Questa fan fiction richiede una
premessa che con ogni probabilità sarà più lunga della storia stessa, quindi
sentitevi liberissimi di saltarla e andare al sodo.
Detto questo cominciamo ad andare
per punti:
·
L’OOC. Questa storia è
assolutamente OOC. Non mi ricordo proprio più come si caratterizzano i
personaggi di Naruto. La relazione più plausibile che sono riuscita a
rappresentare è quella fra Sakura e Naruto, quindi aspettatevi grandi assurdità
e un sacco di “wtf?” quando si parla di SasuNaru;
·
Doveva essere una
SasuNaru, ma la mia sete di scrivere almeno una SakuHina, che mi porto appresso
dal lontano 2012, finalmente si è tradotta in mezza realtà;
·
La fan fiction
vorrebbe essere angst. Non ci riesce. Non riesce neanche ad essere troppo
sensata o troppo ben scritta. Vi chiedo di perdonare gli errori e di farmeli
notare, se ne avete voglia, e mi scuso profondamente per non essere riuscita a
regalarvi un prodotto di qualità. Purtroppo non scrivo seriamente da tempo e
non sono più allenata a farlo. Troverete frasi confuse, una sintassi spesso
traballante e non sempre immediatamente comprensibile, come se volessi dire
troppe cose troppo in fretta. Chiedo perdono per tutto questo;
·
È uno slice of life
piuttosto inconcludente sul quale non vale davvero la pena perdere tempo,
quindi se siete saggi smettete ora, e vi salvate un quarto d’ora di lettura
inutile.
Audrey
***
Quando cala il sole
Naruto si spalmò
sul tavolino in plastica lucida, come una pelle di tigre. Sakura lo studiò, con
un sopracciglio inarcato. Aveva venti minuti di pausa, giusto il tempo di
scendere al bar dell’ospedale e bersi un caffè, prima di tornare operativa per il
reparto di oncologia. Quindi veniva da sé che non riuscisse a capire cosa avesse
fatto di male per meritarsi il ciarlare del suo migliore amico – per
autoproclamazione – in un momento simile.
“Tu non capisci,
Sakura-chan, è orribile, davvero!” la voce lamentosa e acuta di Naruto le scavò
nei timpani, minacciando il suo già precario equilibrio psico-fisico. A tenerla
in vita in quei giorni di turni disperati erano i caffè, ai quali si aggrappava
con disperato bisogno ogni qual volta una macchinetta automatica si parava sul
suo cammino. Aveva passato più ore fra le mura bianche del reparto che a casa
sua. Cominciava a sentire la stanchezza insinuarsi nelle ossa delle spalle
indolenzite, che scricchiolavano come cardini arrugginiti ogni volta che
raddrizzava la schiena. Naruto non sembrava comunque intenzionato ad avere
pietà di lei. Aveva l’aria di chi avrebbe dato tutto se stesso pur di impiegare
ogni secondo della sua pausa, fin quando Sakura, spinta dall’irritazione, non
lo avesse cacciato a calci e insulti.
“Cosa non
capisco, Naruto?” ebbe la grazia di chiedere.
“Vivere con
Sasuke sta diventando insopportabile. E ti giuro che io capisco tutta ‘sta
storia della depressione, degli psichiatri, degli sbalzi umorali, ma va avanti
da mesi ed è difficile. Cioè, dopo non c’è da stupirsi se uno si stanca”.
Sakura versò il
dolcificante – a cui era passata dopo aver notato la comparsa di un’inquietante
pancina tondeggiante – nel caffè, poi, mentre si concedeva un primo piccolo
sorso, notò lo sguardo di Naruto fisso sulle sue labbra.
“Voglio dire,
già Sasuke non è mai stato una botta di vita, ma adesso s’è proprio
zombificato. Del tipo che ‘sta morto sul divano per ore e non si muove e non
risponde. A volte penso che ci sia crepato davvero, soffocato dai cuscini. Ma
poi si alza, non mi degna di uno sguardo, e va a infossarsi nel letto”.
“Sapevi che
sarebbe stato così, te l’ho detto io e te lo ha ripetuto il suo psichiatra”.
“Non mangia più,
Sakura-chan! Mi tocca pure imboccarlo e infilargli a forza la forchetta in
gola! Che prima o poi giuro che ce lo strozzo” scattò a sedere, rimbalzando
come una molla carica, e slanciò le braccia in aria esasperato. La barista si
voltò verso di loro con cipiglio severo, Sakura le fece cenno di non
preoccuparsi. La donna annuì e tornò alla sua lattuga.
“L’avete poi
fatta quella seduta di terapia di coppia?”
“Ci abbiamo
pensato, giuro, ma Sasuke ha mugugnato qualcosa sul fatto che era solo una
perdita di tempo, e un po’ sono d’accordo con lui. Insomma, i fatti nostri ce
li siamo sempre risolti da soli. Tu lo sai meglio di chiunque altro come
funziona la nostra relazione, non siamo mai andati troppo d’accordo, una
litigata in più, una in meno non mi sembra tutta questa tragedia”.
“Questa volta è
diverso” tentò Sakura, ormai arrivata al suo ultimo sorso di caffè.
“Lo so che è
diverso, ma… non lo so, parlare a un estraneo di me e Sasuke sembra strano. Non
so neanche se riuscirei a farlo, capisci. E poi noi non siamo mai stati una
cosa sana. Se racconto a qualche strizzacervelli come funzioniamo, quello ci
prende per scemi e, oltre che Sasuke, fa ricoverare anche me”.
Sakura fu sul
punto di dirgli che la sua visione del mondo era piuttosto distorta e che, a
conti fatti, la relazione fra lui e Sasuke era una delle più salutari che
avesse mai visto. Stavano insieme da una vita, da quando entrambi erano ancora
troppo piccoli per capire che nel loro rapporto c’era qualcosa di non
tradizionale. Più di un decennio passato a litigare, a prendersi a pugni, a
lasciarsi e a riprendersi. Avevano durato così a lungo che era impossibile
immaginarli separati. Era strano come la depressione di Sasuke, comparsa
all’improvviso, senza che nessuno se lo aspettasse, avesse cambiato le carte in
tavola. Sakura si rimproverava per non aver colto i segnali in tempo, prima che
Sasuke diventasse la maschera di se stesso. Era stata assente per i suoi amici
quando ne avevano più bisogno, fra un turno all’ospedale e l’altro, e questo le
ritorceva le viscere e le occludeva la gola. Eppure sapeva bene che i rimpianti
erano cosa inutile in quelle situazioni, potevano solo affrontare la realtà a
testa alta e denti stretti.
“Se non sei
disposto a tentare strade nuove, come pensi che le cose possano risolversi?
Ormai mi pare chiaro che la situazione di Sasuke non migliorerà molto presto e
prima te ne farai una ragione, prima potrete cominciare a sistemare le cose”.
Naruto si
afflosciò contro lo schienale della sedia e abbassò lo sguardo sulle mani. Le
teneva strette in grembo e giocherellava con le dita abbronzate per distrarsi
da chissà quali pensieri.
“È che…”
cominciò, per poi fermarsi e tacere di nuovo.
“È successo
dell’altro?” tentò allora Sakura, incerta se fosse la domanda che l’altro
attendeva. Naruto sospirò, chiuse gli occhi e riversò la testa indietro, con un
grugnito di disappunto.
“Ieri sera sono
stato con Hinata-chan alla cena dell’azienda di suo padre. Presentavano un
nuovo prodotto o una cosa del genere. Sapeva che tu eri impegnata, non voleva
andarci sola e così mi sono offerto volontario” Sakura corrugò la fronte,
accigliata. Non sapeva della cena di Hinata, la ragazza non glielo aveva
neanche accennato, e venirne a conoscenza in quel modo le lasciava addosso una
certa irritazione. Non ebbe tempo di soppesare le sue emozioni, perché Naruto
stava continuando a parlare, sventolando le mani a destra e a sinistra, per
tenere il ritmo di un discorso nel quale non erano previste pause per
riprendere fiato, “E ho incontrato Gaara. A quanto pare è con l’azienda di suo
padre che gli Hyuuga hanno stipulato un qualche contratto. Ci siamo messi a
parlare, e una cosa tira l’altra…”
“E quindi?”
“Ti ricordi che
Gaara ci provava con me, vero?”
“Ma è una cosa
delle superiori, e se non sbaglio, tu non l’hai mai degnato di uno sguardo”.
“Ovvio che no!
Ma è diventato davvero figo, Sakura-chan”.
“Stai cercando
di dirmi che ci hai fatto qualcosa?”
“Ma no, che vai
a pensare! Solo che abbiamo parlato un sacco e mi ha invitato a cena per
rivangare i vecchi tempi e fare il punto della situazione. Niente di che, una
cosa fra amici, io gliel’ho detto che sto ancora con Sasuke”.
“E quindi dove
sta il problema?”
“Potrei non aver
informato Sasuke che sabato vado a cena con Gaara” Naruto si grattò la testa
imbarazzato. Era chiaro che cercasse in Sakura un sostegno che lei non era
intenzionata a dargli. Sakura scosse la testa e sospirò esausta. Non era quello
il momento per continuare a discutere di una questione del genere, non quando
il suo turno stava per ricominciare e non quando Naruto si stava infilando in
guai la cui portata non riusciva neanche lontanamente a immaginare.
“Dovresti
dirglielo. A Sasuke, intendo” disse sollevandosi dal tavolo. Naruto fece lo
stesso.
“Sasuke
ultimamente neanche mi guarda, figurati se gli interessa con chi esco”.
“Dovresti
provare comunque a parlargliene. Dopotutto Gaara è sempre stato interessato a
te in modo morboso, Sasuke ha diritto di sapere che ti vedi con lui”.
“Ok, ok, glielo
dico, ma è una perdita di tempo anche solo provarci, tanto mica devo farci
chissà che”.
“Ragione in più
per non tenere Sasuke all’oscuro”.
Naruto sbuffò e
gonfiò le guance.
“Certo che però
per una volta potresti stare dalla mia parte”.
“Non è questione
di stare dalla parte di qualcuno, Naruto. È che le relazioni si basano sulla
fiducia e l’omissione non aiuterà di certo la vostra situazione. A meno che tu
non sia interessato a Gaara”.
Naruto rise, una
risata troppo nervosa per essere sincera e Sakura si sentì improvvisamente a
disagio. Colpire nel segno, soprattutto quando le sembrava di star dicendo una
sciocchezza, tirata fuori giusto per chiudere l’argomento, la agitava.
“Certo che non
sono interessato a lui” cercò di dissipare l’imbarazzo “è solo una cosa tra
amici, te l’ho detto”.
Sakura sospirò
ancora. La sua pausa era finita e ogni speranza di rilassarsi era scomparsa. Il
nervosismo con cui l’aveva lasciata Naruto aveva solo aumentato la sua
stanchezza. Al pensiero che alla fine del turno mancassero ancora più di
quattro ore sentiva la nausea inacidirle la gola.
“Ora devo
andare” disse, “ma questo discorso lo riprendiamo quando ho un attimo”.
Naruto annuì.
“Grazie,
Sakura-chan, la prossima volta che ci vediamo ti offro qualcosa”.
“Dovrai fare ben
di più che offrirmi qualcosa, di questo passo sarai il motivo della mia
prematura dipartita” mormorò sotto lo sguardo interrogativo di Naruto, ma
Sakura si guardò bene dal ripetere le sue parole e lo salutò con un gesto
stanco della mano, “ci si vede”.
“A presto, Sakura-chan”.
Quando tornò a
casa, l’orologio appeso in cucina segnava le dieci della sera. Due ore dopo del
previsto. C’era stata un’emergenza e avevano chiesto il suo aiuto, Sakura non
aveva avuto il coraggio di rifiutare, nonostante la stanchezza cominciasse a
renderla meno lucida. Dopo tutti quegli anni di gavetta, avrebbe dovuto esserci
abituata, invece la stanchezza non l’abbandonava mai. Segnava il suo volto e i
suoi occhi, invecchiati troppo presto. Hinata aveva provato a convincerla che
non era vero, che in lei non vedeva neanche un segno degli anni che passavano,
che era sempre bella come due, tre, dieci anni prima. Ma Sakura non riusciva a
crederle. Il volto smunto, le occhiaie nere, i capelli sporchi perché di tempo
per lavarli ce n’era sempre troppo poco: ogni mattina vedeva allo specchio
tutto questo e una parte di lei si chiedeva se quel calvario di turni infiniti
sarebbe mai terminato. La sua era una vocazione, non sarebbe dovuto essere così
difficile perseguirla, e invece ogni giorno si chiedeva se anni prima, giovane
e speranzosa, all’uscita dalle scuole superiori, avesse fatto la scelta
migliore. Forse aveva voltato le spalle a quello che realmente l’avrebbe resa
felice, abbagliata dallo splendore di un futuro di successi.
Si trascinò fino
al frigo e tirò fuori del formaggio e l’insalata avanzata dalla sera prima –
una pappetta molliccia e fredda di sale e olio e lattuga. Se lo sarebbe fatto
bastare.
La visita di
Naruto l’aveva stancata più delle ore di servizio. Aveva continuato a ripensare
a lui e a Sasuke. Si era chiesta se fra loro potesse davvero finire tutto da un
momento all’altro – che fosse stata lei una povera illusa a credere in un
fiabesco per sempre? –, incapaci
entrambi di affrontare la morte inaspettata della loro collaudata quotidianità.
Eppure ne avevano passate così tante insieme, quei due, c’erano stati così
tanti momenti in cui avevano tentennato e stretto i denti che neanche adesso
riusciva a credere che le cose non si sarebbero sistemate.
Poi c’era
Hinata. Hinata che da un paio di mesi era la sua ragazza. Hinata che non
l’aveva neanche chiamata per dirle della cena organizzata da suo padre e che
probabilmente si era già stancata della sua incostanza. C’era stato un momento
idilliaco fra loro quell’estate. Sakura era quasi riuscita a tornare la ragazza
di un tempo, con tanto di sogni e speranze a riempire il suo sguardo. Era stato
sotto il sole di Okinawa, sulla sabbia rovente e nell’oceano gelido che aveva
creduto di rinascere. Tra le onde lei e Hinata si erano scambiate un primo,
timido bacio, a cui erano seguiti giorni di imbarazzo e di sguardi fugaci, fin
quando Sakura non aveva deciso di prendere in mano la situazione e di chiedere
a Hinata cosa avesse significato per lei la loro riscoperta intimità. Ricordava
ancora il rossore di Hinata, era sceso lungo il collo e corso fino alle
orecchie, il volto della ragazza era diventato una maschera di vergogna e le
sue labbra si erano riempite di adorabili e tremolanti balbettii.
Erano stati
giorni felici, che le avevano lasciato in bocca il sapore del mare. Adesso di
quei giorni non restava che un ricordo sbiadito. Le sembravano passati ben più
di due mesi. Non vedeva Hinata da due settimane, non la sentiva da almeno tre
giorni, se si escludevano gli sporadici e lapidari messaggi che si scambiavano.
Si chiedeva come una relazione così potesse andare avanti. Probabilmente era
sciocco sperare di riuscire a far funzionare le cose quando entrambe passavano
la maggior parte del loro tempo a barcamenarsi fra orari impossibili che non coincidevano
mai. Poi c’erano le piccole omissioni: Hinata che non la invitava alla cena,
Sakura che non le parlava delle sempre più assidue visite in ospedale di
Naruto. A una relazione non potevano bastare due settimane sotto il sole
estivo, aveva bisogno di attenzioni e costanza per crescere.
Estrasse dalla
tasca dei jeans il cellulare e cercò il contatto della ragazza.
Ci vediamo
domenica per pranzo? Il mio turno comincia alle 15, quindi devo scappare
abbastanza presto, ma prima possiamo stare un po’ insieme
Scrisse, per poi
chiedersi se non fosse il caso di aggiungere un “mi manchi” o un “ci sono delle
cose di cui dobbiamo parlare”, ma decise che quello poteva aspettare e che le
avrebbe rivelato ogni dubbio quando si sarebbero finalmente incontrate.
Dovette
attendere un’ora, in cui finì di mangiare l’insalata insipida e si fece una
doccia veloce, prima di ricevere risposta.
Sono libera
anche io. Dove ci vediamo?
Sakura sorrise e
per un istante la stanchezza sembrò affievolirsi e la speranza fece capolino
fra le mille inquiete incertezze che costellavano i suoi affannosi pensieri.
Forse, se si fosse impegnata ancora un po’ e se avesse avuto pazienza, tutto si
sarebbe sistemato.
E invece non si
sistemò niente.
Quando il
telefono di Sakura squillò domenica mattina, appena un’ora prima del suo
appuntamento con Hinata, la ragazza lanciò allo schermo uno sguardo rapido,
prima di tornare con uno sbuffo ad applicare con meticolosa attenzione
l’eyeliner. Non aveva intenzione di lasciare che Naruto monopolizzasse anche
quella giornata.
Naruto chiamò
una seconda volta, in onore della sua proverbiale testardaggine, e Sakura fu
tentata di rispondere solo per dirgli che doveva smettere di disturbarla in
qualsiasi momento del giorno e della notte. Anche lei aveva una vita, o quantomeno
qualcosa che gli assomigliava vagamente, dopotutto.
Quando chiamò
una terza volta e poi una quarta, Sakura si decise a metterlo in viva voce, intenzionata
a sprecare con lui il minor tempo possibile.
“Che vuoi,
Naruto?” chiese, mentre, con la bocca storta e un dito ad allungare l’angolo
dell’occhio, tentava di applicare l’ombretto rosa in modo omogeneo.
“Aiutami,
Sakura-chan, Sasuke si è chiuso in bagno e non rispondere” la voce del ragazzo,
piena di angoscia e di panico, le fece abbandonare il suo minuzioso lavoro e
prendere in mano il telefono. “Aprì questa dannata porta, bastardo, oppure
giuro che la sfondo!” lo sentì urlare.
“Naruto,
calmati”.
“Non posso,
Sakura-chan, non so che gl’è preso. Un attimo fa stava in cucina, stava bene!”
“È successo
niente di insolito?”
“Non lo so. L’ho
lasciato solo un attimo, giuro, sono andato a cercare di capire come accendere
la lavatrice, e l’ho sentito vomitare, quando sono corso da lui si era già
nascosto in bagno. Come lo tiro fuori da lì?”
“Hai bisogno che
venga da te?” chiese Sakura, divisa fra la preoccupazione e la rassegnazione.
“Fai in fratta”
le disse Naruto, prima di chiudere la telefonata, probabilmente per tornare a
sbraitare contro Sasuke.
Sakura guardò il
telefono fra le sue mani. Lo sfondo ritraeva lei e Hinata al mare,
quell’estate. Avevano scattato la foto il primo giorno di vacanza. Sasuke e
Naruto stavano sullo sfondo, Naruto che tirava un pugno a Sasuke e Sasuke che
probabilmente lo malediceva. Come potevano cambiare tutto in così poco tempo?
Pensò di mandare
a Hinata un messaggio, ma si disse che sarebbe stata una mossa vile e in fondo
Sakura aveva voglia di sentire la sua voce, quindi la chiamò.
Un paio di
squilli prima che la ragazza rispondesse agitata.
“Sto arrivando”
la sentì ansimare “sono in ritardo solo di un paio di minuti”.
“Ciao” la salutò
Sakura e un sorriso sorse spontaneo sulle sue labbra. La voce di Hinata era
soffice e calda, le scivolò addosso lenente, e Sakura valutò la possibilità di
lasciare Naruto ai suoi problemi e dedicarsi alla sua ragazza, nel modo in cui
il suo istinto le chiedeva di fare. Hinata le mancava disperatamente. Nel
sentirne la voce, dopo così tanti giorni, si rese conto di quanto fosse stata
sciocca a non trovare neanche un’ora per correre da lei.
“Ciao” rispose
la ragazza all’altro capo, la voce leggermente lontana dalla cornetta.
“Hinata” la
richiamò ancora Sakura. Aveva bisogno che smettesse di muoversi e l’ascoltasse
perché per quanto volesse vederla e mollare Naruto e Sasuke ai loro problemi,
sapeva che non sarebbe mai riuscita a farlo senza annegare nei sensi di colpa.
Il fruscio si
interruppe e restò solo il respiro appena accelerato.
“È successo
qualcosa?”
Sakura trasse un
profondo respiro, si passò una mano sulla fronte e il palmo della mano si
colorò del fondotinta applicato in vista del loro appuntamento.
“Mi ha appena
chiamato Naruto,” cominciò e dall’altro capo del telefono si sollevò un’appena
sussurrata espressione di stupore. Sakura si mordicchiò il labbro inferiore, lo
stringe fra i denti fino a farsi male. Odiava dover deludere Hinata, ma non
riusciva a trovare alternative, se non rimandare ancora il loro incontro, “Ha
detto che Sasuke non sta bene e mi ha chiesto se posso andare a dargli una
mano”.
“Hai bisogno che
venga con te?” nessuna protesta, nessuna incertezza. La voce di Hinata era
limpida e piena di genuina preoccupazione. Sakura sorriso suo malgrado e sentì
il suo petto riempirsi di calore per quella ragazza così fantastica e altruista
che le aveva fatto l’onore d’essere sua.
“No, meglio di
no. Non so se Naruto ti ha parlato della situazione di Sasuke, ma credo che
vedere troppe persone potrebbe non fargli bene, soprattutto in un momento come
questo”.
Hinata annuì con
un sussurro.
“Se hai bisogno
del mio aiuto chiamami. E fammi sapere come va”.
“Mi dispiace
tanto dover rimandare ancora il nostro appuntamento” le disse Sakura contrita.
“Non
preoccuparti, questo è più importante. La salute di Sasuke-kun viene prima, e
poi noi avremo modo di vederci in un altro momento. Se per assecondare miei
desideri succedesse qualcosa a Sasuke-kun o a Naruto-kun non potrei mai
perdonarmelo”.
Sakura la capiva
bene, provava i suoi stessi sentimenti.
“Ti chiamo
presto, promesso” le disse.
“Mandami un
messaggio appena hai fatto”.
“Certo. Mi
manchi, Hinata”.
“Mi manchi anche
tu”.
Sakura suonò il
campanello, sopra il quale una targhetta arancione dichiarava baldanzosa
"Uzumaki Naruto", e subito sotto "Uchiha Sasuke" era stato
aggiunto a penna nella grafia scoordinata di Naruto.
Quando nessuno
rispose, bussò alla porta, tanto forte che temette i vicini potessero
affacciarsi. Quello di Naruto e Sasuke, dopotutto, era solo un modesto bilocale
al secondo piano di una palazzina, in una banale zona residenziale. Niente di
pomposo come ci si sarebbe potuti aspettare dall’altisonante cognome Uchiha,
qualcosa di intimo, piuttosto, che avevano deciso di affittare in attesa di
tempi migliori.
"Sakura-chan,
sei tu?" urlò Naruto da lontano, oltre la porta ancora chiusa.
"Chi vuoi
che sia?"
"Allora la
porta è aperta"
Sakura entrò, con
l’intento di dire a Naruto quanto fosse da idioti lasciare la porta aperta a
quel modo, che se non da lui, almeno da Sasuke si aspettava un po' di buon
senso. L'odore di vomito che impregnava l'ingresso le fece dimenticare ogni
rimprovero. Sentì la colazione rimestarsi nello stomaco, il sapore acido dell'arancia
le risalì in gola e la saliva le riempì la bocca.
"Siamo in
bagno" la chiamò Naruto, squillante. Sakura si fece forza. Sapeva bene che
Naruto non aveva chiamato la Sakura infermiera, quanto piuttosto la Sakura
migliore amica, ma quando mise piede sulla soglia del bagno si chiese se, in
una situazione del genere, fosse davvero possibile scindere le due. Sasuke
stava riverso a terra, di fianco al water, aveva lo sguardo stanco rivolto al
soffitto e respirava con le labbra semi-aperte. A terra, sparpagliati vicino al
lavello, c'erano pezzi di legno provenienti dalla porta che Naruto aveva
sfondato. Ora il ragazzo stava seduto sul bordo della vasca, si teneva la
spalla destra con la mano sinistra, e rivolgeva a Sakura un sorriso
imbarazzato. Era chiaro che in quella situazione non si trovasse a suo agio e
avrebbe preferito incontrarla in una situazione diversa, che lo facesse sentire
meno impotente. Sakura non si lasciò scoraggiare, ben consapevole che se Naruto
l'aveva voluta con lui era solo perché sentiva il bisogno di qualcuno in grado
di sostenerlo di fronte alla follia della sua vita. Non poteva deluderlo. Negli
anni erano diventati un pilastro l'uno per l'altra. Nonostante le liti, gli
insulti e i continui e reciproci punzecchiamenti, Sakura sapeva che senza
Naruto la sua vita non sarebbe stata la stessa. E come lui era sempre stato
disposto a offrirle sostegno, ora toccava a lei fare lo stesso, trattenere il
respiro e gettarsi a capofitto nel mezzo di una relazione in cui non aveva mai
voluto intromettersi.
"Come
va?" chiese.
"Il
bastardo non mi parla, se ne sta lì a guardare il soffitto in attesa di non so
cosa".
Sakura spostò di
nuovo la sua attenzione su Sasuke e avanzò nel bagno, illuminato dalla luce
elettrica del lampadario, le tapparelle ancora abbassate. Raggiunse Sasuke e
gli occhi di lui scattarono sul volto della ragazza, senza tuttavia accennare
il minimo movimento della testa.
"Ehi,
Sasuke-kun" lo salutò, piegandosi davanti a lui, "come stai?"
Sasuke non
rispose, nel suo sguardo impassibile riusciva quasi a scorgere una sorta di
derisione. Sakura si sentì piccola, come le succedeva ogni volta di fronte alla
supponenza dell'altro. Era una sciocchezza, lo sapeva bene, non era più la
tredicenne innamorata alla ricerca spasmodica delle attenzioni della sua prima
cotta. Ora era una donna, e i suoi interessi divergevano drammaticamente dai
tratti ancora infantili del ragazzo. Eppure aveva continuato a provare per lui
una sorta di deferenza, nonostante l'amicizia che nel tempo si era cementata e
aveva assunto tratti sempre più chiari di reciproca, seppur silenziosa,
fiducia. Ma il Sasuke che le stava davanti era l'ombra di se stesso. In lui non
c'era niente del giovane che aveva imparato a conoscere, nel suo sguardo
sembrava non esserci più spazio per gli altri.
“È inutile che
ci provi, Sakura-chan, tanto lo stronzo non fiata” la informò Naruto, sbuffando
esasperato.
“Meglio non
parlare che aprire la bocca a cazzo come fai tu” lo rimbeccò inaspettatamente
Sasuke.
“Almeno io non
costringo gli altri a sfondare porte, solo perché sono troppo preso da me
stesso per accennare un solo segno di vita”.
La discussione
in sé non era niente di nuovo, il solito rimbeccarsi tipico dei due, ma questa
volta c’era qualcosa nel tono con cui le parole venivano pronunciate che andava
oltre lo scanzonato battibeccare tipico della loro relazione. Eera qualcosa di
stanco e crudele, che si insinuava nel sibilare di ogni ‘s’ e nelle smorfie che
accompagnavano ogni sillaba.
Sakura si schiarì
la voce a disagio, passando lo sguardo dall’uno all’altro, con la
consapevolezza di essere impotente di fronte al loro attaccarsi aspro e
maligno.
“È successo
qualcosa che non mi avete detto?” chiese dunque.
“Io ti ho detto
tutto, Sakura-chan! Tutto quello che sapevo almeno, perché di certo Sasuke non
si preoccupa di rendermi partecipe dei suoi pensieri”.
“Perché magari
non ho niente da condividere con te. Non ho mai avuto bisogno che ti occupassi
di me, non sono tuo figlio”.
“No, infatti,
pezzo di idiota, non sei mio figlio, sei il mio ragazzo! Praticamente mio
marito! E io pretendo che mio marito non mi lasci fuori dalle sue questioni e
che se si chiude in bagno a vomitare, mi spieghi almeno il motivo”.
“Oh, proprio
come tu mi spieghi dei tuoi appuntamenti serali” ruggì Sasuke all’improvviso,
scattando in piedi. Sakura perse l’equilibrio e cadde seduta sulle piastrelle.
“Cosa vorresti
dire?”
“Voglio dire che
so di te e Gaara”.
“Hai guardato
nel mio cellulare!” anche Naruto scattò in piedi, i pugni testi lungo i
fianchi, gli occhi fissi in quelli di Sasuke, lo sguardo accusatorio. Si
sfidarono per qualche secondo, poi Sasuke sospirò e incurvò la schiena esausto,
come se quella conversazione lo avesse privato di ogni energia.
“Sono stufo”
disse “non ho voglia di parlare, soprattutto con te, me ne vado a letto”.
Detto questo si
trascinò fuori dal bagno, senza preoccuparsi di lavarsi i denti o di dare una
sistemata ai capelli arruffati. Naruto lo fissò, mentre ciabattava via, un
passo dopo l’altro, con una lentezza estenuante, priva di ogni belligeranza. Raggiunse
la porta della loro stanza, entrò e se la chiuse alle spalle.
“Non glielo hai
detto” disse Sakura accusatoria, non appena fu certa che Sasuke non potesse
sentirla.
“Ho sbagliato,
ok, lo so, ma l’hai visto com’è? Come posso parlare con uno così? Quello non è
Sasuke!” fu sul punto di urlare Naruto, ancora logorato dalla rabbia e dalla
vergogna.
“Lo psichiatra
che dice?”
“Dice che ci
vuole tempo. Gli ha dato della roba da prendere, ma sembra inutile, o lo rende furioso,
o stanco, talmente tanto che a volte non ha neanche la forza di alzarsi dal
letto. Non so cosa fare, Sakura-chan”.
Non aveva mai
visto Naruto così: una maschera di se stesso, pallido e stremato, talmente sopraffatto
da essere incapace di far fronte agli eventi. All’inizio era stato forte,
Sakura lo ricordava il guerriero di qualche settimana prima, coi denti stretti
e lo sguardo fiero, disposto a fare qualunque cosa per aiutare Sasuke a superare
la sua depressione. Le riusciva difficile credere che quello che aveva di
fronte fosse lo stesso ragazzo determinato di allora. Sembrava che per riflesso
avesse assunto anche lui l’aspetto emaciato di Sasuke. La pelle bronzea
appariva lattea alla luce bianca del bagno, i capelli ricadevano sgonfi e
tristi di fronte agli occhi arrossati. Sakura si chiese se avesse pianto, o se
quello che segnava il suo sguardo era solo il residuo della rabbia.
Probabilmente entrambe le cose, perché non riusciva a credere che Naruto non
avesse versato lacrime per lo spettro di uomo che il suo compagno era
diventato.
“Per queste cose
ci vuole pazienza, non può migliorare tutto da un momento all’altro”.
“Ma non sta
migliorando niente!” esclamò con voce incrinata, il terrore a riempire il suo
sguardo. “Ho paura di non farcela” confessò in fine.
Sakura esitò
qualche istante prima di abbracciarlo, non perché temesse che quella non fosse
la cosa giusta da fare, ma perché voleva imprimersi nella mente l’espressione
stremata di Naruto e ricordare che era per quella fragilità, così sempre ben
nascosta, che lo amava così tanto. Lo strinse fra le braccia, lasciando che
affondasse il viso sulla sua spalla e che la tenesse stretta contro di lui a
sua volta. Le mani serrate a pugno si aggrappavano alla sua maglia in lana e la
deformavano fra le dita tremanti. Non poteva vederne il volto, non sapeva se
stesse piangendo, ma sentì comunque le lacrime scaldarle gli occhi e offuscarle
la vista. Doveva essere forte per entrambi, perché se vedere Sasuke in quello
stato faceva male a lei, poteva solo immaginare quanto profondo fosse il dolore
di Naruto.
Accarezzò con
una mano la schiena ampia, in un gesto che sperava essere di conforto, e
rimasero in un insolito silenzio, ognuno perso nelle proprie incertezze.
Quando Sakura lasciò
casa di Naruto, un’ora dopo, si ricordò di mandare un rapido messaggio a
Hinata.
Non stanno bene, le scrisse.
C’è qualcosa che posso fare?, fu la celere
risposta.
Credo che nessuno possa fare niente, ed era vero.
Persino Sakura, che aveva creduto che con una laurea in mano e anni di
praticantato alle spalle sarebbe riuscita a risolvere ogni male del mondo, si
sentiva impotente e incapace di fronte a ciò che stava affliggendo i suoi
amici.
Nei giorni
successivi non sentì Naruto, e il silenzio le diede modo di relegarlo in un
angolino solitario della sua mente. In compenso, a fare irruzione nel suo mondo
di calma sospesa, fu Ino.
Non la vedeva da
almeno cinque anni, da quando si erano lasciate con urla e insulti,
rinfacciandosi le reciproche colpe, come se la loro relazione, per quanto breve
fosse stata, si fosse basata solo su errori mai discussi.
“Sakura!” la
chiamò dal capo opposto del corridoio, “Ma sei davvero tu?”
Per Sakura fu
come aver immerso la testa in un secchio di ricordi. Ino si era tagliata i
capelli. Era sempre andata orgogliosa della sua lunga coda bionda, che le
scendeva soffice lungo la schiena. Adesso, al suo posto, c’era un triste codino
disordinato, che sparava in aria capelli dall’aria ispida. Eppure, in qualche
modo tutto strano, anche quell’aria più trascurata le stava bene. La rendeva
quasi più umana. Sakura non ebbe neanche tempo di risponderle, che Ino le fu
addosso, le braccia strette attorno al collo e il volto appoggiato su una
spalla. Rimase immobile, rigida come un ramoscello. Nel calore di Ino non
sentiva lo stesso conforto che aveva provato fra le braccia di Naruto qualche
giorno prima, ma c’era comunque la familiarità dei mesi trascorsi insieme, a
baciarsi, stringersi le mani e fare l’amore – perché di amore si era trattato,
lo aveva capito poi, quando tutto fra loro era finito e non erano rimasti che
rimpianti singhiozzati nella solitudine del suo appartamento. Aveva rimpianto a
lungo il modo in cui la loro relazione si era conclusa, più volte le sue dita
avevano sfiorato il nome di Ino sullo schermo troppo luminoso del cellulare, indecise
se chiamarla o meno. Aveva sempre desistito, come la codarda che si era tropo
spesso dimostrata essere.
Era ironico
come, dopo anni di silenzio, la rincontrasse proprio adesso.
“Cosa ci fai tu
qui?” le chiese Ino, allontanandosi da lei, pur tenendola ancora per le
braccia. Sakura si sentì squadrata minuziosamente, ma l’altra sembrò
compiaciuta di quello che vedeva, e il sorriso sulle sue labbra si fece più
malizioso e furbo.
“Ci lavoro qui.
Tu piuttosto?”
“Ho chiesto il
trasferimento dal mio vecchio ospedale qualche mese fa, e finalmente si è
liberato un posto”.
“Oh” fu l’unica
risposta di Sakura, che ricordò solo in quel momento del pensionamento della
vecchia Chiyo – dopo anni di ineccepibile lavoro come infermiera, aveva deciso
di lasciarle le mura dell’ospedale per ritirarsi a vivere con il figlio a
Osaka. Avevano dato una festa per l’occasione e Sakura ricordava di aver
contribuito distrattamente al suo regalo di commiato.
“È incredibile,
davvero! Dopo tutti questi anni! E tu sei sempre…” Ino si mordicchiò il labbro
inferiore alla ricerca di parole che non riuscire a trovare.
“Insignificante?”
le domandò Sakura, riproponendo scettica uno degli ultimi aggettivi con cui Ino
l’aveva definita in uno dei loro scontri verbali.
La ragazza
sventolò una mano in aria, a scacciare le sciocchezze che uscivano dalla bocca
di Sakura.
“Non essere
sciocca” la rimbeccò, ridacchiando. “Magari alla pausa possiamo prendere un
caffè insieme, che ne dici?”
Sakura annuì
scettica. Non le piaceva l’idea di passare del tempo con Ino, soprattutto
quando la ragazza sembra essersi dimenticata del modo in cui si erano lasciate.
Il loro passato burrascoso era stato relegato in un cassetto polveroso e
dimenticato.
Ad aumentare il
suo stress c’era la lontananza di Hinata, che ormai vagava come uno spettro ai
margini delle sue giornate. Era quel pensiero lontano, che ogni tanto, nei momenti
più strani, tornava ad affacciarsi timido e le strappava un sorriso. Eppure non
riuscivano a sentirsi. Quando Hinata la chiamava Sakura era sempre nel mezzo di
qualche visita importante, e quando Sakura chiamava Hinata la ragazza era
occupata in riunioni dalle quali non poteva assentarsi. Si era ripromessa più
volte di tentare la sera, ma ogni volta crollava sul letto esausta e quel “tra
cinque minuti lo faccio” mugugnato nel silenzio della sua stanza, si spegneva
nel sonno.
Qualche giorno
dopo, uscita dal turno che le aveva portato via dodici ore della sua vita,
trovò Ino ad aspettarla fuori dall’ospedale, con in mano un bicchiere fumante
di un americano al caramello e il volto infossato nella sciarpa.
“Fa un freddo
cane!” le disse la ragazza tremando, mentre allungava verso di lei la mano e aspettava
che Sakura afferrasse il bicchiere in cartone. Aveva un bisogno viscerale del
caffè, il solo odore la stava facendo impazzire. Lo afferrò, ringraziando
borbottante Ino, e quando la sua bocca si riempì di cannella, Sakura gemette
senza neanche accorgersene. La risatina sommessa di Ino la fece ridestare dal
momento di idilliaco piacere.
“Ricordavo che
ti piacesse la cannella, ma non credevo così tanto”.
“Oh, taci,
sapevi benissimo che una cosa del genere mi avrebbe rimesso al mondo”.
“No, non lo
sapevo, ma ci speravo, lo ammetto” il sorriso che le rivolse aveva perso ogni
ilarità e si era trasformato in un malizioso distendersi di labbra piene e
rosee. Sakura per un istante la trovò attraente e ricordò cosa anni prima
l’aveva spinta verso di lei, permettendole di superare la supponenza che la
ragazza amava ostentare. Distolse in fretta lo sguardo, solo per rivolgerlo
alla punta delle sue scarpe. Ino ridacchiò ancora, era sempre stata brava a
cogliere i suoi imbarazzi e ora più che mai sembrava attenta a ogni sua
espressione.
“Torni a casa con
il treno, vero?” domandò, infilandosi le mani in tasca e tremando ancora una
volta dal freddo. Sakura annuì, senza guardarla. Si portò di nuovo il bicchiere
alle labbra e sorseggiò. “Vado nella stessa direzione, potremmo fare la strada
insieme”, lo aveva posto come un suggerimento, ma era chiaro che per Sakura non
c’erano modi di sottrarsi, se avesse voluto. Eppure si ritrovò a pensare che allontanarla
non era quello che desiderava. Camminare con Ino, parlare, ridere, lamentarsi
con lei erano tutte cose di cui in quegli anni aveva sentito la mancanza senza
accorgersene. Con ogni giorno che passava, con ogni saluto, con ogni gesto
accorto, Sakura si trovava a riscoprire il calore della presenza della ragazza.
Fu con doloroso sconcerto che si accorse che, nonostante i suoi sentimenti per
Hinata, la presenza di Ino si stava facendo sempre più prepotente nei suoi
pensieri. I sorrisi che fino a qualche giorno prima erano dedicati al timido
affacciarsi del ricordo di Hinata, ora erano spesso rivolti a Ino, con i suoi
attraenti occhi azzurri e le sue mani piccole e bianche.
Naruto suonò il
campanello in piena notte. Sakura, che già dormiva profondamente da ore, saltò
sul letto, spalancando gli occhi terrorizzata. Il cuore minacciava di uscirle
dal petto e le mani tremavano tanto da non riuscire a controllarle.
Il campanello
suonò di nuovo e Sakura raggiunse in fretta il telefono sul comodino. Doveva
chiamare qualcuno – Naruto, forse Sasuke, Hinata, o Ino. L’orologio sullo
schermo segnava le due del mattino, passate da pochi minuti, lo vedeva
offuscato, attraverso gli occhi lacrimanti per la paura o per la sveglia improvvisa,
questo non lo sapeva. Le dita, gelate e ancora tremanti, rendevano la presa
instabile e ogni tentativo di premere lo schermo vano.
“Sakura-chan,
aprimi, ho bisogno di te” la voce di Naruto, proveniente da dietro la porta
chiusa, la fece singhiozzare di sollievo, prima di rendersi conto che il
ragazzo stava urlando nel bel mezzo della notte, minacciando di destare tutto
il vicinato. Scattò in piedi ancora instabile, le gambe la reggevano a stento,
si infilò le ciabatte e raggiunse veloce l’uscio di casa, proprio mentre Naruto
suonava di nuovo e tornava a chiamarla. Ora riconosceva la disperazione, la
sentiva fluire nell’inflessione con cui chiamava il suo nome, e il panico
sorpassò la paura che ancora la scuoteva. Aprì la porta e Naruto le cadde addosso,
aggrappandosi a lei come fosse la sua ultima speranza. Non stava piangendo,
come inizialmente Sakura aveva supposto, ma aveva gli occhi arrossati, i
capillari si diramavano cremisi come una ragnatela tessuta attorno alle iridi
azzurre. C’erano incredulità, rammarico, dolore nel modo in cui li spalancava, per
poi sbattere in fretta le palpebre.
“Vieni, entra,
ti faccio un tè”.
Naruto annuì e
Sakura lo accompagnò in cucina. Accese la luce e il ragazzo si mise a sedere di
fronte ai fornelli, le mani strette a pugno sul tavolo, lo sguardo rivolto alle
striature che il legno di quercia creava sulla superficie plasticata.
Rimasero in
silenzio, mentre Sakura faceva bollire l’acqua e la versava in due tazze grandi
e colorate. Le appoggiò sul tavolo, fumanti e bollenti, una di fronte a Naruto,
l’altra di fronte a sé. Poi si sedette e strinse le mani attorno al manico
rosso.
“Vuoi dirmi
cos’è successo?”
Naruto sollevò
lentamente gli occhi in quelli di Sakura, non si era mai accorta di quanto
fossero folte e lunghe le sue ciglia, ed era strano come notasse un dettaglio
tanto irrilevante proprio in un momento simile.
“Ho fatto una
sciocchezza”.
Nessuno dei due
osava sollevare la tazza. Si guardavano entrambi, Naruto alla ricerca di parole
che non voleva formulare, perché dare voce alle sue azioni avrebbe rotto una
volta per tutte l’illusione di poterle cancellare, Sakura nel tentativo
disperato di leggere nel silenzio quello che l’amico non aveva la forza di
condividere.
Naruto deglutì
forte e tirò su col naso, poi ispirò ed espirò, una, due volte, fin quando
l’aria non sembro più soffocarlo. Era strana quella compostezza, la rigidità
con cui tendeva le spalle e le incurvava leggermente in avanti, sotto il peso
di colpe invisibili.
“Io ho… Gaara…”
poi tacque di nuovo e Sakura stringe le mani attorno alla tazza, ustionandosi
le dita ancora fredde.
“Siete stati
insieme?” chiese in un sussurro, perché le parole erano troppo dolorose, le
bruciavano la gola come acido. Quella che
stava dicendo era una blasfemia, era impensabile che Naruto potesse tradire
Sasuke. C’era sempre stato solo lui dopotutto. Nei suoi pensieri, sulle sue
labbra non c’era mai stato posto per altro.
Eppure la
risposta era nello sguardo colpevole con cui Naruto la guardava. Era vergogna
quella che adesso gli imporporava le gote e Sakura fu stupita che i sensi di
colpa non fossero la prima emozione che distorceva la sua espressione.
“Mi sento uno
schifo, Sakura-chan, non avrei dovuto, lo so, con Sasuke le cose non stanno
migliorando, io non riesco più a capirlo, lui non ci prova neanche e Gaara è
così perfetto. È tutto ciò che Sasuke non è stato mai disposto ad essere e io…”
“Vuoi
lasciarlo?” lo interruppe improvvisamente Sakura. Naruto si tese e spalancò gli
occhi, stupito. Schiuse appena le labbra, poi si fermò.
“Io… non lo so”
esalò infine, abbassando tutte le sue difese e ricacciando qualsiasi menzogna.
Non voleva nascondere a Sakura la verità, era chiaro, ma Sakura non sapeva se
era abbastanza forte da sopportare il peso che voleva condividere con lei.
“Se vuoi
lasciarlo, fallo in fretta. Non giocare con lui, non se lo merita”.
“Lo so,
Sakura-chan, lo so” sbatté le mani sul tavolo e si spinse verso di lei, come se
la vicinanza potesse aiutarla a capire meglio il tumulto emotivo che lo
attanagliava. Ma Sakura capiva, capiva molto meglio di quanto Naruto credesse.
Rivedeva in lui quello che sarebbe potuta diventare lei stessa se le cose con
Ino fossero continuate. Sapeva che era ipocrita rivolgere a Naruto uno sguardo
accusatore, stringere le labbra per non insultarlo, per non dirgli quanto era
meschino, vile e stupido a lasciare Sasuke solo in un momento come quello. Si
tirava indietro proprio adesso che le liti, per una volta, non erano solo un
trastullo passeggero fra un momento di idillio e l’altro. Si allontanava quando
Sasuke aveva più bisogno di lui.
“So che Sasuke
non lo merita. Non lo meriterebbe nessuno un trattamento così e io dovrei
parlargli, ma lui non mi ascolterebbe, non lo fa mai, e poi… poi non… non
saprei cosa dirgli. Non sono stato un buon amico per lui, quale amico farebbe
mai una cosa del genere?”
“Non sei stato
un buon fidanzato, Naruto” lo corresse Sakura e Naruto ancora una volta sembrò
stupito, come se non avesse anche considerato la cosa.
“Oh” sussurrò,
ricordandosi in quel momento che Sasuke per lui andava ben oltre la semplice
amicizia. Era confuso, chiaramente incapace di comprendere la portata delle sue
azioni e cosa il suo tradimento implicasse. “Cosa dovrei fare, Sakura-chan?
Come lo dico a Sasuke? Cosa gli dico… Non mi perdonerà mai… lo perderò!”
esclamò nel panico, ma Sakura non sapeva come aiutarlo, perché la paura e la
confusione di Naruto si stavano riflettendo in lei e ora voleva solo correre da
Hinata, prima che fosse troppo tardi e le parole che per troppo tempo aveva
taciuto non avessero avuto più senso.
“Resta qui per
questa notte, domani mattina vedremo cosa fare” gli disse, prima di allontanare
la sedia con un rumore metallico e strisciante. Guardò il tè ancora caldo e
intoccato che giaceva sul tavolo, poi chiuse gli occhi e sospirò. “Io esco un
attimo, tu mettiti pure comodo. Sul divano, sul letto, non fa differenza, dove
preferisci, fa come se fosse casa tua”.
“Vai a dirlo a
Sasuke?” chiese Naruto, il terrore nel suo volto.
“No. No, devo
fare qualcosa di più importante”.
Raggiunse in
fretta la porta di casa, afferrò le chiavi lasciate su un piattino
all’ingresso, proprio sopra la scarpiera, infilò le scarpe e aprì la porta.
“Torna presto”
le urlò Naruto, ma Sakura non rispose. Sapeva che quella notte non sarebbe
tornata, perché casa di Hinata era dall’altra parte della città e alle due di
notte non c’erano più linee ferroviarie in funzione che potessero portarla.
Erano le sei del
mattino quando raggiunse la villetta che i genitori di Hinata le avevano
comprato quando era andata a vivere da sola. Sakura aveva camminato per ore,
poi, quando i mezzi pubblici erano tornati in funzione, aveva percorso esausta
l’ultima parte del tragitto in treno. Non sentiva più i piedi e la stanchezza le
intorpidiva le gambe. La visione era offuscata, la testa le girava e suonò il
campanello con le dita rese insensibili dal freddo.
“Chi è?” la voce
di Hinata, seppure più elettronica e frammentata del normale, fu come un
balsamo. Le scivolò addosso e Sakura finalmente sentì le ultime forze
abbandonarla.
“Sono io”
gracchiò rauca. Il cancello d’ingresso si aprì e Hinata comparve sulla soglia. La
squadrò con occhi sbarrati, il volto pallido, senza trucco ma ugualmente
bellissimo, i capelli raccolti in uno chignon morbido e scomposto, nascosta da
un pigiama troppo leggero per affrontare il freddo di fine ottobre. Quando si
rese conto delle condizioni disperate in cui Sakura si era presentata, ogni
perplessità lasciò posto alla preoccupazione. Corse lungo le scale e per il
vialetto. Sebbene non fosse stata Sakura a svegliarla, era chiaro che i postumi
del sonno non l’avevano ancora abbandonata del tutto.
“Sakura-chan” la
chiamò, mentre le si avvicinava e Sakura le cadeva addosso tremante e
piangente. Non credeva di stare tanto male. Si era convinta che lei non fosse
Naruto, che quello che era successo a lui non per forza doveva ripetersi in
lei, ma le ore di viaggio trascorse a rimuginare erano solo servite a innescare
un blando lavoro di persuasione, che lo sguardo incerto di Hinata e la sua voce
calda avevano dissipato in un istante. Così pianse sul suo petto, versò tutte
le lacrime di stanchezza e dolore che in quei giorni aveva trattenuto. Era un
pianto per lei, per Sasuke, per Naruto e per tutto ciò che non era riuscita a
prevenire. Un fallimento sin dall’inizio.
“Non voglio
perderti così” sussurro, fra le braccia della sua ragazza, che la stringeva
protettiva, forse un po’ imbarazzata, ma comunque decisa a non lasciarla
andare. Era sempre stata Sakura la più forte fra le due. Aveva sempre
cominciato lei ogni contatto, si era sempre spinta lei un passo oltre, sempre
più in là, fin quando la loro relazione non si era realizzata in tutte le forme
possibili. Trovarsi così debole, ora, a cercare conforto nell’altra, la
riempiva di timori e vergogne, che si confondevano alle scuse singhiozzate e ai
‘perdono’ per colpe inesistenti. Il suo pensiero corse di nuovo a Naruto,
chiuso nella sua casa, a piangere e rimuginare, mentre si chiedeva cosa lo
avesse spinto a sbagliare a tal punto, senza dare a Sasuke neanche la
possibilità di salvare quello che ancora restava da salvare fra loro.
“Vieni dentro,
sei gelata” le disse rassicurante Hinata e Sakura annuì, ma non la lasciò. La
ragazza fu costretta a camminare piano, all’indietro, portandosi appresso il
peso di Sakura, che trascinava i piedi a stento e si abbandonava completamente
contro di lei.
“Ti amo” gemette
Sakura all’improvviso. E lo ripeté come una nenia infinita, mentre le lacrime
bagnavano il pigiama viola di Hinata, che le diceva di calmarsi, di fare
silenzio. Non c’era niente di cui preoccuparsi, andava tutto bene perché anche
lei l’amava, e avrebbe dovuto dirglielo prima e più spesso, si scusa a se non
lo aveva fatto abbastanza. E mentre Sakura balbettante le raccontava ogni cosa,
ancora abbracciata a lei all’ingresso, Hinata l’accarezzava gelosa, come si fa
con i bambini che non riescono a trovare conforto. Le sue parole erano confuse
e parlavano di tentazioni, di errori, di incertezze, di cose fatte senza
pensare e di colpe. Hinata ascoltava, annuiva, non parlava.
“Puoi
perdonarmi?” le chiese infine Sakura, come se il tradimento fosse il suo.
Hinata le prese il volto fra le mani e sollevò gli occhi verdi di lei nei suoi
pallidi e sorridenti.
Le posò le
labbra sulla fronte, in un bacio rassicurante.
“Non hai fatto
niente, Sakura-chan”.
“Avrei potuto”.
“Ma non l’hai
fatto e sei venuta a parlarmi”.
“Se Naruto non
fosse venuto da me, non sarei qui e potrei trovarmi al suo posto”.
Hinata la baciò
ancora e le sorrise, mente le lacrime continuavano a riempire gli occhi di
Sakura.
“Se non fosse
stato oggi, sarebbe stato domani, o dopodomani, ma saresti venuta a parlarmi,
ne sono sicura”.
Sakura sorrise
suo malgrado, un sorriso triste e umido.
“Tu hai troppa
fiducia in me”.
“Devo avere
fiducia in te”.
Sakura si spinse
tentennante verso di lei e la baciò sulle labbra. Avevano il sapore di latte ed
erano dolci. Rimase immobile, senza cercare una passione che non trovava posto
in quel momento. Si abbandonò alla tenerezza, che le vorticava dentro con
prepotente bisogno.
“Ti amo” ripeté
poi e Hinata sorrise ancora.
Le passò una
mano fra i capelli e le sue guance si imporporarono, forse per il caldo che
riempiva le stanze della casa o per quella rinnovata confessione fatta a fior
di labbra, senza la disperazione che aveva contraddistinto le precedenti.
“Lo so” esalò
timida. Si fermò, esalò un respiro tremante, le rivolse uno sguardo incerto e
tentò di trovare la forza di proseguire.
“Che c’è?” le
chiese Sakura curiosa. Hinata arrossì ancora, era adorabile quando succedeva e
Sakura si illuminò di felicità, le guance ancora umide di lacrime.
“Vieni a vivere
con me, Sakura-chan”, propose, infine, in un sussurro.
Sakura scoppiò a
ridere. Si aggrappò a Hinata come fosse la sua ancora e pianse di nuovo.
C’erano ancora tante cose da risolvere – c’erano Sasuke e Naruto, c’era Ino,
c’erano le sue paure –, ma quel momento l’avrebbe dedicato solo a loro. Mentre
rispondeva un “sì” perso fra le lacrime, si rese conto che mai sarebbe stata
più felice in tutta la sua vita.