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Autore: TheSlavicShadow    09/11/2017    2 recensioni
Sei mesi dopo essere deiventata Iron Woman, qualcosa inizia a non andare come dovrebbe.
{Earth-3490; sequel di Wherever You Will Go}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Aprile/Maggio 2006

 

Non ne avevano poi parlato. Erano tornati a casa con lei che parlava al telefono con Pepper e Steve che subito dopo si rinchiudeva in palestra. E spaccava qualche sacco di sabbia. Steve l’aveva colta di sorpresa con quella proposta. Aveva sempre saputo che il sogno di Steve sarebbe stato sposarsi e mettere su famiglia un giorno. Anni prima ne avevano parlato. Steve le aveva sempre detto che sperava di tornare dalla guerra e potersi sistemare.

Ma era passato troppo tempo da quei discorsi e quelle confidenze. Steve le parlava di una casetta con giardino. Di figli e cani che insieme correvano per quel giardino. E lei aveva sempre storto il naso.

Non faceva per lei.

Lo aveva sempre pensato. Le era sempre stato chiaro che lei non sarebbe mai stata capace di fare un compromesso tra la famiglia e la carriera. Per lei avevano sempre contato solo le sue invenzioni. E ora Iron Woman.

Aveva osservato la schiena di Steve che le dormiva accanto. Era andato a dormire molto prima di lei, che si era nuovamente rinchiusa in officina. Doveva fare delle cose. Doveva cercare delle soluzioni.

Prima di salire in camera aveva controllato il livello di palladio nel sangue. Era salito al 12% e lentamente si stava propagando ovunque. Non solo attorno al suo reattore. Fino a quando non trovava una soluzione a quello non poteva dare nessuna risposta a Steve.

Aveva appoggiato una mano sulla sua schiena. Era calda. La pelle di Steve era sempre calda. Era un calore piacevole. Le faceva sempre venire voglia di raggomitolarsi addosso a lui e restare lì, protetta da quell’uomo.

Ma era pronta a lasciarlo andare di nuovo. Se Steve avesse trovato una donna diversa, una donna disposta a diventare la signora Rogers, lei lo avrebbe lasciato andare.

Lei non ci riusciva. Non riusciva neppure a pensare ad un possibile matrimonio. Non avrebbe saputo neppure quale vestito le sarebbe piaciuto. O i fiori. E non parliamo della torta. Non le era mai interessato. Forse sarebbe solo stata capace di decidere quali alcolici voleva fossero serviti nel corso della serata.

E se Steve davvero avesse voluto una famiglia, lei non avrebbe mai potuto accontentarlo.

“I tuoi pensieri sono rumorosi, Testa di Latta.”

“Se sono una Testa di Latta allora davvero non ho un cuore.”

“Questa l’ho capita.”

“Ci mancherebbe. E’ un film della tua epoca, vecchio.”

Steve si era allora voltato verso di lei. Aveva passato un braccio attorno alla sua vita e l’aveva attirata a sé.

“Se stai ancora pensando a quello che ho detto l’altro giorno, non farlo.” La guardava negli occhi ed era serio. Steve aveva sempre questa aura di serietà addosso. Anche quando al mattino preparava la colazione e guardava la spremuta come se dalla sua riuscita dipendesse la salvezza del mondo. “Non era una vera proposta. O meglio, sì, lo era, ma non come ho sempre pensato di fartela.”

“Oh, no Steven. Niente romanticherie.” Lo aveva guardato e poi aveva sospirato. “Non sono contraria al matrimonio, ma non la vedo come una cosa adatta a me. Tu mi ci vedi a fare la donna sposata?”

“Non so che idea abbia tu delle donne sposate, ma non ti chiederei mai di fare la casalinga. Quello che ti ho detto anni fa lo penso ancora. Stimo davvero molto la tua intelligenza e non ti farei mai stare a casa negandoti di essere te stessa.”

“E Iron Woman? Potrei continuare ad esserlo?”

Steve aveva risposto dopo un attimo di silenzio. L’aveva guardata ancora, con molta intensità.

“Non potrei chiederti neanche di smettere con Iron Woman. Ti potrei chiedere di non esserlo per qualche tempo, nel caso in cui…”

Non aveva concluso la frase, ma non le serviva la finisse. Poteva benissimo intuire che parlasse di possibili gravidanze. Steve sognava una casa con una famiglia a cui ritornare. Questo era sempre stato il suo più grande desiderio.

“Non sono proprio dotata di istinto materno, dovresti saperlo ormai.”

Non poteva dirglielo. Non poteva dirgli che non avrebbero mai potuto avere figli, neanche nel caso in cui lei avesse deciso di averne. Era una cosa che sapevano solo lei e Fury. Era scritto nel suo referto medico, e Steve non lo aveva mai letto.

“Oh, per Dum-E e U sei un’ottima madre.” Aveva avvicinato il viso al suo e Natasha lo guardava negli occhi. Ringraziava la quasi totale oscurità della stanza perché non avrebbe sopportato di specchiarsi negli occhi di Steve e mentirgli spudoratamente.

“Loro sono robot, Steve!” Aveva ridacchiato e aveva passato a sua volta un braccio attorno alla vita di Steve. “Sai bene cosa intendo. Non sarei in grado di fare il genitore. Sarei peggio di Howard probabilmente.” Si era pentita nel momento stesso in cui quella frase le era uscita dalla bocca.

“Non sarai mai come Howard. Anche se io sono sempre convinto che Howard ti amasse molto, a modo suo.”

“Non parliamo di mio padre, ti prego.” Aveva mormorato mentre si stringeva di più a lui. “Parliamo del fatto che manca una settimana all’apertura della Stark Expo e io non ho ancora deciso come fare la mia entrata in scena. Pepper dice che dovrei essere super elegante e mi ha fatto vedere alcuni abiti che secondo lei mi starebbero bene. Ma io non ne sono convinta per nulla.”

“Sii semplicemente te stessa, no?”

Lo aveva guardato e aveva semplicemente sorriso.

 

✭✮✭

 

Sentiva l’armatura che quasi non le permetteva di respirare, ed era la prima volta che le succedeva. Ed era tutta colpa delle nausee sempre più frequenti di cui continuava a soffrire. Steve aveva affrontato l’argomento una mattina mentre l’aveva trovata in bagno che abbracciava il water.

Non era sbronza. Aveva dovuto specificarlo almeno tre volte. Non era ubriaca e non erano neppure i postumi da sbronza quelli. Ma visti i suoi trascorsi Steve era sempre attento anche a questo.

E ancora meno era incinta. Questa era stata la successiva domanda di Steve. Era titubante e aveva paura di chiederglielo. Lo si vedeva chiaramente. E lei si era sentita quasi male a dovergli dare una risposta negativa. Da questo punto di vista il suo uomo era molto vecchio stampo, a suo modesto parere.

Aveva dato la colpa alla cena. Probabilmente le ostriche non erano state fresche o forse era qualcos’altro che aveva scombussolato il suo stomaco. Non poteva dirgli che aveva in corso un avvelenamento da palladio. Quello che la teneva in vita la stava contemporaneamente uccidendo e non lo poteva dire a nessuno. Non avrebbe saputo come spiegarlo.

Steve le aveva creduto, e le aveva semplicemente accarezzato i capelli mentre le diceva che le avrebbe preparato una tisana. L’aveva lasciata da sola in bagno mentre tornava in cucina. Le volte dopo aveva cercato di controllare la nausea. Non voleva farlo preoccupare in alcun modo.

Lentamente si era rimessa in piedi. Vomitare su un aereo con l’armatura addosso non era stato molto semplice. Per lo spazio ridotto. Per l’armatura che era ingombrante per certi movimenti. Per il momento di panico che stava avendo. Se avesse sbagliato qualcosa per l’apertura della Stark Expo, Pepper avrebbe voluto la sua testa su un piatto d’argento.

Aveva sciacquato la bocca. Aveva rimesso il rossetto e si era guardata allo specchio. Se avesse sorriso nessuno si sarebbe accorto di nulla. Al massimo, se qualcuno avesse notato qualcosa di strano, avrebbero detto che aveva addosso dei postumi da sbronza.

Bastava davvero poco per ingannare tutti.

Anche Steve.

Il casco si era chiuso sul suo viso e aveva allora spiccato il volo. Avrebbero tenuto il cielo sgombro per lei. Poteva quindi volare in tutta tranquillità senza la paura di colpire un aereo o qualsiasi altra cosa.

New York si estendeva sotto i suoi piedi, ed era così diverso vederla dall’alto. Quando era più giovane e in aereo ritornava da qualche viaggio non aveva mai fatto assolutamente caso alle luci notturne della città. Sembrava un grosso albero di Natale pieno di tantissime lucine perennemente accese.

Si era lanciata quando J.A.R.V.I.S. aveva fatto partire “Shoot to thrill”. Quello era il segnale. Sopra il parco espositivo avevano iniziato a lanciare fuochi d’artificio per simboleggiare l’apertura della Stark Expo. Era uno spettacolo unico. Davvero. Piroettare nell’aria per evitare che i razzi la colpissero era divertente. Anche se un paio le erano scoppiati abbastanza vicino. Steve e Pepper probabilmente le avrebbero fatto una paternale se avessero saputo.

Era atterrata sul palco dopo qualche minuto. Atterraggio da supereroe, come si divertiva a chiamarlo. Da inginocchiata aveva alzato lo sguardo verso il pubblico.

Steve era in piedi e applaudiva. Sorrideva e la guardava. E sembrava così orgoglioso di lei.

Si era lentamente alzata, alzando anche le braccia. La pedana su cui era atterrata aveva lentamente iniziato a girare e fino a quel momento tutto funzionava a meraviglia. Non aveva avuto molto tempo per fare delle prove. Quell’idea le era venuta in mente solo qualche giorno prima. Aveva osservato le ballerine vestite di rosso e oro che ballavano sul palco mentre la padana iniziava ad aprirsi e delle braccia meccaniche ne uscivano per toglierle l’armatura.

Per prima cosa il casco, e poi lentamente ogni parte lasciandole così sfoggiare un abito nero che lasciava intravedere la luce del reattore arc nel suo petto. E per ultimo le braccia meccaniche avevano liberato le sue gambe e i piedi. In qualche modo era riuscita ad indossare l’armatura con i tacchi.

“E’ bello essere di nuovo qua. Vi sono mancata? Voi sì.” Aveva sorriso al pubblico. Aveva preparato un discorso che a Steve non era piaciuto molto quando glielo aveva letto, ma l’uomo aveva solo scosso la testa dicendo che era perfettamente nel suo stile. “Non voglio dire che il mondo goda del suo più lungo periodo di pace ininterrotta grazie a me. Non voglio dire che dalle ceneri di una barbara prigionia non si sia mai personificata metafora più grande della fenice nella storia dell’uomo.” Aveva teatralmente aperto le braccia, non togliendo nemmeno per un attimo gli occhi dal pubblico. “Non voglio dire che il caro Zio Sam possa starsene tutto il giorno tranquillamente sprofondato in un poltrona a sorseggiare un po’ di buon whisky perché nessuno è stato abbastanza uomo da sfidarmi e sconfiggermi.” Aveva sorriso di più quando la gente tra il pubblico aveva iniziato ad applaudire. Era divertita. Probabilmente molti non la stavano neppure ascoltando. Gli unici che lo facevano erano i suoi soci, spaventati da quello che sarebbe potuto uscire dalla sua bocca, e i media. Quelli dovevano poi dissezionare ogni sua frase. Lo facevano sempre. “Vi prego, non si tratta di me. Non si tratta di voi. Non si tratta neppure di noi. Riguarda il retaggio. Riguarda ciò che noi decidiamo di lasciare alle generazioni future. Ed è per questo che per tutto l’anno e per la prima volta dal 1984, gli uomini e le donne più brillanti di tutto il mondo e di diverse società metteranno a disposizione le loro risorse, le loro idee, getteranno le basi per lasciare un futuro migliore. Quindi, non si tratta di noi. E se devo dire una cosa, se proprio devo farlo, è bentornati alla Stark Expo!” Aveva sorriso di nuovo quando il pubblico aveva iniziato ad applaudire. “Ora voglio presentarvi un ospite speciale direttamente dall’al di là. Un uomo, un futurista che ci ha permesso di essere qui oggi. Un precursore dei suoi tempi che ci ha lasciato questa Expo come retaggio, tra le altre cose. Signore e signori, vi presento mio padre Howard.”

Con un gesto della mano aveva indicato l’enorme schermo alle sue spalle. Aveva osservato il viso di suo padre e cercava di immaginarselo come sarebbe stato averlo davvero lì, in carne ed ossa, che con molta probabilità avrebbe giudicato quello che stava facendo. Era sicura che avrebbe protestato, che avrebbe cercato di fare le cose a modo proprio. Maria gli avrebbe messo una mano sul braccio e avrebbe solo sussurrato “Howard”. Era un pattern che aveva visto molte volte ed era sicura che per l’Expo non sarebbe stato affatto differente.

Aveva osservato suo padre solo per un attimo, prima di allontanarsi dal palco. Ascoltava le sue parole sulla tecnologia, sulla pace. E sulla Città del Futuro. Ricordava bene quel modellino. Howard l’aveva fatto spostare nel suo ufficio di Los Angeles una volta finita la Stark Expo e lei non l’aveva mai tolto. Nel corso degli anni ci aveva aggiunto qualche omino della Lego per farla sembrare una vera città, ma non l’aveva mai spostato dall’ufficio.

Nascosta dietro le quinte aveva controllato il livello di palladio nel sangue. 19%. Continuava a salire nonostante tutti gli intrugli che stava bevendo per cercare di fermare il suo propagarsi.

“Capo, è pronta?” Velocemente aveva nascosto il dispositivo con cui controllava il sangue quando aveva sentito la voce di Happy. “Il Capitano Rogers ha detto che la aspetterà vicino alla macchina. La signorina Potts e il Colonnello Rhodes si stanno già dirigendo all’albergo e l’aspettano per cena.”

“Sono stati veloci ad allontanarsi.” Aveva inarcato un sopracciglio. “E tu sei un ottimo segretario, Happy. Dovrei decisamente darti un aumento. Quanta gente c’è nel backstage?” Aveva guardato l’ora. Era presto. La cerimonia d’apertura era stata davvero veloce ed era filata liscia come l’olio.

“Una bolgia infernale. E sia educata con i bambini.”

“Io sono educata sempre con tutti.” Sospirando aveva seguito l’uomo. Questi aveva spalancato la porta ed era stata accolta da urla di persone entusiaste. Per lo più uomini. E bambini. Alcuni di quei uomini li conosceva. Modelli con cui si era trastullata per qualche tempo mentre era da sola. Uno le aveva anche allungato un foglietto con il proprio numero di telefono, ma Happy lo aveva spinto lontano da lei in malomodo.

Era stato divertente. Era Iron Woman e aveva bisogno di un bodyguard quando era semplicemente Natasha Stark.

“Signorina Stark, può farci un autografo?”

Si era voltata verso un gruppo di bambini e aveva sorriso. Vedere così tante bambine che l’adoravano le aveva fatto piacere. Aveva colpito con un dito il casco di Iron Woman che un bambino indossava. La rendeva orgogliosa vedere che piaceva sia ai maschietti che alle femminucce. Era sempre stata una gran promotrice della parità dei sessi, ancora ai tempi dell’università. Nei momenti in cui era abbastanza lucida da protestare contro il sessismo di diversi professori. Probabilmente lei non era il miglior esempio da seguire, ma almeno era in qualche modo un esempio. Positivo o negativo che fosse.

“Ehi, chi è quella sventola che sta parlando con il mio bel manzo?” Aveva inarcato il sopracciglio non appena erano usciti all’aperto. Steve era accanto alla loro macchina. Una due posti decappottabile bianca. Una delle ultime che aveva comprato. Sembrava sull’attenti mentre la donna gli diceva qualcosa che non riusciva a sentire.

“Forse qualcuno dello S.H.I.E.L.D.”
“La donna più sexy dello S.H.I.E.L.D. era l’Agente Carter, ma è in pensione da un po’, Happy.” Si era avvicinata e non doveva fare la gelosa. Quello era Steve. L’essere più leale che avesse mai incontrato. O almeno così sperava.

“Signorina Stark, cercavo proprio lei, ma la sua guardia del corpo stava cercando di mandarmi via.” La donna, avrà avuto più o meno la sua età, si era voltata verso di lei. Natasha aveva fatto finta di nulla, avvicinandosi a Steve e dandogli un leggero bacio sulle labbra.

“Oh, non è la mia guardia del corpo. Lui è la mia guardia del corpo.” Aveva indicato Happy con un cenno del capo. “Signorina, non è che dopo avrebbe qualche ora libera? Potrebbe unirsi a noi.” Aveva sorriso, mentre Steve la richiamava. Lo faceva sempre. “Guido io fino in albergo.” Aveva guardato il proprio compagno, che scuotendo la testa si allontanava da lei per salire in macchina. Happy era rimasto immobile, ligio al suo dovere. Sarebbe salito nell’altra macchina solo quando lei fosse partita verso la loro prossima destinazione.

“Ho qui un mandato di comparizione per lei.”

“Accidenti.” Era salita in macchina mormorando mentre la donna le porgeva dei fogli.

“Come le dicevo, a lei non piace quando le vengono porte le cose.” Steve aveva sorriso e aveva preso i documenti. Natasha lo aveva guardato solo per un attimo, prima di rivolgere lo sguardo di nuovo sulla donna.

“Dovrà comparire davanti alla Commissione per i Servizi Armati del Senato domani mattina alle 9 a Washington.” La donna continuava a sorriderle. Decisamente non era una sua fan.

“Quant’è da qui a Washington?” Aveva chiesto a Steve mettendo in moto la macchina.

“400 chilometri, circa.”

Natasha aveva solo sbuffato.

 

✭✮✭

 

“Signorina Stark, possiamo riprendere da dove ci siamo interrotti? Signorina Stark, la prego.”

“Perché Coulson è qui?” Continuava a restarsene voltata verso Pepper e Steve invece di ascoltare gli uomini che la richiamavano all’ordine.

“Ne parliamo dopo, ora voltati così la finiamo.” Steve l’aveva guardata severamente, ma lei non gli stava dando retta. La sera prima erano arrivati in albergo solo per scoprire che Rhodes se n’era già andato dopo aver ricevuto una telefonata di lavoro. Pepper aveva previsto che fosse successo qualcosa e aveva già contattato il loro hangar privato a New York. Erano partiti subito e avevano passato la notte a Washington. Ed era molto infastidita da questo.

“Sì, caro?” Si era voltata sorridendo al senatore Stern, che non era per nulla divertito dal suo comportamento. Si era vestita in modo sobrio ed elegante, anche se era stata tentata di presentarsi in pigiama. “Cosa vuole sapere? Se ho dormito bene? Non molto. Non era previsto che fossi a Washington questa mattina. Dovevo essere a New York.”

“Signorina Stark, lei è o non è in possesso di una qualche arma soffisticata che vuole tenerci nascosta?”

“No, non ce l’ho. Le Stark Industries non producono più armi come lei dovrebbe essere a conoscenza. Quindi non riesco a capire di quali armi soffisticate lei stia parlando.” Sapeva per cosa era lì. Fury glielo aveva detto che sarebbero venuti a cercarla per via dell’armatura. Si era anzi stupita che le avessero lasciato fare quello che voleva per ben sei mesi.

“L’arma Iron Man.”

“Iron Woman, grazie.” Aveva sorriso mentre si sporgeva un po’ verso il microfono che aveva davanti. A nessuno degli uomini che le sedevano di fronte piaceva che ci fosse lei, una donna, all’interno di quell’armatura. “E non è un arma.”

“Se non è un’arma lei come la definirebbe, signorina? Vorrebbe farci credere di non saper più riconoscere un’arma quando la vede?”

“E’ una protesi ad alta tecnologia. Questa è la definizione più idonea che io le possa fornire.” Non aveva battuto ciglio. “Dovrebbe informarsi meglio, senatore. Ha sentito che le Stark Industries hanno iniziato a costruire delle protesi per i veterani, e non solo per i veterani? Protesi altamente tecnologiche. La mia armatura non è molto diversa. Copre il mio corpo e lo protegge.”

“Lei continua a sostenere che sia una sorta di scudo, ma noi sappiamo tutti che lei e la sua armatura siete state coinvolte in azioni militari non autorizzate. Questo la rende un’arma.”

“Se la sua priorità fosse il benessere dei cittadini…”

“La mia priorità è che lei ci consegni l’arma Iron Man.” Stern l’aveva interrotta, chiamando volutamente in modo sbagliato la sua armatura.

“Non posso farlo. Io sono Iron Woman. Io e l’armatura siamo una cosa cosa sola. Consegnare Iron Woman significherebbe dover consegnare il mio corpo e questo sa molto di prostituzione, non crede?”

“Senta, io non sono un esperto di…”

“Di prostituzione no di certo! Lei è un senatore! Siamo seri!” Sorridendo si era voltata verso Steve. Non sapeva chi la stesse guardando più seriamente, se Steve o Pepper. Ma sapeva che poi le avrebbero fatto una predica entrambi. Tutta la sala aveva riso tranne Steve, Pepper e Coulson. E i pagliacci che sedevano di fronte a lei e la interrogavano.

“Non sono un esperto di armi.” Il senatore Stern aveva continuato a parlare non appena le persone presenti in sala avevano smesso di ridere. “Ma abbiamo qui il principale fornitore di armi dell’Esercito americano da quando le Stark Industries hanno cambiato rotta. Il signor Justin Hammer.”

Aveva osservato Justin Hammer farsi avanti. Aveva notato lo sguardo che le aveva rivolto, ma non aveva risposto in alcun modo continuando solo a guardarlo. Erano stati rivali per molto tempo, ma Hammer non era mai riuscito ad avvicinarsi alla tecnologia Stark. Era riuscito a fare davvero carriera con le armi solo quando lei si era fatta da parte e l’Esercito aveva avuto bisogno di lui.

“Vedendo il signor Justin Hammer qui mi stavo chiedendo cosa stesse facendo. Vuoi un mio autografo, Justin caro?” Si era seduta più comodamente sulla poltrona, non togliendo gli occhi dall’uomo. Questi aveva solo sorriso mentre si sedeva a sua volta, ma sapeva di aver colpito il suo orgoglio.

“Simpatica come sempre, Natasha.” L’aveva guardata e aveva sorriso ancora. Un sorriso che non le era piaciuto per nulla. “Forse ai tuoi occhi io non sarò un esperto in armi, ma sai chi era il vero esperto? Tuo padre, Howard Stark. Un uomo che ha dedicato tutta la sua vita alla protezione di questo Paese. Un padre per tutti noi e per l’industria delle armi. Ma lui non era un figlio dei fiori come te. No, lui sapeva che la pace andava protetta con le armi. E non si è mai nascosto dietro ideologie buoniste.” Hammer l’aveva guardata tutto il tempo, poi lentamente e in modo teatrale si era voltato verso i giornalisti presenti. “E’ inutile girarci attorno, sappiamo tutti bene perché siamo qui. Negli ultimi sei mesi Natasha Stark ha costruito e usato l’arma Iron Woman a suo piacimento senza rendere conto a nessuno. Eppure, continua a sostenere che è solo uno scudo e chiede la nostra totale fiducia. Vorrei davvero poterti credere, Natasha. Vorrei poter aver questa fiducia nel prossimo, ma non siamo in Canada qui. Non possiamo lasciare la porta aperta e pretendere che non ci siano rischi.” Aveva fatto una pausa e si era voltato verso Stern. “Purtroppo dubito che la signorina Stark sarà sempre disposta a proteggerci. Dopotutto è solo un privato cittadino con un’arma molto potente ed illegale in mano.” Si era nuovamente voltato verso di lei. L’aveva guardata e poi aveva osservato tutti i presenti. “Dio benedica Iron Woman. Dio benedica l’America.”

Hammer era tornato al proprio posto mentre Stern riprendeva la parola. Avrebbe così tanto voluto prendere parola e mandarli tutti quanti a quel paese. Ma non poteva. Doveva dimostrarsi superiore, studiarli attentamente e cercare un loro passo falso. Hammer era il loro punto debole. Lo sapevano tutti, dovevano saperlo. E doveva solo trovare un modo per ritorcere i propri guai su di lui.

“Grazie signor Hammer per questo suo intervento. Vorrei ora chiamare in aula il tenente colonnello James Rhodes.”

Doveva immaginarlo. Rhodes era scomparso e non aveva risposto a nessuna delle sue chiamate. E non era assolutamente da lui. Se Natasha telefonava, Rhodes rispondeva o richiamava. Aveva sempre funzionato così. Anche nei momenti più bui della loro amicizia.

“Rhodey.” Si era alzata ed era andata incontro all’uomo. Indossava l’uniforme e sfoggiava tutte le proprie medaglie. La situazione doveva essere peggiore del previsto. “Ehi, orsetto, non ti aspettavo qui.”

“Senti, sono io e sono qui. Fattene una ragione.” L’uomo si era fermato accanto a lei e aveva sospirato. Sapeva che non era facile per lui. Lo metteva sempre in posizioni strane. “Coulson mi ha detto di consegnarti questo.” Aveva fatto finta di stringerle la mano, consegnandole un dispositivo che lei stessa aveva inventato.

“Immagino che siete andati a farvi un paio di birre ieri notte.” Aveva inarcato un sopracciglio, cercando di sorridere, ma l’espressione di Rhodes era fin troppo seria.

“Ti prego, andiamo avanti così la finiamo con questa farsa e poi andiamo noi a farci un paio di birre.” Rhodes le aveva messo una mano sulla schiena, spingendola lentamente affinché riprendesse il proprio posto. Chiamare Rhodes era un colpo basso. Davvero basso.

“Il tenente colonnello Rhodes ha redato un rapporto molto dettagliato sull’arma Iron Man. Colonnello, perché sia messo a verbale, potrebbe leggere a pagina 57 paragrafo 4?”

Natasha aveva osservato attentamente il senatore. C’era un modo per uscire da quella situazione. Doveva esserci. Il dispositivo che le aveva fatto avere Coulson sicuramente sarebbe servito a tale scopo.

“Mi scusi senatore. Mi sta chiedendo di leggere un unico pezzo estrapolandolo da tutto il contesto? Non credo sia giusto.” Rhodes aveva parlato dopo un attimo. Dopo aver aperto il proprio rapporto e aver letto ciò che aveva scritto. Natasha sapeva che lo aveva fatto. Glielo aveva detto che i suoi superiori gli avevano fatto pressioni e aveva lei stessa dato alcune specifiche informazioni sull’armatura. “Leggere un paio di frasi non possono dare una visione oggettiva e ampia del motivo per cui siamo qui.”

“Colonnello, sappiamo tutti che lei e la qui presente signorina Stark avete dei rapporti che vanno ben oltre il lavoro. Ma qui stiamo parlando di sicurezza nazionale. Non possiamo permettere che un privato cittadino si faccia giustizia da solo invadendo altri Paesi.”

“Rhodey, leggi pure.”

Con la coda dell’occhio aveva notato l’uomo scuotere la testa e poi sospirare.

“Visto che non opera all’interno di nessun settore definibile di governo Iron Woman rappresenta una potenziale minaccia alla sicurezza e agli interessi di questa nazione.” Si era voltato per guardarla e lei non aveva battuto ciglio. Non era stupida. Sapeva come veniva percepita la sua armatura dai piani alti. “Però continuo spiegando che i benefici di Iron Woman superano di gran lunga quelle che potrebbero essere solo delle potenziali minacce…”

“Basta così, colonnello. Abbiamo sentito abbastanza.”

“Valuterò la carica di segretario della difesa solo dopo le vostre umili e sentite scuse. E magari potrei costruirvi un Optimus Prime da una qualsiasi macchina a vostra scelta.” Natasha si era sporta di nuovo verso il microfono e aveva guardato il senatore negli occhi.

“E’ un gioco per lei, signorina Stark? Il rapporto del tenente colonnello Rhodes è accompagnato dalle immagini di quelle che sono molto probabilmente strutture che cercano di  replicare le sue armature.”

“Con tutto il rispetto, signore, non abbiamo prove certe che si tratti davvero di armature. La nostra intelligence e le intelligence locali lo suggeriscono, ma non ci sono prove.”

“Io mi rendo conto che testimoniare contro la sua amica non sia facile, ma devo ricordarle il suo ruolo?”

Rhodes aveva ingoiato il rospo e aveva fatto un cenno al ragazzo che si occupava dei file multimediali. A lei aveva solo fatto schifo il tono con cui aveva pronunciato la parola amica.

“Abbiamo ricevuto queste foto poche settimane fa. Si tratterebbe di fabbriche all’apparenza abbandonate in cui sono state avvistate delle probabili armature. Potrebbero essere semplici droni.”

Ecco il suo momento. Ecco a cosa le serviva il dispositivo che aveva in mano. Velocemente aveva digitato un paio di codici. Di certo non era la prima volta che hackerava file dell’Esercito e non sarebbe stata l’ultima.

“Oh, sono ancora brava in queste cose. Come quella volta da adolescente quando sono entrata nel Pentagono. Molto interessante.” Aveva osservato come sullo schermo il suo programma di hackeraggio le dava il benvenuto. Probabilmente avrebbe pagato anche per il fatto di avere un programma simile sempre a portata di mano. “Sono sui vostri schermi e li sto comandando.” Sentiva Stern urlarle qualcosa contro, ma non aveva tempo di ascoltarlo. Quella era la sua possibilità per uscire da quella situazione a testa alta e con la vittoria in tasca. “Dunque, cos’abbiamo qui? Corea del Nord?” C’era sullo schermo un’armatura. Che non riusciva neppure a stare in piedi. “Iran. Decisamente nessuna immediata minaccia.” Aveva notato Justin Hammer alzarsi velocemente e avvicinarsi ad uno degli schermi per cercare di spegnerlo. “Oh, ma non è Justin Hammer quello? Cosa ci fa Hammer in un posto simile con quelle armature? Oh, non mi dite che ha cercato lui stesso di costruirne una?” Eccola la sua carta vincente. Justin Hammer e un’armatura che non funzionava ma che faceva solo danni. Rhodes aveva nascosto un sorriso sotto la mano e lei si era lentamente voltata verso Steve e Pepper. Steve aveva solo scosso la testa, ma poteva vedere un leggero sorriso sulle sue labbra. Tra i due era stato lui quello più preoccupato. “Direi che moltissimi Paesi sono di una decina di anni indietro rispetto alla tecnologia Stark. Le Hammer Industries almeno una ventina.”

Hammer aveva preso la parola per cercare di spiegare come il collaudatore fosse ancora vivo, ma a lei non interessava un pesce così piccolo. I suoi occhi erano puntati su Stern che ora era in piedi.

“Direi che qui abbiamo finito. Non capisco dove voglia arrivare?”

“A dire prego.”

“Prego per cosa, signorina Stark?”

“Ai ringraziamenti che mi farete per essere il vostro deterrente nucleare. Sta funzionando. Siamo al sicuro. L’America è al sicuro. Volete la mia armatura e le mie attrezzature? Non potete averle. Ma io vi ho fatto un enorme favore.” Lo aveva guardato negli occhi e sapeva quanto quell’uomo la odiasse. E non solo in quel momento. “Ho privatizzato la pace nel mondo con successo. Cosa volete di più? Cerco di collaborare con questi pagliacci rincretiniti e questo è ciò che ottengo!”

“Lei è una stronza. Una vera stronza, signorina Stark.”

Aveva sorriso mentre si rimetteva gli occhiali da sole con cui era arrivata quella mattina. Aveva vinto su tutta la linea. L’avevano insultata in diretta nazionale. Aveva rovinato Hammer con una sola mossa. E Iron Woman era salva.

 
   
 
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