INTRODUZIONE
Questo
è il secondo e ultimo componimento della raccolta. La struttura, lo stile e le
tematiche trattate dovrebbero assimilare la poesia al genere dell’ode a me,
tuttavia, mancano il coraggio e la presunzione di definirla tale. Non segue un particolare
schema metrico, sebbene i versi tendano, per ampi tratti, ad agglomerarsi
attorno ad una struttura simile a quartine di ottonari o novenari.
Nello
scritto vediamo Sylvia in veste di invasore. La nostra protagonista non è però
spinta dalla sete di sangue o di potere, bensì, rimasta colpita dall’affetto
dei Principi di Lothric, ha deciso a suo tempo di non affrontarli, rivolgendo
invece le sue armi contro le Fiamme Sopite che si inoltrano nell’Archivio
Centrale. Il suo intento è quello di convincere i suoi avversari a compiere la
sua stessa scelta: smettere di ascoltare la brama di anime indotta dal Fuoco
per assecondare sentimenti più intimi e nobili. Nel dipanarsi della narrazione
questi fatti vengono a mala pena accennati, invece si può immediatamente capire
che le vicende non si svolgono secondo le speranze di Sylvia. Infatti, la
cacciatrice si trova ad affrontare più avversari da sola in uno scontro mortale.
Ciononostante la guerriera non riesce ad estraniarsi dallo struggimento amoroso
causato dal suo legame con la Guardiana, così alla predominante tematica
“bellica” si alterna quella sentimentale.
La
poesia presenta inoltre una marcata vena ironica che emerge fin dalla scelta
titolo. Infatti un’espressione gergale, e per giunta inglese (quale abominevole
vilipendio del nostro nobile idioma!), stona fortemente con il carattere
volutamente ermetico ed evocativo del componimento. Tale contrasto viene
rimarcato poi da un utilizzo più tradizionale della figura retorica
dell’ironia. Tra i versi si possono infatti individuare diversi termini
apparentemente contraddittori utilizzati per definire sia Sylvia che i suoi
avversari, con il plateale intento di sottolineare il coraggio della prima e la
viltà dei secondi.
Il
testo è senza dubbio di difficile comprensione (fidatevi, è anche colpa delle
mie scarse abilità di scrittore) e procede perlopiù mediante riferimenti e
analogie legate all’universo di Dark Souls. Perfino gli stessi sentimenti della
protagonista sono descritti in modo assai vago. È proprio nella sua imperscrutabilità
che la poesia, secondo i miei modesti intenti, dovrebbe acquistare spessore.
Nella sua scrittura non mi sono preposto l’intento di far emergere chiaramente
il contenuto fin dalla prima lettura, bensì, senza lesinare l’utilizzo di
termini crudi e volgari, ho tentato di circondare il personaggio di Sylvia di
un’aura di epicità e mistero.
GANK SPANK
Di ardenti ossa al tepore
porgi le membra provate,
ma la tua mente distrutta
giammai troverà il suo ristoro.
5 Così, nei viluppi dorati
di quel flebile fuoco, rivedi
di lei la candida chioma
in cui brami smarrire le mani,
di lei la cui anima oscura
10 ‘sì grande forza t’ha dato,
di lei dalla pelle di seta
al tuo laido sfiorare negata.
Quand’ecco che senti tremare
nel pugno il globo scarlatto,
15 dal suo occhio ti senti spogliata
della tua essenza carnale
e in un mondo a te estraneo
mandata.
Un mondo in cui cenere vuole
di Lorian e Lothric spezzare
20 il tenero abbraccio divino.
Tu, ora spirito oscuro,
odi il silenzio proibito
di quelle stanze violato,
in quell’Archivio in cui, Sylvia,
25 di cacciatrice tue gesta
il nome ti hanno donato.
Così alla battaglia t’appresti
cogliendo un profondo sospiro,
poi cerchi impaziente il
nemico
30 da anello di nebbia celata
ed ecco che vedi quei prodi
accorsi con foga nell’atrio.
Di quella sala il selciato
di densa cera è coperto
35 che magica e antica straborda
da ampia e magnifica vasca.
Sta accanto ad essa un
fantasma
di pietra opaca vestito
con quella corazza strappata
40 al mesto campione di Carim.
Lo spettro bianco brandisce
massiccio e inumano spadone,
con esso sicuro protegge
colui che reca la brace.
45 Quest’ultimo è poco distante,
coperto d’acciaio modesto,
la sua armatura s’addice
a un non troppo degno guerriero.
Poi spada e scudo possiede
50 dei cavalieri che al Principe
e a questa sua terra natale
son ben oltre la morte devoti.
Quando ti mostri al nemico
questi beffardo s’inchina,
55 tu sollevi il cappello,
e offri il capo a tal guisa.
Appena ultimato il saluto
ti vedi obbligata a schivare
rabbioso il fendente nemico
60 che il suolo fa quasi tremare.
Tu pure sguaini il tuo ferro,
striscia leggera e sottile,
e con fiera perizia trapassi
la lama e la lorica ostile.
65 L’altro ti guarda pugnare,
lontano, tranquillo e difeso,
ma in breve alla lotta lo invita
l’amico arrancante ed offeso.
Ti trovi da colpi assediata
70 che a stento riesci a evitare,
di loro ora attendi costretta
la breve apertura fatale.
Un’eco improvvisa a quel punto,
le ampie pareti sferzando,
75 annuncia l’arrivo d’un servo
a Luna Oscura votato.
Costui,
da mago capace,
fermo s’accinge a punire
con retta sentenza tue colpe
80 di avido e infame invasore.
‘Sì
tende alla volta il bastone,
e, senza neppur rivelarsi,
la sua anima contro ti scaglia
con l’arte del Bianco Dragone,
85 serbata in quei stessi scaffali
che incombon su quella tenzone,
dai quali tu, vile puttana,
agli inermi tendi i tuoi agguati.
Dal cristallo alle terga
colpita
90 a riprender coscienza fatichi,
e, dischiuse le palpebre, gridi:
“Fanculo bastardi, crepate!”
Questo tuo empio parlare
piega con ghigno ferale
95 le bocche di tutti gli astanti.
Esso il tuo accento deride,
deride la lingua impacciata
che erra a lambire il palato,
deride il destino segnato
100 di te sola e spacciata.
Adesso non puoi che fuggire,
cerchi nel buio riparo
e attingi da ampolla lucente
di nuovo il vigore privato.
105 L’ansioso stregone ti segue,
vuole a sé onore recare,
dunque isolato prosegue
tentando il tuo orecchio tagliare.
Questi però non s’avvede
110 suoi incanti il bersaglio mancare,
allor la tua mano provvede
gran serie di affondi a infilare.
Prima che scappi il ferito,
fai d’ambra lo stocco brillare,
115 di fulmini splende il tuo viso
prima del balzo letale.
Smette il fugace bagliore
del freddo metallo affilato,
con slancio veemente lo estrai
120 dal debole e vinto costato.
Così, fatto il marmo macchiato
del sangue d’indegno avversario,
degli altri, rimasti in disparte,
cessa l’ingenua baldanza.
125 Il primo, da dietro il pavese,
aizza il secondo alla lotta
e subito d’ira s’infiamma
‘l suo aureo spadone istoriato.
Spinto in avanti il suo peso,
130 muove violenta spazzata,
ma questa sol polvere leva,
e lui, con la vista oscurata,
tua abile mossa non nota,
non nota te alle sue spalle,
135 non nota il tuo ferro spietato
che adesso gli cinge la gola.
Soltanto il gelo distingue
che le sue vene recide,
da esse poi un fiotto sgorgando
140 t’insozza di rosso le vesti.
Così, mentre avanzi decisa
verso l’armato rimasto,
trasuda la lunga visiera
che le fattezze tue oscura,
145 dell’abito pregni i ricami,
così come guanti e stivali,
lordi il mantello e i calzari,
lordo anche il volto, or mostrato
per porgere un greve quesito
150 allo sparuto ch’hai innanzi:
“Perché ancor combatti?” gli chiedi,
“La tua anima ascolta” lo inviti.
“Non vedi che il Fuoco t’uccide?”
Egli di ciò non si cura
155 e della sua lama rasenta
la parte più aguzza il tuo crine.
Questo
suo agire t’offende
e alla Guardiana ripensi,
ma anche con tale ferita
160 aperta a combatter sei avvezza.
Dunque, al suo cieco colpire,
l’elsa tua salda s’oppone,
respinge il suo braccio all’indietro,
costringe egli il ventre a scoprire.
165 Infin, con amplesso mortale,
lesta raggiungi il suo cuore.
Quel volge il suo ultimo sguardo
ai tuoi occhi stillanti d’amore.
Al tuo pio braciere tornata,
170 ti forzi un sorriso trionfale,
provando invano a godere
di quelle Fiamme Sopite
che, quella soglia varcata,
sentono il fiato mancare,
175 al solo pensiero spezzato
l’arma tua invitta incontrare.
Ma dalle pupille già versi
ancora un pianto copioso,
ripeti: “Quelli non sono
180 i petti ch’anelo il respiro”.