dirò di più, ne avrai una tutta tua. -
Il sorriso orgoglioso di suo padre, la sicurezza con cui l'aveva guardata, erano il suo ricordo più caro. Lui aveva sempre creduto nel suo sogno.
Si mise in piedi e tenendo le mani davanti a sé, cercò l'apertura della tenda. Avanzò un passo alla volta, incerta, dritta dove credeva di aver udito la voce di Fijit prima che uscisse. Trovò il lembo, lo tirò e questi catturò il vento, si ingrossò e le sfuggì dalle dita, alzandosi verso l'alto. L'aria tersa della seria le si infilò nelle narici e le pervase i polmoni.
Si lasciò alle spalle la tenda, proseguì ancora. I soldati, quei pochi che si destreggiavano per mantenere viva la conversazione, continuarono a parlare. Caillean li sentiva, udiva le loro voci provenire da ogni dove in quel buio avvolgente, sembravano scaturire da dentro la sua testa. Obbligò le braccia a rimanere stese e continuò a camminare. Eccolo, il suono dell'acqua corrente, non è così lontano, deve dirigersi a destra e poi sarà lì.
Andò a sbattere contro qualcuno e quasi non ruzzolò a terra.
- Che ci fai qui, bambina? Stavi cercando Fijit? -
Era il soldato con la voce nasale. Non sembrava arrabbiato, nemmeno aveva sentito il contraccolpo probabilmente, a Caillean parve persino ci fosse un accenno di apprensione nel modo quasi incerto con cui le si era rivolto. Ma era un uomo, un nemico.
Non farti spaventare.”
- Volevo solo prendere un po' d'aria. - tenne alto lo sguardo mentre si rialzava, - Dentro la tenda fa molto caldo. -
Una pausa. Il chiacchiericcio di sottofondo persisteva, basso come un ronzio d'api in una torrida giornata estiva. A volte una voce si staccava dal coro: una risata appena accennata, un colpo di tosse, persino una pacca sulla spalla bastava a far vibrare la rete di suoni che si era cucita attorno a lei.
- Sì, qui al sud fa molto caldo. - si risolse a dire, - Non sono più abituato a questo clima. -
Caillean fece un passo indietro, fingendo di guardarsi attorno come per cercare qualcuno. Il sudore le inumidiva la nuca e la tunica sotto le ascelle, le aderiva alla pelle come un guanto e le costringeva i polmoni. A ogni respiro, le sembrava di ingoiare sabbia.
- Mi sapresti indicare dov'è il ruscello? -
- Se hai bisogno di lavarti, posso andare a chiamare Fijit per aiutart... -
- Non mi serve aiuto. -
Il suo corpo la tradiva, tremava spaventato, e la paura sferzava il suo cuore al galoppo. Caillean strinse i pugni, contrasse la mascella e piantò i piedi a terra. L'uomo non si era mosso e manteneva il suo sguardo su di lei.
- Non ho bisogno di aiuto. - ripeté, più sicura, - Voglio solo sciacquarmi la faccia nel torrente, tutto qui. -
Un'altra pausa. Udì il grattare di qualcosa, come mani su paglia secca.
Ha una barba, una barba molto folta e crespa.”
- Sei proprio sicura di non volere nessuno? Il ruscello è poco fuori dal campo, non è difficile arrivarci, solo che... - si interruppe e Caillean se lo figurò mentre si mordeva le labbra, - Ci sono molte persone qui, rischi di andare a sbattere. -
La sua determinazione si incrinò. Allontanarsi dalla tenda, camminare nel buio, arrivare al torrente e poi tornare indietro. C'erano troppi pericoli e lei era disarmata, cieca. Se uno di quegli uomini l'avesse seguita, non sarebbe mai riuscita a sfuggirgli.
- Farò il giro largo, allora. Spiegami come arrivare senza passare tra i soldati. -
L'uomo trasse un profondo respiro e le si accostò. Il calore del suo corpo sudato le graffiava le braccia.
- Sai contare? -
Aveva imparato i numeri solo fino a dieci.
- Sì, lo so fare. -
- I punti cardinali, invece? -
- Anche quelli. -
- Bene, adesso il tuo sguardo è rivolto a est. Volgilo verso ovest, poi conta quaranta passi. Al quarantunesimo, gira a sinistra e prosegui sempre dritta. Fa un gran baccano quel ruscelletto, lo sentirai quando sarai in rotta d'arrivo. -
Caillean annuì.
- Se hai bisogno, basta che fai un fischio. Le sentinelle ti sentiranno, poco ma sicuro. -
L'erba scricchiolò sotto i suoi piedi e la sensazione di oppressione nel petto lo accompagnò mentre si allontanava.
Posso farcela.”
Fece come gli aveva detto. Un piede avanti all'altro, cominciò a contare mentre proseguiva in linea retta. Quaranta era quattro volte dieci, quindi ogni volta che non sapeva come proseguire, ricominciava. Era difficile tenere i numeri a mente, a volte si dimenticava dov'era arrivata ed era costretta a fermarsi per contarli sulle dita. Gli uomini le passavano accanto senza far caso alla sua presenza. Era lì e allo stesso tempo non era lì, era invisibile ai loro occhi così come il mondo lo era ai suoi.
Uno, due, cinque... no, prima del cinque viene il quattro e prima ancora il tre.”
Qualcuno la urtò così forte che per poco Caillean non perse l'equilibrio.
- Stai attenta a dove vai. -
Un ragazzo, forse di una ventina d'anni. Doveva essere giovane perché la sua voce aveva una sfumatura fanciullesca, una vibrazione più alta rispetto a quella di un uomo adulto.
- Scusami...-
Non ti posso vedere.”
L'inizio della sua risposta rimase nell'aria, troncato sul nascere da un sussulto.
- Dove stai andando? Stai cercando Fijit per caso? -
Il tono si era ammorbidito e ora il suo respiro si infrangeva sulle sue guance, vicino, troppo. Il corpo di Caillean si mosse in fretta. Scattò senza pensare, rapido quel che bastava per cogliere di sorpresa il ragazzo e smarcarsi.
- Aspetta! -
La sua voce si sfilacciò alle sue spalle. Caillean correva più in fretta che poteva, alla cieca, senza più contare, andando a sbattere contro tutti quelli che non avevano l'accortezza di spostarsi. Correva lontana dall'accampamento, da quel luogo brulicante di uomini pronti a metterle le mani addosso, a giudicarla, a rinchiuderla, a sfigurarla.
La sabbia era vetro in pezzi nei suoi polmoni, la lingua un pezzo di cuoio usurato.
Devo scappare, devo scappare via, via da qui.”
Girò a sinistra, urtò qualcuno, di nuovo rischiò di cadere, ma non si fermò. L'erba scricchiolava al suo passaggio, il piede aderiva a terra, si allungava e poi si staccava dal suolo portandosi dietro alcuni pezzi di terra. L'aria immota, senza un fil di vento, vibrava attorno a lei e la tela di suoni con essa: le voci si interrompevano, così come i passi e quando Caillean passava oltre, diventavano acuti, si tramutavano in richiami che rimbalzavano di bocca in bocca.
- La cieca. -
- Dove va, perché corre? -
- Qualcuno trovi Fijit! -
Più in fretta, più in fretta!”
Due braccia la afferrarono e la tirarono su. Erano forti, la presa ferrea passava sotto le ascelle e la stringevano sullo sterno, poco sotto il seno.
- Lasciami! - Caillean si dimenò, arpionò le mani del suo aggressore e gli piantò le unghie sul dorso, - Non mi toccare, lasciami, lasciami! -
- Calmati. -
Davsten. Era amico di suo padre, l'aveva salvata, non era un pericolo.
É un uomo.”
Quel pensiero la fece rabbrividire. Scalciò più forte, dimenandosi come un'ossessa. Le mani si muovevano da sole, scavavano nella pelle dei solchi sempre più profondi. Il sangue, presto, le si infilò sotto le unghie.
- Calmati. - la strinse ancora più forte.
Caillean sputò l'aria che aveva nei polmoni. Lo graffiò ancora, fino a quando il buio non si riempì di puntini bianchi. La forza le venne meno e, pian piano, con l'incedere della consapevolezza di ciò che aveva fatto, una calma piatta calò nel suo cervello.
- Dov'è Fijit?- Davsten si guardò intorno, senza lasciare la presa, - Qualcuno la vada a chiamare, subito. -
Passi che si allontanano. Il chiocciare allegro del torrente le arrivava attenuato, una risata beffarda che andava e veniva secondo il suo capriccio.
- Scusami, non so cosa mi sia pres... -
- Zitta. -
La durezza nella sua voce la fece trasalire e Caillean rinunciò a qualsiasi tentativo di dialogo. Il cuore rallentò fino a battere calmo, appesantito dal senso di colpa e dalla vergogna. Quando Fijit arrivò, Davsten la mise a terra e le strinse forte le spalle prima di sospingerla tra le braccia della cerusica. Caillean non osò nemmeno girarsi a guardarlo quando la donna la prese per mano e la accompagnò alla tenda.
- Dammi le mani. - le ordinò quando si sedette sulla branda.
Non c'era traccia di dolcezza in quelle parole. Caillean obbedì e rimase immobile mentre la cerusica la lavava dal sangue. Ne aveva così tanto che le si era appiccicato sui palmi e tra le dita.
- La prossima volta che hai bisogno di qualcosa, chiamami. - strofinava con vigore, passando la spugna ruvida anche sul collo sudato, - Non so perché tu abbia tentato di fuggire né mi interessa saperlo, ora, ma voglio che tu sappia una cosa: sei cieca ora, non puoi muoverti come ti pare e piace, come se nulla fosse accaduto. Devi cominciare ad accattare questa nuova condizione prima che sia troppo tardi e tenere a bada i colpi di testa: hai idea di quello che ti poteva succedere se fossi uscita dal campo? Basta una buca e finisci con una caviglia slogata o l'osso del collo spezzato. -
Caillean abbassò lo sguardo sotto le bende. Non sapeva nemmeno lei perché lo avesse fatto, pensandoci a mente lucida era stata una follia anche solo immaginare di arrivare al torrente con le sue sole gambe.
- Mi... mi dispiace. -
- Non voglio le tue scuse, non me ne faccio niente delle scuse e nemmeno tu. - le prese le mani umide e gliele strinse tra le sue, - Quello che ti è successo è terribile, non posso nemmeno immaginare quanto dolore tu abbia provato, ma sei sopravvissuta. Se sei qui, se è stato il volere degli dei a salvarti, non puoi buttarti via per nessuna ragione al mondo: tua madre ha già perso l'uomo che amava, non può perdere anche sua figlia. -
Caillean si morse le labbra e strinse i pugni in grembo, desiderando con tutta se stessa di sparire. Era stata stupida, stupida ed egoista.
- Tra quattro giorni saremo a Caewen e la potrai rivedere. - le spostò una ciocca dietro l'orecchio e le accarezzò la guancia con le nocche, - Insieme, tu e lei, troverete un modo per andare avanti. Io mi consulterò con le altre e cercheremo una cura per i tuoi occhi, ma tu nel frattempo non devi fare altre pazzie, va bene? -
- Va... va bene. -
- Ora vai a dormire. Io sarò nel letto qui vicino, se non riesci a dormire o se hai male, svegliami. -
Attese che annuisse prima di alzarsi e andarsi a stendere. Dopo poco, il suo respiro si regolarizzò e Caillean sentì un fruscio che le fece capire che si era girata. Anche lei si lasciò cadere sulla sua branda, gli occhi rivolti al soffitto.
- Anairë lapse. - mormorò, - Anairë lapse. -
Continuò a ripetersi quelle due parole come una cantilena fino a notte fonda, fino a quando il sonno non la prese per mano e l'accompagnò in un mondo dove poteva ancora vedere.
Ripresero il cammino la mattina seguente, poco prima del sorgere dell'alba. Fijit si era alzata prima di lei per andare a controllare i feriti che fuori era ancora buio. Aveva cercato di fare meno rumore possibile, ma Caillean l'aveva sentita lo stesso. Quando era venuta a svegliarla, l'aria era ancora fresca e permeata dall'odore di rugiada e terra appena smossa.
Fijit non le chiese se volesse viaggiare sul carro, si limitò ad aiutarla a montare in sella dietro di lei.
Fu un viaggio silenzioso, durante il quale nessuno venne mai a disturbarle. Si fermarono due volte per far abbeverare i cavalli e dare la possibilità a Fijit di cambiare le bende a Caillean e occuparsi dei sopravvissuti sul carro. In quelle pause, spesso, tiravano giù i corpi dei morti per seppellirli e davano l'estremo saluto ai moribondi. Una bassa preghiera, le ultime confessioni e l'augurio che Uborh li traghettasse nel Val'ha. Poi, un sibilo e l'odore pungente del sangue si disperdeva nell'aria. Caillean contò fino a dieci, all'undicesimo colpo, la sua mente si rifiutò di proseguire. Quando ripresero il viaggio, apprese da un brandello di conversazione che la terra aveva accolto trenta anime, tra uomini e donne.
Per i tre giorni seguenti, il rituale si ripeté. Fijit prestava ascolto a tutti, per poi lasciare il compito di liberarli dai loro dolori terreni ad altri uomini. Tra questi, scoprì Caillean, c'era anche Davsten. Non le aveva più rivolto la parola dalla prima sera, eppure lei capiva quando le passava accanto o quando era lì vicino. A differenza di quello di Fijit, frettoloso e disattento, il passo di lui era grave e compassato, le trasmetteva la sicurezza che fosse lì, mai troppo lontano. Si vergognava ancora per come si era comportata, avrebbe voluto chiedergli scusa e dirgli che si era comportata come una stupida, ma il coraggio languiva sotto la cenere, soggiogato dai pensieri cupi che, ormai, erano i padroni della sua mente. I ricordi del tempo passato con suo padre erano ricorrenti, la braccavano nel sonno e la inseguivano nei sogni. Erano così vividi che spesso Caillean si domandava se quella non fosse la realtà e quella in cui si svegliava un incubo. Il dolore era l'unico antidoto che le permetteva di rimanere lucida, il pugnale da cui fuggiva e la bussola che l'aiutava a orientarsi. Quando era presente a se stessa, si domandava cosa avrebbe fatto quando avesse rivisto sua madre, se avrebbe trovato il coraggio di parlarle: lei era lì, era tornata, mentre suo padre giaceva a Merite, senza una lapide a cui inginocchiarsi e pregare. Davsten si era premurato di far togliere la testa, assieme alle altre dalle picche, ma del corpo non vi era traccia.
Sarei dovuta esserci io lì sopra.” si diceva e, nonostante il disgusto che provava verso se stessa e la sua debolezza, non riusciva a fare a meno di pensarci.
Suo padre era morto e lei non era stata abbastanza forte per impedirlo.
Devi perdonare te stessa per quello che ti hanno fatto.”
Davsten le aveva detto questo, durante il loro primo incontro, ma come poteva perdonarsi? Come poteva trovare un modo per alleviare il senso di colpa che la schiacciava?
Si mise le mani nei capelli e appoggiò la fronte sulle ginocchia. La sua porzione di minestra di lenticchie e fave era appoggiata ai suoi piedi, con ancora il cucchiaio pulito.
Era l'ultima sera, il giorno seguente, nel tardo pomeriggio, sarebbero arrivati a Caewen.
- Non mangi? -
La voce di Davsten proveniva da qualche passo da lei e un refolo piacevole le scompigliò i capelli sporchi.
- Non ho... fame. -
L'uomo si avvicinò. Torreggiava su di lei, un colosso la cui presenza avrebbe messo soggezione a chiunque.
- Guardami quando mi parli. -
Reprimendo l'istinto di infilarsi sotto la branda, Caillean alzò la testa e diresse lo sguardo in alto, dove credeva potesse trovarsi quello del suo interlocutore.
- Hai riflettuto su quello che ti ho detto? -
La bambina annuì, senza aggiungere altro. Davsten rimase in silenzio finché non arguì che doveva essere lui a continuare il discorso.
- Hai capito cosa ti ho chiesto? -
- Di perdonare me stessa. -
- Pensi di poterlo fare? -
- Non lo so. - si umettò le labbra e si abbracciò, - Non so come si fa, in realtà. Di solito, è qualcun altro che ci deve concedere il perdono. -
Sospirò e si sedette davanti a lei, sullo sgabello dove Fijit aveva posato la sua razione. Il fumo della minestra le scaldava la punta i piedi.
- So che ti senti responsabile per quello che è successo a Kale e so anche che, per quanto io possa dirti che non potevi fare nulla per impedirlo, tu continuerai a colpevolizzarti. Posso ripetertelo anche mille volte, ma le cose non cambieranno se non sarai tu a capirlo. - esordì la voce bassa e greve, - Se non ci riesci, allora voglio che rifletti su quanto tu sia importante per Iola. É scappata per venire a cercare aiuto e mi ha scongiurato di salvarti. Ora è a Caewen che aspetta di scorgere i miei uomini all'orizzonte e ogni giorno che passa si domanda se mai ti rivedrà. -
Caillean reprimette la tentazione di tornare a fissare il pavimento. Non era una vittima, si era promessa che non lo sarebbe più stata.
- Tuo padre ha rinunciato alla sua carriera per starvi vicino e tua madre si è consumata le suole in una corsa attraverso i boschi. Se non avesse incontrato noi, piuttosto che fermarsi sarebbe arrivata con i piedi insanguinati a Caewen. - si fermò, riprese fiato e continuò, - Voglio che tu tenga a mente da chi sei nata e cosa hanno fatto per te. Il dolore che ti porti dentro non svanirà, né ora né mai, ma non puoi permettergli di consumarti. Se non puoi vivere per te stessa, allora fallo per loro, per Kale che ha dato la vita per salvarvi e per tua madre che farebbe lo stesso. -
- Non è semplice... -
- Niente nella vita lo è. All'inizio anche i neonati fanno fatica a camminare, cadono e incespicano; poi però crescono e diventa parte di loro. E così ogni cosa, perché crescere significa anche affrontare la sofferenza, il dolore e il lutto. Faranno male, piangerai, ti dispererai, ma alla fine diventeranno delle cicatrici da guardare con orgoglio. -
Un sibilo, il verso di una lama estratta dal fodero.
- Avvicinati. -
Come calamitata, Caillean si alzò. Allungò la mano fino a toccare col palmo la consistenza dura del metallo.
- I soldati sono questo: combattono le battaglie degli altri per garantire un futuro che non possono vedere. Ma per brandire una spada, per poter scendere in campo e vincere, bisogna aver prima accettato i propri demoni. - le prese la destra e la condusse sull'impugnatura e Caillean la strinse, gli occhi negli occhi di Davsten, - Se adesso non sei ancora pronta, vota la tua vita a tuo padre e tua madre, vivi per loro e combatti per loro. -
Caillean lo fissò e poi rivolse lo sguardo alla spada. Era pesante, sul palmo percepiva l'usura del tempo e i segni delle numerose battaglie.
- Non sono una vittima. - disse e le prime dita si chiusero attorno alla lama, - Non voglio più esserlo. -
- Giura che combatterai. -
- Lo giuro. -
Dove aveva trovato quella fermezza? Quando era cresciuta così in fretta?
- Giura sul tuo sangue che lo farai per i tuoi genitori, per Iola e Kale. -
- Per Iola e Kale. -
La mano di Davsten coprì la sua e le premette le dita sul filo della lama. Il sangue stillò fuori in piccole gocce ai suoi piedi, in mezzo a loro.
Dopo un tempo che le parve infinito, l'uomo la liberò e Caillean ritirò la mano. Il palmo formicolava e la ferita bruciava, ma per la prima volta da quando era stata catturata dal capovillaggio si sentiva di nuovo forte.
- La tua anima è legata con questo giuramento. Rompilo e inficerai la memoria di tuo padre. -
- Non lo farò. -
I passi di Davsten si arrestarono a pochi passi da lei. Aveva già aperto la tenda per uscire.
- Fatti fasciare la mano da Fijit, non voglio che quella ferita si infetti. - disse e poi si allontanò.
Il giorno dopo, quando giunsero a Caewen, nel cuore di Caillean ardeva una nuova fiamma. Era piccola, il fuoco di una candela nel buio, ma non sarebbe bastata una tempesta per spegnarla. E quando sua madre le venne incontro gridando il suo nome e l'abbracciò, capì che l'unica cosa che non era mai stata sola, nemmeno nelle prigioni. 

Angolo Autrice:

Hello folks!
Buonasera ragazzi, come vedete finalmente ho messo online il capitolo che vi avevo promesso ^.^ Spero sia di vostro gradimento, come al solito fatemelo sapere in qualche modo u.u. Vi è piaciuto? Lo spero perché ci ho messo una vita a scriverlo >.< Bon, credo di avervi tediato abbastanza, se volete picchiarmi per il troppo angst ( o chiedere anche solo una spiegazione), il link è qui sotto u.u QUI Un bacione e grazie mille a tutti!
Hime

  
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