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Autore: FridaMooney98    10/11/2017    0 recensioni
Aron e Damian sono Cacciatori. Le loro prede, le Bestie della Luna, sono tanto importanti quanto rare e a loro hanno dedicato una missione che si protrae da secoli. Safiria è malata, indifesa e ferita e, per un triste gioco del destino, si ritroverà sulla loro strada. Attraverso il tempo e viaggiando per l'Europa, i Cacciatori e la ragazza dovranno scoprire cosa si cela dietro la maledizione delle Bestie della Luna. Dal testo: "Damian seguì con lo sguardo la luce del sole, che passando dai fori della tapparella si proiettava sul muro opposto in fasci lucenti. Bisognava coprirli meglio quella notte, subito dopo essere tornati dal giro di perlustrazione. Le “sensazioni” di Damian avevano condotto i Cacciatori in quel paesino, alla ricerca di un nuovo esemplare. Sperando nella buona riuscita dell’indagine, Damian e suo fratello sorrisero, i loro denti brillanti che luccicavano nell'ombra. Al tramonto, l’unico suono nella stanza era l’eco dei loro cuori che acceleravano accogliendo il buio."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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Safiria arretrò verso la quercia e si appiattì contro il tronco ruvido. -Non ti spaventare per favore.- La pregò, Damian. Saf deglutì, tirandosi indietro i capelli con un gesto nervoso. Dall’ombra, avanzò una figura alta e scura. -No-Non ti avvicinare!- Balzò lei, come una gatta spaventata. La luce bianca della luna colpì Damian, offrendolo agli occhi spalancati della ragazza. -Chi sei? Cosa vuoi da me?- Incrociò lo sguardo di due penetranti occhi grigi come un cielo carico di pioggia. Tra la barba scura di lui fece capolino un sorriso storto: -Sono Damian. Damian Lancaster. Non volevo spaventarti.- Lei sostenne a malapena quello sguardo e si fece forza, anche se la sua voce doveva tradire innegabilmente il suo sgomento: -Come sei entrato? Lo sai che questa è proprietà privata?- Lanciò uno sguardo all’abbigliamento di Damian e sbarrò ancora di più gli occhi. In effetti quella giacca vecchia e consunta e quei logori jeans scuri non dovevano sembrarle molto rassicuranti, pensò lui. -Sei un vagabondo?- Damian scoppiò a ridere: i denti bianchissimi fendettero il buio. Safiria deglutì nuovamente.                 -Si, sono una specie di vagabondo, ma non sono qui per chiederti soldi o ospitalità. Vorrei solo parlare con te.- Safiria soppesò la richiesta senza battere ciglio: -E di cosa dovrei mai parlare io, Safiria Hall, con un vagabondo come te?- -Scortese da parte tua trattare così un gentiluomo.- Damian soffocò una risata: la ragazza era una testa calda. -Non ti ho proposto nulla di osceno.-  -Non ancora.- Aggiunse Safiria sibilando.                                                                                                                        Lui lasciò cadere anche quella frecciatina: -Safiria, un nome particolare. Ha un significato?-                                                        -Fatti gli affari tuoi.- La ragazza sentì montare dentro un forte nervosismo. Quel profumo inebriante di gelsomino doveva provenire per forza da quell’uomo e la distraeva. -Se non mi ascolti non potrò aiutarti.- Damian si fece serio. Non aveva tempo di giocare, aveva cinque notti e poi lei non avrebbe più avuto pace.                                                                                          -Aiutarmi? Tu?- Safiria alzò un sopracciglio, piegando le labbra in un sardonico sorriso. -Cosa sai?- Damian la scrutò un istante, ammirando quella fredda maschera di disprezzo che le si dipingeva lentamente sul viso. La spontaneità della paura apparsa poco prima nei suoi occhi si stava spegnendo. Non sembrava avere più nulla di vero, di umano. -So che il sole non è il tuo migliore amico.- Le sorrise. Safiria distolse lo sguardo storcendo la bocca in una smorfia di dolore. -Sei venuto qui per vedere questo singolare scherzo della natura?- Lo sguardo di lui si addolcì. Lei lo vide avvicinarsi con fare rassicurante e arretrò bruscamente. -Safiria, posso spiegarti cosa ti è successo.- Safiria irruppe improvvisamente in una cristallina risata senza sentimento e Damian rimase interdetto. -Spiegarmi cosa è successo…- Continuò a ridere. -Centinaia di medici in decine di paesi hanno provato a spiegare ciò che è accaduto tredici anni fa. Ma vuoi sapere la verità, Damian Lancaster?- Piantò quegli sconvolgenti occhi azzurri bagnati di lacrime in quelli di lui: -Io non voglio spiegarmi cosa accadde. Io non lo voglio sapere.- Damian deglutì: -Safiria devi ascoltarmi…-                                                                                                             -Vattene da casa mia.- Le parole lo colpirono come stilettate di ghiaccio. -Vattene e non azzardarti a tornare. Chiunque tu sia, non mi importa, sparisci.- Lui avanzò verso di lei e Safiria iniziò ad urlare: -Vattene, vattene! Tu non sai niente di me! Tu non sai quello che ho passato! Non sai com’è la mia vita!- Singhiozzò spingendolo via tra una nuvola di capelli color cenere. Le piccole mani bianche di lei si infransero contro Damian con una forza inaspettata e lui finì contro la vegetazione dietro di lui. Lei gli diede le spalle, scossa da tremiti incontrollati. -Se tu mi permettessi di raccontarti il mio passato, la mia vita, forse non mi cacceresti più così!- Le gridò di rimando. Strinse i denti e cercò di calmarsi: -Safiria, io sono come te.- Lei si voltò di scatto, lo sguardo perso. -Sono come te.- Ripeté lui avvicinandosi. -Cosa?- Farfugliò incredula, Safiria.

Lui sospirò, cercando di riordinare i pensieri: -Ho visto la stessa figura bianca che hai visto tu, avevo solo tre anni, e da quel momento il sole mi è diventato fatale.- Safiria lo fissò, rapita e sconvolta e si fece inconsapevolmente più vicina: -Come sai della figura bianca?-                                                                                                                                                                          -L’abbiamo vista tutti, è lui a trasmetterci questo stato.-                                                                                                                  -Tutti? Tutti chi? Cosa vorresti dire? Chi è lui?!- Quasi urlò, lei. Il cuore le batteva velocissimo e la testa aveva cominciato a girare talmente forte da farle perdere l’orientamento. A malapena capiva dove si trovasse e iniziò a temere che quell’uomo fosse solo un miraggio. Lo vide passarsi una mano sugli occhi: -Siamo più numerosi di quanto tu possa immaginare, Safiria.- Lei non sapeva se crederci; se l’avesse fatto senza che quelle parole fossero state vere, ne sarebbe morta. Damian la guardava in silenzio, ammirando il suo viso che mutava espressione con la marea di emozioni che l’attraversavano. -Tu… Tu…- Balbettava lei, affondandosi una mano nei capelli. Damian sapeva che conquistare la sua fiducia sarebbe stato arduo, ma aveva solo cinque notti e doveva farsele bastare: -Puoi credermi, Safiria? Mi permetterai di spiegarti?- Le chiese, cercando il suo sguardo. Saf si riscosse, fissandolo negli occhi e mordicchiandosi il labbro inferiore: -Io non lo so. Non posso ma… Devo… Devo pensare.- Balbettò. Domani, pensò lui, domani mi crederà. -Va bene. Me ne vado.- Dichiarò con un tono fin troppo sbrigativo. Fece per voltarsi quando sentì le dita calde e sottili di Saf chiudersi intorno al suo polso. Si fermò, tornando a guardarla: era ferma, il viso nascosto dai capelli scuri, le spalle rigide. Damian percepì l’odore delle sue lacrime e si sentì tremendamente in colpa. -Se tu sparisci, sono sicura che non tornerai mai più.- Damian spalancò gli occhi ma la lasciò continuare: -Sparirai e mi convincerò che è tutto frutto della mia immaginazione e che la solitudine mi sta facendo diventare pazza.- Inspirò profondamente, scossa da singhiozzi silenziosi. -Ma se sei quello che dici di essere e se ciò che mi hai raccontato è vero…- E alzò lo sguardo su di lui: -Allora aiutami.- Damian rimase a fissare quegli occhi azzurri per infiniti secondi, colpito da quelle parole: lei gli aveva comunicato tutta la sua sprezzante diffidenza indossando una maschera, per poi mostrargli la sua profonda fragilità con due semplici parole. -Io non ti sto mentendo e voglio dimostrartelo.- Le rispose, con voce pacata. Safiria sentì il suo cuore mancare un battito per l’emozione. Lasciò la mano dell’uomo, ritirandosi come se si fosse scottata. Quegli occhi grigi la rassicuravano, nonostante ciò che stava intorno non paresse affatto affidabile, e gli credette. Forse gli avrebbe creduto in qualsiasi caso, tanto era il suo bisogno di cominciare a sperare. Poi lo vide voltarsi inquieto verso i cancelli della villa e, non senza una nota di panico, si accorse che se ne sarebbe andato a breve dal suo giardino. -Devo andare.- Sussurrò lui, confermando i suoi timori. Damian vide lo smarrimento in quegli occhi azzurri e velocemente aggiunse: -Parleremo domani notte. È una promessa.- E senza darle la possibilità di rispondere corse via. Aveva fiutato Aron minuti prima ma non si era accorto di quanto si stesse avvicinando a Villa Hall. Si era distratto e non poteva permetterselo proprio adesso. Solo pochi metri oltre il cancello, nel bosco, raggiunse Aron prendendolo per il braccio con forse troppa foga: -Ti avevo chiesto di lasciarci stare.- Gli ringhiò, senza comunque aggredirlo. Aron non si scompose e lo scansò senza tanti complimenti: -Parli al plurale adesso? È già nel gruppo?- Chiese, sollevando un sopracciglio. Damian socchiuse gli occhi, fissandolo di sbieco: -Ancora non sa nulla. Ma alla partenza verrà con noi, te lo garantisco.- Aron non rispose ma la minaccia era sottintesa nel suo sguardo perentorio: o la convinci tu, o lo farò io. E Damian sapeva che non sarebbe stato altrettanto gentile. Si avviarono entrambi lontano dalla collina, diretti alla vecchia canonica. Per un secondo, ad Aron parve che il fratello si trattenesse dal voltarsi a guardare la villa.

Safiria rimase ferma immobile nel giardino per lungo tempo. Le gambe le si erano incollate al suolo e i suoi occhi scrutavano frenetici le ombre del giardino, aspettando che quello strano individuo tornasse per assicurarle che non era stato un sogno. Solo quando Mirtillo cominciò a miagolare insistentemente, Safiria si riscosse. Si passo le mani sul viso, cercando di regolare il respiro, ignorando il lieve profumo di gelsomino che ancora aleggiava nell’aria fredda della notte. -Non avere paura Mirtillo, sto bene.- Sussurrò, più a se stessa che al micio. I brividi le incresparono la pelle quando, abbassandosi per prendere il suo gatto imbraccio, sfiorò la terra bagnata. Si voltò lentamente e si diresse alla grossa quercia, lasciando che Mirtillo salisse sui rami per precederla. Anche se ancora scossa e tremante, Saf riuscì a issarsi fin sul balcone, entrare in camera e chiudere la portafinestra. Chiuse accuratamente a chiave tutte le porte e tirò metodicamente le tende a coprire il vetro. Quando la stanza fu avvolta dal buio e dal silenzio, pianse. Non emise un fiato mentre sentiva le lacrime calde caderle dagli occhi e scivolarle sulle guance e sul collo. -Mamma, se ci sei, dimmi cosa fare…- Gemette, stendendosi sul letto. L’orologio in soggiorno batté l’una di notte e lei chiuse gli occhi, girandosi su un fianco e rannicchiandosi al centro del grosso letto, tra i cuscini morbidi. Non si addormentò fino a quando non vide la luce del sole contornare i lembi della tenda della stanza, rassicurandola anziché irrigidirla. Sognò un grosso corvo nero che, spalancate le ali lucenti, irradiava quell’intenso odore di gelsomino e quella sensazione di pericolo del sogno precedente. Al suo risveglio, le era chiaro chi fosse quella presenza scura nel suo inconscio e allontanò dalla mente quel sinistro presagio. -Saf?- Esclamò Isobel da dietro la porta. Safiria non rispose e si diresse lentamente in bagno. La sorella provò ad aprire ma la porta era ancora accuratamente chiusa a chiave: -Safiria, perché ti sei chiusa dentro?- Le urlò, incuriosita e preoccupata. -Arrivo. Cinque minuti e scendo.- Rispose Saf, atona. L’altra si accontentò e scese le scale verso la cucina. Safiria si guardò allo specchio e faticò a mettere a fuoco l’immagine: aveva la testa pesante, gli occhi che bruciavano e profonde occhiaie scure. Aveva dormito si e no due ore e non era mai stata così scossa. Si lavò il viso con l’acqua gelata e si legò i capelli in alto sulla testa, in uno stretto chignon. -Mirtillo?- Chiamò, non vedendo il micio. Questo sbucò da dietro le tende, senza spostarle di un centimetro, come fosse conscio della situazione di Safiria. Lei si sedette sul pavimento, al centro della stanza, accogliendo Mirtillo tra le braccia e affondando il viso nella pelliccia nera: -Tu l’hai visto vero? Quell’uomo là fuori era reale.- Gli sussurrò, cercando risposte negli occhi gialli del gatto. Mirtillo si allungò per leccarle il naso, facendo le fusa. Saf gli sorrise, improvvisamente tranquilla. La giornata era cominciata come tutte le altre e la routine rassicurò la giovane che, infilandosi la vestaglia bianca, aprì la porta e raggiunse la sua famiglia in cucina. -Buon giorno.- La salutò il padre, alzando lo sguardo dal giornale. -Vuoi il caffè, Saf?- Le si rivolse Isobel, tranquilla. Safiria si sedette al tavolo, rannicchiandosi sulla sedia di legno e annuendo allo sguardo interrogativo della sorella. Quasi non toccò cibo, mentre ascoltava il quotidiano chiacchiericcio dei due familiari. -Non ti senti bene, tesoro?- Le chiese il padre, notando il suo umore. -Non molto. Ho mal di testa.- Si giustificò, lei. Sentiva il bisogno di stare sola nonostante la paura: una parte di lei desiderava che il sole tramontasse all’istante, mentre l’altra pregava che la giornata fosse più lunga possibile. -Allora chiamerò il professor Cloude per dirgli che oggi starai a riposo.- Le sorrise il padre. -Non c’è bisogno, lo chiamerò personalmente.- Isobel le si avvicinò, sorridendo: -Per oggi hai il permesso di prendere tutti i film che vuoi dalla mia stanza, Saf!- Safiria non era una vera amante di film ma aveva capito che condividere una passione faceva stare bene Isobel. Quindi si limitò a ringraziarla. Quando il signor Hall e sua figlia furono lontani dalla villa, Saf si stese sul divano e accese il televisore. Non lo faceva spesso quando era sola ma aveva bisogno di dormire e il sottofondo creato dalla tv le conciliava il sonno come nient’altro. Prima di addormentarsi afferrò il cellulare e compose il numero del professore. -Pronto?- Lei sorrise alla voce calda del professore.       -Ciao.- Lo sentì ridacchiare: -Fammi indovinare: hai tanto mal di testa.- Saf alzò gli occhi al cielo. -Sono stato perspicace?- Continuò l’altro. -Si professore. E perspicacemente avrà capito che oggi non faremo lezione. Vero?- Lui sospirò: -Va bene, va bene. Però cerca di studiare almeno l’ultimo capitolo di storia dell’arte. E devi esercitarti con il pianoforte.-                                 -Evviva.- Fece lei, con falso entusiasmo. -Sei sicura che non vuoi che vanga lo stesso?- Le chiese, premuroso. -Ho solo tanta voglia di dormire.- Rispose in fretta. -Mhm… Per qualsiasi cosa chiamami. E… Hai bisogno di parlare?- Safiria non rispose. -A presto, professore.-                                                                                                                                                                         -A presto, Safiria.- E la conversazione si concluse. Nonostante tutto, Saf non resistette e fantasticò sulla bella voce del professore ancora qualche minuto, poi si addormentò.

Damian non riusciva a prendere sonno. Guardò ancora una volta l’orologio sulla parete e sbuffò: mezzogiorno. Doveva dormire o quella notte non sarebbe stato sufficientemente in forma. -Rodolf?- Bisbigliò per non svegliare il fratello maggiore. Lo zio si riscosse e quasi cadde dalla sedia su cui stava sonnecchiando: -Damian, cosa c’è?- Chiese allarmato. L’altro si alzò agilmente dalle coperte e sgattaiolò al suo fianco, leggero come un’ombra. -Fa silenzio e ascoltami. Mi serve uno spettro di luce. Credi di riuscire a prenderlo per me?- Rodolf sgranò gli occhi: -Razza di nipote degenerato, non vorrai per caso uccidere tuo fratello?- Damian alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. -In nome di tuo padre non permetterò che vi facciate del male!-    -Zio ascolta! Non ho intenzione di fare niente ad Aron!- L’altro sollevò un sopracciglio ma si alzò, facendo per uscire: -Senti ragazzo, non ho intenzione di finire male, quindi vedi di non mettermi nei guai con tuo fratello.-                                                -Hai la mia parola che non ti accadrà nulla, Rodolf.- E finalmente Damian lo vide uscire chiudendo la porta dietro di se. Aron si mosse appena, ancora immerso nel sonno. Damian aveva nostalgia di casa da molti giorni ormai e sperava, infondo, che la giovane Safiria accettasse di seguirlo. Da quando l’aveva lasciata in quel giardino, non aveva smesso per un secondo di chiedersi se i suoi compagni Cacciatori l’avrebbero mai accettata nel loro piano e se, in un lontano futuro, lei stessa si sarebbe abituata al suo destino. Ma quando lo scoprirà, penso Damian, sarà più difficile di quanto si possa temere. Quella notte però, l’avrebbe convinta a fidarsi di lui, ne era certo. Gli serviva solo uno spettro di luce e un aspetto un po’ più rassicurante. Si avvicinò di soppiatto allo specchio a parete, si cosparse il viso di schiuma e, nella penombra, sfoderò il sottile rasoio che Rodolf teneva nella borsa. Guardando il suo volto riflesso digrignò i denti: una vera bestia, ecco cosa sembrava, cosa sembravano lui e suo fratello. Erano macchiati da colpe imperdonabili, da azioni terribili. Il loro corpo forte era forgiato dai combattimenti del passato e i loro lineamenti erano induriti dalla solitudine della notte e dal tempo. Ripensò al viso candido ed etereo di Safiria e si rilassò. Si ripromise di impedire a quella ragazza di assomigliargli. Impiegò poco tempo a radersi e una volta terminato si squadrò, sorridendo appena. -Ma come sei affascinante. Ti fai bello per la tua dolce fanciulla?- Ghignando, Damian ricambiò lo sguardo del fratello attraverso lo specchio: -Con una faccia come la tua potrei solo farla scappare.- Aron scosse la testa, sorridendo e tornando sotto le coperte. Se avesse anche solo immaginato che piano stupido avesse in mente il suo giovane fratello, l’avrebbe rivoltato come un calzino.


​Ciao a tutti! Chiedo venia se purtroppo ho dovuto caricare il capitolo di venerdì, la connessione internet aveva deciso di abbandonarmi per un pò! Spero seguirete questi personaggi nei capitoli avvenire ;)
​Vostra, 
​Frida

   
 
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