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Autore: Leila 95    10/11/2017    5 recensioni
Da quando si erano trasferiti in quel minuscolo paesino, lontano anni luce dal resto del mondo e dimenticato da Dio, Leia non aveva avuto una vita facile: aveva dovuto fare i conti con una realtà diversa, alla quale si ostinava a non volersi abituare. Nuove persone erano entrate nella sua vita, e non con tutte aveva stabilito un buon rapporto...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Han Solo, Luke Skywalker, Principessa Leia Organa, Un po' tutti, Wedge Antilles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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          Capitolo XIII
Per tutto il viaggio in auto fino a casa nessuno dei due aveva osato dire qualcosa. Han era un fascio di nervi: era ancora scosso per la caduta subita, imbarazzato per non aver saputo reagire con prontezza alle provocazioni e alle botte di quel pallone gonfiato ma, soprattutto, si sentiva profondamente a disagio con Leia, per il bel siparietto a cui l’aveva fatta assistere e per il fatto che ora fosse lei a riportarlo a casa visto che lui non era in grado neanche di reggersi in piedi da solo…che bella figura che stava facendo con lei! Per questo motivo se ne stava muto e imbronciato con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, guardando il centro che gradualmente si trasformava in periferia alla luce rossa del tramonto.
Leia, dal canto suo, era combattuta fra la rabbia contro di lui, che si metteva sempre nei guai dando ascolto alla propria incoscienza, e l’angoscia per quello a cui aveva appena assistito.

Quando entrarono in casa, Han andò subito in bagno. Si spogliò dei vestiti sporchi di fango e si sciacquò la faccia tumefatta, massaggiandosi il naso ancora dolorante e insanguinato. Faceva male, ma non sembrava che fosse rotto almeno. Indossò dei vestiti puliti e uscì, preparandosi ad un inevitabile scontro con Leia che, nel frattempo, si era presa una lattina di birra dal frigo e la stava sorseggiando osservando la pioggia cadere dalla finestra, immersa in chissà quali riflessioni.
Si stravaccò sul letto, lasciandola ai suoi pensieri. Era esausto, ogni fibra del suo corpo era indolenzita e la testa ancora gli girava. Tutto quello che voleva era buttarsi sul cuscino e dormire per un paio di giorni, ma non poteva mandare via Leia così – non dopo tutto ciò che aveva fatto per lui quella sera. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e la fronte sulle mani, nel vano tentativo di fermare la stanza che roteava attorno a lui.
Sapeva che la sua principessa era arrabbiata, poteva percepirlo chiaramente dal freddo distacco con il quale non lo aveva degnato neppure di uno sguardo da quando erano saliti in auto e con il quale continuava a fissare la pioggia attraverso il vetro facendo finta che lui non ci fosse. Sapeva che era arrabbiata, e sapeva che doveva essere lui a fare il primo verso la resa: se ognuno dei due avesse dato ascolto al proprio orgoglio, avrebbero impiegato anni a ripristinare un dialogo pacifico.
“Leia” la chiamò, dolcemente, sperando davvero che rispondesse. Visto che non ottenne risposta, sollevò la testa per guardarla e incrociò il suo sguardo che lo fissava.
“Che c’è?” disse la ragazza.
“Sei arrabbiata con me?”
Leia parve pensarci un attimo, continuando a fissarlo mentre sorseggiava la sua birra, poi scosse la testa e gli sorrise. Non riusciva a tenergli il broncio per troppo tempo, specie quando la guardava con quell’espressione così pentita stampata sul volto, e neanche lo voleva: in fondo, era solo contenta che fosse ancora intero e che non avesse niente di rotto.
Posò la lattina sul lavello e si avvicinò a lui. Si infilò fra le sue gambe aperte, nel circolo delle sue braccia, e gli cinse il collo per aggiustargli il colletto della camicia tirato su. Era bello poterlo vedere dall’alto, poterlo fissare dritto in quei meravigliosi occhi che non aveva mai avuto davvero modo di apprezzare – non così da vicino almeno – per via della loro enorme differenza di altezza. Timidamente gli sfiorò il naso ammaccato per accertarsi che fosse ancora sano, il labbro spaccato, la cicatrice che gli rigava il mento…chissà come se l’era procurata, probabilmente in qualche rissa come quella alla quale aveva appena assistito.
Han si lasciò scappare un lungo sospiro mentre sentiva le sue dita sottili toccarlo in modo così dolce e delicato, in modo assai diverso dai pugni che aveva subito: in quel contatto poteva sentire chiara e distinta l’ansia di lei nell’assicurarsi che stesse bene, mista a un desiderio quasi morboso di prendere consapevolezza del suo corpo, dei suoi tratti. Lo stava tacitamente esplorando, ma la cosa non gli dispiaceva affatto.
“Come va?” gli chiese dopo qualche istante.
“Ho visto giornate migliori principessa, ma sto già meglio.” La strinse teneramente a sé: toccarla, sentire che era viva e vera nel suo abbraccio, era il miglior balsamo che esistesse per sanare il suo malessere fisico e psicologico. “Tu come stai?”
“Non sono io che ho avuto l’incidente” rispose asciutta.
A quelle parole, il ragazzo chinò lo sguardo. Se Leia aveva paura, se le sue dita stavano tremando sul proprio volto, era soltanto colpa sua e lo sapeva bene. “Non saresti dovuta venire.”
“E perché no? Mi sarei persa un gran bello spettacolo.”
“Non volevo che vedessi quello che hai visto. Mi dispiace.”
“Il problema non è ciò che ho visto, Han, ma ciò che sarebbe potuto accadere” disse Leia. “Non ti rendi conto dei pericoli ai quali ti esponi?! E non venirmi a dire che lo fai per i soldi, perché oggi non avresti sicuramente vinto.”
“E come fai a saperlo?” replicò Han, alzando la voce suo malgrado. “Solo perché quell’idiota di Karrde non…”
“Ho parlato con un allibratore. Mi ha detto che avresti perso di sicuro, che non era la tua gara.” Gli accarezzò fugacemente i capelli e gli sfiorò la fronte con un bacio. “Allora? Vuoi dirmi perché lo fai?”
Han sbuffò. “Per l’adrenalina che provo quando corro in sella al Falcon. Per quel…brivido, quella sensazione di essere invincibile.” Poteva sembrare stupido e da pazzi, ma era vero: proprio essere ad un passo dalla morte lo faceva sentire veramente vivo, lo inebriava di un incredibile senso di potenza. Non si aspettava che Leia lo capisse: con il suo animo puro e moderato, col suo sviluppatissimo senso del dovere e delle regole…no, non avrebbe mai potuto capire un’azione tanto folle.
 
“I miei genitori sono morti in un’incidente d’auto” disse Leia, in un inutile sforzo di trattenere le lacrime che iniziavano già a rigarle le guance. “Continuo a dirmi che è stato un incidente, che non è colpa di nessuno, ma a volte non so come faccia io stessa a continuare ad andare avanti, a guidare, a uscire di casa. A volte sono paralizzata dalla paura, dal terrore che possa accadere anche a me ciò che è accaduto a loro…mi capisci? Ho paura di morire.” Han l’accarezzò sulla guancia, asciugandole le lacrime. Immaginava cosa stesse per dire, e già gli si stringeva lo stomaco.
“Oggi ho provato la stessa paura…per te. Credevo che fossi morto, quando ti ho visto lì a terra.”
“Sono qui” la rassicurò. “Non mi sono fatto niente.”
Leia non rispose, ma gli prese il volto fra le mani tremanti e lo baciò sulle labbra, abbandonandosi per la prima volta alla passione che per troppo tempo aveva tenuta conservata per sé, e quel bacio che doveva essere innocente si infiammò immediatamente di adrenalina e di trasporto. Sentì subito le mani di lui scorrere lungo tutto il suo corpo, risalire lungo i fianchi toccandola in modo dolce e deciso allo stesso tempo. Era diventata come argilla nelle sue mani calde: avrebbe potuto farle qualsiasi cosa, e lei glielo avrebbe permesso senza opporvi resistenza alcuna. Anche se non capiva le sue ragioni, non condivideva per nulla il suo modo di vivere, non accettava molte delle sue scelte, le sembrava così giusto stare con lui: fra le sue braccia era l’unico posto al mondo in cui si fosse mai sentita sicura, protetta…a casa.
Era evidente che la cosa le stesse sfuggendo di mano.
La loro storia era appena iniziata e già da essa dipendeva la sua sopravvivenza: il solo pensiero che potesse finire, che loro due potessero lasciarsi o che potesse accadergli qualcosa di brutto le bloccava il respiro in gola e le riempiva il cuore di angoscia. Continuava a ripetersi che non doveva ingigantire così tanto quella situazione, ma più lo faceva e più il suo animo le suggeriva tutt’altro: non poteva essere solo una semplice avventura estiva, o una cottarella adolescenziale, era un amore tanto intenso e travolgente da essere estremo, invalidante.
Quando si separarono, respirando entrambi affannosamente, Han fece per dire qualcosa, ma Leia lo fermò puntando un dito sulle sue labbra semiaperte.
“Non voglio che tu cambi, Han” gli disse piano. “Neanche di una virgola…tu mi piaci così come sei. Io vorrei solo che tu pensassi un attimo prima di fare le cose, che non fossi così incosciente e…folle.” Sospirò, prima di continuare. “Puoi farlo? O almeno provarci?”
Han annuì. Non aveva mai avuto niente da perdere, niente che lo tenesse attaccato alla vita e che gli desse quel briciolo di spirito di autoconservazione necessario a trattenerlo dal compiere imprese così assurdamente pericolose quanto inutili. Per varie ragioni, probabilmente sbagliate – si rendeva conto solo ora, aveva sempre disprezzato la propria esistenza e non si era mai tenuto troppo lontano dal morire: gli sarebbe bastato un passettino in avanti, andare un po’ oltre il limite, e avrebbe detto addio a questo mondo infame e crudele che non gli aveva mai dato niente di buono.
Eppure non lo aveva mai fatto, non aveva mai avuto davvero il coraggio di oltrepassare quel limite. E ora era contento di essere ancora vivo, di guardare l’universo intero negli occhi della sua ragazza, e di sentire il proprio cuore andare a tempo con il suo. Forse tutto ciò che aveva subito, tutte le sofferenze e le prove che aveva dovuto affrontare, forse tutto era stato necessario per poter apprezzare pienamente quel momento di amore puro e sincero che lei gli stava donando adesso.
 
Leia gli diede un bacio a fior di labbra. Sarebbe stata dura stargli vicino, e ancora di più provare a cambiarlo, ma ormai era impossibile fare a meno di lui. “Ora devo proprio andare” disse riluttante.
“Non vuoi restare un altro po’?”
La ragazza sorrise del suo timido invito. “Non posso. Non so cosa Luke abbia raccontato agli zii, ma sono certa che la scusa non reggerà ancora a lungo. E poi, voglio darmi anch’io una rinfrescata.”
“D’accordo.” La baciò di nuovo, accarezzandola dolcemente sulle guance e sulla nuca. “Grazie per avermi accompagnato. E per il resto.”
“Fa’ il bravo.” Raccolse la borsa, la giacca e l’ombrello e uscì, chiudendo la porta alle proprie spalle e lasciandolo alla sua solitudine.
 
Han si stese sul letto, passandosi una mano fra i capelli ancora umidi. La vita, che gli era sempre apparsa un meccanismo semplice, da un po’ di tempo a questa parte aveva iniziato a sembrargli inspiegabilmente complicata: si era sempre accontentato di poco, di poter soddisfare i propri bisogni e di concedersi qualche sfizio senza cadere troppo nel filosofico, e invece adesso si trovava spesso a riflettere – un’attività alla quale non aveva mai dedicato tante energie come ora.
Perché Leia si ostinava a stare con uno come lui, a volergli bene e a preoccuparsi per lui? Non riusciva proprio a spiegarselo. Sapeva di non meritarla, non aveva niente da offrirle, insisteva in comportamenti e azioni che non riscontravano la sua approvazione, eppure lei continuava a stargli vicino…perché!? Anche se non glielo aveva mai detto, lei lo amava, incredibilmente per quello che era, e questo era il più grande mistero al quale aveva assistito fino a quel momento. 


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NOTE DELL'AUTRICE
Volevo innanzitutto ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia storia fino a questo momento (e che non hanno ancora desistito...) e annunciare che la settimana prossima pubblicherò l'ultimo capitolo.
Spero di non essere scaduta nel banale e nel prevedibile con questo nuovo capitolo, che ha assorbito molte energie: non volevo che andasse a finire in uno scontato litigio fra fidanzati, ma nemmeno che fosse troppo povero di contenuto...ho cercato di trovare un equilibrio che mi soddisfacesse, e che spero soddisfi anche voi.
Alla prossima!
Sabrina

 
   
 
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