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Autore: Audrey_Ntray    11/11/2017    3 recensioni
Nessuno si era mai accorto che il pilastro di ogni loro relazione fosse Sasuke, e quando Sasuke crolla è inevitabile che il castello di carte che con tanta cura avevano eretto negli anni faccia la stessa dolorosa fine.
[SakuHina][SasuNaru][NaruGaa][Slice of life]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Yuri | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Questa fan fiction richiede una premessa che con ogni probabilità sarà più lunga della storia stessa, quindi sentitevi liberissimi di saltarla e andare al sodo.

Detto questo cominciamo ad andare per punti:

·        L’OOC. Questa storia è assolutamente OOC. Non mi ricordo proprio più come si caratterizzano i personaggi di Naruto. La relazione più plausibile che sono riuscita a rappresentare è quella fra Sakura e Naruto, quindi aspettatevi grandi assurdità e un sacco di “wtf?” quando si parla di SasuNaru;

·        Doveva essere una SasuNaru, ma la mia sete di scrivere almeno una SakuHina, che mi porto appresso dal lontano 2012, finalmente si è tradotta in mezza realtà;

·        La fan fiction vorrebbe essere angst. Non ci riesce. Non riesce neanche ad essere troppo sensata o troppo ben scritta. Vi chiedo di perdonare gli errori e di farmeli notare, se ne avete voglia, e mi scuso profondamente per non essere riuscita a regalarvi un prodotto di qualità. Purtroppo non scrivo seriamente da tempo e non sono più allenata a farlo. Troverete frasi confuse, una sintassi spesso traballante e non sempre immediatamente comprensibile, come se volessi dire troppe cose troppo in fretta. Chiedo perdono per tutto questo;

·        È uno slice of life piuttosto inconcludente sul quale non vale davvero la pena perdere tempo, quindi se siete saggi smettete ora, e vi salvate un quarto d’ora di lettura inutile.

Audrey


***

 

 

Quando cala il sole

 

Naruto si spalmò sul tavolino in plastica lucida, come una pelle di tigre. Sakura lo studiò, con un sopracciglio inarcato. Aveva venti minuti di pausa, giusto il tempo di scendere al bar dell’ospedale e bersi un caffè, prima di tornare operativa per il reparto di oncologia. Quindi veniva da sé che non riuscisse a capire cosa avesse fatto di male per meritarsi il ciarlare del suo migliore amico – per autoproclamazione – in un momento simile.

“Tu non capisci, Sakura-chan, è orribile, davvero!” la voce lamentosa e acuta di Naruto le scavò nei timpani, minacciando il suo già precario equilibrio psico-fisico. A tenerla in vita in quei giorni di turni disperati erano i caffè, ai quali si aggrappava con disperato bisogno ogni qual volta una macchinetta automatica si parava sul suo cammino. Aveva passato più ore fra le mura bianche del reparto che a casa sua. Cominciava a sentire la stanchezza insinuarsi nelle ossa delle spalle indolenzite, che scricchiolavano come cardini arrugginiti ogni volta che raddrizzava la schiena. Naruto non sembrava comunque intenzionato ad avere pietà di lei. Aveva l’aria di chi avrebbe dato tutto se stesso pur di impiegare ogni secondo della sua pausa, fin quando Sakura, spinta dall’irritazione, non lo avesse cacciato a calci e insulti.

“Cosa non capisco, Naruto?” ebbe la grazia di chiedere.

“Vivere con Sasuke sta diventando insopportabile. E ti giuro che io capisco tutta ‘sta storia della depressione, degli psichiatri, degli sbalzi umorali, ma va avanti da mesi ed è difficile. Cioè, dopo non c’è da stupirsi se uno si stanca”.

Sakura versò il dolcificante – a cui era passata dopo aver notato la comparsa di un’inquietante pancina tondeggiante – nel caffè, poi, mentre si concedeva un primo piccolo sorso, notò lo sguardo di Naruto fisso sulle sue labbra.

“Voglio dire, già Sasuke non è mai stato una botta di vita, ma adesso s’è proprio zombificato. Del tipo che ‘sta morto sul divano per ore e non si muove e non risponde. A volte penso che ci sia crepato davvero, soffocato dai cuscini. Ma poi si alza, non mi degna di uno sguardo, e va a infossarsi nel letto”.

“Sapevi che sarebbe stato così, te l’ho detto io e te lo ha ripetuto il suo psichiatra”.

“Non mangia più, Sakura-chan! Mi tocca pure imboccarlo e infilargli a forza la forchetta in gola! Che prima o poi giuro che ce lo strozzo” scattò a sedere, rimbalzando come una molla carica, e slanciò le braccia in aria esasperato. La barista si voltò verso di loro con cipiglio severo, Sakura le fece cenno di non preoccuparsi. La donna annuì e tornò alla sua lattuga.

“L’avete poi fatta quella seduta di terapia di coppia?”

“Ci abbiamo pensato, giuro, ma Sasuke ha mugugnato qualcosa sul fatto che era solo una perdita di tempo, e un po’ sono d’accordo con lui. Insomma, i fatti nostri ce li siamo sempre risolti da soli. Tu lo sai meglio di chiunque altro come funziona la nostra relazione, non siamo mai andati troppo d’accordo, una litigata in più, una in meno non mi sembra tutta questa tragedia”.

“Questa volta è diverso” tentò Sakura, ormai arrivata al suo ultimo sorso di caffè.

“Lo so che è diverso, ma… non lo so, parlare a un estraneo di me e Sasuke sembra strano. Non so neanche se riuscirei a farlo, capisci. E poi noi non siamo mai stati una cosa sana. Se racconto a qualche strizzacervelli come funzioniamo, quello ci prende per scemi e, oltre che Sasuke, fa ricoverare anche me”.

Sakura fu sul punto di dirgli che la sua visione del mondo era piuttosto distorta e che, a conti fatti, la relazione fra lui e Sasuke era una delle più salutari che avesse mai visto. Stavano insieme da una vita, da quando entrambi erano ancora troppo piccoli per capire che nel loro rapporto c’era qualcosa di non tradizionale. Più di un decennio passato a litigare, a prendersi a pugni, a lasciarsi e a riprendersi. Avevano durato così a lungo che era impossibile immaginarli separati. Era strano come la depressione di Sasuke, comparsa all’improvviso, senza che nessuno se lo aspettasse, avesse cambiato le carte in tavola. Sakura si rimproverava per non aver colto i segnali in tempo, prima che Sasuke diventasse la maschera di se stesso. Era stata assente per i suoi amici quando ne avevano più bisogno, fra un turno all’ospedale e l’altro, e questo le ritorceva le viscere e le occludeva la gola. Eppure sapeva bene che i rimpianti erano cosa inutile in quelle situazioni, potevano solo affrontare la realtà a testa alta e denti stretti.

“Se non sei disposto a tentare strade nuove, come pensi che le cose possano risolversi? Ormai mi pare chiaro che la situazione di Sasuke non migliorerà molto presto e prima te ne farai una ragione, prima potrete cominciare a sistemare le cose”.

Naruto si afflosciò contro lo schienale della sedia e abbassò lo sguardo sulle mani. Le teneva strette in grembo e giocherellava con le dita abbronzate per distrarsi da chissà quali pensieri.

“È che…” cominciò, per poi fermarsi e tacere di nuovo.

“È successo dell’altro?” tentò allora Sakura, incerta se fosse la domanda che l’altro attendeva. Naruto sospirò, chiuse gli occhi e riversò la testa indietro, con un grugnito di disappunto.

“Ieri sera sono stato con Hinata-chan alla cena dell’azienda di suo padre. Presentavano un nuovo prodotto o una cosa del genere. Sapeva che tu eri impegnata, non voleva andarci sola e così mi sono offerto volontario” Sakura corrugò la fronte, accigliata. Non sapeva della cena di Hinata, la ragazza non glielo aveva neanche accennato, e venirne a conoscenza in quel modo le lasciava addosso una certa irritazione. Non ebbe tempo di soppesare le sue emozioni, perché Naruto stava continuando a parlare, sventolando le mani a destra e a sinistra, per tenere il ritmo di un discorso nel quale non erano previste pause per riprendere fiato, “E ho incontrato Gaara. A quanto pare è con l’azienda di suo padre che gli Hyuuga hanno stipulato un qualche contratto. Ci siamo messi a parlare, e una cosa tira l’altra…”

“E quindi?”

“Ti ricordi che Gaara ci provava con me, vero?”

“Ma è una cosa delle superiori, e se non sbaglio, tu non l’hai mai degnato di uno sguardo”.

“Ovvio che no! Ma è diventato davvero figo, Sakura-chan”.

“Stai cercando di dirmi che ci hai fatto qualcosa?”

“Ma no, che vai a pensare! Solo che abbiamo parlato un sacco e mi ha invitato a cena per rivangare i vecchi tempi e fare il punto della situazione. Niente di che, una cosa fra amici, io gliel’ho detto che sto ancora con Sasuke”.

“E quindi dove sta il problema?”

“Potrei non aver informato Sasuke che sabato vado a cena con Gaara” Naruto si grattò la testa imbarazzato. Era chiaro che cercasse in Sakura un sostegno che lei non era intenzionata a dargli. Sakura scosse la testa e sospirò esausta. Non era quello il momento per continuare a discutere di una questione del genere, non quando il suo turno stava per ricominciare e non quando Naruto si stava infilando in guai la cui portata non riusciva neanche lontanamente a immaginare.

“Dovresti dirglielo. A Sasuke, intendo” disse sollevandosi dal tavolo. Naruto fece lo stesso.

“Sasuke ultimamente neanche mi guarda, figurati se gli interessa con chi esco”.

“Dovresti provare comunque a parlargliene. Dopotutto Gaara è sempre stato interessato a te in modo morboso, Sasuke ha diritto di sapere che ti vedi con lui”.

“Ok, ok, glielo dico, ma è una perdita di tempo anche solo provarci, tanto mica devo farci chissà che”.

“Ragione in più per non tenere Sasuke all’oscuro”.

Naruto sbuffò e gonfiò le guance.

“Certo che però per una volta potresti stare dalla mia parte”.

“Non è questione di stare dalla parte di qualcuno, Naruto. È che le relazioni si basano sulla fiducia e l’omissione non aiuterà di certo la vostra situazione. A meno che tu non sia interessato a Gaara”.

Naruto rise, una risata troppo nervosa per essere sincera e Sakura si sentì improvvisamente a disagio. Colpire nel segno, soprattutto quando le sembrava di star dicendo una sciocchezza, tirata fuori giusto per chiudere l’argomento, la agitava.

“Certo che non sono interessato a lui” cercò di dissipare l’imbarazzo “è solo una cosa tra amici, te l’ho detto”.

Sakura sospirò ancora. La sua pausa era finita e ogni speranza di rilassarsi era scomparsa. Il nervosismo con cui l’aveva lasciata Naruto aveva solo aumentato la sua stanchezza. Al pensiero che alla fine del turno mancassero ancora più di quattro ore sentiva la nausea inacidirle la gola.

“Ora devo andare” disse, “ma questo discorso lo riprendiamo quando ho un attimo”.

Naruto annuì.

“Grazie, Sakura-chan, la prossima volta che ci vediamo ti offro qualcosa”.

“Dovrai fare ben di più che offrirmi qualcosa, di questo passo sarai il motivo della mia prematura dipartita” mormorò sotto lo sguardo interrogativo di Naruto, ma Sakura si guardò bene dal ripetere le sue parole e lo salutò con un gesto stanco della mano, “ci si vede”.

“A presto, Sakura-chan”.

 

Quando tornò a casa, l’orologio appeso in cucina segnava le dieci della sera. Due ore dopo del previsto. C’era stata un’emergenza e avevano chiesto il suo aiuto, Sakura non aveva avuto il coraggio di rifiutare, nonostante la stanchezza cominciasse a renderla meno lucida. Dopo tutti quegli anni di gavetta, avrebbe dovuto esserci abituata, invece la stanchezza non l’abbandonava mai. Segnava il suo volto e i suoi occhi, invecchiati troppo presto. Hinata aveva provato a convincerla che non era vero, che in lei non vedeva neanche un segno degli anni che passavano, che era sempre bella come due, tre, dieci anni prima. Ma Sakura non riusciva a crederle. Il volto smunto, le occhiaie nere, i capelli sporchi perché di tempo per lavarli ce n’era sempre troppo poco: ogni mattina vedeva allo specchio tutto questo e una parte di lei si chiedeva se quel calvario di turni infiniti sarebbe mai terminato. La sua era una vocazione, non sarebbe dovuto essere così difficile perseguirla, e invece ogni giorno si chiedeva se anni prima, giovane e speranzosa, all’uscita dalle scuole superiori, avesse fatto la scelta migliore. Forse aveva voltato le spalle a quello che realmente l’avrebbe resa felice, abbagliata dallo splendore di un futuro di successi.

Si trascinò fino al frigo e tirò fuori del formaggio e l’insalata avanzata dalla sera prima – una pappetta molliccia e fredda di sale e olio e lattuga. Se lo sarebbe fatto bastare.

La visita di Naruto l’aveva stancata più delle ore di servizio. Aveva continuato a ripensare a lui e a Sasuke. Si era chiesta se fra loro potesse davvero finire tutto da un momento all’altro – che fosse stata lei una povera illusa a credere in un fiabesco per sempre? –, incapaci entrambi di affrontare la morte inaspettata della loro collaudata quotidianità. Eppure ne avevano passate così tante insieme, quei due, c’erano stati così tanti momenti in cui avevano tentennato e stretto i denti che neanche adesso riusciva a credere che le cose non si sarebbero sistemate.

Poi c’era Hinata. Hinata che da un paio di mesi era la sua ragazza. Hinata che non l’aveva neanche chiamata per dirle della cena organizzata da suo padre e che probabilmente si era già stancata della sua incostanza. C’era stato un momento idilliaco fra loro quell’estate. Sakura era quasi riuscita a tornare la ragazza di un tempo, con tanto di sogni e speranze a riempire il suo sguardo. Era stato sotto il sole di Okinawa, sulla sabbia rovente e nell’oceano gelido che aveva creduto di rinascere. Tra le onde lei e Hinata si erano scambiate un primo, timido bacio, a cui erano seguiti giorni di imbarazzo e di sguardi fugaci, fin quando Sakura non aveva deciso di prendere in mano la situazione e di chiedere a Hinata cosa avesse significato per lei la loro riscoperta intimità. Ricordava ancora il rossore di Hinata, era sceso lungo il collo e corso fino alle orecchie, il volto della ragazza era diventato una maschera di vergogna e le sue labbra si erano riempite di adorabili e tremolanti balbettii.

Erano stati giorni felici, che le avevano lasciato in bocca il sapore del mare. Adesso di quei giorni non restava che un ricordo sbiadito. Le sembravano passati ben più di due mesi. Non vedeva Hinata da due settimane, non la sentiva da almeno tre giorni, se si escludevano gli sporadici e lapidari messaggi che si scambiavano. Si chiedeva come una relazione così potesse andare avanti. Probabilmente era sciocco sperare di riuscire a far funzionare le cose quando entrambe passavano la maggior parte del loro tempo a barcamenarsi fra orari impossibili che non coincidevano mai. Poi c’erano le piccole omissioni: Hinata che non la invitava alla cena, Sakura che non le parlava delle sempre più assidue visite in ospedale di Naruto. A una relazione non potevano bastare due settimane sotto il sole estivo, aveva bisogno di attenzioni e costanza per crescere.

Estrasse dalla tasca dei jeans il cellulare e cercò il contatto della ragazza.

Ci vediamo domenica per pranzo? Il mio turno comincia alle 15, quindi devo scappare abbastanza presto, ma prima possiamo stare un po’ insieme

Scrisse, per poi chiedersi se non fosse il caso di aggiungere un “mi manchi” o un “ci sono delle cose di cui dobbiamo parlare”, ma decise che quello poteva aspettare e che le avrebbe rivelato ogni dubbio quando si sarebbero finalmente incontrate.

Dovette attendere un’ora, in cui finì di mangiare l’insalata insipida e si fece una doccia veloce, prima di ricevere risposta.

Sono libera anche io. Dove ci vediamo?

Sakura sorrise e per un istante la stanchezza sembrò affievolirsi e la speranza fece capolino fra le mille inquiete incertezze che costellavano i suoi affannosi pensieri. Forse, se si fosse impegnata ancora un po’ e se avesse avuto pazienza, tutto si sarebbe sistemato.

 

E invece non si sistemò niente.

Quando il telefono di Sakura squillò domenica mattina, appena un’ora prima del suo appuntamento con Hinata, la ragazza lanciò allo schermo uno sguardo rapido, prima di tornare con uno sbuffo ad applicare con meticolosa attenzione l’eyeliner. Non aveva intenzione di lasciare che Naruto monopolizzasse anche quella giornata.

Naruto chiamò una seconda volta, in onore della sua proverbiale testardaggine, e Sakura fu tentata di rispondere solo per dirgli che doveva smettere di disturbarla in qualsiasi momento del giorno e della notte. Anche lei aveva una vita, o quantomeno qualcosa che gli assomigliava vagamente, dopotutto.

Quando chiamò una terza volta e poi una quarta, Sakura si decise a metterlo in viva voce, intenzionata a sprecare con lui il minor tempo possibile.

“Che vuoi, Naruto?” chiese, mentre, con la bocca storta e un dito ad allungare l’angolo dell’occhio, tentava di applicare l’ombretto rosa in modo omogeneo.

“Aiutami, Sakura-chan, Sasuke si è chiuso in bagno e non rispondere” la voce del ragazzo, piena di angoscia e di panico, le fece abbandonare il suo minuzioso lavoro e prendere in mano il telefono. “Aprì questa dannata porta, bastardo, oppure giuro che la sfondo!” lo sentì urlare.

“Naruto, calmati”.

“Non posso, Sakura-chan, non so che gl’è preso. Un attimo fa stava in cucina, stava bene!”

“È successo niente di insolito?”

“Non lo so. L’ho lasciato solo un attimo, giuro, sono andato a cercare di capire come accendere la lavatrice, e l’ho sentito vomitare, quando sono corso da lui si era già nascosto in bagno. Come lo tiro fuori da lì?”

“Hai bisogno che venga da te?” chiese Sakura, divisa fra la preoccupazione e la rassegnazione.

“Fai in fratta” le disse Naruto, prima di chiudere la telefonata, probabilmente per tornare a sbraitare contro Sasuke.

Sakura guardò il telefono fra le sue mani. Lo sfondo ritraeva lei e Hinata al mare, quell’estate. Avevano scattato la foto il primo giorno di vacanza. Sasuke e Naruto stavano sullo sfondo, Naruto che tirava un pugno a Sasuke e Sasuke che probabilmente lo malediceva. Come potevano cambiare tutto in così poco tempo?

Pensò di mandare a Hinata un messaggio, ma si disse che sarebbe stata una mossa vile e in fondo Sakura aveva voglia di sentire la sua voce, quindi la chiamò.

Un paio di squilli prima che la ragazza rispondesse agitata.

“Sto arrivando” la sentì ansimare “sono in ritardo solo di un paio di minuti”.

“Ciao” la salutò Sakura e un sorriso sorse spontaneo sulle sue labbra. La voce di Hinata era soffice e calda, le scivolò addosso lenente, e Sakura valutò la possibilità di lasciare Naruto ai suoi problemi e dedicarsi alla sua ragazza, nel modo in cui il suo istinto le chiedeva di fare. Hinata le mancava disperatamente. Nel sentirne la voce, dopo così tanti giorni, si rese conto di quanto fosse stata sciocca a non trovare neanche un’ora per correre da lei.

“Ciao” rispose la ragazza all’altro capo, la voce leggermente lontana dalla cornetta.

“Hinata” la richiamò ancora Sakura. Aveva bisogno che smettesse di muoversi e l’ascoltasse perché per quanto volesse vederla e mollare Naruto e Sasuke ai loro problemi, sapeva che non sarebbe mai riuscita a farlo senza annegare nei sensi di colpa.

Il fruscio si interruppe e restò solo il respiro appena accelerato.

“È successo qualcosa?”

Sakura trasse un profondo respiro, si passò una mano sulla fronte e il palmo della mano si colorò del fondotinta applicato in vista del loro appuntamento.

“Mi ha appena chiamato Naruto,” cominciò e dall’altro capo del telefono si sollevò un’appena sussurrata espressione di stupore. Sakura si mordicchiò il labbro inferiore, lo stringe fra i denti fino a farsi male. Odiava dover deludere Hinata, ma non riusciva a trovare alternative, se non rimandare ancora il loro incontro, “Ha detto che Sasuke non sta bene e mi ha chiesto se posso andare a dargli una mano”.

“Hai bisogno che venga con te?” nessuna protesta, nessuna incertezza. La voce di Hinata era limpida e piena di genuina preoccupazione. Sakura sorriso suo malgrado e sentì il suo petto riempirsi di calore per quella ragazza così fantastica e altruista che le aveva fatto l’onore d’essere sua.

“No, meglio di no. Non so se Naruto ti ha parlato della situazione di Sasuke, ma credo che vedere troppe persone potrebbe non fargli bene, soprattutto in un momento come questo”.

Hinata annuì con un sussurro.

“Se hai bisogno del mio aiuto chiamami. E fammi sapere come va”.

“Mi dispiace tanto dover rimandare ancora il nostro appuntamento” le disse Sakura contrita.

“Non preoccuparti, questo è più importante. La salute di Sasuke-kun viene prima, e poi noi avremo modo di vederci in un altro momento. Se per assecondare miei desideri succedesse qualcosa a Sasuke-kun o a Naruto-kun non potrei mai perdonarmelo”.

Sakura la capiva bene, provava i suoi stessi sentimenti.

“Ti chiamo presto, promesso” le disse.

“Mandami un messaggio appena hai fatto”.

“Certo. Mi manchi, Hinata”.

“Mi manchi anche tu”.

 

Sakura suonò il campanello, sopra il quale una targhetta arancione dichiarava baldanzosa "Uzumaki Naruto", e subito sotto "Uchiha Sasuke" era stato aggiunto a penna nella grafia scoordinata di Naruto.

Quando nessuno rispose, bussò alla porta, tanto forte che temette i vicini potessero affacciarsi. Quello di Naruto e Sasuke, dopotutto, era solo un modesto bilocale al secondo piano di una palazzina, in una banale zona residenziale. Niente di pomposo come ci si sarebbe potuti aspettare dall’altisonante cognome Uchiha, qualcosa di intimo, piuttosto, che avevano deciso di affittare in attesa di tempi migliori.

"Sakura-chan, sei tu?" urlò Naruto da lontano, oltre la porta ancora chiusa.

"Chi vuoi che sia?"

"Allora la porta è aperta"

Sakura entrò, con l’intento di dire a Naruto quanto fosse da idioti lasciare la porta aperta a quel modo, che se non da lui, almeno da Sasuke si aspettava un po' di buon senso. L'odore di vomito che impregnava l'ingresso le fece dimenticare ogni rimprovero. Sentì la colazione rimestarsi nello stomaco, il sapore acido dell'arancia le risalì in gola e la saliva le riempì la bocca.

"Siamo in bagno" la chiamò Naruto, squillante. Sakura si fece forza. Sapeva bene che Naruto non aveva chiamato la Sakura infermiera, quanto piuttosto la Sakura migliore amica, ma quando mise piede sulla soglia del bagno si chiese se, in una situazione del genere, fosse davvero possibile scindere le due. Sasuke stava riverso a terra, di fianco al water, aveva lo sguardo stanco rivolto al soffitto e respirava con le labbra semi-aperte. A terra, sparpagliati vicino al lavello, c'erano pezzi di legno provenienti dalla porta che Naruto aveva sfondato. Ora il ragazzo stava seduto sul bordo della vasca, si teneva la spalla destra con la mano sinistra, e rivolgeva a Sakura un sorriso imbarazzato. Era chiaro che in quella situazione non si trovasse a suo agio e avrebbe preferito incontrarla in una situazione diversa, che lo facesse sentire meno impotente. Sakura non si lasciò scoraggiare, ben consapevole che se Naruto l'aveva voluta con lui era solo perché sentiva il bisogno di qualcuno in grado di sostenerlo di fronte alla follia della sua vita. Non poteva deluderlo. Negli anni erano diventati un pilastro l'uno per l'altra. Nonostante le liti, gli insulti e i continui e reciproci punzecchiamenti, Sakura sapeva che senza Naruto la sua vita non sarebbe stata la stessa. E come lui era sempre stato disposto a offrirle sostegno, ora toccava a lei fare lo stesso, trattenere il respiro e gettarsi a capofitto nel mezzo di una relazione in cui non aveva mai voluto intromettersi.

"Come va?" chiese.

"Il bastardo non mi parla, se ne sta lì a guardare il soffitto in attesa di non so cosa".

Sakura spostò di nuovo la sua attenzione su Sasuke e avanzò nel bagno, illuminato dalla luce elettrica del lampadario, le tapparelle ancora abbassate. Raggiunse Sasuke e gli occhi di lui scattarono sul volto della ragazza, senza tuttavia accennare il minimo movimento della testa.

"Ehi, Sasuke-kun" lo salutò, piegandosi davanti a lui, "come stai?"

Sasuke non rispose, nel suo sguardo impassibile riusciva quasi a scorgere una sorta di derisione. Sakura si sentì piccola, come le succedeva ogni volta di fronte alla supponenza dell'altro. Era una sciocchezza, lo sapeva bene, non era più la tredicenne innamorata alla ricerca spasmodica delle attenzioni della sua prima cotta. Ora era una donna, e i suoi interessi divergevano drammaticamente dai tratti ancora infantili del ragazzo. Eppure aveva continuato a provare per lui una sorta di deferenza, nonostante l'amicizia che nel tempo si era cementata e aveva assunto tratti sempre più chiari di reciproca, seppur silenziosa, fiducia. Ma il Sasuke che le stava davanti era l'ombra di se stesso. In lui non c'era niente del giovane che aveva imparato a conoscere, nel suo sguardo sembrava non esserci più spazio per gli altri.

“È inutile che ci provi, Sakura-chan, tanto lo stronzo non fiata” la informò Naruto, sbuffando esasperato.

“Meglio non parlare che aprire la bocca a cazzo come fai tu” lo rimbeccò inaspettatamente Sasuke.

“Almeno io non costringo gli altri a sfondare porte, solo perché sono troppo preso da me stesso per accennare un solo segno di vita”.

La discussione in sé non era niente di nuovo, il solito rimbeccarsi tipico dei due, ma questa volta c’era qualcosa nel tono con cui le parole venivano pronunciate che andava oltre lo scanzonato battibeccare tipico della loro relazione. Eera qualcosa di stanco e crudele, che si insinuava nel sibilare di ogni ‘s’ e nelle smorfie che accompagnavano ogni sillaba.

Sakura si schiarì la voce a disagio, passando lo sguardo dall’uno all’altro, con la consapevolezza di essere impotente di fronte al loro attaccarsi aspro e maligno.

“È successo qualcosa che non mi avete detto?” chiese dunque.

“Io ti ho detto tutto, Sakura-chan! Tutto quello che sapevo almeno, perché di certo Sasuke non si preoccupa di rendermi partecipe dei suoi pensieri”.

“Perché magari non ho niente da condividere con te. Non ho mai avuto bisogno che ti occupassi di me, non sono tuo figlio”.

“No, infatti, pezzo di idiota, non sei mio figlio, sei il mio ragazzo! Praticamente mio marito! E io pretendo che mio marito non mi lasci fuori dalle sue questioni e che se si chiude in bagno a vomitare, mi spieghi almeno il motivo”.

“Oh, proprio come tu mi spieghi dei tuoi appuntamenti serali” ruggì Sasuke all’improvviso, scattando in piedi. Sakura perse l’equilibrio e cadde seduta sulle piastrelle.

“Cosa vorresti dire?”

“Voglio dire che so di te e Gaara”.

“Hai guardato nel mio cellulare!” anche Naruto scattò in piedi, i pugni testi lungo i fianchi, gli occhi fissi in quelli di Sasuke, lo sguardo accusatorio. Si sfidarono per qualche secondo, poi Sasuke sospirò e incurvò la schiena esausto, come se quella conversazione lo avesse privato di ogni energia.

“Sono stufo” disse “non ho voglia di parlare, soprattutto con te, me ne vado a letto”.

Detto questo si trascinò fuori dal bagno, senza preoccuparsi di lavarsi i denti o di dare una sistemata ai capelli arruffati. Naruto lo fissò, mentre ciabattava via, un passo dopo l’altro, con una lentezza estenuante, priva di ogni belligeranza. Raggiunse la porta della loro stanza, entrò e se la chiuse alle spalle.

“Non glielo hai detto” disse Sakura accusatoria, non appena fu certa che Sasuke non potesse sentirla.

“Ho sbagliato, ok, lo so, ma l’hai visto com’è? Come posso parlare con uno così? Quello non è Sasuke!” fu sul punto di urlare Naruto, ancora logorato dalla rabbia e dalla vergogna.

“Lo psichiatra che dice?”

“Dice che ci vuole tempo. Gli ha dato della roba da prendere, ma sembra inutile, o lo rende furioso, o stanco, talmente tanto che a volte non ha neanche la forza di alzarsi dal letto. Non so cosa fare, Sakura-chan”.

Non aveva mai visto Naruto così: una maschera di se stesso, pallido e stremato, talmente sopraffatto da essere incapace di far fronte agli eventi. All’inizio era stato forte, Sakura lo ricordava il guerriero di qualche settimana prima, coi denti stretti e lo sguardo fiero, disposto a fare qualunque cosa per aiutare Sasuke a superare la sua depressione. Le riusciva difficile credere che quello che aveva di fronte fosse lo stesso ragazzo determinato di allora. Sembrava che per riflesso avesse assunto anche lui l’aspetto emaciato di Sasuke. La pelle bronzea appariva lattea alla luce bianca del bagno, i capelli ricadevano sgonfi e tristi di fronte agli occhi arrossati. Sakura si chiese se avesse pianto, o se quello che segnava il suo sguardo era solo il residuo della rabbia. Probabilmente entrambe le cose, perché non riusciva a credere che Naruto non avesse versato lacrime per lo spettro di uomo che il suo compagno era diventato.

“Per queste cose ci vuole pazienza, non può migliorare tutto da un momento all’altro”.

“Ma non sta migliorando niente!” esclamò con voce incrinata, il terrore a riempire il suo sguardo. “Ho paura di non farcela” confessò in fine.

Sakura esitò qualche istante prima di abbracciarlo, non perché temesse che quella non fosse la cosa giusta da fare, ma perché voleva imprimersi nella mente l’espressione stremata di Naruto e ricordare che era per quella fragilità, così sempre ben nascosta, che lo amava così tanto. Lo strinse fra le braccia, lasciando che affondasse il viso sulla sua spalla e che la tenesse stretta contro di lui a sua volta. Le mani serrate a pugno si aggrappavano alla sua maglia in lana e la deformavano fra le dita tremanti. Non poteva vederne il volto, non sapeva se stesse piangendo, ma sentì comunque le lacrime scaldarle gli occhi e offuscarle la vista. Doveva essere forte per entrambi, perché se vedere Sasuke in quello stato faceva male a lei, poteva solo immaginare quanto profondo fosse il dolore di Naruto.

Accarezzò con una mano la schiena ampia, in un gesto che sperava essere di conforto, e rimasero in un insolito silenzio, ognuno perso nelle proprie incertezze.

Quando Sakura lasciò casa di Naruto, un’ora dopo, si ricordò di mandare un rapido messaggio a Hinata.

Non stanno bene, le scrisse.

C’è qualcosa che posso fare?, fu la celere risposta.

Credo che nessuno possa fare niente, ed era vero. Persino Sakura, che aveva creduto che con una laurea in mano e anni di praticantato alle spalle sarebbe riuscita a risolvere ogni male del mondo, si sentiva impotente e incapace di fronte a ciò che stava affliggendo i suoi amici.

 

Nei giorni successivi non sentì Naruto, e il silenzio le diede modo di relegarlo in un angolino solitario della sua mente. In compenso, a fare irruzione nel suo mondo di calma sospesa, fu Ino.

Non la vedeva da almeno cinque anni, da quando si erano lasciate con urla e insulti, rinfacciandosi le reciproche colpe, come se la loro relazione, per quanto breve fosse stata, si fosse basata solo su errori mai discussi.

“Sakura!” la chiamò dal capo opposto del corridoio, “Ma sei davvero tu?”

Per Sakura fu come aver immerso la testa in un secchio di ricordi. Ino si era tagliata i capelli. Era sempre andata orgogliosa della sua lunga coda bionda, che le scendeva soffice lungo la schiena. Adesso, al suo posto, c’era un triste codino disordinato, che sparava in aria capelli dall’aria ispida. Eppure, in qualche modo tutto strano, anche quell’aria più trascurata le stava bene. La rendeva quasi più umana. Sakura non ebbe neanche tempo di risponderle, che Ino le fu addosso, le braccia strette attorno al collo e il volto appoggiato su una spalla. Rimase immobile, rigida come un ramoscello. Nel calore di Ino non sentiva lo stesso conforto che aveva provato fra le braccia di Naruto qualche giorno prima, ma c’era comunque la familiarità dei mesi trascorsi insieme, a baciarsi, stringersi le mani e fare l’amore – perché di amore si era trattato, lo aveva capito poi, quando tutto fra loro era finito e non erano rimasti che rimpianti singhiozzati nella solitudine del suo appartamento. Aveva rimpianto a lungo il modo in cui la loro relazione si era conclusa, più volte le sue dita avevano sfiorato il nome di Ino sullo schermo troppo luminoso del cellulare, indecise se chiamarla o meno. Aveva sempre desistito, come la codarda che si era tropo spesso dimostrata essere.

Era ironico come, dopo anni di silenzio, la rincontrasse proprio adesso.

“Cosa ci fai tu qui?” le chiese Ino, allontanandosi da lei, pur tenendola ancora per le braccia. Sakura si sentì squadrata minuziosamente, ma l’altra sembrò compiaciuta di quello che vedeva, e il sorriso sulle sue labbra si fece più malizioso e furbo.

“Ci lavoro qui. Tu piuttosto?”

“Ho chiesto il trasferimento dal mio vecchio ospedale qualche mese fa, e finalmente si è liberato un posto”.

“Oh” fu l’unica risposta di Sakura, che ricordò solo in quel momento del pensionamento della vecchia Chiyo – dopo anni di ineccepibile lavoro come infermiera, aveva deciso di lasciarle le mura dell’ospedale per ritirarsi a vivere con il figlio a Osaka. Avevano dato una festa per l’occasione e Sakura ricordava di aver contribuito distrattamente al suo regalo di commiato.

“È incredibile, davvero! Dopo tutti questi anni! E tu sei sempre…” Ino si mordicchiò il labbro inferiore alla ricerca di parole che non riuscire a trovare.

“Insignificante?” le domandò Sakura, riproponendo scettica uno degli ultimi aggettivi con cui Ino l’aveva definita in uno dei loro scontri verbali.

La ragazza sventolò una mano in aria, a scacciare le sciocchezze che uscivano dalla bocca di Sakura.

“Non essere sciocca” la rimbeccò, ridacchiando. “Magari alla pausa possiamo prendere un caffè insieme, che ne dici?”

Sakura annuì scettica. Non le piaceva l’idea di passare del tempo con Ino, soprattutto quando la ragazza sembra essersi dimenticata del modo in cui si erano lasciate. Il loro passato burrascoso era stato relegato in un cassetto polveroso e dimenticato.

Ad aumentare il suo stress c’era la lontananza di Hinata, che ormai vagava come uno spettro ai margini delle sue giornate. Era quel pensiero lontano, che ogni tanto, nei momenti più strani, tornava ad affacciarsi timido e le strappava un sorriso. Eppure non riuscivano a sentirsi. Quando Hinata la chiamava Sakura era sempre nel mezzo di qualche visita importante, e quando Sakura chiamava Hinata la ragazza era occupata in riunioni dalle quali non poteva assentarsi. Si era ripromessa più volte di tentare la sera, ma ogni volta crollava sul letto esausta e quel “tra cinque minuti lo faccio” mugugnato nel silenzio della sua stanza, si spegneva nel sonno.

 

Qualche giorno dopo, uscita dal turno che le aveva portato via dodici ore della sua vita, trovò Ino ad aspettarla fuori dall’ospedale, con in mano un bicchiere fumante di un americano al caramello e il volto infossato nella sciarpa.

“Fa un freddo cane!” le disse la ragazza tremando, mentre allungava verso di lei la mano e aspettava che Sakura afferrasse il bicchiere in cartone. Aveva un bisogno viscerale del caffè, il solo odore la stava facendo impazzire. Lo afferrò, ringraziando borbottante Ino, e quando la sua bocca si riempì di cannella, Sakura gemette senza neanche accorgersene. La risatina sommessa di Ino la fece ridestare dal momento di idilliaco piacere.

“Ricordavo che ti piacesse la cannella, ma non credevo così tanto”.

“Oh, taci, sapevi benissimo che una cosa del genere mi avrebbe rimesso al mondo”.

“No, non lo sapevo, ma ci speravo, lo ammetto” il sorriso che le rivolse aveva perso ogni ilarità e si era trasformato in un malizioso distendersi di labbra piene e rosee. Sakura per un istante la trovò attraente e ricordò cosa anni prima l’aveva spinta verso di lei, permettendole di superare la supponenza che la ragazza amava ostentare. Distolse in fretta lo sguardo, solo per rivolgerlo alla punta delle sue scarpe. Ino ridacchiò ancora, era sempre stata brava a cogliere i suoi imbarazzi e ora più che mai sembrava attenta a ogni sua espressione.

“Torni a casa con il treno, vero?” domandò, infilandosi le mani in tasca e tremando ancora una volta dal freddo. Sakura annuì, senza guardarla. Si portò di nuovo il bicchiere alle labbra e sorseggiò. “Vado nella stessa direzione, potremmo fare la strada insieme”, lo aveva posto come un suggerimento, ma era chiaro che per Sakura non c’erano modi di sottrarsi, se avesse voluto. Eppure si ritrovò a pensare che allontanarla non era quello che desiderava. Camminare con Ino, parlare, ridere, lamentarsi con lei erano tutte cose di cui in quegli anni aveva sentito la mancanza senza accorgersene. Con ogni giorno che passava, con ogni saluto, con ogni gesto accorto, Sakura si trovava a riscoprire il calore della presenza della ragazza. Fu con doloroso sconcerto che si accorse che, nonostante i suoi sentimenti per Hinata, la presenza di Ino si stava facendo sempre più prepotente nei suoi pensieri. I sorrisi che fino a qualche giorno prima erano dedicati al timido affacciarsi del ricordo di Hinata, ora erano spesso rivolti a Ino, con i suoi attraenti occhi azzurri e le sue mani piccole e bianche.

 

Naruto suonò il campanello in piena notte. Sakura, che già dormiva profondamente da ore, saltò sul letto, spalancando gli occhi terrorizzata. Il cuore minacciava di uscirle dal petto e le mani tremavano tanto da non riuscire a controllarle.

Il campanello suonò di nuovo e Sakura raggiunse in fretta il telefono sul comodino. Doveva chiamare qualcuno – Naruto, forse Sasuke, Hinata, o Ino. L’orologio sullo schermo segnava le due del mattino, passate da pochi minuti, lo vedeva offuscato, attraverso gli occhi lacrimanti per la paura o per la sveglia improvvisa, questo non lo sapeva. Le dita, gelate e ancora tremanti, rendevano la presa instabile e ogni tentativo di premere lo schermo vano.

“Sakura-chan, aprimi, ho bisogno di te” la voce di Naruto, proveniente da dietro la porta chiusa, la fece singhiozzare di sollievo, prima di rendersi conto che il ragazzo stava urlando nel bel mezzo della notte, minacciando di destare tutto il vicinato. Scattò in piedi ancora instabile, le gambe la reggevano a stento, si infilò le ciabatte e raggiunse veloce l’uscio di casa, proprio mentre Naruto suonava di nuovo e tornava a chiamarla. Ora riconosceva la disperazione, la sentiva fluire nell’inflessione con cui chiamava il suo nome, e il panico sorpassò la paura che ancora la scuoteva. Aprì la porta e Naruto le cadde addosso, aggrappandosi a lei come fosse la sua ultima speranza. Non stava piangendo, come inizialmente Sakura aveva supposto, ma aveva gli occhi arrossati, i capillari si diramavano cremisi come una ragnatela tessuta attorno alle iridi azzurre. C’erano incredulità, rammarico, dolore nel modo in cui li spalancava, per poi sbattere in fretta le palpebre.

“Vieni, entra, ti faccio un tè”.

Naruto annuì e Sakura lo accompagnò in cucina. Accese la luce e il ragazzo si mise a sedere di fronte ai fornelli, le mani strette a pugno sul tavolo, lo sguardo rivolto alle striature che il legno di quercia creava sulla superficie plasticata.

Rimasero in silenzio, mentre Sakura faceva bollire l’acqua e la versava in due tazze grandi e colorate. Le appoggiò sul tavolo, fumanti e bollenti, una di fronte a Naruto, l’altra di fronte a sé. Poi si sedette e strinse le mani attorno al manico rosso.

“Vuoi dirmi cos’è successo?”

Naruto sollevò lentamente gli occhi in quelli di Sakura, non si era mai accorta di quanto fossero folte e lunghe le sue ciglia, ed era strano come notasse un dettaglio tanto irrilevante proprio in un momento simile.

“Ho fatto una sciocchezza”.

Nessuno dei due osava sollevare la tazza. Si guardavano entrambi, Naruto alla ricerca di parole che non voleva formulare, perché dare voce alle sue azioni avrebbe rotto una volta per tutte l’illusione di poterle cancellare, Sakura nel tentativo disperato di leggere nel silenzio quello che l’amico non aveva la forza di condividere.

Naruto deglutì forte e tirò su col naso, poi ispirò ed espirò, una, due volte, fin quando l’aria non sembro più soffocarlo. Era strana quella compostezza, la rigidità con cui tendeva le spalle e le incurvava leggermente in avanti, sotto il peso di colpe invisibili.

“Io ho… Gaara…” poi tacque di nuovo e Sakura stringe le mani attorno alla tazza, ustionandosi le dita ancora fredde.

“Siete stati insieme?” chiese in un sussurro, perché le parole erano troppo dolorose, le bruciavano la gola come acido.  Quella che stava dicendo era una blasfemia, era impensabile che Naruto potesse tradire Sasuke. C’era sempre stato solo lui dopotutto. Nei suoi pensieri, sulle sue labbra non c’era mai stato posto per altro.

Eppure la risposta era nello sguardo colpevole con cui Naruto la guardava. Era vergogna quella che adesso gli imporporava le gote e Sakura fu stupita che i sensi di colpa non fossero la prima emozione che distorceva la sua espressione.

“Mi sento uno schifo, Sakura-chan, non avrei dovuto, lo so, con Sasuke le cose non stanno migliorando, io non riesco più a capirlo, lui non ci prova neanche e Gaara è così perfetto. È tutto ciò che Sasuke non è stato mai disposto ad essere e io…”

“Vuoi lasciarlo?” lo interruppe improvvisamente Sakura. Naruto si tese e spalancò gli occhi, stupito. Schiuse appena le labbra, poi si fermò.

“Io… non lo so” esalò infine, abbassando tutte le sue difese e ricacciando qualsiasi menzogna. Non voleva nascondere a Sakura la verità, era chiaro, ma Sakura non sapeva se era abbastanza forte da sopportare il peso che voleva condividere con lei.

“Se vuoi lasciarlo, fallo in fretta. Non giocare con lui, non se lo merita”.

“Lo so, Sakura-chan, lo so” sbatté le mani sul tavolo e si spinse verso di lei, come se la vicinanza potesse aiutarla a capire meglio il tumulto emotivo che lo attanagliava. Ma Sakura capiva, capiva molto meglio di quanto Naruto credesse. Rivedeva in lui quello che sarebbe potuta diventare lei stessa se le cose con Ino fossero continuate. Sapeva che era ipocrita rivolgere a Naruto uno sguardo accusatore, stringere le labbra per non insultarlo, per non dirgli quanto era meschino, vile e stupido a lasciare Sasuke solo in un momento come quello. Si tirava indietro proprio adesso che le liti, per una volta, non erano solo un trastullo passeggero fra un momento di idillio e l’altro. Si allontanava quando Sasuke aveva più bisogno di lui.

“So che Sasuke non lo merita. Non lo meriterebbe nessuno un trattamento così e io dovrei parlargli, ma lui non mi ascolterebbe, non lo fa mai, e poi… poi non… non saprei cosa dirgli. Non sono stato un buon amico per lui, quale amico farebbe mai una cosa del genere?”

“Non sei stato un buon fidanzato, Naruto” lo corresse Sakura e Naruto ancora una volta sembrò stupito, come se non avesse anche considerato la cosa.

“Oh” sussurrò, ricordandosi in quel momento che Sasuke per lui andava ben oltre la semplice amicizia. Era confuso, chiaramente incapace di comprendere la portata delle sue azioni e cosa il suo tradimento implicasse. “Cosa dovrei fare, Sakura-chan? Come lo dico a Sasuke? Cosa gli dico… Non mi perdonerà mai… lo perderò!” esclamò nel panico, ma Sakura non sapeva come aiutarlo, perché la paura e la confusione di Naruto si stavano riflettendo in lei e ora voleva solo correre da Hinata, prima che fosse troppo tardi e le parole che per troppo tempo aveva taciuto non avessero avuto più senso.

“Resta qui per questa notte, domani mattina vedremo cosa fare” gli disse, prima di allontanare la sedia con un rumore metallico e strisciante. Guardò il tè ancora caldo e intoccato che giaceva sul tavolo, poi chiuse gli occhi e sospirò. “Io esco un attimo, tu mettiti pure comodo. Sul divano, sul letto, non fa differenza, dove preferisci, fa come se fosse casa tua”.

“Vai a dirlo a Sasuke?” chiese Naruto, il terrore nel suo volto.

“No. No, devo fare qualcosa di più importante”.

Raggiunse in fretta la porta di casa, afferrò le chiavi lasciate su un piattino all’ingresso, proprio sopra la scarpiera, infilò le scarpe e aprì la porta.

“Torna presto” le urlò Naruto, ma Sakura non rispose. Sapeva che quella notte non sarebbe tornata, perché casa di Hinata era dall’altra parte della città e alle due di notte non c’erano più linee ferroviarie in funzione che potessero portarla.

 

Erano le sei del mattino quando raggiunse la villetta che i genitori di Hinata le avevano comprato quando era andata a vivere da sola. Sakura aveva camminato per ore, poi, quando i mezzi pubblici erano tornati in funzione, aveva percorso esausta l’ultima parte del tragitto in treno. Non sentiva più i piedi e la stanchezza le intorpidiva le gambe. La visione era offuscata, la testa le girava e suonò il campanello con le dita rese insensibili dal freddo.

“Chi è?” la voce di Hinata, seppure più elettronica e frammentata del normale, fu come un balsamo. Le scivolò addosso e Sakura finalmente sentì le ultime forze abbandonarla.

“Sono io” gracchiò rauca. Il cancello d’ingresso si aprì e Hinata comparve sulla soglia. La squadrò con occhi sbarrati, il volto pallido, senza trucco ma ugualmente bellissimo, i capelli raccolti in uno chignon morbido e scomposto, nascosta da un pigiama troppo leggero per affrontare il freddo di fine ottobre. Quando si rese conto delle condizioni disperate in cui Sakura si era presentata, ogni perplessità lasciò posto alla preoccupazione. Corse lungo le scale e per il vialetto. Sebbene non fosse stata Sakura a svegliarla, era chiaro che i postumi del sonno non l’avevano ancora abbandonata del tutto.

“Sakura-chan” la chiamò, mentre le si avvicinava e Sakura le cadeva addosso tremante e piangente. Non credeva di stare tanto male. Si era convinta che lei non fosse Naruto, che quello che era successo a lui non per forza doveva ripetersi in lei, ma le ore di viaggio trascorse a rimuginare erano solo servite a innescare un blando lavoro di persuasione, che lo sguardo incerto di Hinata e la sua voce calda avevano dissipato in un istante. Così pianse sul suo petto, versò tutte le lacrime di stanchezza e dolore che in quei giorni aveva trattenuto. Era un pianto per lei, per Sasuke, per Naruto e per tutto ciò che non era riuscita a prevenire. Un fallimento sin dall’inizio.

“Non voglio perderti così” sussurro, fra le braccia della sua ragazza, che la stringeva protettiva, forse un po’ imbarazzata, ma comunque decisa a non lasciarla andare. Era sempre stata Sakura la più forte fra le due. Aveva sempre cominciato lei ogni contatto, si era sempre spinta lei un passo oltre, sempre più in là, fin quando la loro relazione non si era realizzata in tutte le forme possibili. Trovarsi così debole, ora, a cercare conforto nell’altra, la riempiva di timori e vergogne, che si confondevano alle scuse singhiozzate e ai ‘perdono’ per colpe inesistenti. Il suo pensiero corse di nuovo a Naruto, chiuso nella sua casa, a piangere e rimuginare, mentre si chiedeva cosa lo avesse spinto a sbagliare a tal punto, senza dare a Sasuke neanche la possibilità di salvare quello che ancora restava da salvare fra loro.

“Vieni dentro, sei gelata” le disse rassicurante Hinata e Sakura annuì, ma non la lasciò. La ragazza fu costretta a camminare piano, all’indietro, portandosi appresso il peso di Sakura, che trascinava i piedi a stento e si abbandonava completamente contro di lei.

“Ti amo” gemette Sakura all’improvviso. E lo ripeté come una nenia infinita, mentre le lacrime bagnavano il pigiama viola di Hinata, che le diceva di calmarsi, di fare silenzio. Non c’era niente di cui preoccuparsi, andava tutto bene perché anche lei l’amava, e avrebbe dovuto dirglielo prima e più spesso, si scusa a se non lo aveva fatto abbastanza. E mentre Sakura balbettante le raccontava ogni cosa, ancora abbracciata a lei all’ingresso, Hinata l’accarezzava gelosa, come si fa con i bambini che non riescono a trovare conforto. Le sue parole erano confuse e parlavano di tentazioni, di errori, di incertezze, di cose fatte senza pensare e di colpe. Hinata ascoltava, annuiva, non parlava.

“Puoi perdonarmi?” le chiese infine Sakura, come se il tradimento fosse il suo. Hinata le prese il volto fra le mani e sollevò gli occhi verdi di lei nei suoi pallidi e sorridenti.

Le posò le labbra sulla fronte, in un bacio rassicurante.

“Non hai fatto niente, Sakura-chan”.

“Avrei potuto”.

“Ma non l’hai fatto e sei venuta a parlarmi”.

“Se Naruto non fosse venuto da me, non sarei qui e potrei trovarmi al suo posto”.

Hinata la baciò ancora e le sorrise, mente le lacrime continuavano a riempire gli occhi di Sakura.

“Se non fosse stato oggi, sarebbe stato domani, o dopodomani, ma saresti venuta a parlarmi, ne sono sicura”.

Sakura sorrise suo malgrado, un sorriso triste e umido.

“Tu hai troppa fiducia in me”.

“Devo avere fiducia in te”.

Sakura si spinse tentennante verso di lei e la baciò sulle labbra. Avevano il sapore di latte ed erano dolci. Rimase immobile, senza cercare una passione che non trovava posto in quel momento. Si abbandonò alla tenerezza, che le vorticava dentro con prepotente bisogno.

“Ti amo” ripeté poi e Hinata sorrise ancora.

Le passò una mano fra i capelli e le sue guance si imporporarono, forse per il caldo che riempiva le stanze della casa o per quella rinnovata confessione fatta a fior di labbra, senza la disperazione che aveva contraddistinto le precedenti.

“Lo so” esalò timida. Si fermò, esalò un respiro tremante, le rivolse uno sguardo incerto e tentò di trovare la forza di proseguire.

“Che c’è?” le chiese Sakura curiosa. Hinata arrossì ancora, era adorabile quando succedeva e Sakura si illuminò di felicità, le guance ancora umide di lacrime.

“Vieni a vivere con me, Sakura-chan”, propose, infine, in un sussurro.

Sakura scoppiò a ridere. Si aggrappò a Hinata come fosse la sua ancora e pianse di nuovo. C’erano ancora tante cose da risolvere – c’erano Sasuke e Naruto, c’era Ino, c’erano le sue paure –, ma quel momento l’avrebbe dedicato solo a loro. Mentre rispondeva un “sì” perso fra le lacrime, si rese conto che mai sarebbe stata più felice in tutta la sua vita.

 

 

   
 
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